Prenderà il via giovedì 27 ottobre, alle 17, presso la Galleria Berman di via dell’Arcivescovado, 9, a Torino, la mostra dell’artista Ivan Theimer dal titolo: “Il Bestiario”, una raccolta di sculture in bronzo, terracotta e acquarelli. Il catalogo è a cura di Fulvio Dell’Agnese. L’allestimento resterà visitabile fino al 22 dicembre dal mercoledì al venerdì dalle 16 alle 19 e il sabato dalle 10 alle 13.
L’isola del libro
Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Hernan Diaz “Trust” – Feltrinelli- euro 19,00
E’ uno dei libri più belli letti ultimamente: intrigante, scritto benissimo, costruito in modo magistrale. Parla di soldi, finanza e vite. Hernan Diaz è un giovane talento letterario, nato a Buenos Aires, cresciuto a Stoccolma, da circa 20 anni trapiantato a New York; ha iniziato come critico letterario specializzato in Jorge Luis Borges, poi ha rivelato un talento strepitoso nella narrativa, ed è stato finalista al Premio Pulitzer con “Il falco” nel 2018.
In 378 pagine è riuscito nella magia di incastrare 4 storie, diverse quanto a stile e lunghezza; conviene leggerle nella sequenza decisa dall’autore….e capirete anche perché. Il vero protagonista è comunque il denaro, o meglio la sua forza magnetica e la relazione con gli esseri umani.
Dapprima protagonista è Benjamin Rask, unico erede di una ricca famiglia che commerciava tabacco. Quando il padre muore per uno scompenso cardiaco, Benjamin è all’ultimo anno di collegio. Dimostra subito una compostezza mirabile e una grande precocità quando chiede di esaminare il testamento paterno e tutti i documenti finanziari.
In realtà del tabacco gli importa poco, lui che neanche fuma. Licenzia il consulente finanziario incapace di azzardi e si mette in proprio. Liquida l’attività di famiglia, vende tutti i possedimenti ereditati, inclusa la residenza newyorkese, e si installa nella suite di un hotel.
Asociale e distaccato da tutto, quello che lo affascina sono le contorsioni del denaro. Così espande i suoi investimenti (in oro, valute, cotone, obbligazioni, carne di manzo e molte atre cose) su una scacchiera che lo vede attivo sui mercati di Stati Uniti, Inghilterra, Europa, Sud America e Asia. Accumula ricchezze immense e negli anni amplia ulteriormente i suoi affari investendo nell’aviazione, (intuendo il potenziale futuro del trasporto aereo), in aziende chimiche, tecnologiche e in altri campi. Poi prende come moglie (perché sembra la cosa opportuna da fare) Helen, che si dedicherà ad attività filantropiche e della quale seguiremo i movimenti ed il rapporto con il marito nel prosieguo degli anni.
La seconda parte è dedicata ad Andrew Bevel, ricchissimo finanziere diventato milionario dopo il crollo in Borsa del 29, di cui potrebbe anche essere stato l’artefice. Indignato per le malignità disseminate su di lui, cerca di raccontare la sua verità, ripercorrendo la storia dei suoi antenati «..uomini-banca fin dalla Dichiarazione d’Indipendenza». Un lungo racconto scandito in capitoli, con appunti che conducono all’amore per la moglie Mildred: appassionata di musica, grande organizzatrice di concerti in casa, dedita a opere di beneficenza.
Un ulteriore passaggio del testimone vede protagonista Ida Partenza, figlia di un anarchico, che da giovane era stata selezionata tra un pool di candidate segretarie e scelta personalmente da Andrew Bevel. Inizia come sua stenografa, poi batte a macchina l’autobiografia; in realtà è lei che la costruisce e diventa la sua ghost writer.
Infine il diario lasciato dalla moglie defunta di Bevel, Mildred. Donna misteriosa e sfuggente, morta in circostanze anomale. Pagine da trovare e decifrare anche per far luce su quanto lei fosse coinvolta nel successo del marito.
Un romanzo che vi avvolgerà nel gioco sottile tra realtà e fantasia, solitudine e ricchezza, fiducia e tradimento.
Melissa Fu “Nella terra dei peschi in fiore” -Editrice Nord- euro 18,00
E’ una saga affascinante questa di Melissa Fu, nata in New Messico nel 1972, ma di origine sino-taiwanese. Ha vissuto in vari paesi nordamericani (dal Texas al Colorado, da Washington a New York e altri), ha studiato fisica e letteratura inglese ed è stata insegnante e consulente scolastica, ora vive a Cambridge in Gran Bretagna.
Il libro è la storia romanzata della sua famiglia. Il nonno ucciso nella guerra contro il Giappone, la fuga del padre (che all’epoca era un bambino) insieme alla madre (nonna della scrittrice), poi la guerra civile e l’arrivo a Taiwan nel 49; infine l’emigrazione del padre negli Stati Uniti, dove cambia il nome Renshu in Henry, si laurea e realizza il suo sogno americano.
La narrazione inizia nel 1938 quando il Giappone ha invaso la Cina da un anno. I nazionalisti di Chiang Kai-Shek e i ribelli comunisti di Mao Zedong lottano insieme contro l’invasore; ma dopo il 45 iniziano a scontrarsi fra loro. A vincere sarà Mao che il primo ottobre 1949 proclama la Repubblica popolare comunista; mentre Chiang Kai-Shek insedia sull’isola di Taiwan la Repubblica di Cina, nazionalista.
Sullo sfondo della storia, Melissa Fu è riuscita a ripercorrere 70 anni di vicende travagliate che hanno coinvolto i suoi familiari. Un’Odissea in cui la nonna -giovane vedova- scappò con il piccolo Renshu, cercando di salvarsi a tutti i costi e di garantire un futuro al figlio.
La nonna è Meilin, personaggio che vi entrerà nel cuore; a partire da quando il marito Xiaowen, prima di partire per la guerra, le affida un antico rotolo di broccato di seta ricamato in fili multicolori e dorati. Un pezzo di antiquariato di immenso valore con rappresentate diverse scene; dall’idilliaco ai combattimenti. Ed è il tesoro che potrà salvarle la vita in casi estremi.
Quando dalla guerra non torna il marito, ma il cognato Longwein, e i giapponesi avanzano, sarà l’inizio di una fuga senza fine. Meilin, che di mestiere fa la sarta, porta con sé solo il cesto da lavoro, una piccola scorta di monete, il rotolo prezioso e uno spaventatissimo Renshu.
Dapprima segue Longwey, che in incognito lavora per il Kuomintang (partito nazionalista del generalissimo Chiang Kai-Shek), e per questo riesce ad ottenere i preziosi biglietti del treno che garantiscono la fuga della famiglia.
Poi fermarsi diventa pericoloso, i profughi possono solo continuare a correre; è quello che farà Meilin staccandosi dal cognato e proseguendo con il figlio, arrabattandosi come può per sopravvivere e mettersi in salvo.
Melissa Fu in questo libro di esordio vi porta dentro la storia, il dolore, la fatica, gli stenti e i sacrifici che costellano la vita di Meilin. Coraggiosa e fortissima, riesce a superare ogni difficoltà e a mandare in America Renshu che, grazie a una borsa di studio, si costruirà una vita, una carriera e una famiglia. Ma avrà sempre una spina nel cuore; non essere riuscito a portare in America anche la madre…..e un legame sottile e inscindibile con il suo passato.
Un magnifico romanzo in cui la vita dei singoli viene travolta e determinata dalle vicende storiche e dalle guerre.
Jennifer Egan “La casa di marzapane” -Mondadori- euro 22,00
La Egan dice di no, ma per alcuni questo è un po’ il sequel de “Il tempo è un bastardo” che nel 2011 valse il Premio Pulitzer a questa talentuosa scrittrice americana (nata a Chicago nel 1962). Ha trascorso l’adolescenza viaggiando per tutto il mondo, poi a 30 anni è approdata a New York, ed è stata fidanzata con Steve Jobs negli anni 80.
I temi cardine de “La casa di marzapane” sono i ricordi, l’identità e le nuove tecnologie; alcuni punti e personaggi sono in comune con il romanzo del 2011. Il risultato è un’opera altamente concettuale, articolata in 4 grandi sezioni, in un susseguirsi di brevi capitoli che abbracciano l’arco di tempo tra 1965 e 2035. Una narrazione quasi psichedelica che narra come tecnologia, desideri e paure siano strettamente interconnessi e scandaglia il rapporto tra tecnologia e memoria.
La Egan immagina un’innovazione, ovvero il “Cubo” della coscienza intorno al quale si muovono i personaggi. Una sorta di “grande anima – memoria collettiva”, che permetterebbe di condividere i ricordi di ognuno di un particolare fatto, offrendo prospettive diverse da quelle vissute e incise nella memoria. Idea nata da una riflessione: le persone sono portatrici di vari punti di vista su uno stesso pensiero ed evento, e riconsiderano più volte gli stessi ricordi in modo diverso.
Un creativo mago degli algoritmi, Bix Bouton, inventa e mette a punto la piattaforma “Riprenditi l’inconscio” che permette di recuperare i ricordi, a patto di condividerli con gli altri utenti del sistema, e accedere a quelli altrui. E’ un inquietante sviluppo dei social media, le persone ne vengono come stregate, le loro storie si incrociano per decenni.
Il cubo è l’espediente che permette alla scrittrice di sviluppare il concetto base: è un’esplorazione dello spazio tramite la tecnologia digitale che tanto pervade e condiziona il nostro presente. E’ proprio il mondo digitale che la fa da padrone nelle pagine del romanzo, con contorno di ossessione dei dati, paura di essere spiati, fragilità umane.
Luigi Guarnieri “Il segreto di Lucia Joyce” -La nave di Teseo- euro 19,00
Questa è un po’ la biografia romanzata della figlia secondogenita di James Joyce, ragazza sfortunata e vittima dei disastri di una psichiatria che fece parecchi danni; vittima pure di un padre complesso e di un fratello prevaricatore.
Lucia era nata a Trieste nel 1907 da James Joyce e Nora Barnacle: due genitori molto particolari e difficili che avevano unito le loro vite in un contesto di precarietà economica, ma anche psicologica ed esistenziale. Irresponsabilmente avevano messo al mondo Giorgio e Lucia che finiranno per fare le spese degli squilibri familiari.
Joyce è agli inizi della carriera ed è sempre in bolletta. Guarnieri si addentra nelle pieghe di alcune sue perversioni, e ne descrive gli aspetti meno gradevoli, come lo sperperare i magri guadagni in bordelli e osterie. Nora dal canto suo soffre la lontananza dall’Irlanda, non parla italiano ed ondeggia tra ricorrenti crisi depressive. Due genitori che faranno acqua da tutte le parti. Nel tritacarne dei loro difetti finiscono i figli.
Giorgio sarà il prediletto della madre e poco si intenderà col padre; invece è notevole l’affinità tra lo scrittore e la figlia, entrambi con inclinazioni artistiche e avvinti in un rapporto a tratti morboso che li tormenterà.
Lucia viene ghermita dalla malattia mentale, e precipita nel gorgo di ripetute diagnosi errate, internamenti e orrori nelle cliniche psichiatriche di inizio Novecento, quasi dei lager in cui si imponevano ai degenti trattamenti spietati e dannosi.
Un calvario che segnerà tutta la sua infelice vita, cavia di terapie sperimentali e spesso raffazzonate, fino alla morte nel 1982 a Northampton in Gran Bretagna.
Edito da Sellerio, trad. Nicola Rainò
Premio Speciale Lattes Grinzane 2022 a Claudio Magriswww.fondazionebottarilattes.it Pajtim Statovci (Kosovo/Finlandia) con Gli invisibili (Sellerio; traduzione di Nicola Rainò) è il vincitore del Premio Lattes Grinzane 2022, riconoscimento internazionale intitolato a Mario Lattes, giunto alla XII edizione, che fa concorrere insieme autori italiani e stranieri ed è dedicato ai migliori libri di narrativa pubblicati nell’ultimo anno. A proclamare la sua vittoria sono stati i voti di 400 studentesse e studenti delle 25 giurie scolastiche delle scuole superiori (ventiquattro in Italia e una ad Atene). Claudio Magris, edito in Italia principalmente da Garzanti (in libreria con il nuovo Traduzioni teatrali) ha ricevuto il Premio Speciale Lattes Grinzane, attribuito ogni anno a un’autrice o autore internazionale di fama riconosciuta a livello mondiale, che nel corso del tempo abbia raccolto un condiviso apprezzamento di critica e di pubblico. Ha tenuto una lectio magistralis su come nascono i suoi romanzi, raccontando “il mondo in cui e da cui sono nati, l’educazione sentimentale, le avventure, gli incontri e gli equivoci che si sono incrociati nella loro genesi e nel loro divenire”. La cerimonia di premiazione, condotta da Alessandro Mari, si è svolta sabato 15 ottobre 2022 alle ore 17 al Teatro Sociale Busca di Alba (Cn). La motivazione della Giuria Tecnica del Premio che aveva selezionato Gli invisibili (Sellerio) di Pajtim Statovci: «Due voci temporalmente sfasate si alternano negli Invisibili di Pajtim Statovci: la prima, alterata, racconta lo sprofondare di un uomo nella violenza della guerra del Kosovo; la seconda, al contrario, inizia con la narrazione di un’ascensione, di un innamoramento. Sono quelle di Miloš, serbo, e Arsim, albanese: a Pristina, città divisa dall’odio razziale, religioso, omofobo (che non è estraneo neppure ai protagonisti), il loro è un amore tre volte proibito. Quando scoppia la guerra Arsim è costretto a scappare con moglie e figli. Miloš, disperato, trasforma il suo desiderio frustrato, negato, sminuito, in rabbia e disprezzo e si arruola nell’esercito serbo. A questo punto le due voci di questo romanzo ricchissimo di significati metaforici si allineano nel descrivere una catabasi, senza risalita. Miloš si perderà nelle tenebre del ricordo della sofferenza inflitta e subita. Arsim divenuto un violento, verrà espulso dal Paese dove era rifugiato e tornerà a cercare il compagno, che non ha mai dimenticato. Ma l’amore, per chi non lo sa coltivare, è uno specchio che non si può attraversare.» Pajtim Statovci, nato in Kosovo nel 1990, è cresciuto in Finlandia dove si è trasferito con la famiglia fuggita dalla guerra quando aveva due anni. Il suo romanzo d’esordio, uscito nel 2014 e pubblicato in Italia con il titolo L’ultimo parallelo dell’anima (Frassinelli, 2016), ha vinto il Premio Helsingin Sanomat. Le transizioni (Sellerio, 2020), il suo secondo romanzo, tradotto in molte lingue, finalista al National Book Award, si è aggiudicato il Toi-sinkoinen Literature Prize nel 2016 e nel 2018 gli è stato assegnato l’Helsinki Writer of the Year Award. Gli invisibili (Sellerio, 2021) ha ricevuto il prestigioso Finlandia Prize, che consacra l’autore come il più giovane vincitore di ogni tempo. Oltre a Pajtim Statovci, erano in gara: Auður Ava Ólafsdóttir (Islanda) con La vita degli animali (Einaudi; traduzione di Stefano Rosatti), Simona Vinci con L’altra casa (Einaudi), Jesmyn Ward (Usa) con Sotto la falce (NN Editore; traduzione di Gaja Cenciarelli) e C Pam Zhang (Cina/Usa) con Quanto oro c’è in queste colline (66thand2nd; traduzione di Martina Testa). La motivazione della Giuria Tecnica al Premio Speciale Lattea Grinzane, Claudio Magris: «Germanista, uno dei maggiori critici letterari del Novecento, è oggi il narratore che più di altri ci sa trascinare verso alcuni stabili valori umani che se ne stanno al riparo dai mutamenti, valori che egli ha saputo mettere in rilievo soprattutto attraverso personaggi vissuti all’ombra dei grandi e che hanno fatto loro da spalla; personaggi travolti dalla vita, che non hanno fatto ma subìto la Storia, e non per questo deboli, ma di singolare forza nella loro malinconia o nella loro irriducibile vitalità.» Le giurie I cinque romanzi finalisti e il vincitore del Premio Speciale sono stati scelti dalla Giuria Tecnica: presidente Gian Luigi Beccaria (linguista, critico letterario, saggista), Valter Boggione (docente di Letteratura italiana all’Università di Torino), Vittorio Coletti (linguista, accademico, consigliere dell’Accademia della Crusca), Giulio Ferroni (critico letterari, studioso della letteratura italiana, accademico), Loredana Lipperini (scrittrice, giornalista, conduttrice radiofonica), Alessandro Mari (scrittore, editor), Laura Pariani (scrittrice), Lara Ricci (giornalista culturale) e Bruno Ventavoli (giornalista, critico letterario). Le 25 scuole che costituiscono le Giurie Scolastiche 2022 sono: Istituto Magistrale Statale “Leonardo da Vinci” di Alba (Cn); Liceo Classico, Artistico, Musicale di Aosta; Convitto Nazionale “Principe di Napoli” di Assisi (Pg); Liceo Scientifico Statale “A. Avogadro” di Biella; Istituto di Istruzione Superiore “La Rosa Bianca” di Cavalese (Tn); Liceo Statale “G. M. Galanti” di Campobasso; Liceo Scientifico Statale “Galileo Galilei” di Catania; Liceo Classico “Pitagora” di Crotone; Liceo Classico Statale “Stelluti” di Fabriano (An); Liceo “Carolina Poerio” di Foggia; Liceo Scientifico “Pacinotti” di La Spezia; Liceo Artistico Statale “Caravaggio” di Milano; Liceo Scientifico e Linguistico “E. Fermi” di Nuoro; Liceo Classico Statale “G. F. Porporato” di Pinerolo (To); Liceo Scientifico “Michelangelo Grigoletti” di Pordenone; Liceo Classico Statale “Quinto Orazio Flacco” di Potenza; Liceo Ginnasio Statale “Virgilio” di Roma; Liceo Artistico “Sabatini-Menna” di Salerno; Istituto di Istruzione Superiore “Arimondi-Eula” di Savigliano (Cn); Convitto Nazionale “Melchiorre Delfico” di Teramo; Liceo Classico Statale “Massimo D’Azeglio” di Torino; Liceo Ginnasio Statale “A. Canova” di Treviso; Istituto di Istruzione Superiore “Primo Levi” di Vignola (Mo); Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri “Ferruccio Niccolini” di Volterra (Pi); Scuola Italiana Statale di Atene. |
Il quarto romanzo dello scrittore, pubblicato da Neos Edizioni, è stato presentato al Circolo dei Lettori.
E’ stata una presentazione coinvolgente quella dedicata al romanzo dal titolo Il procuratore e il diavolo di Lucedio, una serata di lettori appassionati e di ammiratori di Giorgio Vitari, riuniti nella Sala Biblioteca al Circolo dei Lettori di Torino.
Lo scenario suggestivo e colto, la conduzione brillante della giornalista Germana Zuffanti, l’intervento di Silvia Ramasso di Neos Edizioni e l’interazione con il pubblico ha reso l’evento davvero speciale. Anche la sottoscritta ha avuto il grande piacere di fare delle domande all’autore.
Giorgio Vitari non delude mai, i suoi romanzi sono ricchi di contenuti, avvincenti, con suspense assicurata fino all’ultima riga; afferma l’autore: “quando mancano poche pagine e il caso sembra essere risolto arriva un fatto inaspettato e tutto cambia”.
Questa volta siamo a Vercelli, il Palazzo di Giustizia è ospitato nel castello medievale, è estate e fa un caldo insopportabile. C’è un omicidio, una statuetta raffigurante il diavolo, una famiglia importante, questioni di eredità e poi una chiesa sconsacrata, a Lucedio appunto, al centro di inquietanti leggende e probabili riti satanici. Il lavoro investigativo di Francesco Rotari è supportato come sempre dai suoi perseveranti collaboratori, dalla polizia giudiziaria e da giudici, figure femminili incantevoli e seducenti che rendono meno pesante il lavoro negli uffici della Procura. Alla complessa quotidianità professionale, come da tradizione nei libri di Vitari, si aggiunge quella familiare fatta di ironici scambi con la moglie e di appuntamenti telefonici sfuggenti con la figlia.
Giorgio Vitari condisce i suoi romanzi con elementi diversi che si integrano perfettamente: casi giudiziari da risolvere, tradizioni e curiosità del luogo, dialoghi interiori, rapporti umani, suggestioni e citazioni. L’autore crea una miscela armonica che fa del romanzo giallo-giuridico una lettura trascinante, interessante e a tratti umoristica.
Una scrittura dal ritmo serrato, una lettura con colpi di scena assicurati.
MARIA LA BARBERA
“A Orta, una mattina d’autunno di alcuni anni or sono, di domenica, mentre stavo sotto gli ippocastani già rossi della piazza a guardare il lago e l’isola di San Giulio, vidi scendere, da due automobili giunte a motore spento, un gruppo di sei persone: due donne e quattro uomini, uno dei quali si staccò subito dal gruppo e apparve come colui per il quale tutti gli altri esistevano.
Era un vecchietto, chiuso in un pastrano scuro, con un cappello nero in testa, una sciarpa al collo e ai piedi un paio di scarpe di tela bianca.
Era, come mi sussurrò un barcaiolo, il famoso accordatore Cesare Tallone, che andava a passare la domenica sull’isola di San Giulio”. Così scriveva Piero Chiara nel breve racconto “L’accordatore”, rammentando l’incontro con il maestro Cesare Tallone, detto Cesarino per distinguerlo dal padre pittore. Pubblicato da Biblohaus, a cura di Federico Roncoroni, con due scritti di Enrico Tallone e Massimo Gatta oltre ad alcune belle foto d’epoca, il racconto “L’accordatore”, come è tipico della narrativa di Piero Chiara, nasce da un fatto di cui è stato testimone con , sullo sfondo, il luogo dell’incontro: l’arrivo di Tallone ad Orta, dove possedeva una dimora sull’isola di San Giulio. Un racconto velato dal mistero, avvolto in quelle nebbie che spesso si trovano tra autunno e inverno sulle acque calme del più romantico dei laghi italiani, meta ideale di artisti e scrittori. Una storia che parla di una straordinaria famiglia – quella dei Tallone – di editori e stampatori, poeti e pittori, architetti e costruttori di pianoforti. Un interessante saggio di Roncoroni aiuta a comprendere il contesto nel quale si colloca il racconto dello scrittore di Luino, mentre le pagine manoscritte restituiscono la prova più genuina del lavoro di Chiara.
Cesare Augusto (“Cesarino”) Tallone, figlio del pittore Cesare e fratello dell’editore Alberto, apprese il mestiere di liutaio nella fabbrica Fip di Alpignano e poi alla Zari di Bovisio, di cui fu giovanissimo direttore. Gabriele d’Annunzio lo definì “artefice in costruzioni sonore” ed egli divenne accordatore ufficiale del Vittoriale. Perfezionatosi in Germania, negli anni cinquanta iniziò la costruzione dei pianoforti “Tallone” giungendo, dopo dieci anni di studi e sperimentazioni, a produrre il primo pianoforte italiano gran coda da concerto. Grazie al suo infallibile orecchio, la spiccata sensibilità musicale e la perfetta conoscenza dello strumento, fu stimato, fra gli altri, da Ludwig Hofmann, Arturo Toscanini e Arturo Benedetti Michelangeli, che lo volle con sé come tecnico accordatore durante le sue lunghe tournée internazionali. “L’accordatore” è un ulteriore prova dell’impareggiabile istinto e talento narrativo di Piero Chiara, uno degli autori più prolifici e più fortunati della seconda metà del Novecento.
Marco Travaglini
Caleidoscopio Rock USA Anni ‘60
“Anche l’occhio vuole la sua parte” è frase sempre efficace, tantopiù nel mondo dello spettacolo e della musica. Ma noi qui parliamo di aspetto estetico delle etichette discografiche, soprattutto nei casi infausti in cui grafia, cromia e scelta della disposizione di nomi, numeri e loghi risultino infelici, azzardate o del tutto irrazionali. Nel garage rock americano di metà anni ‘60 ci si imbatteva a volte in 45 giri le cui vesti grafiche presentavano impostazioni cromatiche quasi imbarazzanti, che ne mettevano perfino a rischio la leggibilità (con casi di grigio canna di fucile su sfondo amaranto, bronzo su ocra, rosso su rosa intenso, grigio antracite su nero etc. etc.); o recanti caratteri (spesso per dischi autoprodotti) simili al dattiloscritto di un acetato o di una demo, o troppo piccoli, o talvolta mal distribuiti sull’etichetta. Nella presente sezione discografica compaiono alcuni casi di “cromie azzardate” che sfortunatamente contribuivano a dare una veste brutta (nonché ostica alla vista) a prodotti musicali non di rado interessanti e di livello più che discreto…
– The New Arrivals “Let’s Get With It / Just Outside My Window” (Macy’s/7Up SBM-45-104);
– Jason & The Argonauts “I Don’t Need Anything / The Time For Weeping” (Byit A-8166);
– Finnicum “On The Road Again / Come On Over” (Ruff Records 45-1011);
– Billy Rat & The Finks “All American Boy / Little Queenie” (IGL Records 45-122);
– The Quinns “I Knew / (It’s) Been A Long Time” (Capito 2022);
– Half Pint And The Fifths “Orphan Boy / Loving On Borrowed Time” (Orlyn ORL-666242);
– The Rotten Kids “Let’s Stomp / Twelve Months Later” (Mercury 72558);
– The Fabulous Wunz “If I Cry / Please” (Pyramid 6-6934);
– Jay Dee & The Chasers “I Do / Gloria” (RI 2204);
– The Outer Limits “Don’t Need You No More / Walkin’ Away” (Goldust Records 45-5014);
– The Raevins “The Edge Of Time / Around And Around” (Big O 55-8114-01);
– The Shades “I Need You / With My Love” (Encore 1002);
– The Shaggy Boys “Stop The Clock / In The Morning” (Red Bird RB 10-074);
– The Night Crawlers “Let[‘]s Move / Hiding” (Shadow Records S-45 101);
– Danny’s Reasons “Little Diane / Believe Me” (International Recording Co. 6935);
– The Pickwick Papers “I Want To Do It / You’re So Square” (Phalanx 1026);
– The Grim Reepers “Two Souls / Joanne” (Chalon Records 1003);
– The Red Coats “You Told A Lie / I’m Going To Tell You About My Baby” (Orchid Of Memphis 507);
– Al and The Echoes “The Whole Towns Talking / Baby Remember Me” (Echo H 1003);
– The Misty Blues “Still In Love With You Baby / I Feel No Pain” (Stature 66-5-7);
– The Clouds “You Tell Me Lies / Jeannie” (Kidd 1333);
– Pulsating Heartbeats “Anne / Talkin’ bout You” (Pace Setters Internationale 007);
– The Lee VI’s “I Don’t Know / Pictures On My Shelf” (Radio S1-125);
– The Immigrants “Time To Say Goodbye / Walkin’ The Dog” (Starburst Recordings SR 3121).
(…to be continued…)
Gian Marchisio
“Deus ex littera”
Si inaugura a Ivrea, con una mostra pittorica ed una fotografica, la nuova “casa” di “Ivrea Capitale Italiana del libro 2022”
Dal 15 ottobre all’8 gennaio 2023
Ivrea (Torino)
Il ritratto è perfetto. Minuzia certosina nel tratto e piacevole gioco di colore reso in chiaroscuro. Piacevolissimo. Tanto più se si pensa alla singolare tecnica praticata. Il titolo è “Deus ex littera” e riporta il volto inconfondibile dell’illuminato ingegnere Adriano Olivetti (l’imprenditore della “felicità collettiva” che genera efficienza), figlio di Camillo, fondatore della prima fabbrica italiana di macchine da scrivere e figura iconica, da beatificare, per la Città di Ivrea. A firmarlo è l’artista siciliano Paolo Amico, gran maestro nella realizzazione di opere con una tecnica esecutiva, se non unica, quanto meno originale consistente nell’utilizzo di penne a sfera su carta. L’intenso ritratto di Olivetti è stato eseguito con una nuova (curiosissima) tecnica “a timbro”, ossia con i timbri originali dell’“Archivio Storico Olivetti”. E il titolo “Deus ex littera” è lo stesso della mostra a due che inaugura sabato prossimo 15 ottobre (ore 18,30, fino a domenica 8 gennaio 2023) e con cui si apre la nuova “casa” di “Ivrea Capitale Italiana del libro”, dedicata alle più varie attività culturali e posta all’interno dello storico “Palazzo Giusiana”, in via dei Patrioti 20, oggi cuore di un’importante opera di rigenerazione urbana e restituzione alla comunità. Mostra a due. Curata da Costanza Casali, assessore alla Cultura del capoluogo eporediese, insieme alle opere di Paolo Amico, la rassegna ospiterà anche quelle del toscano Massimo Giannoni, premio “Lubiam” nel ’79 come miglior studente delle “Accademie di Belle Arti” d’Italia. Artisti scelti per la peculiarità delle loro creazioni (strettamente connesse con il progetto di “Ivrea Capitale”), Giannoni è noto per le sue corpose e appassionate tele dedicate in particolare a “librerie”, “biblioteche” o a “Borse d’Affari”, mentre Amico, come detto, per la sua caratteristica di sostituire a pennelli e colori l’utilizzo di “penne biro” o di macchine da scrivere “Lettera 22”. Cosa di meglio per una mostra omaggiante al prestigioso ruolo letterario guadagnato quest’anno da Ivrea? A completare la proposta, la mostra fotografica “Scrittori in posa” del cuneese Mauro Raffini: 47 scatti di autori e autrici contemporanei realizzati negli anni e collocati nella sala d’ingresso dedicata a “Ivrea Capitale italiana del libro”, un vero e proprio portale d’accesso in cui approfondire la conoscenza del progetto della “Capitale” e il percorso del “Manifesto” per il futuro del libro. In mostra infine alcuni volumi del “Fondo A” della “Biblioteca Olivetti”, donata al Comune nel 1973 e ora esposti a quasi cinquant’anni di distanza. Con questa apertura i saloni del quattrocentesco “Palazzo Giusiana” (che nel 1800 ospitarono per alcuni giorni Napoleone Bonaparte) diventano protagonisti di un prezioso intervento di recupero urbano da parte del Comune di Ivrea, dopo essere stati a lungo sede del Tribunale e, in seguito, dismessi e lasciati miseramente senza destinazione.
“Sono molto orgogliosa – sottolinea l’assessore alla Cultura, Costanza Casali – che la città possa tornare a fruire dei saloni di Palazzo Giusiana, da tempo non utilizzati e chiusi al pubblico. Le opere esposte, per la grande parte realizzate appositamente per la mostra, hanno permesso di porre in risalto tutte le declinazioni della scrittura, dalla penna al pennello e al timbro, sino, per l’appunto, alla macchina da scrivere ‘Lettera 22’, simbolo olivettiano per eccellenza. La mostra, che ho curato personalmente, è stata progettata appositamente ripercorrendo i temi del dossier che ci hanno portato alla vittoria del titolo”.
Gianni Milani
“Deus ex littera”
Palazzo Giusiana, via dei Patrioti 20, Ivrea (Torino); per info: www.ivreacapitaledellibro.it
Dal 15 ottobre all’8gennaio 2023
Orari: giov. e ven. 15/18; sab. e dom. 10/13 e 15/18
Nelle foto:
– Paolo Amico: “Deus ex littera. Ritratto di Adriano Olivetti”, tecnica “a timbro”
– Massimo Giannoni: Galignani Parigi”, olio su tela
Due volumi sulla danza verranno presentati nell’ambito del Festival TORINODANZA
Il 14 e 20 ottobre
Nell’ambito del festival TorinoDanza, sotto la direzione di Francesca Cremonini, verranno presentati due volumi scritti da due tra i maggiori critici italiani dell’arte della danza, Sergio Trombetta e Elisa Guzzo Vaccarino.
La prima presentazione avrà luogo venerdì 14 ottobre, seguita da giovedì 20 ottobre prossimo, nella Caffetteria Lavazza del Teatro Carignano di Torino.
Il primo libro che verrà presentato, scritto da Elisa Guzzo Vaccarino, si intitola “Confini. Conflitti. Rotte. Geopolitica della danza”, volume in cui emerge come la danza, considerata la Cenerentola delle arti, intrattenitiva e estimativa, in continua lotta tra corpo e spirito, sia, in realtà, tutt’altra cosa. Le sue condizioni di esistenza si trovano nelle strutture sociali e nelle scelte politiche di ogni luogo della terra in cui si dispiega con la sua tecnica, la sua estetica e i suoi messaggi, nel tempo e nello spazio.
La parola ‘danza’ in Occidente rievoca la forma del balletto, dalle espressioni moderne a quelle postmoderne, considerate superiori e più evolute delle altre.
Avvenuta la svolta del millennio, le vicende del corpo in performance diventano via via più complesse e vanno lette in una dimensione maggiormente globale, comprensiva delle questioni di razza, genere, identità e costume.
A partire dall’Excelsior ottocentesco, omaggio alla civiltà europea, alla scienza e alla tecnologia capaci di colonizzare il mondo, si approda all’Excelsior degli anni Duemila, che pone in luce tutte le contraddizioni di questo schema, disegnando un lungo cammino che individua i percorsi più adatti con cui rileggere l’arte, la pratica della danza, espressione di un vasto intreccio geopolitico che, nelle sue concezioni, riflette gli eventi della storia.
Il secondo volume, che verrà presentato al teatro Carignano alla Caffetteria Lavazza giovedì 20 ottobre prossimo, si intitola “Vaclav Niźsinskij” e rappresenta la biografia scritta da Sergio Trombetta su di una leggenda e un mito dell’arte coreutica. Si tratta della narrazione di una vita gloriosa e tragica scandita da genio e follia, testimoniata da un diario che, come presa diretta, registra il precipitare di un essere umano nell’oscurità.
Dieci anni di successo, dagli esordi a San Pietroburgo fino agli spettacoli dei mitici Ballets Russes, che impazzarono nei teatri parigini, e altri quaranta di quasi completo oblio, tra deliri e isolamento.
Vaclav Nizinskij, nato a Kiev nel 1889 da una famiglia di danzatori polacchi, è stato enfant prodige della Scuola Imperiale di San Pietroburgo e futura star acclamata in tutto il mondo.
La sua debordante fisicità e il suo carisma lo hanno accomunato ad altri due ballerini russi protagonisti del secondo Novecento, Rudolf Nureyev e Michail Baryšnikov. Ma Nizinskij ha lasciato una ricca eredità coreografica. Basti ricordare la sua leggendaria “Sagra della Primavera”, che ribaltò completamente i canoni della scuola accademica, aprendo la strada alla danza contemporanea.
La vita di Nizinskij fu divisa tra un amante e un pigmalione dispotico, Sergei Djagilev, la sorella e collega, Bronislava, e una moglie ambiziosa, Romola de Pulszky.
Mara Martellotta
“Il Terzo Paradiso dei Talenti”
A Cuneo, inaugurazione-spettacolo della grande scultura di Michelangelo Pistoletto in omaggio al trentennale della “Fondazione CRC”
Venerdì 14 ottobre, ore 17,30
Cuneo
Tredici metri di lunghezza per sette di altezza e la celebre forma (segno matematico dell’infinito) dei tre cerchi consecutivi composta da un centinaio di serigrafie in metallo su cui sono rappresentati i disegni di bambini di alcune scuole cuneesi, e non solo: eccoci di fronte alla grande scultura site specific “Il Terzo Paradiso dei Talenti” realizzata da Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) per “A cielo aperto”, il progetto di arte pubblica ideato dalla “Fondazione CRC” per celebrare il suo 30^ compleanno e realizzato in collaborazione con il “Castello di Rivoli – Museo di Arte Contemporanea”. L’opera è stata appositamente sviluppata dall’artista biellese, fra i massimi animatori e protagonisti dell’Arte Povera, per l’area di fronte al “Rondò dei Talenti”, a Cuneo (via Luigi Gallo, 1), in relazione alla curvatura dell’edificio e alla struttura della piazza stessa. L’inaugurazione, in agenda per venerdì 14 ottobre (ore 17,30), sarà preceduta, alle ore 16, da un’azione condivisa di “arte pubblica partecipata” che vedrà rielaborato il segno-simbolo (presentato, per la prima volta, alla 51^ edizione della “Biennale di Venezia” nel 2005) del “Terzo Paradiso” con materiali di alluminio, al fine di realizzare un’opera collettiva temporanea. Nel pomeriggio del giorno seguente, sabato 15 ottobre, sempre al “Rondò dei Talenti”, alle ore15 e alle ore 16, è in programma un laboratorio per bambini e famiglie sempre sul tema inerente all’opera (iscrizioni su www.fondazionecrc.it). “L’inedita scultura di Michelangelo Pistoletto – sottolinea Ezio Raviola, presidente della ‘Fondazione CRC’ – rappresenta il completamento in chiave culturale dell’intervento di riqualificazione del ‘Rondò dei Talenti’. Un’opera straordinaria che si ispira ai valori formativi e di crescita collettiva, che ci hanno guidato nella realizzazione di questo polo educativo, e che lascia un segno per i trent’ anni di vita della nostra istituzione. Siamo altresì persuasi che quest’ opera potrà diventare un forte punto di attrazione per i flussi del turismo internazionale”. Dopo i Quadri specchianti”, gli “Oggetti in meno” e le prime opere “con gli stracci” (“Venere degli stracci” del 1967), il “Terzo Paradiso” di Pistoletto rappresenta la fase più recente del suo lavoro. Ne scrive il “Manifesto” nel 2003 e nel 2010 un “Saggio” edito da “Marsilio”. L’idea di quel “segno matematico” rappresentante l’“infinito” e riguardante la terza fase dell’umanità, quella fatta da “ogni genere di artificio”, nasce nella sua “Cittadellarte – Fondazione Pistoletto” istituita a Biella nel 1998 nei locali in disuso dell’ex-lanificio “Trombetta”, con l’intento di farne “un evento collettivo rivolto ad adulti e a bambini, all’insegna del rispetto verso la natura e verso gli spazi urbani tramite un coinvolgimento creativo e basandosi sull’interazione fra arte e società”. Nel 2020, il simbolo è stato donato al Comune di Biella, divenuta nell’anno precedente “Città Creativa UNESCO”.
A Cuneo lo vediamo rappresentato in verticale, sospeso in aria come un “grande segno” che sottolinea la presenza del “Rondò” e realizzato, come detto, serigrafando su metallo e unendo insieme oltre centoventi disegni di bambini studenti – tra cui alcuni che frequentano le scuole cuneesi dell’infanzia “Arnaud” e “Fillia”, le primarie “Revelli” e “Rolfi”, le secondarie di primo grado “D’Azeglio” di Cuneo e di Castelletto Stura –raccolti dal “Dipartimento Educazione” del “Castello di Rivoli” (che dal 2005 promuove l’“Oper-Azione Terzo Paradiso” su scala globale), in collaborazione con l’ “Ambasciata Rebirth/Terzo Paradiso Cuneo” e l’ “Associazione Con.Te.StoOo”. In tal modo, l’opera sottolinea la missione particolare dello stesso “Rondò dei Talenti”, Polo educativo voluto dalla “Fondazione CRC”, in cui i più giovani possono, attraverso specifiche attività proposte, far crescere e scoprire le proprie vocazioni e, per l’appunto, i propri “talenti”.
Gianni Milani
Nelle foto:
– Michelangelo Pistoletto: Rendering de “Il Terzo Paradiso dei Talenti”, acciaio corten, stampe digitali su d-bond, 2022
– Michelangelo Pistoletto, Ph. Stephan Rohl
– “Rondò dei Talenti”
POESIA Giuseppe Conte, nato a Imperia nel 1945, è considerato una delle più importanti voci poetiche italiane contemporanee.
Comincia a interessarsi di poesia già ai tempi del liceo,frequentando il Ginnasio e Liceo Classico De Amicis a Oneglia,anni in cui inizia a sperimentare le prime traduzioni dall’inglese(da Whitman, Blake, Shelley e Lawrence) e a comporre i suoi primi versi. Si appassiona inoltre alle opere di Mallarmé, Baudelaire e Henry Miller. Risalgono ai primi anni Settanta i suoi due primi libri di poesia, intitolati “Il processo di comunicazione secondo Sade” ( 1975) e “L’ultimo aprile bianco” (1979), raccolte che riscuotono un ottimo successo di critica, cosiccome i suoi due primi libri di narrativa dal titolo “Primavera incendiata” e “Equinozio d’autunno”, risalenti agli anni Ottanta.
Nel 1994, in ottobre, promuove l’occupazione pacifica della Basilica di Santa Croce a Firenze, con un gruppo di poeti che si definiscono “i capitani del Commando eroico” di cui fanno parte, oltre allo stesso Conte, anche Tomaso Kemeny, Roberto Carifi e Lamberto Garzia.
L’evento precede il sorgere di un nuovo movimento poetico che è chiamato Mitomodernismo, una corrente provocatoria e di rottura che proclamava come la vera battaglia consistesse nel sognare un mondo rifatto da capo attraverso la bellezza e il mito. Proprio il mito entra a far parte della vita di Giuseppe Conte sin dalla giovinezza e lo impegna durante tutta la sua carriera artistica fino ai giorni nostri, quando pubblica la sua ultima opera a lui dedicatadal titolo “Il mito greco e la manutenzione dell’anima”. È stato vincitore dei più importanti premi di poesia tra cui il “Premio Viareggio” .
Capita talvolta e, in particolar modo ai poeti, una certa discordanza tra corpo, età e spirito, quel fanciullino tanto caro a Pascoli, che emerge sia in Giuseppe Conte uomo sia nel suo esserepoeta, il primo dall’aspetto saggio e consapevole, il secondo dall’indole più fragile, più delicata e maggiormente dubbiosa riguardo a se stessa e ai propri sentimenti che, con forza e grande intensità, vengono evocati e di cui, contemporaneamente, pare cercare una conferma nel soggetto della sua poesia.
“L’amore vero, tu lo sai, è volere
la gioia di chi non ci appartiene
è questo uscire, traboccare da se stessi, come sangue dalle vene
per un taglio, è l’irrinunciabile, amore energia mutabile eterno bene.”
Poesie (Mondadori, 2015)
Colpisce, oltre alle immagini e al ritmo che ben rappresentanol’intensità del sentimento, l’utilizzo dell’espressione “tu lo sai” contenuta nel primo verso, quasi una richiesta inconscia di non rimanere solo di fronte al travolgimento emotivo e alla bellezza stessa del momento ispirato. È forse questo ciò che rende il poetauna sorta di eterno fanciullo: l’ingenuità del voler condividere ciò che realmente l’altro non può sentire o che non può farlo come un poeta vorrebbe.
Quel ‘tu lo sai’ viene percepito come un baluardo di illusione che combatte la solitudine.
Ingenuità, ricordiamo, tipica soltanto della grande poesia.
Un’altra poesia degna di nota è quella intitolata “Il poeta”
“Non sapevo che cosa è un poeta
Quando guidavo alla guerra i carri
E il cavallo Xanto mi parlava.
Ma è passata come una cometa
L’età ragazza di Ettore e di Achille:
non sono diventato altro che un uomo:
la mia anima si cerca ora nelle acque
e nel fuoco, nelle mille
famiglie dei fiori e degli alberi
negli eroi che io non sono
nei giardini dove tutta la pena
di nascere e morire è così leggera.
Forse il poeta è un uomo che ha in sé
La crudele pietà di ogni primavera.”
Anche in questa poesia ritorna il tema dell’uomo e del poeta, dei loro rispettivi dubbi se essere l’uno o l’altro, nel tempo in cui Ettore e Achille furono uomini e, a loro volta, portatori della crudele pietà di ogni primavera.
Vi è in questo testo poetico un tema molto caro a Giuseppe Conte che è quello della giovinezza, riscontrabile anche in altre sue opere, e molto diversa dal fanciullino prima citato. Giovinezza che, come uomo, lo porta a essere promotore della poesia giovanile e impegnato, oggi come allora, sul fronte della cultura e della parola poetica.
Gian Giacomo Della Porta
Mara Martellotta