CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 276

La bellezza di una testa, la grandezza di un attore

All’Astra, sino a domenica 22 gennaio, Dostoevskij e Orsini

Credo sia lo spettacolo più emozionante della stagione, significando emozione quel raccoglitore che accoglie la bellezza di un testo e la grandezza di un attore, i grandi temi del sentire umano come il pensiero e la sua libertà e il magma della coscienza, la a tratti geniale ri-costruzione – ancora una volta – della complessità di un personaggio tra i più intriganti e controversi della letteratura, il piacere dell’ascolto laddove il recitato e la voce, accompagnati dalla proprietà della scrittura e da un linguaggio davvero “penetrante”, vengono scanditi in ogni momento della serata, laddove ogni sillaba se ne sta splendidamente al posto suo e non incespica, l’una sull’altra, come troppo spesso accade sui palcoscenici di oggi, con gli effetti dell’oscuro o del nebbioso, le pause che si perdono nei ricordi (anche quelle non previste, causate da uno stupido cellulare a distruggere una intera sospesa atmosfera, sono un’opera d’arte), il culto della perfetta rifinitura senza sbavatura alcuna.


Per la terza volta, nella sua carriera di poliedrico attore, affronta l’Ivan Karamazov dostoevskijano, lontano ormai quello di una televisione in bianco e nero nello sceneggiato di Sandro Bolchi (era il 1969), di circa dieci anni fa al centro della “Leggenda del grande inquisitore”, quasi un alter ego lungo il percorso di una vita completa, un confronto incessante. In “Le memorie di Ivan Karamazov”, nella drammaturgia di Orsini e Luca Micheletti, per la regia di quest’ultimo (all’Astra, nella stagione del TPE, sino a domenica prossima), si affronta la maturità, si processa ancora una volta un personaggio che, al di là di un processo e di una spinta al parricidio, lui istigatore consapevole, l’autore privò di un finale. Ivan, personaggio non-finito, deve spiegare, deve caparbiamente chiarire, sembra accompagnarsi a quei personaggi pirandelliani che attendono dagli attori, su un autentico palcoscenico, quella compiutezza e quella vita che non hanno prima mai incontrato. “La vera vita degli uomini e delle cose comincia soltanto dopo la loro scomparsa”, suona una frase di Nathalie Serraute che Orsini autore ha inserito nello spettacolo.

Va ben oltre Luca Micheletti, omaggiando il suo collega: “Il nostro Ivan è anche un personaggio-ossessione, che accompagna cinquant’anni di carriera di un mirabile “capitano Achab” della nostra scena, un attore che insegue la sua balena enorme e veloce, la arpiona e si lascia trascinare…” Una lunga strada che si ricollega al nostro oggi, un continuum che ci lascia riascoltare, uscendo da un mostruoso aggeggio uscito da qualche vecchio film di fantascienza, la voce di un Orsini trentacinquenne, dalle immagini dello sceneggiato, quando “l’ho costruito giorno dopo giorno quell’Ivan, gli ho dato un aspetto severo, l’ho fatto diventare biondissimo, quasi albino, gli ho messo un paio di occhialini tondi e dei colletti inamidati di fresco, l’ho difeso da una sceneggiatura che lo banalizzava, battendomi per dare lo spazio adeguato all’importanza del suo “Grande Inquisitore”, inizialmente dato per troppo cerebrale e dunque probabilmente indigesto al grande pubblico.” All’interno di un polveroso tribunale, nei nostri giorni, all’ombra di un alto scranno che potrebbe anche essere il pulpito di una nuova religione, Ivan rivendica i propri pensieri e la propria natura – “sono un uomo cattivo come cattivi sono tutti gli uomini” -, teorizza l’amoralità del mondo, il nulla che circonda gli umani, il libero arbitrio e la costruzione di un Dio per comoda necessità, la sofferenza degli innocenti che meriterebbe la morte, la schiavitù del tempo, rivendica in ogni sua parola la logicità del proprio ragionare, lo strapotere intellettuale, i confini con il superuomo. Gli vengono incontro persone e accadimenti, la bontà di Alëša e la personalità confusa dell’illegittimo Smerdjakov, la lotta tra il padre dissoluto e Dmitrij per la Grušenka e i tre mila rubli, l’uccisione, il processo.

Al termine dei 70’, Umberto Orsini, nel suo vecchio pastrano scuro, a tratti coperto da quella neve che è caduta dall’alto su questo suo Ivan, come i ricordi, una mano sul cuore, assapora gli applausi, un velo di commozione come è quello che riempie gli occhi di parecchi spettatori, uniti in piedi ad applaudire, dalle poltrone della sala che trabocca, a testimoniargli ancora una volta il rispetto e la passione verso una lunga straordinaria carriera.

Elio Rabbione

È aperto sino all’8 febbraio il concorso del 27^ Valsusa Filmfest

Avrà come titolo “EPPURE IL VENTO SOFFIA ANCORA”

www.valsusafilmfest.it | Deadline: 8 febbraio 2023

Concorso cinematografico del Valsusa Filmfest, festival cinematografico e culturale di comunità sui temi della memoria storica, della montagna e dell’ambiente, che da 27 anni anima la Valle di Susa.

Il concorso si articola in 4 sezioni: Cortometraggi, Produzioni Libere, Fare Memoria e Le Alpi.

L’iscrizione e l’invio delle opere deve essere effettuato entro l’8 febbraio 2023.

La XXVII edizione del festival si svolgerà nei mesi di marzo e aprile, avrà come tema e sottotitolo “Eppure il vento soffia ancora”, ispirato alla canzone “Eppure soffia” di Pierangelo Bertoli, con eventi di cinema, letteratura, arte, musica e teatro in diversi comuni della Valle di Susa.

È online il concorso cinematografico del XXVII Valsusa Filmfest, festival cinematografico e culturale di comunità sui temi della memoria storica, della montagna e dell’ambiente che da 27 anni anima la Valle di Susa, territorio aperto all’incontro e al confronto culturale, attraverso concorsi cinematografici e numerosi eventi a cavallo tra cinema, letteratura, musica, teatro, arte e impegno civile.

Le iscrizioni devono pervenire entro le ore 24:00 dell’8 febbraio 2023.

Le regole di partecipazione, i premi e tutte le informazioni sono contenute nel bando pubblicato sul sito www.valsusafilmfest.it

Il concorso si articola in quattro sezioni: Cortometraggi, Produzioni Libere, Fare Memoria e Le Alpi.

La sezione “Cortometraggi” è a tema libero e riservata a film e video di finzione della durata massima di 10 minuti, senza preclusione di stili, generi e tecniche di realizzazione. Oltre a due premi in denaro è previsto anche l’attestato “Premio Ugo Berga Partigiano” all’opera che meglio rappresenta, con ironia e disincanto, una tematica rilevante e di riflessione sul quotidiano nella nostra società.

La sezione “Produzioni libere” è rivolta a cortometraggi amatoriali e/o sperimentali della durata massimo di 10 minuti prodotti con piccoli budget, ma con volontà di affrontare un tema particolare. La sezione è aperta anche agli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado.

La sezione “Fare Memoria”, proposta in collaborazione con l’ANPI Valle Susa, è riservata a opere che intendono fare memoria di una testimonianza del passato ispirata al tema o ai valori della Resistenza, o a un avvenimento di attualità che quei valori interpreta.

La sezione “Le Alpi” è riservata a filmati sul tema della montagna: esplorazione, alpinismo e altri sport verticali, tutela dell’ambiente e delle specie animali, cultura e tradizioni, vita e abitudini di piccole e grandi comunità.

Per partecipare, gli autori devono inviare le opere registrandosi e creando un proprio account nel form raggiungibile cliccando sul tasto “Iscriviti” presente nella home page del sito www.valsusafilmfest.it

Il XXVI Valsusa Filmfest si svolgerà nei mesi di marzo e aprile 2022 in diversi paesi della Valle di Susa.

Il programma è in via di definizione e avrà come tema e sottotitolo “Eppure il vento soffia ancora”, ispirato a “Eppure soffia” di Pierangelo Bertoli, canzone del 1976 con un testo ancora più che mai attuale. Un vento che nel testo di Bertoli è nello stesso tempo quello dell’ambientalismo, quello che “fischiava” durante la lotta partigiana e quello del pacifismo, di ieri e di oggi: insomma tutti i temi e valori portanti affrontati dal Valsusa Filmfest sin dalla sua prima edizione.

Da dieci anni è attiva una collaborazione con il Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà di Torino che ospita la proiezione del filmato vincitore del concorso “Fare Memoria” tra gli eventi organizzati per celebrare l’anniversario della Liberazione.

IL VALSUSA FILMFEST – 27 anni di storia dedicati al confronto culturale e alle nuove generazioni

Il Valsusa Filmfest è un festival che dal 1997 anima la Valle di Susa su tre temi principali: il cinema, la memoria storica e l’ambiente. Un festival itinerante che in numerosi comuni della Valle ha proposto in ogni edizione concorsi cinematografici, proiezioni fuori concorso e numerosi eventi a cavallo tra cinema, letteratura, musica, teatro, arte e impegno civile, coinvolgendo scuole, associazioni e tante singole persone grazie al suo profondo radicamento nel territorio.

L’obiettivo principale del festival è sempre stato quello di promuovere cultura dando ampio spazio alle nuove generazioni e a eventi in grado di far riflettere e cogliere i cambiamenti sociali, culturali e politici della contemporaneità.

Giobbe Covatta in 6° (sei gradi) Comicità per affrontare il tema della sostenibilità

Venerdì 20 gennaio, ore 21

Teatro Concordia, Venaria Reale (TO)

 

Giobbe Covatta con “6° (Sei gradi)”, un numero dal forte significato simbolico che rappresenta l’aumento in gradi centigradi della temperatura del nostro pianeta, si diverte ad immaginare le drammatiche e stravaganti invenzioni scientifiche, sociali e politiche che l’uomo metterà a punto per far fronte all’emergenza ambientale e sociale.

Come sarà il mondo la cui temperatura media sarà più alta di un grado rispetto ad oggi? E quando i gradi saranno due? E riuscire ad evitare aumenti superiori che porterebbero inevitabilmente alla nostra estinzione? Tutto ciò che si vedrà nel corso dello spettacolo al Teatro Concordia è collocato nel futuro in diversi periodi storici nei quali la temperatura media della terra sarà aumentata di uno, due, tre, quattro, cinque e sei gradi. I personaggi che vivranno in queste epoche saranno i nostri discendenti (figli, nipoti o pronipoti) che avranno ereditato da noi il nostro patrimonio economico, sociale e culturale, ma anche il mondo nello stato in cui glielo avremo lasciato.

Comicità, ironia e satira si accompagnano alla divulgazione scientifica su quelli che sono senza dubbio i grandi temi del nostro secolo: sostenibilità del pianeta e delle sue popolazioni.

 

Venerdì 20 gennaio, ore 21

6° (Sei gradi)

Uno spettacolo di Giobbe Covatta e Paola Catella.

Biglietti: intero 13 euro + d.p. – ridotto 11 euro + d.p. – in abbonamento

 

Info

Teatro della Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

www.teatrodellaconcordia.it

011 4241124 – info@teatrodellaconcordia.it

“Fotografando il Tessile”

In mostra alla Sala della “Porta del Tessile” di Chieri, fotografie e film d’autore di Rossano B. Maniscalchi

Fino al 28 gennaio

Chieri (Torino)

La mostra inaugura il 2023 della “Fondazione Chierese per il Tessile e per il Museo del Tessile” di Chieri (Torino) e rappresenta una ghiotta occasione per ammirare, negli spazi della “Porta del Tessile” (via Santa Chiara 10/A), immagini fotografiche e film d’autore del fiorentino Rossano B. Maniscalchi, pluripremiato fotografo e film maker di fama internazionale, senatore accademico onorario della “Medici International Academy” di Firenze e autore di celeberrimi “ritratti” scattati, fra gli altri, ai più importanti “Premi Nobel” internazionali, da Rita Levi Montalcini a Dario Fo, da Rigoberta Menchù al 14° Dalai Lama. In rassegna, fino a sabato 28 gennaio, ad accogliere i visitatori sono diversi filmati proiettati in loop che fanno da contrappunto a 15 scatti fotografici di Maniscalchi generosamente prestati alla “Fondazione” dalla storica azienda tessile chierese “Angelo Vasino S.p.a.” e  realizzati nella stessa azienda di corso Torino 62, con l’eccezionale bravura dell’artista che sa, attraverso la concreta ricezione delle cose, leggere le infinite possibilità di trasformarle in sogni, in memorie, in mondi “altri” in cui lasciarsi guidare senza richiesta alcuna di suggerimenti e appigli esterni. Liberi nella più totale fascinosa e provocatoria immaginazione. “Attraverso l’obiettivo– si legge in una nota stampa – una ‘allure’ particolare si sprigiona dalle rocche colorate che alimentano un orditoio, fili che avvolgono un subbio o scorrono fra i licci di telai oggidiani, dove mani giovani e meno giovani di operatori esperti infondono nuova linfa vitale a un’arte antica, ma nel presente”. In mostra anche telai, orditoi di ultima generazione, immortalati nello stabilimento chierese, fondato nel 1955 da Angelo Vasino con il cognato (“Vasino & Ciaudano”) e oggi guidato dai figli Giuseppe e Renato Vasino, ormai affiancati dalla terza generazione di famiglia, con Giovanni, Valentina e Stefano. Che continueranno a far loro le parole dello scrittore (e politico) di Prato, Edoardo Nesi, fino al 2004 ai vertici dell’azienda tessile di famiglia: “Il rumore di una tessitura ti fa socchiudere gli occhi e sorridere, come quando si corre mentre nevica. Il rumore di una tessitura è continuo e inumano, fatto di mille suoni metallici sovrapposti, eppure a volte sembra una risata”. Parole in cui c’è tutta la filosofia (azienda non solo business) della “Vasino S.p.a.”. Insieme a quella particolare angolatura poetica, fuori dal tempo e dal mondo, degli scatti grandiosi di Rossano B. Maniscalchi, cui la Città di Chieri, “culla del tessile” dal Medioevo, ha conferito – in occasione della mostra e in memoria proprio di Angelo Vasino – il Premio “Navetta Arcobaleno”, riservato ad artisti distintisi nel coniugare linguaggi multimediali con le arti tessili. “Con questo evento di inizio anno, all’insegna dell’eccellenza – commenta Melanie Zefferino, presidente della ‘Fondazione Chierese per il Tessile e per il Museo del Tessile’ – la ‘Fondazione’ rinsalda il legame con i propri Soci Fondatori e la comunità del territorio di riferimento facendo luce, attraverso l’arte, sulla produzione tessile contemporanea in una delle sue migliori declinazioni”.

Gianni Milani

“Fotografando il Tessile”

Sala della “Porta del Tessile”, via Santa Chiara 10/A, Chieri (Torino); tel. 329/4780542 o www.fmtessilchieri.org

Fino al 28 gennaio

Orari: sab. pomeriggio 14/18

Nelle foto: alcuni scatti di Rossano B. Maniscalchi, Copyright “Angelo Vasino S.p.a:”

A Nichelino e a Chieri, sfida a colpi di “Incipit”

“Incipit Offresi”, il “talent letterario” itinerante rivolto ad aspiranti scrittori, giunto alla sua VIII edizione

Giovedì 19 e mercoledì 25 gennaio

Nichelino / Chieri (Torino)

Ideato e promosso dalla “Fondazione ECM – Biblioteca Archimede di Settimo Torinese” in sinergia con Regione Piemonte, il Premio “Incipit Offresi”, giunto alla sua ottava edizione, è il primo “talent letterario” itinerante dedicato agli aspiranti scrittori. La formula è quella di un “format a tappe” e “dal vivo”, partito il 27 ottobre 2022 e che si concluderà il 4 maggio dell’anno appena iniziato. Prossime tappe: la “Biblioteca Giovanni Arpino”, in via Filippo Turati 4/8, a Nichelino (giovedì 19 gennaio, ore 18) e la “Biblioteca Nicolò e Paola Francone & Archivio Storico Filippo Ghirardi” al numero 1 di via Vittorio Emanuele II, a Chieri (mercoledì 25 gennaio, ore 18). Di che si tratta? Di una vera e propria sfida giocata a colpi di “incipit letterari” all’interno di Biblioteche e luoghi vari di cultura, ma anche (si pensi!) attraverso gare di scrittura e letture animate nell’ambito dei mercati rionali. Dedicato all’”uomo dei libri”, Eugenio Pintore (Bonorva-SS, 1956 – Gassino, 2019), dal 2009 responsabile del “Settore Biblioteche, Archivi e Istituzioni culturali” per la Regione Piemonte (fra i principali fautori del “Sistema Bibliotecario” dell’area metropolitana di Torino e appassionato promotore, fra i tanti eventi culturali, proprio di “Incipit Offresi”), il Premio e il “campionato” hanno, come principale obiettivo, “non quello di premiare il romanzo inedito migliore, ma quello di scovare nuovi talenti”. L’importanza in cifre: in sette anni ha scoperto più di 60 nuovi autori, pubblicato 70 libri e coinvolto più di 10mila persone, 30 case editrici e più di 50 biblioteche e centri culturali. Come di consueto, anche a Nichelino e a Chieri, gli aspiranti scrittori, in una sfida uno contro uno, avranno 60 secondi di tempo per leggere il proprio “incipit” o raccontare il proprio libro. Il/la concorrente che, secondo il giudizio del pubblico in sala, avrà ottenuto più voti, passerà alla fase successiva, dove avrà ancora 30 secondi di tempo per la lettura del proprio “incipit”, prima del giudizio della giuria tecnica che assegnerà un voto da 0 a 10. Una volta designato il/la vincitore/trice di tappa, si aprirà il voto del pubblico per il secondo classificato. Chi otterrà più voti potrà partecipare alla gara di ballottaggio. I primi classificati di ogni tappa e gli eventuali ripescaggi potranno accedere alle semifinali per giocarsi la possibilità di approdare alla finale, in programma a giugno 2023.

La partecipazione a “Incipit Offresi” è gratuita e aperta agli scrittori, esordienti e non, maggiorenni, di tutte le nazionalità. I candidati dovranno presentare le prime righe della propria opera: l’“incipit”, appunto, un massimo di mille battute con le quali catturare l’attenzione dei lettori e una descrizione dei contenuti dell’opera. L’“incipit” deve essere inedito e la gara si svolgerà in lingua italiana. La possibilità di partecipare alle tappe è garantita fino ad esaurimento dei posti disponibili.

La gara sarà trasmessa sulla rete 7WEB.TV e disponibile sulle pagine Facebook e Youtube di “Incipit Offresi” e sulle pagine delle Biblioteche partner e di altri canali collegati.

A condurre gli incontri, veri e propri spettacoli di intrattenimento, gli attori di “B-Teatro”, con le incursioni musicali di Enrico Messina e Mao.

Per info ed iscrizioni: www.incipitoffresi.itinfo@incipitoffresi.it; tel. 339/5214819

 

g.m.

Nelle foto:

–       Immagine di una “tappa” del Premio

–       Eugenio Pintore

“Vate, Vanitas, Vittoria” Ivrea, mostra a due ispirata alla figura di D’Annunzio

In occasione del centenario della donazione del “Vittoriale” allo Stato Italiano

Dal 21 gennaio al 12 marzo

Ivrea (Torino)

Già nel titolo, la rassegna esprime appieno la personalità e lo spirito del grande “Immaginifico” o “poeta – soldato” o “poeta – vate” (allo stesso modo di Giosué Carducci) cui la mostra si ispira. Ospitata in “Palazzo Giusiana” (ex sede del Tribunale) ad Ivrea, da sabato 21 gennaio a domenica 12 marzo“Vate, Vanitas, Vittoria” è stata ideata per inaugurare la seconda parte dell’anno da “Capitale italiana del libro 2022” di Ivrea – terza capitale dopo Vibo Valentia nel 2021 e Chiari (Brescia) nel 2020 – e per ricordare il centenario della donazione, il 22 dicembre 1923, da parte di Gabriele D’Annunzio (Pescara, 1863 – Gardone Riviera, 1938), della sua casa-museo (“città nella città”, eretta, a memoria delle imprese dei soldati italiani durante la Prima Guerra Mondiale, sulle rive del Lago di Garda con l’aiuto dell’architetto Gian Carlo Maroni) allo Stato Italiano. Curata da Costanza Casali, assessore alla Cultura della Città di Ivrea, la mostra presenta opere di Nicola Bolla e Andrea Chisesi e sarà introdotta, sempre sabato 21 gennaio, alle ore 17, al “Teatro Giacosa” (piazza Teatro, 1), da una lectio magistralis di Giordano Bruno Guerri, storico e presidente dal 2008 della Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani”, affiancato da Angelo Piero Cappello, studioso del “Vate” abruzzese e direttore del “Cepell – Centro per il libro e la lettura del Ministero della Cultura”.

A “Palazzo Giusiana”, “casa” di “Ivrea Capitale italiana del libro”, il romano (oggi residente ad Ortigia – Siracusa) Andrea Chisesi esporrà una serie di opere tutte dedicate al “Vate” e già esposte nel 2021 al “Vittoriale” a Villa Mirabella. “Opere – Fusioni”, come le definisce lo stesso artista, idealmente (e concretamente) nate nel 2004 come una sorta di collage fra immagine pittorica e fotografia – altra sua grande passione – e, in un secondo momento, come “impressione” dello scatto fotografico direttamente sulla pittura o su una serie di stratificazioni materiche quali tele, cartelli stradali o cartone preparati con gesso di Bologna, acrilici, giornali o manifesti strappati o stratificazioni di pitture foglia oro. Il risultato é la singolare creazione di una texture che “accoglie” lo scatto fotografico attraverso “un vero e proprio progetto immaginario di sovrapposizioni e trasparenze”. Il tutto realizzato attraverso un rigorosissimo processo artigianale, sempre guidato e ispirato alla magica visionarietà dell’arte.

Artista di fama internazionale, anche il secondo ospite di “Palazzo Giusiana”, Nicola Bolla, nativo di Saluzzo (Cuneo), ma residente a Torino, dove alterna l’attività creativa al lavoro di medico-oculista. Bolla è, per tutti, l’ “artista degli Swarovski”, il particolare pregiatissimo cristallo ideato nel 1862 dal tagliatore boemo Daniel Swarovski, attraverso il quale l’artista saluzzese raggiunge la notorietà negli ultimi anni grazie ad una serie di “installazioni iconiche” – “Vanitas” – fondate su opere scultoree che, attraverso l’utilizzo esclusivo di un materiale riflettente (come, appunto, il cristallo Swarovski) “rileggono la storia della scultura invertendo i fattori costitutivi della stessa, da sempre fondata su materiali pesanti, duri, poco propensi alla riflessione della luce”.  Ottima la scelta dei due artisti e delle loro creazioni ispirate alla figura del Grande “Immaginifico”, interpretata in maniera non didascalica, traendo ispirazione da tre termini a lui fortemente legati e ben ricordati nel titolo della mostra a tre “V”“Le opere di Andrea Chisesi e Nicola Bolla – sottolinea in proposito, Costanza Casali – si discostano dalle tecniche tradizionali, e offrono un punto di vista diverso su D’Annunzio: se Chisesi utilizza la ‘fusione’ intervenendo con la fotografia dopo aver dipinto la tela, Bolla utilizza materiali inusuali per la scultura come cristalli e carte da gioco, che esprimono pienamente l’effimero. Le opere di Chisesi dedicate al ‘Vate’ rivelano fotogrammi di vita di D’Annunzio. Le ‘Vanitas’ di Bolla sono un ‘memento mori’ e la ‘Vittoria’ è rappresentata dalla ‘Nike di Samotracia’ reinterpretata da Chisesi e da ‘bandiere ammainate’ in cristallo create da Bolla, che sono il simbolo di una vittoria effimera che rappresenta soltanto un momento e un passaggio che domani potrebbe tramutarsi in disfatta”.

Gianni Milani

“Vate, Vanitas, Vittoria” / Palazzo Giusiana, via dei Patrioti 20, Ivrea (Torino)

Da sabato 21 gennaio a domenica 12 marzo

Orari: giov. e ven. 15/18; sab. e dom. 10/13 e 15/18

Nelle foto:

–       Andrea Chisesi: “Il Vate”, fusione su tela, 2020

–       Andrea Chisesi: “Nike di Samotracia”

–       Nicola Bolla: “Bandiere”

Ferrini inciampa in Otello, forse il vero protagonista è Iago

Al Gobetti, repliche sino al 5 febbraio

Un lungo mese di repliche – sino al 5 febbraio, sul palcoscenico del Gobetti – per questo “Otello” shakespeariano, nella traduzione di Emilio Cecchi e Giovanna Cecchi, produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e Progetto Urt, un unico blocco di 140’ senza intervallo, a cui Jurij Ferrini sembra aver dato anima e corpo. Una tragedia di incondizionato amore e di terribile, cieco odio, ogni cosa nel cuore di un eroe, di un ufficiale di colore, ma anche una tragedia di sospetti, di quelle parole portate a poco a poco alle labbra nella prospettiva di una vendetta e nella distruzione di un altro, nell’occasione di una donna, di una quasi bambina innamorata del proprio sposo, della figlia di un notabile di una qualche potenza occidentale, sperduta nelle acque del Mediterraneo tra i rumori e le ansie della guerra, spinta giorno dopo giorno sempre più a fondo da un meccanismo perverso e subdolo che un diavolo le ha costruito intorno. L’occasione di un avvicinamento a quella “nostra coscienza occidentale” che senza mezzi termini, di gran fretta, è definita “falsa”. “Quando leggo un testo, soprattutto un grande classico – tiene a motivare Ferrini nelle note di regia – non posso fare a meno di chiedermi che cosa possa significare per il pubblico di oggi.” Ieri e oggi, le radici e i rimandi, gli sguardi paralleli, un incrociarsi di ponti gettati sulle intenzioni e sui sentimenti, sulla malvagità e sulla menzogna del nostro quotidiano.

Nessuno lo vieta ad un regista che si fa quasi coautore, appunto per il suo sguardo nuovo, una esperienza apprezzabile quando anche sia l’occasione “per un lucido e appassionante esame del viaggio a ritroso da un infinito oceano d’Amore fino alle fonti dell’Odio più puro”, il Bene e il Male a fronteggiarsi da sempre. Tuttavia, su quelle pedane inventate (abbastanza poveramente) da Jacopo Valsania (a lui si devono anche le luci, con Gian Andrea Francescutti), contro un fondale di soli e di lune, dentro un orizzonte di alberi e scure montagne, poca colpa se lo spettacolo tarda a prendere corpo: quel che non convince è quell’oggi, tanto sbandierato, che sino al termine della serata continua a parere del tutto posticcio. Non spaventano più gli abiti moderni, non siamo più alla metà degli anni Sessanta quando con innegabile shock del pubblico Luigi Squarzina per “Troilo e Cressida” rivestiva gli attori dello Stabile genovese delle divise del ventesimo secolo, seguito poi da Lavia e da Ronconi e certo da altri: qui sono un posticcio perché nulla aggiungono all’azione, al racconto naturalissimo che Ferrini rivendica di aver visto “nella mia immaginazione”. Poi c’è il pericolo del medioriente, c’è la sopraffazione maschile, c’è l’ombra del razzismo che circola tra le truppe e va oltre, c’è la lettura del gran personaggio di Iago, la fiducia riposta in lui e il tradimento, il marcio della coscienza e la distruzione di sé e degli altri portata sino in fondo.

Scrive poi qui uno che continua a dubitare fortemente dell’uso dei microfoni in scena, per dire, per scandire, per ritagliare che?, microfoni di cui si fa un gran uso e microfoni che per altri versi li diresti benedetti dal momento che l’attore, nel momento in cui deve pronunciare la propria battuta dal fondo del palcoscenico, non è più nettamente udibile: quello stesso Ferrini che, accennando appena nel trucco la propria “negritudine” con dei tatuaggi tribali che lo rendono più un Maori che un “moro”, da sempre erroneamente definito “negro”, sembra essere incerto sulla strada da percorrere sino in fondo senza ripensamenti. L’“Otello” di Ferrini, il triangolo Moro/Desdemona/Iago, tutto rimane un fatto privato, a dispetto di certe intenzioni di voler ampliare il campo alla “tragedia della violenza umana” e di volerlo immergere nell’”ultimo straordinario movimento culturale e rivoluzionario del mondo moderno”, il ’68, fatto di opposizione alla guerra in Vietnam, di battaglie per i diritti civili, di libertà sessuale, di rifiuto di ogni autorità.

Di Ferrini interprete non arriva in platea la costruzione di un personaggio, al di là di un gran muoversi e di un imperioso quanto furioso vociare. Troppo resta nelle intenzioni e non trova sbocco autentico e tangibile. La parte maschile dei suoi compagni, per differenti gradi, non possiede – o il regista non ha saputo tirar fuori dai giovani attori quel tanto di sentimenti e di consapevolezza dell’accaduto che è nei personaggi più o meno minori – una già affermata robustezza. Sul versante femminile, oltre la Bianca di Sonia Guarino, lascia un segno nel finale la ribellione della Emilia di Maria Rita Lo Destro e mostra con una eccellente sfaccettatura di toni una Desdemona fatta di giovinezza, fragilità e acre stupore Agnese Mercati; mentre un lungo discorso a parte meriterebbe la prova eccellente di Rebecca Rossetti, uno Iago che non avevamo mai visto (questa sì felicissima intuizione di Ferini), una sorta di Linda Hamilton di “Terminator”, anfibi, calzonacci militari, attillata nera canottiera con spalline, capelli corti impomatati all’indietro. Le si poteva aggiungere un lanciafiamme, non avrebbe stonato, già la pistola con cui fa fuori la povera concorrente che sta per spifferare ogni cosa fa legittimamente al caso suo. Uno Iago che rischia di essere il vero protagonista della tragedia. Si può allora dire che Rossetti sappia quel che vuol dire la costruzione di un personaggio, una sorta di simbolo del Male a tutto tondo, del male gratuito gestito per scommessa, nella voce e nella postura mai in eccesso, nel rivelarsi e nel nascondersi, nella strada che semina di sospetti e di indizi detti a fior di labbra e no, anche usando in maniera assai propria tutta l’ironia verso la mal riposta scalata al successo. Pubblico pressoché osannante alla prima, mentre a me rimanevano tutti i dubbi della realizzazione.

Elio Rabbione

Le foto di scena sono di Luigi De Palma

Arte contemporanea, ciclo di lezioni al Pannunzio

 A CURA DI ETTORE GHINASSI. TERZO INCONTRO : “LA REAZIONE ALLE AVANGUARDIE: IL RITORNO ALL’ORDINE. L’ARTE DEL FASCISMO”.
MERCOLEDÌ 18 GENNAIO alle ore 17.30 presso la sede del Centro Pannunzio (via Maria Vittoria 35h, Torino), il terzo incontro del ciclo sul tema “LA REAZIONE ALLE AVANGUARDIE: IL RITORNO ALL’ORDINE. L’ARTE DEL FASCISMO”.
Ingresso Libero.
ETTORE GHINASSI
Il Prof. Ettore Ghinassi è uno studioso di fama internazionale che è stato in passato autore di cicli di lezioni entusiasmanti e indimenticabili al Centro “Pannunzio”, di cui fu uno degli animatori culturalmente più autorevoli. La collaborazione, interrotta a causa di impegni internazionali, è ripresa da poche settimane con il ciclo di incontri indicato nel comunicato.

“Queste persone parlano, non dicono nulla…”

Music Tales, la rubrica musicale 

Queste strade non portano a nulla

Queste persone parlano, non dicono nulla

Gli attori non hanno una parte

le persone di cuore senza cuore

troverò una nuova folla, farò un nuovo inizio”

Questo canta in “so long” Lisa Marie Presley.

Non riesco ad identificarne il significato se non in un disagio nel vivere in una città, in una situazione a lei poco consona, anzi molto scomoda.

Quasi a voler dire (farò un nuovo inizio n.d.r.) che avrebbe trovato pace solo allora.

Ed oggi siamo a pochi giorni dalla sua “pace”.

Riposa per sempre una artista, figlia d’arte (e che arte) che, come il padre, è diventata una cantante, guadagnandosi il titolo di Principessa del Rock and Roll.

Lisa Marie è nata il 1 febbraio 1968 a Memphis, nel Tennessee e secondo il libro di memorie “Priscilla, Elvis & Me”, ha avuto un’infanzia davvero privilegiata. Per il suo quinto compleanno suo padre le ha regalò una slot machine e per il suo ottavo compleanno ha ricevuto una pelliccia di visone e un anello di diamanti.

Ha vissuto durante i suoi primi anni nella famosa Memphis Mansion che apparteneva a Elvis, ma la lasciò all’età di quattro anni dopo che i suoi genitori si lasciarono. Nonostante questo fu un’ospite regolare quando faceva visita al genitore, fino alla morte della star.

Presley è stata sposata quattro volte.

Dal 1994 al 1996, la cantante è stata sposata con Michael Jackson, ma si erano conosciuti 20 anni prima, nel 1974 a Las Vegas. Dopo anni senza vedersi e senza che nessuno se lo aspettasse, nel 1994 annunciarono in un comunicato di essersi sposati nella Repubblica Dominicana con una cerimonia molto intima. Si diceva che fosse un finto matrimonio e che stessero insieme per interesse. Da allora sono diventati la coppia più bizzarra, affascinante e mediatica del momento. La loro prima apparizione pubblica è stata agli MTV Awards, dove il cantante baciò sua moglie davanti a tutti.

Lisa Marie una volta ha parlato dei rapporti intimi che ha avuto con il Re del Pop, dicendo che erano “selvaggi e intensi”. “Era straordinario a letto”, affermò. E a quanto pare Michael aveva rapporti sempre vestito. Lisa Marie disse di non averlo mai visto come mamma l’ha fatto. Durante loro prima notte insieme, lui le chiese di essere in camera da letto al buio e quando finirono lei corse in bagno per uscirne 20 minuti dopo truccata, in pigiama e vestaglia. Lisa disse anche che lui le chiese di indossare gioielli costosi e di fare giochini particolari. Tuttavia alcuni dipendenti di Neverland affermarono che i due non ebbero mai veramente alcun rapporto intimo.

Insieme al suo primo marito Danny Keough, Lisa divenne un membro di spicco di Scientology. I due festeggiarono su uno degli yacht dell’organizzazione la luna di miele e crebbero i due figli nelle loro convinzioni. Si dice che la star della musica fu influenzata da John Travolta. Nel 2012 Lisa annunciò però che non ne faceva più parte.

Per Lisa, la morte di suo figlio Benjamin fu insuperabile. Il giovane tolse la vita all’età di 27 anni. Il suo corpo fu ritrovato nel luglio 2020 nella villa di famiglia a Calabasas (California). I tabloid statunitensi hanno descritto la morte come “scioccante ma allo stesso tempo non scioccante”. Il giovane aveva infatti una lunga storia di dipendenze.

Dipendente anche lei dagli antidolorifici, come ha raccontato la star stessa nella prefazione al libro ‘The United States of Opioids’: “Mi è bastata una breve prescrizione di antidolorifici in ospedale per sentire il bisogno di continuare a prenderli”. Dieci anni dopo il suo ultimo matrimonio si è ritrovata dipendente da questi antidolorifici e totalmente al verde.

Tutto nasce sempre da un eccesso: la grande arte è nata da grandi terrori, grandi solitudini, grandi inibizioni, instabilità, e ogni volta le ha sapute equilibrare.”

Non ho mai amato la sua discografia quindi ho faticato a trovare un brano che mi fosse almeno un po’ simpatico alle orecchie.

A voi “so long”

So Long – YouTube

 
 

Chiara De Carlo

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Sulla cresta dell’onda con Giorgio Rava

Onde, Ondine, Onde anomale segna il ritorno di Giorgio Rava alle sillogi poetiche.

L’agile libretto edito dalla novarese Segni e Parole propone trentasei composizioni di questo poeta, pittore, scultore, gastronomo e designer nato a Omegna, sulla punta settentrionale del lago d’Orta. Una miscela di sensazioni, ricordi, visioni che si inseguono secondo un ordine alfabetico che non offusca l’anarchica originalità, la fantasiosa irriverenza o la malinconia struggente, spaziando dai luoghi in cui è nato a lidi più lontani  anche se ,come una falena attratta dalla luce, ritorna sempre a specchiarsi nelle acque del lago d’Orta, rese cangianti dai riverberi delle luci delle albe, dei tramonti e delle notti di luna. Ci accompagna sul sentiero delle carline all’alpe Devero per poi scendere verso la sua casa di Crusinallo dove, nella notte di San Lorenzo, scruta il cielo alla ricerca delle stelle cadenti “dove la grande mano dell’universo sparge negli occhi di sognatori bambini illusioni di caramello”. Omaggia la memoria di Alda Merini che aveva un rapporto molto stretto e personale con Omegna (“Quando i poeti se ne vanno è come l’esaurirsi di una sorgente..”) e non manca di elogiare con i suoi versi in rigoroso dialetto la mitica moka, eccellente caffettiera nata nella città dove vide la luce anche Gianni Rodari, fedele compagna che elargisce il primo caffè del mattino (..”gh’è mia un ‘auta machineta…gnanca cula dal George Clooney c’la batt cula dal Bialett”). In Ode del suicidio lacustre riecheggia la stessa intensità dei versi cari del poeta ortese Augusto Mazzetti (“Oh, lago, lago, lago! Sciogliermi infine con te, per essere un giorno pescato come un antico luccio”) e il legame indissolubile con le acque del Cusio quando scrive “ come piatto ciottolo, esaurita l’energia del braccio, scenderò dondolando dolcemente nella profondità”. Cita sovente le onde, il profumo di quella terra tra lago e montagne, il fiato grigio delle brume che se ne stanno sospese a fior d’acqua in certe stagioni. Sotto l’antico tiglio ricorda riti antichi, musiche e baldorie popolari, scampoli d’infanzia mentre le primule, declinate anch’esse in dialetto omegnese, fanno ripensare al giallo del risotto alla milanese rievocandone profumo e sapore. Ogni poesia nasconde frammenti di storie, memorie vicine o lontane, narrate con parole essenziali e asciutte. Una poesia  ci ricorda che ci stiamo affacciando sulla soglia dell’inverno e s’intitola Al buio nell’aria della notte. Eccola: “Ho sentito il profumo della neve. Che non è il profumo del pane appena sfornato, delle rose di maggio, della pelle di una donna, del fieno appena tagliato, dell’uva della toppia, del mio lago, del calicantus d’inverno, dell’olea fragrans d’autunno, dei narcisi di primavera, della sigaretta e del caffè del mattino, del profumo del pelo delle mie cagne bagnato, della stufa che va a legna. E’ il profumo dell’innocenza”. In poche righe svela le sue radici. Ci sono tratti della personalità di questo artista eclettico, figlio di una tradizione popolare e dei  “poeti maledetti” del lago d’Orta, Ernesto Ragazzoni e Augusto Mazzetti. Onde, Ondine, Onde anomale regalano, centellinandolo come il buon vino, l’incanto delle  parole, il gusto dei versi. Privarsene equivarrebbe a commettere un imperdonabile errore.

Marco Travaglini