CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 27

“Manuale operativo per Nave Spaziale Terra”: la 32esima edizione di Artissima

Artissima annuncia le Gallerie e i premi della sua trentaduesima edizione, che si terrà  da venerdì  31 ottobre a domenica 2 novembre prossimi all’Oval Lingotto di Torino.
L’edizione 2025 è  intitolata “Manuale operativo per Nave Spaziale Terra”, ispirato all’eclettica figura di Richard Buckminster Fuller e al suo omonimo libro del 1969 delle edizioni del Saggiatore. Per il quarto anno consecutivo Artissima trae ispirazione dal pensiero di una figura visionaria  per proporre una riflessione collettiva che, attraverso l’arte, la sua comunità e pluralità di linguaggi, intende offrire strumenti per interpretare e attraversare la complessità del presente.

“Il concetto di Manuale operativo – spiega il direttore di Artissima Luigi Fassi – invita a riflettere sulla nostra presenza sul pianeta Terra, “una nave spaziale” affidata alla responsabilità collettiva di chi la abita e che ci rende tutti suoi piloti. Come possiamo prendercene cura bilanciandone risorse e sostenibilità  per tutti i viventi?  Il destino non ci ha lasciato istruzioni, ma Fuller esorta il lettore a superare le barriere  tra discipline e cooperare con uno sguardo più  ampio e consapevole. Sono i grandi visionari come gli artisti a tracciare nuove rotte per comprendere il nostro ruolo di timonieri della nave spaziale terrà. Gli artisti pensano in modo olistico e indipendente, intuitivo e creativo. Sanno trascendere gli specialismi e il valore d’uso immediato, immaginando soluzioni oltre i confini disciplinari.
Proprio loro potranno ispirare la stesura di un Manuale operativo. Artissima, crocevia di mondi e personalità che ruotano intorno al sistema dell’arte contemporanea, invita la sua comunità di visitatori e partecipanti a riflettere su questo tema, per guidare il pianeta nel viaggio attraverso le sfide del tempo presente”.

L’edizione 2025 di Artissima vedrà accolte negli spazi della fiera le  quattro sezioni principali, Main Section, New Entries, Monologue/Dialogue e Art Spaces & Editions, e le tre sezioni curate, Present Future, Back to the future e Disegni.
Saranno 176 le Gallerie italiane e internazionali a partecipare, di cui 62 presenteranno progetti monografici.
Tra le caratteristiche della 32esima edizione spicca la capacità consolidata da parte delle gallerie di presentare progetti inediti, capaci di aderire al tema cardine di Artissima, coinvolgendo sia giovani artisti sia altri già affermati.
Oltre al calendario di talk, presentazione di progetti, libri, incontri con artisti e curatori, Artissima presenta e organizza progetti speciali all’Oval e diffusi in città, realizzati in sinergia con importanti partner e istituzioni. Si tratta di una fiera di ricerca, a partire dall’individuazione di quelli che saranno gli artisti di domani alla rilettura dei grandi maestri del passato recente, dall’esplorazione di formati nuovi e piattaforme digitali, alla sua capacità di essere un appuntamento di mercato e, al tempo stesso, curatoriale.

Le Gallerie partecipanti ad Artissima 2025 provengono da 33 Paesi e cinque continenti. Significativa è la presenza di gallerie provenienti dall’Europa dell’Est, tra cui Vilnius, Kaunas, Riga, Praga, Varsavia, Lubiana e Bucarest, e dall’America del Sud e centrale come Città del Messico, San Paolo e Buenos Aires. Sul fronte  europeo si conferma una viva partecipazione  di gallerie provenienti da Austria, Francia, Germania, Regno Unito,  Croazia, Grecia e Slovenia.

Nella sezione New Entries, dedicata alla gallerie aperte da meno di cinque anni e presenti per la prima volta in fiera, partecipano 12 gallerie provenienti da tre continenti, a partire da una galleria di Pescara, che esplora tematiche interdisciplinari contemporanee con opere di Adriano Costa, Gaëlle  Choisne, Berenice Olmedo; ArtNoble di Milano che presenta sculture di Jermay Micheal Gabriel sulla natura delle relazioni coloniali; ASNI di Riga, che promuove artisti baltici emergenti; Bliss di Varsavia, che propone l’arte spirituale di Urszula Broli; Bremond Capela di Parigi che ospita una mostra  bipersonale di Corinna Gosmaro e Madeline Peckenpaugh tra astrazione, paesaggio e memoria; Matteo Cantarella di Copenaghen che presenta un’installazione site specific di Therese Bülow e Vibe Overgaard sulle ambiguità  tra natura e industria; la brasiliana Galatea di San Paolo Salvador trasforma lo stand in un’installazione sensoriale di Carolina Cordeiro; Pipeline di Londra esplora la scultura e la fotografia di Giorgio van Meerwijk; Soup di Londra propone nuove pitture di Nina Silverberg su di uno sfondo murale dipinto a mano. Seguono le gallerie nella sezione New Entries Trotoar di Zagabria, che dedica uno stand monografico a Marko Tadić; la galleria Vohm di Seul, che cura una selezione di opere di Hana Kim e Eun Yeoung Lee su spontaneità e nostalgia. La galleria milanese Zazà presenterà l’installazione di Shaan Bevan, reinterpretazione contemporanea della pittura murale antica.

In occasione del suo venticinquesimo anniversario,  la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT incrementa per il terzo anno consecutivo, per un totale  di 300 mila euro, lo storico fondo acquisizioni a beneficio delle collezioni della Gam Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino e del Castello di Rivoli Museo di Arte contemporanea, stanziando il budget più elevato degli ultimi dodici anni. La Fondazione, nel corso degli anni, grazie anche alle acquisizioni effettuate ad Artissima, ha costituito una collezione di oltre 930 opere di arte contemporanea, tra le più prestigiose a livello nazionalé e internazionale,  con un investimento complessivo superiore a 41 milioni di euro.

Anche quest’anno Artissima presenta un articolato programma di Premi, tra cui il Premio Illy  Present Future , promosso da Illycaffé dal 2001, giunto al suo 25esimo anniversario, assegnato al progetto più interessante della sezione Present Future, dedicata alla scoperta di nuovi talenti; il Premio Diana Bracco , imprenditrici ad Arte, nato nel 2023 e promosso dalla Fondazione Bracco, dedicato a valorizzare una gallerista donna emergente quale imprenditrice attenta alla ricerca e alla qualità artistica. Seguono i premi Orlane per l’Arte, che premia lo stand con la migliore proposta espositiva  per la cura e valorizzazione degli artisti presentati, il Premio Tosetti Value per la Fotografia, che seleziona un artista che, oltre a ricevere un riconoscimento in denaro, svilupperà un progetto in dialogo con “Prospettive, l’economia delle immagini” dedicato alla fotografia contemporanea; il Premio Vanni #artistroom, promosso da Vanni Occhiali, che selezionerà un artista in fiera che disegnare una capsule collection di occhiali d’artista in edizione limitata. Infine il Premio Oelle Mediterraneo Antico, promosso dall’omonima fondazione di Catania, giunto alla sua quarta edizione, che premia un artista con la partecipazione ad una residenza artistica in Sicilia; il Premio Pista 500, nato nel 2023 in collaborazione con la Pinacoteca Agnelli, che offre all’artista selezionato l’opportunità di creare un’opera per il billboard sulla Pista 500, ex circuito del Lingotto; il Matteo Viglietta Award, riconoscimento promosso per ricordare il  grande vignettista; il Premio Ettore e Ines Fico, promosso dal Museo Ettore Fico, per premiare , attraverso un’acquisizione, il lavoro di giovani artisti a livello internazionale.
Ultimo ma non meno importante è il Premio “ad occhi chiusi”, nato nel 2021 dalla collaborazione con la Fondazione Merz, che seleziona un artista che parteciperà ad una residenza in Sicilia, i cui risultati saranno visibili presso la Fondazione Merz.

Mara Martellotta

Fiore mio: Cinema nel Parco del Castello di Miradolo 

Giovedì 10 luglio, ore 21.30

 

 

Dopo il successo internazionale de Le otto montagne il primo film scritto, diretto e interpretato dallo scrittore Paolo Cognetti

 

 

 

Dopo il successo internazionale de Le otto montagne, Premio della Giuria di Cannes 2022, esce al cinema nel 2024 Fiore mio (Nexo Studios, 2024), il primo film scritto, diretto e interpretato dallo scrittore Paolo Cognetti.

Protagonista è il tema più viscerale della poetica di Cognetti: quella montagna che l’autore ha esplorato anche nel documentario Sogni di Grande Nord diretto da Dario Acocella, dove ha seguito le tracce del Christopher McCandless’ di Into the Wild negli incredibili e remoti scenari dell’Alaska. Questa volta il viaggio di Paolo Cognetti si fa più vicino allo spettatore e racconta, in modo intimo, introspettivo e mai scontato, la sua montagna: il Monte Rosa, un luogo geografico ma soprattutto un luogo del sentire e un luogo della comprensione di quanto abbiamo intorno. Quando nell’estate del 2022 l’Italia viene prosciugata dalla siccità, Paolo Cognetti assiste per la prima volta all’esaurimento della sorgente della sua casa a Estoul, piccolo borgo a 1700 metri di quota che sovrasta la vallata di Brusson. Questo avvenimento lo sconvolge profondamente, tanto da far nascere in lui l’idea di voler raccontare la bellezza delle sue montagne, dei paesaggi e dei ghiacciai ormai destinati a sparire o cambiare per sempre a causa del cambiamento climatico. Cognetti racconta così la sua montagna sulla falsariga de Le 36 vedute del monte Fuji di Hokusai, un’opera in cui l’artista giapponese ritrasse il Fuji cambiando continuamente i punti di vista e raccontando la vita che scorre a vari livelli: sui suoi fianchi, nelle valli sottostanti, sulla vetta ma anche nelle città più vicine da dove ancora è visibile, lontano, oltre la nebbia dell’inquinamento, il profilo maestoso della montagna.

Nel suo viaggio sul Monte Rosa Cognetti non è solo. Con lui ci sono il direttore della fotografia Ruben Impens, conosciuto sul set delle Le otto montagne e che firma anche la fotografia di Fiore Mio, e le persone incontrate durante questo viaggio. Come l’amico di una vita Remigio, nato e cresciuto in val d’Ayas, di cui conosce ogni luogo e custodisce la memoria. Ci sono Arturo Squinobal, una vita dedicata alle montagne e un volto che ne ricorda le tracce, e sua figlia Marta, che Paolo conosce sin dall’infanzia e che ha trasformato l’Orestes Huette nel primo e unico rifugio vegano delle Alpi. E ancora ci sono Corinne e Mia, donne dei rifugi che accolgono i viandanti con il sorriso caloroso e rilassato di chi ama ciò che fa. C’è il silenzioso eppure tagliente Sete, sherpa d’alta quota che ha scalato tre Ottomila, Everest, Manaslu e Daulaghiri, e si divide tra Italia e Nepal: lavora qui d’estate e d’inverno, mentre in autunno e in primavera fa la guida per i trekking in Himalaya, dove ha moglie e figli. E poi c’è il cane Laki, inseparabile compagno di camminate. A chiudere il viaggio la presenza preziosa del cantautore Vasco Brondi, amico fraterno di Cognetti e in questa occasione, per la prima volta, al lavoro su un’intera colonna sonora. Per il film, oltre alle musiche originali, Brondi ha scritto e interpretato una nuova canzone Ascoltare gli alberi, che chiuderà il documentario. Fiore mio, la traccia presente nel finale del film e che ne ha ispirato il titolo, è invece da tempo una delle canzoni più popolari di Andrea Laszlo De Simone, cantautore e musicista torinese che ha vinto il Premio César 2024 per la Migliore Musica Originale di Animal Kingdom (Le Règne Animal), divenendo il primo italiano ad aggiudicarsi questo prestigioso premio.

 

CINEMA NEL PARCO

Cinema nel Parco è un’immersione totale nella natura, al centro di un’arena di oltre 2mila metri quadrati disegnata da sette maxi-schermi, nel prato centrale del Castello di Miradolo (TO). Per non disturbare l’equilibrio del parco, l’audio è udibile solo attraverso cuffie silent system luminose.

In programma 8 appuntamenti, dal 26 giugno al 14 agosto, tutti i giovedì alle ore 21.30. I film si possono ascoltare anche in lingua originale, multilingua e/o sottotitolati in italiano per ampliare le possibilità di fruizione. Non ci sono sedie, né posti assegnati: ogni spettatore dovrà portare da casa un plaid per sedersi sul prato e assistere alla proiezione dal proprio angolo preferito. In programma film d’animazione per famiglie (Cattivissimo Me 4, Prendi il volo, Flow. Un mondo da salvare, Inside Out 2, Oceania 2) film drammatici (Trifole. Le radici dimenticate) e documentari (Fiore mio, Il tempo dei giganti). Dalle ore 19.30 pic-nic sul prato.  

INFO

Castello di Miradolo, via Cardonata 2, San Secondo di Pinerolo (TO)

Giovedì 10 luglio, ore 21.30

Fiore mio (Nexo Studios, 2024)

Biglietti: 8,50 euro a persona; ridotto 0-5 anni 3 euro; gratuito per i bambini che non vogliono la cuffia

Prenotazione obbligatoria al n. 0121 502761 e-mail prenotazioni@fondazionecosso.it

www.fondazionecosso.com

 

Dalle 19.30 è possibile fare un pic-nic nel Parco con i cesti di Antica Pasticceria Castino. È possibile ritirare i cesti direttamente nella Caffetteria del Castello, previa prenotazione. Menù differenziato per adulti e per bambini.

Cesto bimbi: rosetta con prosciutto cotto e mozzarella – 2 quadrotti di pizza – Dolce dell’Antica Pasticceria Castino – bibita o acqua

Cesto adulti: guacamole e chips di mais – sandwich del castello prosciutto cotto, formaggio, uovo, insalata dell’orto e senape al miele – Dolce dell’Antica Pasticceria Castino – birra o bicchiere di vino o succo bio

Cesto adulti veg: guacamole e chips di mais – sandwich dell’orto con hummus di ceci, verdure grigliate, insalata dell’orto e brie – Dolce dell’Antica Pasticceria Castino – birra o bicchiere di vino o succo bio

Costo: 10 euro cesto bimbi, 16 euro cesto adulti.

Non è consentito il pic-nic libero. La prenotazione è obbligatoria: 0121 502761 prenotazioni@fondazionecosso.it

www.fondazionecosso.com

Luisa Levi: la signora medico

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Torino e le sue donne
Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
Con la locuzione “sesso debole” si indica il genere femminile.Una differenza di genere quella insita nell’espressione “sesso debole” che presuppone la condizione subalterna della donna bisognosa della protezione del cosiddetto “sesso forte”, uno stereotipo che ne ha sancito l’esclusione sociale e culturale per secoli. Ma le donne hanno saputo via via conquistare importanti diritti, e farsi spazio in una società da sempre prepotentemente maschilista. A questa “categoria” appartengono  figure di rilievo come Giovanna D’arco, Elisabetta I d’Inghilterra, EmmelinePankhurst, colei  che ha combattuto la battaglia più dura in occidente per i diritti delle donne, Amelia Earhart, pioniera del volo e Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio. Anche Marie Curie, vincitrice del premio Nobel nel 1911 oltre che prima donna a insegnare alla Sorbona a Parigi, cade sotto tale definizione, così come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Rientrano nell’elenco anche Coco Chanel, l’orfana rivoluzionaria che ha stravolto il concetto di stile ed eleganza e Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, o ancora Patty Smith, indimenticabile cantante rock. Il repertorio è decisamente lungo e fitto di nomi di quel “sesso debole” che “non si è addomesticato”, per dirla alla Alda Merini. Donne che non si sono mai arrese, proprio come hanno fatto alcune iconiche figure cinematografiche quali Sarah Connor o Ellen Ripley o, se pensiamo alle più piccole, Mulan.  Coloro i quali sono soliti utilizzare tale perifrasi per intendere il “gentil sesso” sono invitati a cercare nel dizionario l’etimologia della parola “donna”: “domna”, forma sincopata dal latino “domina” = signora, padrona. Non c’è altro da aggiungere.

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7 Luisa Levi: la signora medico

Agli albori del mondo, le donne ricoprivano ruoli di guaritrici, curavano i mali dell’anima e del corpo al pari degli uomini, come testimoniano vari reperti delle popolazioni euroasiatiche, africane o azteche. Il brusco cambiamento arriva con l’Inquisizione, che trasforma le conoscenze curative femminili in osceni patti con il maligno e le donne guaritrici in temibili streghe. Da questo momento in poi, per molto tempo, solo gli uomini potevano frequentare le Università e solo i dottori in medicina potevano praticare le arti guaritorie. Unica eccezione fu la scuola di Salerno, all’interno della quale, nell’XI secolo, lavorava Trotula, “sapiens matrona” (“donna sapiente e saggia”), abilissima levatrice proveniente dalla ricca e nobile famiglia de Ruggiero di origine Longobarda. Le donne dovranno aspettare  secoli perché le porte delle Università vengano aperte anche a loro, il che accadrà soltanto tra la metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Se le Istituzioni aprono le porte, l’opinione comune resta serrata e le donne medico devono combattere più degli uomini per veder realizzati i propri obiettivi. Tra le tante “combattenti” ricordiamo Mary Putnam Jacobi: diplomatasi nel 1863 in Farmacia a New York, poco dopo ottiene la Laurea in Medicina al Woman’s Medical College della Pennsylvania; porta avanti la convinzione che per diventare validi medici sia fondamentale avere non solo una buona preparazione scientifica, ma anche una grande compassione per chi soffre. Diventerà portavoce del Movimento Medico Femminile a capo della Working Women’sSociety e dell’associazione per l’Advancement of the MedicalEducation for Women.  In Italia, troviamo Maria Dalle Donne, prima docente di Ostetricia nella Regia Università di Bologna, laureatasi in Filosofia e Medicina nel 1799, e dirigente, nel 1804, presso la Scuola delle Levatrici, e Maria Montessori, nata ad Ancona nel 1870: è lei la prima donna italiana a conseguire la Laurea in Medicina e Pedagogia (ma anche in Scienze Naturali e Filosofia). La nostra storia di oggi ha come protagonista una delle tante donne caparbie e preparate che non si è mai arresa di fronte agli ostacoli frapposti dalle ferree regole della  società: Luisa Levi.  Luisa Levi nasce a Torino il 4 gennaio 1898, diviene medico neuropsichiatra infantile, attenta studiosa di problemi riguardanti la sessualità dell’infanzia. E’ ricordata principalmente poiché è la prima donna medico italiana a pubblicare un lavoro sull’educazione sessuale, intitolato “L’educazione sessuale: orientamento per i genitori”. Scopo del libro è aiutare i genitori a dare un sano indirizzo alla vita sessuale dei loro figli, evitando errori comuni dovuti a pregiudizi. Luisa Levi è figlia di Ercole Raffaele e Annetta Treves, entrambi di religione ebraica. E’ lo zio materno Marco Treves, psichiatra e fratello del noto Claudio Treves, a suscitare in lei il desiderio di diventare medico. Luisa frequenta a Torino il liceo Vittorio Alfieri e in seguito si iscrive, nel 1914, alla tanto desiderata Facoltà di Medicina presso l’Università degli Studi di Torino. Nel suo primo anno di corso stringe amicizia con Maria Coda, l’unica altra donna frequentante. Luisa segue nel corso degli studi il laboratorio di Anatomia e Istologia Normale e quello di Clinica Medic
a, rispettivamente p
resso gli studi di Romeo Fusari e di Camillo Bozzolo e Ferdinando Micheli. La giovane donna riuscirà ad ottenere i premi “Pacchiotti” e “Sperino” per le massime votazioni conseguite negli esami speciali e nella discussione della tesi: “Sopra un caso di endocardite lenta”, con cui si laurea l’8 luglio 1920, conseguendo il massimo dei voti e la lode. Luisa è donna non solo di alta cultura ma anche molto coraggiosa: durante la prima guerra mondiale è infermiera volontaria presso l’ospedale territoriale della Croce Rossa Italiana di Torino, in cui presta servizio come aspirante ufficiale medico nel laboratorio psico-fisiologico dell’Aviazione, diretto da Amedeo Herlitzka. Dopo alcuni anni in qualità di assistente presso diverse cliniche, nel 1928 lavora con il titolo di medico per le malattie nervose dei bambini presso l’ospedale pediatrico Koelliker di Torino, dando così inizio alla sua carriera di neuropsichiatra infantile. Nel 1927 si reca a Parigi per perfezionarsi in malattie mentali e malattie nervose. Sebbene la sua formazione sia ricca di riconoscimenti e nonostante l’ottima preparazione, Luisa incontra non poche difficoltà ad essere assunta nelle diverse cliniche psichiatriche, dove, in caso di pari merito, le vengono preferiti i suoi colleghi maschi. La dottoressa non si arrende e nel 1928 vince un posto, dedicato a sole donne, bandito dai manicomi centrali veneti per la colonia medico-pedagogica di Marocco di Mogliano, fondata da Corrado Tummiati. Negli anni successivi pubblica diversi articoli sulla mente dei bambini e sulla loro rieducazione. Le peripezie di Luisa, però, non sono finite e dopo un anno dall’assunzione il direttore amministrativo la induce a dare le dimissioni. Nel 1932 viene accettata nella Casa di Grugliasco, dove rimane fino all’emanazione delle leggi razziali. Durante la seconda guerra mondiale, privata del lavoro, si ritira nella campagna di Alassio, di proprietà dei genitori, e qui si dedica a lavori agricoli. Dopo l’8 settembre 1943 si rifugia con la madre a Torrazzo Biellese, dove vive sotto falso nome. Qui, grazie al Comitato Femminile di Ivrea, collabora attivamente come medico della settatantaseiesima Brigata Garibaldi. Nel secondo dopoguerra, determinata a portare avanti il suo impegno scientifico e politico, Luisa Levi entra in Unità Popolare e fa parte della sezione PSI “Matteotti” di Torino;  diventa poi membro attivo dell’UDI (Unione Donne Italiane) e si iscrive alla Camera Confederale del Lavoro della città subalpina. Continua a dedicarsi alla neuropsichiatria infantile dopo aver conseguito la libera docenza con la tesi su “Infanzia anormale” nel 1955. Dopo una vita passata a lottare, trova finalmente riposo proprio nella città da cui era partita: si spegne, infatti, a Torino nel dicembre del 1983.

 

Alessia Cagnotto

“Quadila Festival” ritorna ad Albugnano e dintorni

Il Festival che porta nel Monferrato teatro, musica e “scambio di saperi”

Dal 10 al 27 luglio

Albugnano (Asti)

Vista mozzafiato. Il “Balcone del Monferrato”, l’astigiana Albugnano (con i suoi siti di storica bellezza, dal “Belvedere Motta” alla “Corte del Gelso Antico” fino al “Cortile dell’antica Canonica” e all’“Abbazia di Vezzolano”) ritorna ad accogliere, da giovedì 10 a domenica 27 luglio, con alcuni Comuni limitrofi e per il quinto anno consecutivo, il “Quadila Festival”, come sempre ideato e realizzato dalla locale Compagnia Teatrale “Lo Stagno di Goethe” – ex “Compagnia Marco Gobetti” – con il patrocinio e il sostegno del “Comune di Albugnano” e della “Fondazione Enrico Eandi”. Definito dagli stessi organizzatori “un crocevia di teatro, musica e ‘scambio di saperi’”, il Festival ruoterà quest’anno intorno al tema “Tragedia e Libertà”, invitando il pubblico partecipante ad una riflessione sul “rapporto tra conoscenza, destino e autodeterminazione”. Le domande che attraversano ed ispirano l’intera proposta sono, a detta sempre degli organizzatori: “Quando la libertà può tramutarsi in tragedia? E viceversa? E’ possibile raggiungere la libertà attraverso la conoscenza?”. Domande da un milione di dollari (o, meglio, se più v’aggrada, di Euro … visto come al momento vanno le cose), sicuramente in attesa di risposte per cui impegnarci di buzzo buono e, nel contesto specifico, attraverso l’accettazione di un palinsesto che propone, in primis, tanto “teatro” con, al centro, tematiche spesso urgenti, come, ad esempio (tanto per citarne alcune), il “caporalato”: è il caso di “Pomodoro” di e con Pasquale Buonarota e Alessandro Pisci, in programma domenica 13 luglioalle 21,30, nel cortile dell’“Antica Canonica” di Albugnano.

Mafia, omertà e giustizia saranno invece i cardini su cui riflettere, venerdì 11 luglioalle 21, nell’“Area Panoramica Don Pino Puglisi” di Aramengo, con lo spettacolo teatrale “Il mare a Cavallo”, interprete Antonella Delli Gatti, dedicato a Felicia Bartolotta, madre di Peppino Impastato, giornalista siciliano ucciso a Cinisi da “Cosa Nostra” il 9 maggio del ’78.

A seguire “Pompei. Persone di gesso” è, invece, una “lezione recitata” (sabato 19 luglioore 9, al “Giardino don Luigi Bruno” di Pino d’Asti) per ragionare sul rapporto con le paure e i sentimenti altrui, mentre la giornata di sabato 26 luglio sarà interamente dedicata alla scrittrice Gina Lagorio, nel ventesimo anniversario della morte, tramite una maratona letteraria nel chiostro dell’“Abbazia di Vezzolano” e uno scambio di “saperi” con le figlie Silvia e Simonetta.

Uno sguardo all’“attualità” si aprirà con l’appuntamento “Leggenda e popolo ai tempi della Palestina sterminata”, alla presenza di Viviana Codemo, ricercatrice e attivista, che si occupa della Palestina da oltre trent’anni (venerdì 25 luglioalle 21, Albugnano “Cortile dell’Antica Canonica”).

E ancora. Per una nota di internazionalità, ecco “Batallando: la vida es sueño”, uno spettacolo interattivo in collaborazione con “AstiTeatro”, in calendario sabato 19 luglioalle 21,15, sempre nel “Cortile dell’Antica Canonica” di Albugnano.

Le due settimane di appuntamenti – tutti gratuiti – daranno ampio spazio anche alla musica con, tra gli altri, il concerto della “band indie rock” torinese “Perturbazione”, che onorerà l’eredità musicale di De André (venerdì 18 luglioalle 21,30) con il concerto “La buona novella”; mentre, a chiudere il “Festival” saranno i “Lou Dalfin” con “Bistrò Dalfin”domenica 27 luglioalle 21,30. Entrambe le serate sono in programma al “Belvedere” di Albugnano.

Chicca sicuramente gradita e affollata di quest’anno sarà il “Quadila bar”, a cura di “Spiriti in Cantina, nel “Cortile dell’Antica Canonica” di Albugnano.

Per info sul programma nel dettaglio: www.quadila.com

g.m.

Nelle foto: Scene da “Il mare a cavallo” (Ph. Emanuele Basile) e “Pomodoro”; I “Perturbazione”

Torino sul podio: primati e particolarità del capoluogo pedemontano

 

Malinconica e borghese, Torino è una cartolina daltri tempi che non accetta di piegarsi allestetica della contemporaneità.
Il grattacielo San Paolo e quello sede della Regione sbirciano dallo skyline, eppure la loro altitudine viene zittita dalla moltitudine degli edifici barocchi e liberty che continuano a testimoniare la vera essenza della città, la metropolitana viaggia sommessa e non vista, mentre larancione dei tram storici continua a brillare ancorato ai cavi elettrici, me nel contempo le abitudini dei cittadini, segnate dalla nostalgia di un passato non così lontano, non si conformano allirruente modernità.
Torino persiste nel suo essere retrò, si preserva dalla frenesia delle metropoli e si conferma un capoluogo a misura duomo, con tutti i pro e i controche tale scelta comporta.
Il tempo trascorre ma lantica città dei Savoia si delinea unica nel suo genere, con le sue particolarità e contraddizioni, con i suoi caffè storici e le catene commerciali dei brand internazionali, con il traffico della tangenziale che la sfiora ed i pullman brulicanti di passeggeri sudaticci ma ben vestiti.
Numerosi sono gli aspetti che si possono approfondire della nostra bella Torino, molti vengono trattati spesso, altri invece rimangono argomenti meno noti: in questa serie di articoli ho deciso di soffermarmi sui primati che la città ha conquistato nel tempo, alcuni sono stati messi in dubbio, altri riconfermati ed altri ancora superati, eppure tutti hanno contribuito e lo fanno ancora- a rendere la remota Augusta Taurinorum così pregevole e singolare.

1. Torino capitale… anche del cinema!

2.La Mole e la sua altezza: quando Torino sfiorava il cielo

3.Torinesi golosi: le prelibatezze da gustare sotto i portici

4. Torino e le sue mummie: il Museo egizio

5.Torino sotto terra: come muoversi anche senza il conducente

6. Chi ce lha la piazza più grande dEuropa? Piazza Vittorio sotto accusa

7. Torino policulturale: Porta Palazzo

8.Torino, la città più magica

9. Il Turet: quando i simboli dissetano

10. Liberty torinese: quando leleganza si fa ferro

 

1-Torino capitale… anche del cinema!

Torino è grande! Torino è bella, lo gridava Sandro Replay alle serate Parhasar, e vediamo quanti di voi, cari lettori, sorridono continuando la cantilena che quasi tutti i veritorinesi hanno pronunciato goliardicamente almeno una volta, certo ormai un podi tempo fa.
Vi ho sbloccato un ricordoperché in questo articolo vorrei raccontarvi di Torino sotto veste di capitale, tuttavia non dItalia (1861 – 1865), ma della Settima Arte, che proprio qui vede i suoi natali, grazie a personalità come Vittorio Calcina e Arturo Ambrosio.
È il 1895, nel negozio di ottica di Arturo Ambrosio viene esposto il Kinetoscopio di Edison, parente prossimo del celeberrimo cinematografo Lumière, strumento che proietta immagini in movimento, creando quella magia immortale che illude losservatore e lo inganna, trasportandolo in luoghi e momenti inaspettati attraverso rappresentazioni fittizie.
Anche se alcuni attestano una prima proiezione nel mese di marzo 1896, presso il Caffè Romano di piazza 
Castello, la versione ufficiale vuole che tale avvenimento si fosse svolto il 7 novembre dello stesso anno, presso l’Ospizio di Carità di via Po 33.
Lasciamo stare i cavilli, la rivoluzione cinematografica è ormai nata e da subito stupisce e destabilizza gli osservatori increduli; le immagini scorrono su un formato di 1,60 mt per 1,29 mt -quasi quanto alcune televisioni odierne-, i filmati hanno breve durata, come attesta “La Bohémienne dei bébès”, una delle prime pellicole trasmesse, con protagoniste otto bambine con i grembiulini bianchi che ballavano la polca.
Limpatto è talmente sconvolgente che ad esso seguono altri due primati: la prima proiezione con un pubblico pagante qualche mese più tardi rispetto al primo evento gratuito- e decisamente diversi anni dopo, nel 1971- la nascita del primo cinema dessai in Italia, il Cinema Romano, situato nella Galleria Subalpina, oggi rinominato Lux. E siccome non c’è due senza tre, nel 1983, Torino si conferma città del cinema con linaugurazione del cinema Eliseo, il primo multisala della penisola.
Ma andiamo per ordine: il 30 aprile 1911 si svolge nel capoluogo piemontese l’Esposizione internazionale delle industrie e del lavoro, una manifestazione imponente che espone numerosi cinematografi nei diversi padiglioni, a dimostrazione del fatto che già nel 1908 a Torino si girava ben il 60% della produzione filmica italiana, senza tener conto che a partire dal 1910 la casa di produzione Ambrosio distribuisce su larga scala i noti film serie nera, una sorta di storie gialle impreziosite dai drammi personali dei personaggi.
Pare incredibile, ma lAmerica allepoca guardava verso lItalia con stupore ed invidia, non solo per la grande macchina dellindustria cinematografica, ma anche per i divi e le dive che il grande schermo rendeva idoli indiscussi.
Sono gli anni del bianco e nero e del cinema muto, tutto è incentrato sulle movenze degli attori, gli sguardi, la gestualità estremizzata e teatrale, gli attori divengono Stars, impongono mode, dettano regole non scritte, infrangono i cuori dei giovani.


È il caso della bella Mary Cléo Terlanini, nota per aver recitato in Spergiura!, o di Lydia Borrelli, particolarmente amata dal pubblico maschile torinese, che addirittura morivaper il suo fascino, mentre le donne la imitavano a tal punto da far nascere una moda basata su un atteggiamento di emulazione totalizzante nei confronti della bella attrice, ilBorellismo. Francesca Bertini, charmantee gracile, invece era lincarnazione della divaper eccellenza, si dice infatti che pretendesse un abito nuovo e diverso per ogni scena girata, ovviamente cucito su misura dalla sua sarta personale, e che terminasse di lavorare alle 17.00 del pomeriggio per prendere il té in un grande albergo. Notata addirittura dalla Fox, Francesca preferisce alla grossolana America un amorevole banchiere svizzero, Alfred Paul Cartier.
Dietro i volti iconici e ben truccati degli interpreti in primo piano, si svolge il duro lavoro dei macchinisti, dei truccatori, degli scenografi, dei musicisti e di tutti coloro che finiscono nel dimenticatoio dei titoli di coda, eppure Vittorio Calcina, indifferente al rischio di non passare alla gloria, non si arrende ed elabora le prime pellicole con regia torinese, tra di esse si annovera un filmato realizzato presso il Castello di Monza, con protagonisti re Umberto I e consorte, i quali dimostrano una discreta curiosità per questa nuova tecnologia. Il girato viene trasmesso nella Birraria in via Garibaldi 10, luogo in cui si svolgono numerosi spettacoli diurni e serali, anche se il primo locale effettivo e stabile, in cui i film verranno proiettati periodicamente, sarà l’Edison, in via delle Finanze ora via Cesare Battisti-.
Nel frattempo il lungimirante Arturo Ambrosio parte per una gita in montagna, carico di una macchina da presa donatagli da uno dei fratelli Pathé – i creatori dellomonima società cinematografica, nata a Varennes, in Francia- con la quale gira il primo film prodotto a Torino: La corsa automobilistica Susa-Moncenisio. È linizio del successo per Arturo, che grazie alla riuscita del suo operato, apre uno studio di posa nel giardino di casa sua via Nizza 187- dedicandosi alla realizzazione di film comici, drammatici e diversi documentari.
La nascita della Settima arte porta con sé lo sviluppo del sonoro e della comunicazione senza fili, è tutta una tecnologia brulicante di scoperte e sviluppi, che dun tratto portano alla realizzazione di Cabiria, un vero e proprio kolossal, sceneggiato da Gabriele DAnnunzio e passato alla storia per essere stato il film più lungo, costoso ed innovativo dei tempi del cinema muto.
Impossibile non temporeggiare su tale argomento, tanto più che il temibile dio Moloch ancora ci osserva, incatenato, dallinterno del Museo del Cinema, situato presso la Mole Antonelliana.
Tra il 1913 e il 1914 Torino non invidia nulla alla celebre Hollywood, la stessa pellicola di Cabiria è nota negli Stati Uniti come the daddy of spectacles, ossia il papà di tutti gli spettacoli: la vittoria è garantita.
Giovanni Pastrone, il regista, propone un modello di spettacolo innovativo, che si differenzia dal cinema prodotto in precedenza, sotto molteplici punti di vista come la durata (tre ore e dieci minuti), il budget esorbitante (un milione di lire-oro), gli effetti speciali, i movimenti di carrello e luso espressivo della luce, senza dimenticare la Sinfonia del fuoco composta da Ildebrando Pizzetti e laccompagnamento in sala di coro e orchestra, per le proiezioni più prestigiose. È lopera darte totale, non stupisce a questo punto la collaborazione con DAnnunzio, il quale provvede alla stesura delle didascalie letterarie ed inventa il nome Cabiria, ossia nata dal fuoco.
Le scene del kolossal vengono girate in molteplici zone tra Torino, Tunisia, Sicilia, le Alpi, i laghi di Avigliana, Valli di Lanzo e allinterno di Villa Pastrone di proprietà del regista-.
Della musica invece si occupa Manlio Mazza con la breve ma intensa Sinfonia del fuoco di Ildebrando Pizzetti.
La prima si svolge il 18 aprile 1914, al Teatro Vittorio Emanuele di Torino e in contemporanea al Teatro Lirico di Milano. Le innovazioni del film quali lampade elettriche per il chiaroscuro, scenografie ricostruite in cartapesta, il carrello per muovere la cinepresa sulla scena e la tecnica della sovrimpressione, donano fama immediata a Cabiria, la critica rimane benevolmente impressionata dallopera, così come il pubblico, tanto che il kolossal resterà in cartellone per sei mesi a Parigi e per quasi un anno a New York. È bene non dimenticarsi che proprio Cabiria è stato il primo lungometraggio della storia ad essere proiettato alla Casa Bianca.


Ben si collega a questi gloriosi inizi il progetto di costruzione di un museo del cinema italiano, idea portata avanti a partire dal 1941 da Maria Adriana Prolo, con il sostegno artistico dello stesso Giovanni Pastrone e con laiuto del giornalista Francesco Pasinetti.
Sarà tuttavia necessario attendere il 1995 affinché la Mole Antonelliana venga scelta come sede ultima della grande esposizione, proprio in occasione del centenario della nascita del cinema; per tale evento collaborano l’architetto torinese Gianfranco Gritella e lo scenografo svizzero François Confino, il progetto in seguito si amplia e si modifica, accrescendo di pari passo fama e apprezzamenti, tanto che nel 2000 il museo viene visitato da oltre due milioni di visitatori.
Già conosciuto a livello internazionale, nel 2004, con il film Dopo Mezzanottedi Davide Ferrario, il Museo del Cinema di Torino tocca lapice della notorietà, mentre due anni dopo viene ulteriormente restaurato e rinnovato in occasione dei XX Giochi Olimpici invernali; lallestimento si arricchisce di postazioni multimediali e interattive, tre nuovi ambienti dedicati al western, al musical e alla fantascienza.
È proprio negli anni 2000 che Torino festeggia il suo personale legame con il cinema, grazie allinaugurazione del suggestivo apprestamento già citato di François Confino, il 20 luglio dello stesso anno, ma anche perché nel medesimo giorno viene costituita la Film Commission Torino Piemonte, con lo scopo di promuovere Torino ed il Piemonte come locations cinematografiche e televisive.
Ventanni dopo il capoluogo è ufficialmente nominato Capitale del Cinema 2020. È in tale occasione che si sottolinea la numerosa varietà di enti, associazioni, istituti e laboratori che si contraddistinguono per eccellenza nel panorama cinematografico nazionale ed europeo e che hanno sede proprio qui, nella città attraversata dal Po e ombreggiata dal Monviso. Sempre nel 2020 si svolge Torino Città del Cinema 2020. Un film lungo un anno, un progetto ambizioso, sostenuto da Città di Torino, Museo Nazionale del Cinema e Film Commission Torino Piemonte, con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in collaborazione con Regione Piemonte, Fondazione per la Cultura Torino, media partner Rai. Liniziativa continua a crescere e a coinvolgere ulteriori proposte, che nel tempo hanno contribuito a fondere linvenzione del grande schermo con il territorio torinese, a tal proposito è impossibile non citare lideazione de I luoghi del cinema, piano che prevedeva la realizzazione di allestimenti impattanti ed immersivi in alcuni specifici angoli della città.
È bene a questo punto fare i conti con il nostro snobismo torinese e riconoscere il ruolo più che rimarchevole che Torino ed il Piemonte hanno assunto nel mondo del cinema, nonché la loro notevole rilevanza dal punto di vista dello sviluppo dellindustria cinematografica, dello sviluppo di talenti e professionalità e delle ricadute in termini di promozione, anche internazionale, dellimmagine della città e dellintero territorio.
Vi invito dunque, cari lettori, a tornare ad andare più spesso al cinema, magari a vedere qualche produzione nostrana senza scetticismi o giudizi a priori, non solo per laria condizionata, ma perché siamo ormai talmente abituati alla comodità delle piattaforme da divano, che ci siamo scordati della meraviglia e della vera magia del grande schermo.
Daltronde è da tempo che il cinema ci insegna a guardare, ad ascoltare e a sentire, ci apre al confronto, ci fa affacciare su mondi distanti, ci racconta grandi storie, e anche se imparare costa fatica, sarà sempre meglio che restare inscatolati in una comoda e preconfezionata routine.

ALESSIA CAGNOTTO

 

 

Quando VideoGruppo era la finestra televisiva su Torino

TORINO CITTA’ DEL CINEMA, DELLA RADIO E DELLA TELEVISIONE

 

VIDEO PIEMONTE  – Intervista a Paola Zeni

Quando VideoGruppo Piemonte era la finestra televisiva su Torino (e non solo)

In un mondo televisivo dominato da produzioni internazionali, parlare di riscoperta degli archivi delle televisioni locali italiane può sembrare un discorso molto lontano dalla nostra contemporaneità. Al contrario, la prima vera televisione, quella fatta dalle emittenti locali, custodisce un tesoro inestimabile della cultura e della società della seconda metà del ‘900.

La Professoressa Paola Zeni dell’Università di Torino è una delle collaboratrici di ricerca del progetto ATLAS – Atlante delle televisioni locali, nato dall’Università di Bologna, e volto a indagare le pratiche delle emittenti private in Italia dal 1976 al 1990.

Di seguito, la Professoressa Zeni racconta lo sviluppo e i risultati della unità di ricerca incentrata sull’emittente piemontese VideoGruppo.

Nella sezione PERCORSI del sito ATLAS si trovano 15 percorsi tematici: 5 dedicati alle emittenti e gli altri dedicati a delle tematiche ricorrenti – come l’uso del telefono, la cronaca bianca o lo sport – che si evincono dai palinsesti delle televisioni locali.

Dal sito ATLAS è possibile entrare gratuitamente e senza registrazione su AMSHistorica, il database digitale che contiene molti dei filmati originali di VideoGruppo ritrovati e resi disponibili proprio grazie al lavoro di ricerca.

B: Come è nato il progetto?

P. Z.: Il progetto nasce da un’intuizione del Professor Luca Barra dell’Università di Bologna, che da sempre si occupa di televisione a 360°. L’interesse e la passione accademici continui e decennali di Barra lo hanno spinto a dedicare un approfondimento alle televisioni private in Italia. Se la televisione nazionale è un tema su cui ormai ci sono numerosissimi studi ed approfondimenti, la televisione locale è ancora poco affrontata, se non da un punto di vista memorialistico. Un esempio è Giuseppe Sacchi, fondatore di Telebiella nel 1971, ha lasciato delle memorie da cui si è costruita la vita dell’emittente.

Luca Barra voleva studiare queste televisioni in maniera più sistematica, dedicare all’emittenza privata in Italia un’attenzione più specifica e che vada ad indagare come complessivamente si è sviluppata un’idea di televisione che è un’alternativa alla televisione nazionale.

L’intento ultimo, quindi, è quello di studiarla a fini estetici, culturali e sociali; per fare ciò è necessario studiare la teoria ma soprattutto le pratiche, che spesso nascono in contesti piccoli. Video Piemonte è infatti un’iniziativa famigliare nata da un ingegnere che si occupa di mineralogia, Sergio Rogna Manassero, che acquista apparecchi di trasmissione e inizia a fare la televisione.

Dopo aver avuto l’intuizione della ricerca, lo step successivo è stato capire come muoversi.

L’idea vincente è stata quella di selezionare delle 5 emittenti campione in giro per l’Italia (Video Gruppo Piemonte, Telesanterno, AntennaTre, Sardegna 1 e TeleRoma56) ed affidare lo studio delle singole a un’unità di ricerca.

B: Come mai solo cinque mittenti e perché proprio queste?

P. Z.: Ogni triennio il Ministero della ricerca finanzia dei progetti di rilevante interesse nazionale che si strutturano con un’unità capofila – in questo caso l’Università di Bologna con Luca Barra come Principal Investigator – affiancata da altre legate a sedi universitarie che contribuiscono alla ricerca. A Torino il Professor Fassone è il Responsabile dell’Unità e io, Professoressa Zeni, sono collaboratrice di ricerca.

Sono state selezionate, quindi, le emittenti che meglio hanno rappresentato la regione di nascita e i cui palinsesti hanno avuto maggiore risonanza anche a livello nazionale.

B: Cosa differenzia VideoGruppo Piemonte delle altre emittenti locali?

P.Z.: Grazie alla direzione di Sergio Rogna Manassero, VideoGruppo si propone come televisione con intenti sia culturali che politici, molto interessata a trasmettere sia le iniziative culturali della città, sia a portare personalità politiche regionali in studio. Non mancano anche i programmi ludici e i quiz, ma si tratta sempre di un intrattenimento orientato a una postura particolare, molto diversa da quella milanese o di AntennaTre. Rispetto a queste emittenti, che hanno aspirato a fare il salto a televisione nazionale, Sergio Rogna ha sempre seguito la vocazione della località. Non a caso, lo slogan di Sergio Rogna era “Il nostro studio è la città”.

B: Dove e come sono stati reperiti i materiali audiovisivi studiati dalla ricerca?

P. Z.: Ogni unità ha avuto un’esperienza diversa: chi si è occupato di AntennaTre ha potuto contare su un patrimonio già digitalizzato, dovuto a un’efficiente archiviazione interna; in altri casi il materiale è stato poco e difficile da reperire. Per quanto riguarda VideoGruppo, bisogna partire dal presupposto che non esisteva un vero e proprio archivio, ma, come spesso accade, era frammentato, disperso.

Io, dovendo pur partire da qualche parte, sono andata alla Camera di Commercio di Torino, ho chiesto l’apertura del fascicolo VideoGruppo, mi hanno dato qualche scatolone che ho meticolosamente consultato: ho trovato principalmente materiale che descrive l’emittente da un punto di vista burocratico. Un’altra gran parte di materiale cartaceo ci è stato dato da Sergio Rogna Manassero.

Con VideoGruppo bisogna ammettere di aver avuto una grande fortuna: l’emittente ha tenuto traccia in maniera rigorosa, anno per anno, di tutti i programmi andati in onda, di tutti gli ospiti intervistati, di tutto ciò che succedesse in studio, grazie anche a Federico Peiretti (fondatore dell’AIACE).

Per quanto riguarda i materiali video, è stato necessario chiedere il permesso a Sandro Parenzo, il presidente di Mediapason, per prendere gli umatic ancora presenti nella vecchia sede di VideoGruppo. Una volta reperite decine di cassette e un lettore idoneo, è partita l’analisi e la digitalizzazione di tutto questo materiale.

B: Dove è possibile consultare i risultati della ricerca?

P. Z.: Abbiamo implementato il sito ATLAS con i risultati della ricerca. L’output principale della ricerca è stato il caricamento del materiale audiovisivo e scritto su AMSHisitorica, una sorta di galleria digitale dell’Università di Bologna che contiene una selezione ampia di materiali che sono stati raccolti durante la ricerca di VideoGruppo Piemonte. Ci sono degli estratti video e interviste con professionisti che sono stati digitalizzati e sono visibili da tutti. Ad esempio, è possibile vedere il servizio fatto da VideoGruppo sul Papa Giovanni Paolo II in visita a Torino nel 1980.

B: Cosa differenzia un filmato realizzato dalla televisione nazionale da uno realizzato da una tv locale, come ad esempio questo del Papa a Torino?

P. Z.: Nel filmato dell’emittente locale c’è una certa specificità, ha un gusto e un orientamento spiccatamente locale. È più attento al tessuto cittadino: anche durante un evento così grande, l’interesse di VideoGruppo è quello di sentire la parola dei passanti, dei cittadini. Dagli anziani ai bambini, si trasmette un contenuto libero, genuino, che rispecchia la cittadinanza. È anche per questo che VideoGruppo ha avuto così tanto successo.

B: Se dovesse nominare un programma di VideoGruppo che più rappresenta Torino, quale sarebbe?

P. Z.: Viene alla mente “La città chiama, risponde il sindaco”. Durante la trasmissione l’allora Sindaco di Torino, Diego Novelli, ingaggiato da Sergio Rogna Manassero, accetta in diretta ogni venerdì sera alle 19 negli studi televisivi (ai tempi nei sotterranei della galleria Cinema Romano) le chiamate dirette dei cittadini. Un piccolo estratto si trova proprio nel sito. Questo programma, unico nel suo genere, ha un successo enorme, tanto da occupare l’intero traffico telefonico della città. Con questo programma si rivaluta la comunicazione televisiva, che diventa ora bidirezionale, uno scambio tra spettatore/cittadino e conduttore.

B: Sono da poco terminati i tre anni di questa ricerca che ha riscoperto e riportato alla luce il valore culturale e sociale delle emittenti locali. Cosa rimane?

P.Z: Più che pensare a cosa è rimasto, mi piace pensare a cosa è stato avviato.

Sicuramente rimane un nuovo deposito digitale consultabile da tutti e ricco di materiale che fino a poco tempo fa era inaccessibile.
Quello che speriamo di aver avviato è, innanzitutto, un interesse per l’emittenza privata e la volontà di ricostruire questi archivi. In generale, speriamo di aver dato il via a una modalità di studio diversa, che non sia solo quella storica e sommaria, ma che sia fatta di casi studio particolari.

Grazie all’intuizione del Professore Luca Barra, questa ricerca ci ha permesso di mettere 5 puntatori dell’emittenza privata in una cartina dell’Italia che fino a tre anni fa era muta. La speranza è che questi puntatori diventino sempre più e sempre più consistenti.

BEATRICE PEZZELLA

Teatri storici del Piemonte: il Sociale “Giorgio Busca” di Alba

A cura di piemonteitalia.eu

Le nuove esigenze culturali e sociali dell’emergente borghesia albese contribuiscono a rendere obsoleto, a metà Ottocento, il vecchio Teatro Perucca, costituito da appena ventisei palchi: perciò nell’ambito della ristrutturazione urbanistica che in questi stessi anni ridisegna la città, sulla scia della ripresa economica, viene anche inserito il progetto per un nuovo teatro…

Leggi l’articolo:

https://www.piemonteitalia.eu/it/cultura/teatri-storici/teatro-sociale-giorgio-busca-di-alba

Ghëddo, il progetto innovativo che promuove l’arte a Torino

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Ghëddo, associazione culturale no profit guidata da Olga Cantini, Barbara Ruperti, Marta Saccani, Rachele Fassari e Davide Nicastro, nata nel 2021 insieme a TO.BE, l’open call arrivata oggi alla sua quarta edizione, è un progetto finalizzato all’organizzazione di progetti culturali che valorizzino e promuovano la giovane arte emergente, creando una rete dinamica tra artistə e spazi artistici del territorio torinese, come gallerie, spazi indipendenti, fondazioni e istituzioni.

“Come gruppo, al biennio di Comunicazione, temevamo di non avere tutti gli strumenti necessari per il nostro futuro lavorativo nel mondo dell’arte, sia noi come curatorə e comunicatorə, sia per lə giovani artistə – racconta il team di Ghëddo – É dalla necessità di colmare il vuoto che percepivamo, quello tra la formazione e l’effettivo lavoro nel mondo dell’arte che nasce Ghëddo, ma soprattutto il suo progetto di lancio TO.BE che permette allə artistə di esporre in gallerie e spazi del territorio di Torino. Concepiamo l’arte come strumento comunicativo, e al contempo come messaggio in grado di mettere in moto azioni e di generare valori nuovi all’interno di una comunità. Il nostro progetto mira a creare una rete dinamica con artistə e spazi indipendenti del territorio, favorendo esperienze di cooperazione e di scambio tra artistə e realtà cittadine al fine di costruire un legame solidale e generare delle dinamiche di scambio umano, etico, artistico coerenti con il tema dell’accessibilità, attraverso eventi gratuiti ed equi (parità di genere)”.

Ghëddo è guidato da cinque persone che operano in maniera orizzontale, condividendo responsabilità e decisioni. Olga Cantini si occupa di una parte della comunicazione, in particolar modo dei social media, dei rapporti con i partner e i media partner e dell’ideazione dei progetti e la loro messa in pratica. Rachele Fassari, tesoriera dell’associazione, si occupa della gestione economica e dei rapporti con lə collaboratorə esternə, si impegna a gestire i fondi. Barbara Ruperti cura la linea artistica e curatoriale, si occupa dell’ideazione dei progetti, della scrittura dei contenuti critici e delle relazioni con i partner culturali. Marta Saccani si occupa dell’ideazione, coordinamento e gestione dei progetti, gestisce i rapporti con lə artistə, collaboratorə e amicə di Ghëddo. Davide Nicastro è una figura jolly e trasversale, dall’ideazione dei progetti al reperimento di materiali utili.

“Oggi in Italia assistiamo a un panorama artistico estremamente frammentato, ma anche fertile, dove convivono pratiche tradizionali e sperimentazioni ibride – spiega il team di Ghëddo – Il panorama degli spazi indipendenti, dei collettivi e artist-run space è vitale e in fermento, ma spesso manca un riconoscimento istituzionale o una vera continuità progettuale. In questo contesto, molte realtà faticano a creare progettualità sostenibili e accessibili, non solo per lə artistə, ma anche per la sperimentazione artistica e curatoriale tout court. Spesso mancano gli spazi, le risorse economiche, ma anche i contesti relazionali in cui pratiche artistiche, riflessioni critiche e coinvolgimento attivo possano coesistere fuori dalle logiche di sistema. Ghëddo e le altre realtà come la nostra nascono in risposta a questo vuoto. La nostra proposta si colloca in una zona di confine tra spazio espositivo, laboratorio di pensiero e piattaforma di cura delle relazioni. Intendiamo l’arte non solo come produzione di oggetti o di mostre, ma come occasione di incontro, di interrogazione, di ricerca aperta e condivisa. Più che mancare in senso assoluto, realtà come la nostra rispondono a un bisogno diffuso ma ancora inascoltato. Quello di spazi che non siano solo contenitori, ma contesti dove attivare e riflettere su diverse qualità del fare. In un ecosistema artistico frequentemente orientato alla produzione, alla competizione e alla visibilità, riteniamo essenziale preservare luoghi di sperimentazione viva, in cui l’arte possa entrare in dialogo con la città, con le istituzioni e con le gallerie, mantenendo intatta la propria radicalità e accogliendo la complessità che caratterizza il panorama”.

“Per quanto riguarda la nostra open call TO.BE – continua il team di Ghëddo – selezioniamo lə artistə sulla base dei criteri del nostro bando: originalità dell’opera, efficacia espressiva, capacità innovativa nel campo delle arti visive. Lavoriamo con qualsiasi disciplina: scultura, installazione, sound art, performance, video, fotografia, pittura, grafica, arte multimediale o testuale. Quando collaboriamo con lə artistə nel progetto TO.BE, il nostro impegno non si esaurisce con la fine del programma: cerchiamo di dare continuità al dialogo e al supporto, creando occasioni future di collaborazione e valorizzazione delle loro ricerche. Per portare qualche esempio: l’artista torinese Silvia Basano, che negli ultimi due anni ha preso parte a due mostre collettive all’interno del progetto TO.BE (nel 2023 con Kissinkemmer e nel 2024 in Questo il mondo non lo saprà), a gennaio è stata coinvolta per partecipare alla prima edizione del nostro programma di residenza. In occasione della restituzione del progetto che Silvia Basano ha realizzato durante la residenza, in collaborazione con l’antropologo Mirko Vercelli, è stata coinvolta anche lə performer e artista Lux Aeterna, con cui avevamo già collaborato in occasione della mostra collettiva Il futuro è una schiuma cosmica. L’artista Rac Montoro, già presente nella mostra collettiva Kissinkemmer nel 2023, è statə nuovamente coinvoltə nel febbraio 2025 con la performance Broken Violet Dream, da noi curata, insieme ad altrə artistə con cui collabora abitualmente: Sirius Alexander Venus Rose, Erauqave e H’im. Nel luglio 2024, abbiamo portato un lavoro dellə artistə Lorenzo Peluffo e Enrico Turletti, che hanno partecipato alla mostra collettiva Il futuro è una schiuma cosmica, nella mostra curata da Osservatorio Futura al Forte di Exilles, intitolata Materie: sulla linea temporale del progresso la vita danza in cerchio. Nella stessa mostra, era presente anche un lavoro di Volga Sisa, artista che aveva esposto alla mostra personale Flor Inmortal da A PICK Gallery nel 2024. Entrambe le ricerche sono state oggetto di una riflessione critica a firma di Ghëddo, pubblicata all’interno del catalogo della mostra a cura di Osservatorio Futura. Al di fuori del bando TO.BE abbiamo avuto la possibilità di conoscere, interessarci e lavorare con altrə artistə torinesə e non solo. Nel novembre 2023, in occasione di Artissima, abbiamo curato la perfomance Sintetico di Plurale, collettivo di Verona insieme al quale abbiamo realizzato la fanzine Body of evidence: power, desire, desolation. Nel 2024 abbiamo esposto due lavori di Emma Scarafiotti e Virginia Argentero, artiste selezionate nella prima edizione del Premio promosso dalla Fondazione Recontemporary, a cui Ghëddo ha partecipato come partner in qualità di partner per una menzione speciale”.

“Nell’ambito del progetto TO.BE – conclude il team – abbiamo una novità per l’edizione 2025: oltre alle gallerie, fondazioni, e spazi indipendenti che collaborano e ospitano le mostre dellə giovani artistə, ci saranno anche alcune istituzioni torinesi. Questo ci rende molto felici perché significa ampliare le possibilità di crescita per lə artistə oltre ad essere una manifestazione di crescita di Ghëddo stesso. Per il nostro futuro ci auguriamo di raggiungere maggiori finanziamenti, in modo da poter dare ulteriori opportunità allə artistə e avere uno spazio in città tutto nostro. Ci piacerebbe sostenere le spese di produzione delle opere, offrire più budget per i trasporti delle opere e per tutte quelle spese di realizzazione di una mostra, ci stiamo lavorando. Se si scava bene e nel modo giusto, la città di Torino offre buone possibilità a realtà come la nostra”.

Gian Giacomo Della Porta

CAMERA a Les Rencontres d’Arles con la mostra su Letizia Battaglia

 

Arles, dal 7 luglio al 5 ottobre 2025

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia è lieta di annunciare la sua partecipazione al prestigioso Les Rencontres d’Arles 2025, il più importante festival di fotografia in Europa, in programma dal 7 luglio al 5 ottobre 2025 nella famosa cittadina francese, con la mostra Letizia Battaglia. Always in search of life curata da Walter Guadagnini, direttore artistico di CAMERA.

Il festival, nato nel 1970 nella città provenzale, si tiene ogni estate e rappresenta un punto di riferimento fondamentale per fotografi, curatori, critici e appassionati che raggiungono la Francia da ogni parte del mondo. Con numerose esposizioni diffuse in luoghi storici e spazi culturali della città, Les Rencontres d’Arles offre uno sguardo sul panorama internazionale attraverso progetti fotografici innovativi e approfondimenti su tematiche sociali, artistiche e culturali.

La mostra, coprodotta da CAMERA con Jeu de Paume, dopo una prima tappa a Tours trova una nuova casa nell’affascinante Chapelle Saint-Martin du Méjan di Arles con 160 immagini, tra stampe originali e moderne, e 20 documenti tra riviste e giornali per raccontare il lavoro della fotografa palermitana.

Grazie alla collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia, il progetto vuole mostrare le tante sfaccettature dell’attività della fotografa e il suo costante impegno sociale dagli esordi a Milano negli anni Settanta fino alla morte, avvenuta nel 2022. L’esposizione restituisce la potenza narrativa delle sue immagini, capaci di documentare senza filtri la violenza mafiosa, la dignità dei più fragili, ma anche la bellezza e le contraddizioni di Palermo e della Sicilia.

“CAMERA è tra i protagonisti al festival di Arles con una mostra dedicata a Letizia Battaglia, una delle più importanti fotografe italiane e un personaggio dalla dimensione internazionale. Siamo felici di trovarci in questo luogo che, nel corso dell’estate, diventa il centro nevralgico della fotografia mondiale – commenta Walter Guadagnini, direttore di CAMERA – un festival che da sempre scrive la storia della fotografia, trampolino per i talenti di domani e piattaforma dove si costruiscono nuove visioni. A rendere ancora più bello questo momento è la collaborazione con il Jeu de Paume, tempio della fotografia francese, che riconferma la reputazione anche internazionale che CAMERA ha conquistato nei suoi primi dieci anni di vita”.

 

“Una grande estate per CAMERA – commenta Emanuele Chieli, il presidente di CAMERA – che ha ricevuto, lo scorso 21 giugno ad Ostuni, uno dei più importanti riconoscimenti internazionali per la fotografia: il Lucie Award, nella categoria Spotlight. E ora CAMERA approda ad Arles e lo fa con una mostra di grande rilievo scientifico e sociale, realizzata insieme a prestigiose istituzioni. Nuove collaborazioni che ci rendono molto fieri e che confermano una crescita nazionale e internazionale, particolarmente significativa nell’anno che coincide con il nostro decimo anniversari. Dopo Arles l’esposizione proseguirà il suo tour in Italia e, nel 2026, approderà infine a Torino, negli spazi di CAMERA.”