CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 27

Con Andrea Ferraris e Andrea Serio, discettando di immaginario resistenziale

«E lei, che è antifascista si può dire dalla nascita, ha mai giocato con suo figlio ai partigiani? Si è mai acquattato dietro il letto fingendo di essere nelle Langhe e gridando attenzione, da destra arriva la Brigata Nera, rastrellamento, rastrellamento si spara, fuoco sui nazi?!

Così caro Stefano, ti regalerò dei fucili. E ti insegnerò a giocare guerre molto complesse, in cui la verità non sta mai da una parte sola, in cui all’occorrenza si debbano organizzare degli otto settembre. Ti sfogherai, nei tuoi anni giovani, ti confonderai un poco le idee, ma ti nasceranno lentamente delle persuasioni. Poi adulto, crederai che sia stata tutta una favola, Cappuccetto Rosso, Cenerentola, i fucili, i cannoni, l’uomo contro l’uomo,la strega contro i sette nani,gli eserciti contro gli eserciti.
Ma se per avventura, quando sarai grande vi saranno ancora le mostruose figure dei tuoi sogni infantili, le streghe, i coboldi, le armate, le bombe, le leve obbligatorie chissà che tu non abbia assunto una coscienza critica verso le fiabe e che non impari a muoverti criticamente nella realtà». Umberto Eco, Lettera a mio figlio,1964.
Così con l’intento di Eco ad Alba, su questa falsa riga, si è svolto il talk tra Andrea Ferraris e Andrea Serio, discettando di immaginario resistenziale nella letteratura di Beppe Fenoglio (Johnny siamo noi…padri e figli, Bella Ciao che partiamo) di trasmigrazione visiva dalla illustrazione al testo scritto e viceversa. Di come la fascinazione del lettore, porti più a conoscere il fatto letterario, che il fatto storico , in senso stretto. O come invece dico qui io ,Fenoglio confluì nelle Penne Nere alpine di Martini Mauri , lui più di sinistra gappista ,  aggregandosi, ai centristi bianchi del Partito d’Azione e di Giustizia e Libertà. Oggi diciamo storytelling, o la narrazione dominante. Ogni tempo ha la sua linguistica, il suo idioletto e le graphic novel, devono oggi ,essere modello di memoria da rinfrescare per gli adulti e modello di sviluppo e formazione per le nuove generazioni.Così domenica 22 settembre 2024 si è svolto il talk tra i due al Palazzo della Banca d’Alba, organizzato dal Centro Studi Beppe Fenoglio dal nome “Le strade del fumetto dalle Alpi al Mar Ligure” con moderazione di Chiara Stival.

Andrea Ferraris è una vecchia conoscenza del torinese.it, Andrea Serio è illustratore e fumettista, direttore della scuola internazionale di comics di Torino ,classe1973 carrarese.Per ricordare i 23 giorni della città di Alba ( 10 ottobre -20 novembre 1944) i suoi disegni esposti fino al 20 ottobre 2024. Duri giorni dall’ esito incerto e ricordando il mio caro nonno paterno Aldo come me, comandante partigiano nella Brigata Matteotti in val Germanasca, in val Chisone e colle del Lys. Riporto dal trattato dei Pikvei Avot (Talmud , ”le massime dei padri”):« Se io non sono per me, chi è per me? E se io sono solo per me stesso,cosa sono? E se non ora , quando?».

Aldo Colonna

Nella foto di copertina:

Autunno 1944, Borgata Fontane (val Germanasca). Il partigiano a destra è Eugenio Juvenal [Archivio famiglia Serafino]

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

SABATO 19 OTTOBRE

 

Sabato 19 ottobre
RABBIT INHABITS THE MOON
MAO – apre la mostra

In occasione del 140° anniversario dell’Accordo diplomatico tra Corea e Italia, il MAO Museo d’Arte Orientale di Torino, in partnership con il Nam June Paik Art Center (Corea), con la Fondazione Bonotto (Colceresa, VI) e con il supporto della Korea Foundation, presenta il progetto espositivo Rabbit Inhabits the Moon, a cura di Davide Quadrio, direttore del Museo, e Joanne Kim, critica e curatrice coreana, con Anna Musini e Francesca Filisetti. L’esposizione si avvale anche della consulenza curatoriale e scientifica di Manuela Moscatiello, Kyoo Lee e Patrizio Peterlini.

Rabbit Inhabits the Moon intende attivare un dialogo dinamico che riflette l’evoluzione del paesaggio culturale e artistico dei due Paesi, in particolare rileggendo l’eredità di Nam June Paik e la sua influenza sulle generazioni contemporanee.

Opere video, installazioni e nuove produzioni di artisti coreani, provenienti dalla collezione del Nam June Paik Art Center saranno accostate ad alcune tra le principali opere di Paik, molte delle quali in prestito dalla Fondazione Bonotto (Colceresa, VI), e a preziosi manufatti tradizionali provenienti da importanti musei nazionali e internazionali.

La mostra

Il progetto espositivo presenta 17 opere di Nam June Paik, fra cui l’installazione Rabbit Inhabits the Moon, che dà il titolo alla mostra, Plexiglass Cello TVFluxus Island in Décollage Ocean HumanEcce Homo e Zen for Head, oltre a 5 installazioni di sei artisti coreani contemporanei – Sunmin Park, Ahn Kyuchul, Unmake Lab, eobchae × Ryu Sungsil, Shiu Jin e Jesse Chun, e una nuova produzione di Park Jiha.

Il percorso è poi punteggiato da preziosi manufatti legati agli aspetti filosofici e rituali della tradizione culturale e artistica coreana, fra cui uno specchio in bronzo a otto lobi di epoca Goryeo, una bottiglia piriforme in gres del XV secolo e la Moon-jar di Kwon Dae-sup del 1952, giunti in prestito da prestigiosi musei d’arte asiatica in Italia e in Europa, tra cui il Museée national des Arts asiatiques Guimet di Parigi, il Museo E. Chiossone di Genova e il Museo delle Civiltà di Roma.

Proprio dal Museo E. Chiossone proviene anche l’Avalokitesvara Watermoon (XIV secolo), un raffinato dipinto su seta che potrà essere eccezionalmente esposto grazie al delicato restauro promosso in occasione della mostra.

Una sezione particolare del percorso a cura di Kyoo Lee sarà poi dedicata all’esplorazione della cultura sciamanica coreana in relazione alla figura di Nam June Paik, mentre una sala di consultazione sarà dedicata all’approfondimento degli artisti contemporanei su progetto dell’architetta coreana Kun-Min Kim.

Sabato 19 ottobre ore 9:45
LUNGO LE RIVE DEL PO
Palazzo Madama – attività per famiglie con bambini 5-13 anni

Oltre alla visita della mostra, le famiglie con bambini possono usufruire di una passeggiata lungo le sponde del Po in compagnia della guida naturalistica Alice Cimenti che li accompagnerà nella scoperta dell’habitat fluviale e della città osservata da una inedita prospettiva. Si osserveranno gli abitanti del fiume (piante e animali) per capire insieme come riconoscerli facendo attenzione agli elementi del loro habitat.

Il percorso ad anello ha una lunghezza di circa 4 km e permette di esplorare il lungo fiume e di osservare il Po dalla passarella

È necessaria la presenza di adulti accompagnatori.

Ritrovo nello spiazzo pedonale al fondo di Corso San Maurizio / angolo via Napione. Partenza alle ore 9.45.

Conclusione alle ore 13.00 al punto di ritrovo iniziale.

In caso di maltempo l’escursione sarà annullata attraverso una mail di comunicazione.

Prenotazione obbligatoria: t. 011.4429629 (lun.-ven. 09.30 – 13; 14 – 16);

madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

Sabato 19 ottobre ore 11
TALK CON ANNA ONESTI
MAO – Attività in occasione della mostra “La carta Hanji e gli aquiloni, opere dell’artista Anna Onesti” in corso dal 18 ottobre al 1 dicembre presso il Castello di Moncalieri, organizzata per festeggiare i 140 anni delle relazioni diplomatiche Italia/Corea.

La carta coreana nota con il nome di Hanji (한지) (da Han “Corea” e ji “carta”) ha un’origine così antica e un procedimento di produzione così particolare da connotare, con la sua presenza, la cultura e la vita coreana.

Questa carta detta anche “carta dei mille anni” è stata utilizzata da Anna Onesti per creare degli aquiloni, creazioni di forme contemporanee ma ispirate ad antiche tipologie legate alla tradizione coreana, come gli aquiloni scudo e gli aquiloni con il foro centrale. Il talk tratterà delle principali tappe della diffusione della carta Hanji in Italia e del suo utilizzo da parte degli artisti e dei restauratori.

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili. Tagliandi per accedere in distribuzione dalle 10.30.

Sabato 19 ottobre ore 16

WORKSHOP DI PRODUZIONE DELLE LANTERNE DI LOTO

MAO – laboratorio per ragazzi e adulti

L’Istituto Culturale Coreano in Italia e il Museo Arte Orientale di Torino (MAO) regalano al pubblico un’occasione per poter produrre con le proprie mani le tradizionali Lanterne di Loto Coreane!
Nelle giornate del 19 e 20 ottobre si terranno due workshop organizzati dall’Istituto Culturale Coreano e dal Yeondeunghoe (Festival delle lanterne) dell’Ordine Buddista Coreano Jogye, in cui i partecipanti potranno creare delle lanterne di loto. La luce delle lanterne simboleggia, infatti, l’amore e la saggezza che illuminano l’oscurità causata dall’avidità e dalla caparbietà dell’uomo.

Partecipazione gratuita, prenotazione obbligatoria a maodidattica@fondazionetorinomusei.it 

specificando nell’oggetto ‘Laboratorio Lanterne’

DOMENICA 20 OTTOBRE

Domenica 20 ottobre ore 11

WORKSHOP DI PRODUZIONE DELLE LANTERNE DI LOTO

MAO – laboratorio per ragazzi e adulti

L’Istituto Culturale Coreano in Italia e il Museo Arte Orientale di Torino (MAO) regalano al pubblico un’occasione per poter produrre con le proprie mani le tradizionali Lanterne di Loto Coreane!
Nelle giornate del 19 e 20 ottobre si terranno due workshop organizzati dall’Istituto Culturale Coreano e dal Yeondeunghoe (Festival delle lanterne) dell’Ordine Buddista Coreano Jogye, in cui i partecipanti potranno creare delle lanterne di loto. La luce delle lanterne simboleggia, infatti, l’amore e la saggezza che illuminano l’oscurità causata dall’avidità e dalla caparbietà dell’uomo.

Partecipazione gratuita, prenotazione obbligatoria a maodidattica@fondazionetorinomusei.it 

specificando nell’oggetto ‘Laboratorio Lanterne’

 

Domenica 20 ottobre ore 16

PRESENTAZIONE DI YEONDEUNGHOE (FESTIVAL DELLE LANTERNE)

MAO – talk

La talk approfondisce i significati e la spiritualità del Festival delle Lanterne di Loto, parte integrante della cultura coreana da più di mille anni e riconosciuto come Patrimonio Culturale Immateriale Nazionale nel 2012 e Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO nel 2020.

Questo affascinante Festival, noto in coreano come 𝙔𝙚𝙤𝙣𝙙𝙚𝙪𝙣𝙜𝙝𝙤𝙚, si ispira all’importante celebrazione coreana in onore del giorno della nascita di Buddha. Le lanterne di loto portano con sé un significato spirituale profondo, rappresentando la luce che illumina le anime oscurate dall’avidità e dalla caparbietà.

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili.

MARTEDI 22 OTTOBRE

 

Martedì 22 ottobre ore 17.30
IL GIOCO DI RUOLO E LE SUE POTENZIALITÀ: DISCIPLINE A CONFRONTO
MAO – talk in collaborazione con Departments & Dragons – UniTO

Il gioco di ruolo è un gioco di narrazione condivisa in cui alcuni giocatori rappresentano il loro alter ego in un mondo immaginario le cui vicende sono orchestrate da un master o narratore, ed è un fenomeno culturale che va oltre l’intrattenimento, offrendo un potente strumento di creatività e riflessione. Grazie alla co-creazione collettiva, i partecipanti influenzano direttamente la narrazione, sviluppando competenze sociali, empatiche e strategiche. Una conferenza interdisciplinare vedrà esperti di neuroscienze, legge, filosofia e medicina confrontarsi sulle potenzialità del GdR nei rispettivi campi. Nelle neuroscienze, il GdR viene utilizzato per studiare il comportamento umano e migliorare soft skills; in ambito legale, consente simulazioni di casi complessi; in filosofia, aiuta ad esplorare dilemmi etici, mentre in medicina supporta la formazione su comunicazione e gestione dello stress.

Partecipazione gratuita fino a esaurimento posti disponibili.

 

 

MERCOLEDI 23 OTTOBRE

Mercoledì 23 ottobre

SERGIO UNIA. IN ASCOLTO

Palazzo Madama – apre la mostra

L’esposizione presenta il lavoro artistico dello scultore monregalese Sergio Unia (Roccaforte Mondovì, 10 marzo 1943) grazie a una selezione di opere che trovano nel giardino del Castello degli Acaja una specifica risonanza, legata ai resti antichi, alla natura, al mutare del tempo e al paesaggio.

Il progetto nasce su iniziativa della Fondazione CRC, nell’ambito del progetto Donare.

Le tredici sculture in bronzo di Unia toccano alcuni dei temi universali sviluppati dall’artista – quali il rapporto con la natura, l’antico, l’infanzia e i giochi dell’adolescenza – facendo emergere la sua poetica figurativa, nutrita di classicità eppure fortemente contemporanea.

Ingresso incluso nei biglietti delle collezioni.

 

 

 

GIOVEDI 24 OTTOBRE

 

Giovedì 24 ottobre ore 16.30
DIVINITÀ E MITI, L’HINDUISMO NELLE COLLEZIONI DEL MAO
MAO – visita guidata speciale condotta dal prof. Alberto Pelissero in occasione di Divali

ATTIVITA’ FUORI SEDE a cura dei Servizi Educativi del MAO Museo d’Arte Orientale

In collaborazione con Unione Induista Italiana, UIT-Sanjivani, Coordinamento Spontaneo Divali

In occasione del Divali, la festa indiana delle luci, il Professor Alberto Pelissero – docente di Filosofie, religioni e storia dell’India e dell’Asia Centrale e di Lingua e letteratura sanscrita presso l’Università di Torino – accompagna il pubblico alla scoperta della statuaria dall’India e dal Sud Est asiatico nelle collezioni del MAO, tra rappresentazioni di divinità e di miti, che trascendono il tempo e permettono di affacciarsi sull’immensa ricchezza di una cultura millenaria e viva.

Visita guidata gratuita, ingresso secondo normali tariffe.

Prenotazione obbligatoria t. 011.4436928 oppure maodidattica@fondazionetorinomusei.it

La Famija piemonteisa di Roma compie 80 anni

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il prof. Quaglieni

La Famija piemonteisa di Roma compie 80 anni perché essa nacque pochi mesi dopo la liberazione di Roma del 4 Giugno 1944, quando il nuovo ministro del Tesoro Marcello Soleri – antifascista liberale fedelissimo di Giolitti – diede vita al sodalizio che avrebbe raccolto il fior fiore dei piemontesi che si erano trasferiti nella capitale per viverci o per esercitare funzioni pubbliche o private di rango. Era un’idea che si sarebbe potuta realizzare dopo il trasferimento della capitale a Roma nel 1870 con la nascita di nuovi quartieri romani, come il Prati, abitato prevalentemente da piemontesi.

La morte nel 1945 di Soleri non fu di ostacolo alla rapida crescita dell’associazione che fu presieduta dall’ing.   Mario Fano a cui succedette Luigi Einaudi governatore della Banca d’Italia e poi ministro e infine presidente della Repubblica.  Un altro presidente importante fu Giuseppe Pella economista biellese e presidente del Consiglio nel 1954. Presidente di spicco anche fu Adolfo Sarti, ministro di origini cuneesi anche lui democristiano come Pella. Furono presidenti anche i ministri liberali Renato Altissimo e Valerio Zanone. Eminenza grigia che volle essere soltanto vicepresidente, fu Renzo Gandolfo, un manager con forti interessi per la cultura piemontese il quale realizzò a Torino il Centro di studi piemontesi. Non vanno tuttavia dimenticati i nomi di Manlio Brosio, di Vittorio Badini Confalonieri e di Federico Chabod che incaricò lo storico siciliano Rosario Romeo di scrivere nel 1961 sul Conte di Cavour nel centenario dell’Unità d’Italia. Romeo trasse da quell’invito l’idea di scrivere l’immensa biografia in tre volumi del gran conte.

Alla Famija Piemonteisa si respira aria di Piemonte, ma non si è mai caduti nel piemontesismo.

L’attuale presidente, il giornalista radiofonico Enrico Morbelli, ne è la dimostrazione: un piemontese quasi sempre vissuto a Roma che ha mantenuto la casa di campagna in Piemonte dove torna ogni anno. Il Segretario generale Francesco Ugolini è l’anima organizzativa del sodalizio.

La Famija ebbe una sede sontuosa in cui si tennero memorabili convegni e sfarzose feste. Poi i costi si rivelarono impossibili da sostenere. Fu Valerio Zanone a chiudere la sede e a trovare un accordo con le diverse associazioni regionali esistenti a Roma che decisero di chiedere al sindaco Veltroni una sede da condividere. Per un certo periodo la Famija divenne l’associazione Piemontesi a Roma, perdendo un po’ del suo smalto storico. Il recupero dell’ antica denominazione piemontese è merito del presidente Morbelli.  Un numero alto e qualificato di piemontesi, orgogliosi delle proprie radici, che vivono a Roma, sentono la Famija come una sorta di “altera domus” subalpina nella capitale. Essa realizza ogni anno un’intensa attività culturale, dedicandosi al ricordo storico dei piemontesi illustri del passato e alla presentazione di libri di autori piemontesi, pur senza chiusure aprioristiche. Mario Soldati negli anni in cui si dedicò al cinema e visse a Roma, era solito dire che respirare un po’ di aria piemontese alla Famija e recarsi alla stazione Termini per tornare a Torino erano le sue massime aspirazioni di torinese costretto a vivere in una città che non amava, perché troppo identificata col fascismo vecchio e nuovo.

Al  Gobetti “L’origine del mondo, ritratto di un interno”

Debutta al teatro Gobetti martedì 22 ottobre alle 19.30 la pièce teatrale “L’origine del mondo, ritratto di un interno”, scritto e diretto da Lucia Calamaro, che ne ha curato anche le scene, i costumi, il disegno e le luci.

Lo spettacolo indaga la coscienza di una persona in lotta con la depressione, ed è prodotto dal Teatro di Roma, Teatro Nazionale, è interpretato da Concita de Gregorio, Carolina Rosi e Mariangeles Torres.

“L’origine del mondo, ritratto di un interno” rimarrà in scena al teatro Gobetti per la stagione in abbonamento dello Stabile di Torino fino a sabato 26 ottobre prossimo.

Fin dagli esordi la scrittura di Lucia Calamaro ha infranto diversi tabù. A quindici anni dal debutto “L’origine del mondo” si conferma un classico teatrale dei nostri tempi, uno di quei testi intorno al quale si sono addensati un immaginario e un riscontro fortissimi.

“Di fronte al tempo- racconta la regista Lucia Calamaro- alle crisi, alle mutazioni esistenziali. Magari sotto pressione, impotente, spesso isolato. Comunque inadeguato al rapporto, ma lo stesso presente. Decisamente depresso e si vede, uno fa fatica, però vive, trova strategie, si inventa. Si tratta di reagire. O al meglio adattarsi. Come si sta si fronte alle cose, quando peggio del rapporto con Uno, c’è solo il rapporto con gli altri? Lo sappiamo? Lo possiamo sapere? Esiste un Io generico guida? Non so, non mi pare. Da qui non mi azzardo alla teoria. Passiamo allo studio di un caso. Concita vive in un temporaneo autoricovero, lo ha scelto e non esce più. Da qui, dalla tana constata che lei di umano ne conosce veramente solo uno, convivono nello stesso corpo e a volte si distrae anche da lui. Se lo perde non lo capisce. Questa relazione fluttuante e disattenta spesso fa sì che non si ritrovi a essere contemporanea neanche a se stessa. Un convivente, anche lui familiarizzante con l’umano di Concita, la richiama a lei e al tempo, la figlia Alice, che rappresenta il suo Atlante domestico. Tanto che a volte uno si chiede chi ha messo al mondo chi. Nella casa in cui si muove con sua figlia, temporaneamente rinchiuse in cerca di un senso latitante, appaiono figure della soglia, abitanti del dentro-fuori che irrompono e agiscono. Figure queste tutte animate dalla stesa volontà, tirarla fuori. Si avvicendano sulla scena, strappando alla loro intimità duettistica, l’analista di Concita e sua madre Lucia. Gente che sta più fuori che dentro, ma a volte anche troppo dentro troppo fuori.

Ma che ne sanno loro della fatica necessaria a sondare gli intrecci traumatici nascosti nelle geometrie del profondo? Indago la coscienza di una persona in lotta con la depressione. Ne uscirà ma non sarà facile. […] Esploro gli stati d’animo mortificati di una figlia adultizzata, la sua assenza di modelli, la sua tenacia, tratteggio l’indifferenza, la rabbia e l’impotenza di tutti gli altri, di quelli che si trovano a gestire una persona depressa ma non si sa come. Intanto diversamente, ma certo si vive. In fondo da cosa è composta la vita di un essere umano? Un corpo e il suo andazzo, una mente e i suoi rovelli, le cose e la necessità di gestirle e poi gli altri, tutti gli altri, sotto forma di affetti , rivali, problemi, salvezza, ristoro, legami, vantaggi, limiti”.

Gobetti, via Rossini 8 Torino

Teatro di Roma, Teatro Nazionale

Orario spettacoli martedì giovedì e sabato ore 19.30, mercoledì e venerdì ore 20.45.

Mara Martellotta

Gli “Uomini invisibili” attraverso le strade della città

Nella Galleria Umberto I (Porta Palazzo) sino al 3 novembre

ClocharDomus” è una mostra ideata da Raffaele Palma per il CAUS (Centro Arti Umoristiche e Satiriche) giunto ai suoi quarant’anni di attività, quarta espressione in campo artistico rivolta ai senzatetto (“agli autentici clochard e non ai finti clochard”, ci tiene a precisare Palma, accompagnando le parole a precisi gesti di separazione). Il luogo scelto per l’esposizione è la Galleria Umberto I a Porta Palazzo, costruzione di fine Ottocento nata dopo varie ristrutturazioni sull’area di quello che fu il primo ospedale della città, un variopinto ambiente che invita alla scoperta e al passeggio tra caffè e botteghe e gallerie d’arte, sino a domenica 3 novembre, con ampi orari, dal lunedì al sabato dalle 7,30 alle 23,30 e la domenica dalle 9,30 alle 20.

Quarantatré gli artisti partecipanti con le loro opere pittoriche allineate agli altrettanti lampioni della galleria, acrilici su telo in PVC di un metro per un metro, a ricreare ognuno con il proprio personale sguardo il mondo di chi ha bisogno di un bene materiale e di un affetto, di chi a volte cocciutamente e pericolosamente continua a vivere per la strada, di notte e di giorno, di chi ha fatto di un angolo della città il proprio ricovero, di chi ha accettato di servirsi delle strutture che il Comune da anni mette a disposizione. È un’osservazione dal vero, guardando ai diversi habitat, sui marciapiedi, sulle panchine di un giardino, le file che si formano davanti a quei centri che possano garantire un pasto caldo a pranzo e a cena, siano San Vincenzo o Cottolengo o l’uscita secondaria di una qualche struttura militare dove gli avanzi del rancio della giornata possono essere più abbondanti. È l’osservazione dei tanti oggetti che formano le “domus” dei tanti clochard che vediamo fermi, al riparo tra le vie del centro, o spinti a girovagare per le strade; sono i carrelli che trasportano ogni cosa, la casa di ognuno, sono i cartoni e le coperte non poche volte sudicie, le stuoie e le bottiglie e le lattine, i barattoli e le confezioni di cibo che qualche passante offre, sono quei piccoli cani che li accompagnano, anch’essi intontiti in condizioni sempre più precarie.

Il tema del barattolo può essere considerato un po’ il marchio della mostra, l’elemento primo di riferimento, riprendendo dalla memoria – come ha fatto Giancarlo Laurenti, con quell’uomo privo di tratti ma da tutti identificabile, abituato a spingere il suo carrello, in direzione di un altro simile, più bisognoso di lui – quei “barboni” – un tempo li chiamavamo così – che si portavano appresso, e si presentavano alle mense, il contenitore fuori uso di pelati ed erano più o meno affettuosamente chiamati “brigata Cirio”: per quel “barachin” che aveva contenuto, in tempi migliori, il contenuto della famosa casa torinese. “C’è chi ricorda – sottolinea Palma, presentando la manifestazione – che anche la minestra distribuita in queste strutture fosse rossa perché cucinata con il pomodoro pelato donato dalla Cirio.”

Immersi in vite dignitose e in altre decisamente disperate, le psicologie colte precise in brevi tratti, fierezza e rabbia, solitudine e paura, gli artisti hanno saputo ricreare differenti mondi. Cristina De Maria allinea su colori verdi l’uomo e i suoi cani, nello scorcio geometrico della città si nasconde quasi a raggiungere l’invisibilità l’uomo di Pippo Leocata, a ricordare (a reclamare?) con la casa una cucina e un letto, i suoi effetti e i suoi affetti, mentre un dito indica con timidezza il contenitore delle elemosine sotto lo sguardo affettuoso di un cane. Nella limpidezza della tela la palese chiarezza e la signorilità di una piccola opera d’arte. Luigia Moriondo con le due scarpe in primo piano pare rimandare al caravaggismo di un tempo, rinfrescato di aria attuale, Rosa Maria Lo Bue trova un bello scorcio di un’immagine che abbraccia allo stesso tempo l’uomo il cane e la mano antica, ritorna ai piedi nudi e, con un bellissimo particolare, alle mani a scodella Vinicio Perugia, mentre appare come un’isola sospesa nel vuoto del mondo che lo circonda tutto quanto il clochard di Nicoletta Nava possiede. L’angolo che Pinuccia Cravero ha immaginato ha le sembianze di una casa intera, Angela Betta Casale mette in bocca al suo soggetto raggomitolato a terra la triste realtà di “io sono nessuno”, Franco Negro avvolge ogni cosa nel blu intenso della notte, Adelma Mapelli scolpisce uno dei tanti uomini invisibili della mostra contro il muro imbrattato della città, definendolo con autentica bravura in un momento di disperata stanchezza.

Elio Rabbione

Nelle immagini, le opere di Pippo Leocata, Adelma Mapelli e Giancarlo Laurenti, tra gli altisti che partecipano alla mostra “ClocharDomus” ideata da Raffaele Palma.

Pinerolo, i tesori nascosti del Fai

Sono arrivate a piedi o a dorso di mulo dal Monastero della Visitazione di Annecy e di Embrun nel 1634. Un lungo tragitto per una decina di suore visitandine che attraverso il colle del Monginevro sono scese a Sauze di Cesana e da qui hanno raggiunto Sestriere, Pragelato, Fenestrelle e Pinerolo. A Pinerolo si sono sistemate in una casetta del borgo in affitto dove ora si trovano la chiesa e il monastero della Visitazione, sulla collina della cittadina. Il monastero della Visitazione sorse nel 1643 al posto del Palazzo dei Conti Porporato. Ogni pietra del monastero e della chiesa parla di San Francesco di Sales (1567-1622), vescovo di Ginevra e, giova ricordarlo, patrono dei giornalisti, che dopo aver fondato il convento di Annecy, di passaggio a Pinerolo, durante una funzione religiosa preannunciò, pochi mesi prima di morire, l’arrivo in città delle suore visitandine e l’edificazione del complesso religioso.
La vita del convento iniziò effettivamente con l’arrivo delle suore nel 1634 quando Pinerolo era sotto la dominazione francese. Il monastero e la vicina chiesa sono due dei tanti “tesori nascosti” che il Fai, Fondo ambiente italiano, ha aperto al pubblico in occasione delle Giornate Fai d’autunno. Da quattro secoli la vita delle monache è intrecciata con la vita di Pinerolo, un legame fatto di storia, di preghiera e di ringraziamenti a Dio. Le suore visitandine erano povere e gli aiuti non tardarono ad arrivare. Ottennero donazioni importanti da persone facoltose del territorio e anche dal re di Francia, Luigi XIV, e dal governatore di Pinerolo Antonio Brouillez che consentirono di costruire parte del monastero. Pinerolo era a quel tempo la Pignerol francese essendo occupata dai sovrani d’Oltralpe che occuparono la città altre volte tra il Seicento e l’inizio dell’Ottocento.
Oggi le suore di clausura sono otto e, attraverso un ingresso interno, accedono alla chiesa della Visitazione costruita alla fine del Seicento, un piccolo gioiello del barocco piemontese, con una tela del torinese Claudio Francesco Beaumont, regio pittore. A poca distanza da Pinerolo, nella frazione Baudenasca, il Fai, d’intesa con i proprietari della tenuta, ha spalancato le porte del complesso delle Cascine Nuove che comprende la residenza nobiliare con una meridiana del 1763, la cappella del Settecento, la casa del pane con l’antico forno, la cucina con un grande camino del Seicento, le cascine agricole, l’orto, la scuderia e il giardino trasformato nel 1800 a pianta ovale. Una dimora storica vissuta e abitata tuttora che ha mantenuto intatto il fascino di una casa d’altri tempi.
Filippo Re
nelle foto:

Baudenasca la villa del complesso delle Cascine Nuove, il Monastero della Visitazione, la Chiesa del convento a Pinerolo.

Langa terra del Tartufo Bianco sul grande schermo

Langa terra del Tartufo Bianco scenario del film drammatico che sarà nelle sale di tutta Italia dal 17 ottobre. Il regista Gabriele Fabbro ha lavorato con un cast d’eccezione con Umberto Orsini Margherita Buy e Ydalie Turk per raccontare la storia di una famigli , il suo ricongiungimento alla ricerca delle proprie radici, confronto generazionale
Un nonno, una nipote, un cane , la terra, la natura.
Un film che fa ripensare sulle potenzialità delle nostre terre e delle nostre radici, della transazione generazionale.
Il film realizzato con il contributo di Film Commission Piemonte e la collaborazione degli enti territoriali langaroli mette in vetrina la Langa di solito apprezzata per i suoi prodotti enogastronomici, mettendo in rilievo paesaggi incantevoli narrando una storia che scopre nervi delicati come la demenza senile, le difficoltà economiche, l ‘incertezza dei giovani, la delinquenza, l’abbandono,la leggenda, la mortificazione, la realtà .
Triste realtà e l’infinita bellezza del territorio piemontese.

GABRIELLA DAGHERO

“Bon Bon Fabrique”. Un viaggio tra musica, cultura e parole su Sestarete, Canale 16

 

Venerdì 18 ottobre alle ore 21 debutterà Bon Bon Fabrique, un nuovo programma dove cultura, pensieri e musica si fondono in una narrazione coinvolgente e ricca di emozioni. La trasmissione sarà condotta da Paola Carmella, accompagnata dai suoi compagni di viaggio: Andrea Terranova, esperto di cinema e comunicazione, e il talentuoso fisarmonicista Luca Zanetti. Alla regia e montaggio, il poliedrico Angelo Ieva.
Ogni puntata offrirà musica dal vivo, ospiti speciali e reading culturali, creando un luogo di riflessione e intrattenimento per tutti gli amanti dell’arte e della cultura.
Nella puntata d’esordio, si parlerà del Tango, recentemente riconosciuto come patrimonio UNESCO, esplorandone la storia, l’anima e la passione che lo hanno reso un fenomeno culturale mondiale.
Non perdetevi questo appuntamento con Bon Bon Fabrique, una serata tra parole, musica e pensieri in compagnia di chi ama raccontare e far vivere la cultura in tutte le sue forme.

Bon Bon Fabrique – Venerdì 18 ottobre, ore 21, solo su Canale 16.

“Rocky”, una storia d’amore e rivincita, ben oltre l’aspetto sportivo

Sul palcoscenico dell’Alfieri, da venerdì 18 ottobre

Fabrizio Di Fiore è orgoglioso di averne acquistato i diritti e di poter portare per la prima volta in Italia, a Torino in prima nazionale – “per mantenere quella promessa fatta un paio d’anni fa di fare della città un punto d’eccellenza del musical e di tenere su di essa i riflettori sempre accesi” – sul palcoscenico dell’Alfieri, quel (primo) “Rocky” che nel 1977 si portò a casa inaspettatamente tre premi Oscar (Sylvester Stallone rientrò nelle cinquine e fu ad u passo dal vedersi assegnati quello per il miglior attore protagonista e quello per la miglior sceneggiatura originale), scommessa vinta di un giovane attore che fino a quel momento non aveva ancora trovato la sua giusta occasione.

Dopo i successi di Broadway e di Berlino, “faremo rivivere una storia che va ben oltre l’aspetto sportivo. È una grande storia d’amore, è la storia di un uomo che diventa campione non soltanto sul ring ma anche nella vita. Con la caparbietà e la determinazione. Un’orchestra dal vivo, la bellezza della colonna sonora di Tom Conti, delle musiche e delle canzoni, un cast d’eccezione fatto di attori, alcuni usciti dalla nostra scuola, selezionati con grande fatica: certamente il musical più complicato da mettere in scena, per i 31 cambi di scena che prevede, per le aspettative che il pubblico ha verso un film che è diventato un cult, per la necessità di intervenire su simulazioni che a ben vedere sono più cinematografiche che teatrali.”

Luciano Cannito, coreografo e regista di questa grande macchina teatrale che prenderà il via venerdì 18 (le repliche torinesi termineranno domenica 27, poi si proseguirà sino ad aprile 2025 per Trieste e Milano, Roma e Bari, Bologna e Napoli, piazze annunciate per ora), ribadisce che “non è stato facile confrontarsi con un titolo così famoso, è stata l’occasione per andare alla scoperta di nuovi talenti, cosa che certi produttori teatrali ancora fanno, a differenza del cinema che vede sempre più la presenza degli stessi nomi.” Il lavoro è stato tanto, durante l’estate (“mentre voi ve ne stavate al mare”, scherza Cannito con la compatta platea di giornalisti torinesi e non soltanto raccolta in una delle salette del teatro dal nuovo ufficio stampa, seduti in comodi banchi ben allineati sembriamo anche noi degli scolari al primo giorno di scuola), non solo la definitiva scelta dei protagonisti per cui c’è voluta l’approvazione dei responsabili americani, ma anche la preparazione delle scenografie dovute a Italo Grassi (pronto da ieri a buttarsi in un’opera lirica in Giappone, lui già applaudito frequentatore del Comunale di Bologna o del Maggio fiorentino) e dei costumi di Veronica Iozzi (“tutti rigorosamente anni Settanta, in un numero indescrivibile, ogni personaggio ne ha almeno sette”), l’adattamento e la traduzione delle canzoni, sempre di Cannito con la collaborazione di Laura Galigani, dovute a Stephen Flaherty e Lynn Ahrens  (chi abbia per anni, in passaggi televisivi o in rassegne macinato quella storia non potrà ancora commuoversi nel riascoltare “”Eye of the Tiger” o “Gonna Fly Now”), la direzione musicale di Ivan Lazzara e Angelo Nigro e gli arrangiamenti di quest’ultimo chiamato pure a dirigere l’orchestra.

 

Flaherty e Ahrens dovrebbero essere presenti in sala venerdì prossimo: e c’è chi spera anche nel mitico Sly (“non è facile raggiungere personaggi di questo calibro, noi l’invito glielo abbiamo fatto, una risposta dovrebbe arrivare nelle prossime ore e noi ci speriamo ancora”). Dopo i miti americani raccolti di recente dal Museo del Cinema, sarebbe un’altra fascinosa presenza in città.

Il giovane pugile di Philadelphia chiamato a combattere contro Apollo Creed avrà il viso piuttosto d’angelo e i tatuaggi (d’obbligo) che compaiono (per ora) dietro l’orecchio e alla base del collo e tutta l’agilità di Pierpaolo Pretelli. Anche lui scolaretto disciplinatissimo che, ricorda Cannito, “se ne è arrivato alle prime prove già con l’intero testo imparato a memoria”, dice di essere felice e orgoglioso di questo spettacolo “che mi vede coinvolto in prima persona, non è facile incarnare un mito, recito canto e ballo e ne sento tutta la responsabilità. Non ci dormo la notte, mi sveglio con le battute che mi girano in testa, è un’esperienza che ti mette i brividi, anche Fiorello mi ha detto che l’emozione che ti dà il teatro non te la dà nessun altro. Lo sto provando nelle tantissime prove. E poi è un ruolo veramente complesso anche a livello fisico.”

La sua Adriana avrà gli occhi ancora stupefatti, dolcemente meravigliati di Giulia Ottonello, arrivata in questo gruppo senza conoscere nessuno e immediatamente ambientata per quell’aria di famiglia che circola sin dal primo giorno. Calata con passione nel personaggio (fu nel film della bravissima Talia Shire, sorella di Francis Ford Coppola, che aveva sempre pensato a lei per il ruolo di Connie Corleone per la saga del “Padrino”), confessa “di avere parecchi punti in comune con Adriana, non ultimo quello di tenermi dentro un’indole introversa e questo mi ha aiutato anche se come attrice ho fatto di tutto per aggiungere al personaggio molto altro.” Come ognuno sa, il punto cruciale di tutta la vicenda sarà il combattimento finale traRocky e Apollo Creed, un altro momento che ha richiesto una preparazione non indifferente, il risultato che vedremo non potrà che essere pieno di emozioni e di perfetto realismo.”

Elio Rabbione

Nelle immagini, i protagonisti Pierpaolo Pretelli e Giulia Ottonello con il regista e coreografo Luciano Cannito; e ancora Pretelli davanti al guantoni indossati da Sylvester Stallone in “Rocky”, ora alla Mole per la mostra “Movie Icons: oggetti dai set di Hollywood”.

Teresa Maresca, “Il primitivo del sogno” 

Domenica 3 novembre verrà presentato l’evento dal titolo “Rock Art- Il primitivo del sogno” in cui Teresa Maresca, l’artista e autrice del libro intitolato “Il primitivo del sogno”, dialogherà con il poeta Gian Giacomo Della Porta sui temi della sua opera.

L’appuntamento avrà luogo alle ore 19, presso Diagon Hall, in via San Domenico 47 a Torino, e prevederà anche l’esposizione di alcune opere pittoriche e materiche di Teresa Maresca.

Teresa Maresca vive e lavora a Milano. Dopo gli anni di formazione a Roma, dal ’92 ha iniziato ad esporre in mostre collettive e personali presso istituzioni museali e gallerie in Italia e all’estero. La sua pittura figurativa e visionaria è stata accostata a maestri come Munch, Nolde, De Pisis e Carrà. Ha esposto alla Biennale d’Arte di Venezia, alla Galleria d’Arte Moderna di Genova, al Museo Diocesano di Milano, al Museo Marino Marini di Pistoia, in ex fabbriche come la Falk di Sesto San Giovanni e i Musei dell’Industria e del Lavoro di Brescia. Da tempo lavorava a un progetto sulla Rock Art del Paleolitico Superiore.

Teresa Maresca, originale e libera pittrice, dà vita a quadri di ammaliante bellezza misterica, ed è un’artista di colta sensibilità antropologica, orientata sulla perpetua e ipnoticamente enigmatica energia degli archetipi. In questo suo libro rivolge i propri sentimenti ai miti, alle visioni del mondo, ai riti delle popolazioni indigene polinesiane e di alcune etnie nordamericane (struggente la sua devozione a Wounded Knee) amazzoniche. Con frequenti richiami alla poesia, non solo di Whitman, ma anche, tra gli altri, di Byron, Kinsella e altri artisti della scena contemporanea, Teresa Maresca ha scritto un libro dedicato alla natura ed esalta la dimensione del sogno, scorrendo in essa, sciamanicamente, l’essenza inspiegabile dell’umano, e affidandosi alla sequoia di Whitman vede una campaniana prateria senza fine dove le orme dei bisonti sono le tracce dell’assoluto.

Rock Art – Il primitivo del sogno

3 Novembre, ore 19

Diagon Hall, via San Domenico 47, Torino

Per prenotazioni: infoeventi@larteficio.com

 

Mara Martellotta