CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 265

“Sta succedendo qualcosa Non so cosa sia, ma sta diventando più forte”

MUSIC TALES, LA RUBRICA MUSICALE

 

“Sta succedendo qualcosa

Non so cosa sia, ma sta diventando più forte

Lo sento nelle mie ossa

Spero che tu lo faccia durare un po’ di più”

Tre giorni di pace amore e musica: il 15 agosto di quattro anni fa si celebrava il 50° anniversario del Festival di Woodstock l’evento simbolo della controcultura americana degli anni ’60 e che ha segnato una generazione e più.

Il movimento hippie ha influenzato profondamente non solo il mondo della moda e della musica, ma anche il modo di parlare, portando alla nascita di termini che sono diventati di uso comune.

Per festeggiare l’anniversario di Woodstock, Babbel stilò una lista dei termini che hanno caratterizzato il movimento e che voglio condividere con voi.

Hippie: termine che deriva dalla parola “hipster”, si riferiva originariamente a coloro che appartenevano al movimento giovanile sorto negli Stati Uniti negli anni sessanta, il quale rifiutava istituzioni, norme e costumi della società del consumo, e promuoveva forme non violente di protesta e l’amore universale.

Oggi il termine si usa per indicare qualsiasi giovane dai capelli lunghi, con abbigliamento e atteggiamenti anticonvenzionali.

Flower Child: letteralmente “Figlio dei fiori” questa definizione veniva usata per descrivere gli hippie che erano soliti indossare vestiti con stampe a fiori o colori vivaci.

Il loro ideale di pace e libertà era sintetizzabile in slogan quali “Put flowers in your guns” (mettete dei fiori nei vostri cannoni) e “Make love, not war” (fate l’amore, non la guerra), diventati tra le citazioni più celebri e rappresentative del movimento.

Flower Power: espressione tipica del movimento hippie che significa letteralmente “potere dei fiori”, usata durante la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta come simbolo di una ideologia non violenta.

Beatnik: termine utilizzato per indicare una persona appartenente alla “beat generation” (fine anni cinquanta – primi anni sessanta) che si distingue per esser nonconformista sia nello stile che nel pensiero. Sono, in un certo senso, i precursori degli hippie.

Psychedelic: termine che descrive una categoria di musica e arte visiva originariamente associata agli anni sessanta e alla cultura hippie il cui immaginario è ispirato alle visioni e alle sensazioni causate dall’assunzione di sostanze stupefacenti.

Groovy: termine colloquiale molto popolare negli anni sessanta e settanta, era sostanzialmente sinonimo di parole come “cool”, “fantastico”, ” trendy” o “incredibile”, a seconda del contesto.

Square: contrario di groovy, questo termine veniva utilizzato in riferimento a tutto ciò che non era considerato “cool” o alla moda.

Mi piace ricordare questo evento di ridondanza mondiale e temporale, perchè Woodstock fu molto più che una rassegna musicale.

Il Woodstock Festival era a Bethel, nello stato di New York, distante oltre 160 km da New York City. Chi proveniva da un altro stato doveva trovare i mezzi per raggiungere l’evento e, soprattutto, trovare un modo per tornare a casa.

Non molti avevano una macchina e, per questo, molti cercavano un modo per tornare a NYC cercando di farsi notare tra la folla per avere un passaggio gratis, dato che vi erano un centinaio di autostoppisti. Molti erano persino disposti a farsi dare un passaggio nei bagagliai aperti. Sembra divertente, non è vero?

Era un luogo dove il pregiudizio non era presente e vedere come tra la folla ci fossero persone che andavano in giro senza vestiti.

Il festival aveva ampiamente pubblicizzato Janis Joplin come star del concerto. Joplin si esibì la domenica mattina cantando Ball and Chain affascinando il pubblico con una performance straordinaria. Durante le sue esibizioni, Joplin indossava abiti coloratissimi e poco prima di salire sul palco si versava un bicchiere di vino per stendere i nervi. Esibirsi davanti a 500.000 persone può essere snervante per chiunque.  Sfortunatamente la Joplin morì solo un anno dopo.

Jimi Hendrix doveva essere la star del festival, ma sfortunatamente i ritardi accumulati hanno portato la sua esibizione ad essere eseguita solo l’ultimo giorno. Verso l’ultima giornata la folla si era ridotta ad un totale di 40.000 persone, ma Hendrix ha fatto lo stesso la sua bella figura. Prima di arrivare all’evento, sembra che sia stato preso dall’ansia perché aveva appreso che il numero di partecipanti al festival era salito a circa 400.000 persone.

Anche se inizialmente il festival doveva durare tre giorni, venne aggiunta una quarta giornata. Se vi chiedete quale sia stato il motivo è per via della forte e incostante pioggia che mise a dura prova il flusso del festival.

Dato che l’evento si teneva in una fattoria, il terreno divenne bagnato con l’arrivo della pioggia e le persone furono costrette ad avere a che fare con il fango. Sicuramente le condizioni metereologiche non erano delle migliori per godere di un concerto all’aperto, ma i partecipanti non permisero alla pioggia di rovinargli la festa!

Gli organizzatori dell’evento avevano anticipato che ci sarebbero stati dei bambini e per questo hanno allestito un parco giochi al festival.

Mentre i genitori vivevano la loro miglior vita e facevano festa con sconosciuti, i piccoletti potevano giocare gli uni con gli altri nel parco, ballare e divertirsi. La storia narra che ci fosse anche una cucina che dava cibo gratis e una tenda per coloro che non avevano intenzione di consumare droga.

Woodstock è stato il festival conosciuto per la pace, l’amore e per la buona musica. Fu un movimento sia non violento sia di resistenza passiva conosciuto per il suo grande simbolismo.

“se usi il tono giusto, puoi dire qualsiasi cosa”

Ho scelto questo tra i tanti brani di quei giorni, spero vi piaccia oltre a portarvi in un mondo bellissimo.

https://www.youtube.com/watch?v=kGbK5y94LOE&ab_channel=PavlikB

CHIARA DE CARLO

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Ecco a voi gli eventi da non perdere!

La sofferenza dell’Uomo di Dostoevskij nella rilettura dei Marcido

Al Teatro Marcidofilm! sino al 5 marzo

Scrivevo nel novembre del ’21, all’indomani della prima al Gobetti di “Memorie del sottosuolo” che Marco Isidori aveva rielaborato e riconformato obbedendo ai canoni teatrali dei Marcido: “Un alternarsi di esaltazione e di disperazione, le confessioni e le parole da sempre taciute, un urlo contro quel positivismo che costruiva sentieri ottimistici e ingannatori, incapace di giungere alla sempre sperata società del benessere, la consapevolezza di una sofferenza che l’uomo va ricercando, di un bel carico di autoumiliazione e di autodistruzione, l’afflizione di una incalzante accidia che lo rende ben lontano da quegli uomini d’azione che sono pronti a prefissarsi e a raggiungere certe precise mete. Un Uomo che si rispecchia in quanto di negativo c’è in lui ma che anche si definisce “evoluto”, un uomo che soffre della propria irrazionalità ma che sembra reclamarla, nella negazione di ogni certezza, semplificata dal prodotto 2 x 2 = 4 contrapposto nel 2 x 2 = 5 e dettato dall’imposizione della volontà individuale. Di fronte all’impianto negativo dell’Uomo, l’Isidori riconosce a “Dosto” – ormai c’è dimestichezza tra i due! – “un merito speciale”: “gli riuscì di calibrare il suo occhio d’artista in modo da penetrare al micron la misura dell’angoscia che ci spacca il petto allorquando comprendiamo che il punto della nostra posizione nel pelago esistenziale ci viene fornito soltanto, unicamente, diabolicamente, dal “male” che siamo in grado di portare in dote ai nostri simili”.

 

Da stasera (repliche sino a domenica 5 marzo) lo spettacolo viene riproposto e ripensato “sulla misura” del particolarissimo palcoscenico del Marcidofilm! di corso Brescia, insostituibile Paolo Oricco del ruolo del protagonista. Ancora una volta riconfermando nel piccolo spazio come le pagine dell’immenso Dostoevskij sin dalla fondazione siano state un prepotente richiamo per il gruppo dei Marcido, un percorso vagamente sotterraneo che qui erutta dal basso ed esplode, pagine che fuoriescono e si concretizzano visivamente, in tutto il loro “straordinario fascino drammatico”. Una quindicina di mesi fa avevo cercato di spiegare che “c’è Dostoevskij e c’è l’Isidori, il secondo ad acchiappare, anche lui, – rutilante e famelico quanto spudorato autore in cerca di un personaggio, che non esita a farsi complementare nel desiderio e nella necessità di una riscrittura -, la materia scritta che il russo gli offre e adattarla alla filosofia e alla teatralità dei Marcido, stiparla in tutto quel bagaglio di palcoscenico che da sempre il gruppo costruisce e disfa per poi ricostruire, in una lodevolissima sperimentazione, efficace e guerriera, che gli si è sempre riconosciuta, adeguarla al modointerpretativo che della compagnia è proprio. Conseguenza (felice) prima, è “un’oralità dispiegata, pietra angolare è la “voce, ricerca sempiterna, cui è anche per questa occasione affidato il nucleo primario. E la voce’ è l’attoredice lIsidori: e lattore diventa voce, affascinante, spasmodica, mai ripiegata su se stessa ma esplosiva in ogni accento”. La voce “è” Paolo Oricco, un successo tutto personale, un eccellente tour de force, una gimkana che attraversa il testo in pienissima libertà, in un saliscendi ininterrotto di vette e di profondità: “sarei propenso – ricordavo – a pensare che, questa volta, lattore con tutto il suo lavoro, orale e fisico, la sua negazione a risparmiarsi, il suo saper costruire un personaggio fuori di ogni dimensione, agghindato di ogni libertà interpretativa e arricchito della ricerca, e della riuscita, sulla sua propria voce, superi il testo e il non facile compito del co-autore, dellIsidori, affascinante, chi mai lo negherebbe?, ma affaticante al tempo stesso, ricco di una scelta finissima di parole che a tratti finiscono collaffastellarsi oltre ogni argine, debordanti in quel loro incessante rotolare in platea.”

Alle spalle di Oricco, la grande pala/sipario realizzata e rivisitata per l’occasione da Daniela Dal Cin, una vera opera pittorica ispirata al “Trionfo della Morte”, affresco quattrocentesco di Palazzo Abatellis a Palermo, grottesco e ossessivo, un livido marasma bruegeliano modernamente inteso, dove l’uccellaccio della preistoria viene a recidere vite con quei falcetti che tiene tra gli artigli. Al di qua del palcoscenico, si avverte la ricerca ormai perenne dei Marcido ma intelligentemente difficile, il desiderio di penetrare e di sviscerare, di conquistare alla fine. Per strade che non sono certo ricoperte di tappeti. Ancora le parole di Isidori:” I Marcido hanno voluto che il teatro mostrasse appunto che al gorgo altalenante della gioia e della disperazione, l’uomo non può sottrarsi. Certamente il Teatro, se deve portare un simile peso, non può accontentarsi dell’usuale canonica, deve, almeno tendenzialmente, fare lo sforzo di sporgersi oltre se stesso; magari rinunciando, magari fallendo, magari equivocando, comunque sempre tentando di mostrare quel che nella normale prassi delle scene, resta celato. Questa almeno è stata la nostra scommessa.”

Elio Rabbione

Nelle immagini, Paolo Oricco in alcuni momenti dello spettacolo.

Teatro MARCIDOFILM! – Torino – corso Brescia 4/bis (int. 2)

orari recite: da martedì a sabato ore 20.45 – domenica ore 16.00

ingresso: intero euro 20 / ridotto euro 15
info e prenotazioni: 011 8193522 – 339 3926887 – 328 7023604

info.marcido@gmail.com
www.marcido.it

“Emozioni d’Artista 2”, collettiva a Torino

Bis a “La Conchiglia” di  Torino per la carmagnolese Associazione “Amici di Palazzo Lomellini”, presente  con un nuovo nutrito gruppo di pittori

Fino all’11 marzo

Il titolo mantiene la promessa. Di “emozioni” ce n’è, infatti, da vendere nella collettiva curata da Elio Rabbione – che da tempo si occupa di dar vita anche alle esposizioni di “Palazzo Lomellini” a Carmagnola –  ospitata fino a sabato 11 marzo nelle sale della Galleria “La Conchiglia” al 13 bis di via Zumaglia a Torino. La rassegna segue quelle “Emozioni d’autore”, oggi “Emozioni d’artista” (ma la storia è ancora quella), tenutasi, sempre nella Galleria di Diana Casavecchia, nell’ottobre dello scorso anno. Venti erano allora gli artisti partecipanti – pittori e scultori – quasi tutti già in allora appartenenti alla carmagnolese Associazione “Amici di Palazzo Lomellini”.

Oggi il numero s’è leggermente abbassato. Sono infatti diciassette i pittori presenti al secondo round, per un totale di una sessantina abbondante di opere (dipinti) esposte. “La mostra – spiega Rabbione – ripete le scelte, le vecchie e le nuove conoscenze, principalmente la conoscenza di artisti che si vogliono (ri)mettere in gioco, pittori unicamente, di temi forse non ancora affrontati, di tecniche non ancora ospitate”. Già… di “emozioni” si parlava. E quante ce ne regala il volto senza età della donna indiana (“Sono qui”), opera di Alessandro Fioraso, figlio d’arte (allievo di Lella Burzio e Oscar Bagnoli) e due infinite passioni, la pittura e l’India; in quella tribolata “maschera”, leggiamo un accenno di sperduto sorriso e di pacata solitudine, ogni piega del volto è un tortuoso sentiero dell’anima con quegli occhi di un azzurro indefinito e l’antica collanina che spunta appena dai veli rosa-violacei, memoria di remote piccole e obliate vanità.

Dal figurativo, fatte alcune eccezioni, non si scosta la linea espositiva della rassegna, se non per tentare “svirgolate” o vie di fuga verso oniriche suggestioni paesistiche, come in “Matera al chiaro di luna”, acrilico di Antonella Guarnieri, mosaico labirintico di antiche colorate case protette dall’enorme sfera di una gialla luna “incollata” al cielo o nei volti femminili che sempre paiono celare inafferrabili “oltre” di Paolo Mirco. Strada percorsa, con più sobrio realismo e parco uso di cromie (oli e smalti industriali su tela) anche dal settimese Franco Fasano e dalle sue donne “grintose”, coraggiose “pulzelle d’Orléans” dei nostri tempi, che sembrano quasi “aggredirti” e “sfidarti” con i loro ripetuti “What’s?” e il dito puntato contro. Altre strade, alla ricerca di nuove imprevedibili sperimentazioni tese all’astrazione e a cifre stilistiche decisamente informali affidate alla casualità del colore, percorrono invece il carignanese Ezio Curletto con le sue “pitto-sculture”, “sogni inconsci” (nati sotto la rassicurante guida di Isidoro Cottino e Fernando Eandi, impreziositi da foglie e polvere d’oro) e la siciliana d’origine ma torinese d’adozione Paola Sciuto, con i suoi rapidi nudi femminili che lasciano piena libertà espressiva al “gocciolare” di materia cui s’affida la necessità del narrare.

Su questa linea, anche la pittura personalissima di Luisella Rolle, con opere tese palesamente alla ricerca di emozioni “trasmesse con la forza esclusiva di tratti cromatici splendidamente confusi”. Forza di narrazione che nei dipinti di Paolo Viola (medico napoletano, oggi residente ad Asti) nasce invece sotto l’impulso di una matericità che plasma con vigore le forme – siano esse il “banco del pescivendolo” o la fredda linearità di un vigneto sotto la neve – in una sorta di “realismo magico” teso alla creazione di “spazi tridimensionali nei quali lo spettatore ha l’illusione di proiettarsi”. Tanti i racconti di paesaggio: dalle vivaci visioni fiabesche di Burano e lagunari di Gastone Toldo e Danilo Baruffaldi, al sogno luminoso di un’“alba sulla neve” di Giorgio Cestari, fino alla suggestione delle dune sulle coste danesi raccontate da Franco Goia e alla “gioiosità della natura” fermata su tela da Graziella Alessiato, accanto all’efficace controluce su cui si staglia l’oscura sagoma di un alpinista (cuffia con pon pon) immerso nella teatrale bellezza di un grigio panorama montano, opera di Lucia Busacca. A chiudere il percorso, le adorate “Peonie Sarah Bernhardt” di Mariarosa Gaude accanto alle “Ortensie” e al palpitante nudo “in meditazione” di Maria Teresa Spinnler, per finire con i paesaggi immaginifici, da fiaba di Carlo Dezzani, che dona, a casa a cose e a presenze urbane varie, piena libertà di spiccare voli inattesi e totalmente imprevedibili. Lasciati andare. A volo di poesia.

Gianni Milani

 

“Emozioni d’Artista2”

Galleria “La Conchiglia”, via Zumaglia 13 bis, Torino; tel. 011/6991415 o www.laconchiglia-to.com

Fino all’11 marzo

Orari: mart. e ven. 15/19; sab. 10/12 e 15/19

Nelle foto:

–       Paolo Viola: “Il banco del pescivendolo”, olio su tela e tavola, 2019

–       Alessandro Fioraso: “Sono qui”, olio su tela, 2018

–       Antonella Guarnieri: “Matera al chiaro di luna”, acrilico su tela, 2021

–       Franco Fasano: “What’s?”, olio e smalto industriale su tela, 2023

–        Paola Sciuto: “Body”, acrilico su tela, 2022

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Susan Minot “La sera” -Playground- euro 18,00

E’ magnifico e a tratti struggente questo romanzo della scrittrice americana (nata a Boston nel 1956) che è stata anche la sceneggiatrice del film di Bernardo Bertolucci “Io ballo da sola”.

Nel 1998 ha scritto “La sera” in cui con una sensibilità profondissima e uno sguardo acuto narra di un’anziana signora malata terminale che fa i conti con i ricordi della sua vita. Il libro è stato adattato per il cinema nel 2007 insieme allo scrittore Michael Cunningham, ed ora finalmente è stato tradotto in italiano.

Protagonista è Ann Lord, 65enne, che circondata da infermiere, figli e parenti vari, tra i fumi dell’incoscienza da morfina e sprazzi di lucidità, controlla le fitte di dolore anche con i ricordi della sua esistenza. Che è stata decisamente intensa: ha avuto tre mariti e quattro figli, una bella dose di dolori e qualche rimpianto. La Minot è abile nell’imbastire una struttura narrativa che scorre perfettamente tra scorci del presente e del passato.

La sua mente resta ancorata soprattutto al ricordo dell’amore per il giovane medico bostoniano Harris Harden: un passione che nonostante i successivi tre matrimoni non si è mai ripetuta. Il pensiero ritorna a un preciso fine settimana in cui tutto è nato, si è compiuto e concluso. Ma non pensiate a una scontata storia di amore, qui il tema è decisamente più alto. Vola tra illusioni, sogni, il passare del tempo, illusioni, tutto giocato con un costante senso di tensione che solo alla fine vi farà scoprire quanto era accaduto in quei giorni lontani.

Un romanzo che parla di senso della vita, profondità di sentimenti, affetti e famiglia, approssimarsi della fine, senso del tutto…..

 

Paolo Giordano “Tasmania” -Einaudi- euro 19,50

In questo libro che Paolo Giordano ha scritto durante la pandemia, aleggiano più temi: l’atomica, la fine del mondo, il clima, i rapporti interpersonali, il vuoto che può spalancarsi all’interno di una coppia, il miraggio della paternità biologica che non arriva, l’amicizia, la fisica, i viaggi, il terrorismo ed altri spunti su cui meditare e interrogarsi.

Un romanzo in vetta alle classifiche che in parte richiama il suo strepitoso esordio nel 2008 con “La solitudine dei numeri primi” e proprio di solitudine continua a parlare e narrare. In queste pagine assembla crisi mondiali e private-esistenziali, sullo sfondo di un universo e di una vita in cui tutti si è fondamentalmente soli.

Voce narrante è quella di P. G., le stesse iniziali dell’autore che con il protagonista condivide anche alcuni dettagli biografici e la competenza professionale. E’ un fisico diventato romanziere di 40 anni; non più giovanissimo e pieno di sogni ancora da verificare, ma neanche tanto vecchio da aver visto più cose di quelle che avrebbe voluto.

E’ legato a Lorenza, più grande di lui e con già un figlio al seguito. Ma è in pieno disagio coniugale; di quelli in cui se ti chiedi come vi vedete insieme nel futuro, finisci per affacciarti su un dirupo il cui fondo resta imperscrutabile.

Forse le pagine che lasciano maggiormente il segno sono quelle dedicate all’Apocalisse passata e futura; ovvero la devastazione e gli effetti delle bombe sganciate dagli americani su Hiroshima e Nagasaki durante la Seconda Guerra Mondiale.

Il protagonista ne è ossessionato e mette in campo anche le sue competenze di fisico quando vola in Giappone per assistere alla cerimonia che si tiene annualmente per ricordare quei terribili momenti e farne un reportage. Impressionanti le descrizioni di cosa può fare il fungo atomico nell’immediato alla pelle e al corpo delle persone.

 

La Tasmania del titolo si colloca in un orizzonte lontano e incarna una fantasia di salvezza, l’approdo difficile in cui poter trovare scampo dai mali del mondo. Un paradisiaco sogno che sembra riservato solo a chi può permetterselo, pochi ricchi; invece la strada che l’autore indica è quella di un salvataggio collettivo, un rifugio in cui l’incolumità sia per tutti e non solo per pochi fortunati.

 

 

Joan Didion “Perché scrivo” -Il Saggiatore- euro 17,00

Va in profondità questo libro della grande scrittrice americana, autrice di una pietra miliare della letteratura mondiale “L’anno del pensiero magico”, che nel 2005 le valse il National Book Award per la saggistica.

Nata a Sacramento nel 1934, morta a New York nel 2021, è una delle maggiori scrittrici americane; direi immortale per i testi che ha regalato al mondo, intrisi della sua intelligenza, sensibilità e somma bravura nel raccontare l’impervia fatica del vivere.

Perché scrivo” è il titolo di un suo articolo che dà il nome a questa raccolta di saggi composti tra il 1968 e il 2000; 12 testi brevi ma intensissimi in cui compie uno strepitoso viaggio nel mondo dell’apprendimento e della scrittura. Lei che scriveva come respirava -ovvero senza poterne fare a meno- dal momento che vita e parole scritte erano due vasi eternamente comunicanti. Scrivere la sua vita era la forza che trovava nell’affrontarla, tra alti e bassi, gioie, e dolori indicibili.

In questi saggi c’è la sua idea di come percorrere la vita e camminare per le vie del mondo, quello esterno, gli accadimenti, l’interiorità, l’elaborazione dei lutti, la forza di sopravvivere ai peggiori maremoti che il destino possa riservarci. Non sono testi politici, almeno non dichiaratamente, anche se denunciano il suo profondo impegno in tutto quello che ha fatto e sognato, visto, documentato e interpretato.

C’è il suo modo di apprendere la scrittura e una messe di acute osservazioni al riguardo. La domanda che scorre sottopelle in tutte le pagine è: perché scrivere, per chi? Corollario imprescindibile la sua abilità nell’amministrare la punteggiatura e portare a galla un sentire interiore che lei sa trasformare in altissima letteratura.

In questi saggi scorrevoli c’è l’arte del narratore, la capacità di romanzare un fatto, un sentimento, una storia. La maestria nell’edificare una trama efficace in cui inserire e dare profondità, sostanza e spessore ai personaggi; e non ultima, la capacità di inanellare dialoghi che chiedono di farsi leggere.

 

Lily King “Cinque martedì d’inverno” -Fazi Editore- euro 18,00

E’ una raccolta di racconti, 10 per l’esattezza, che mettono a nudo gli infiniti anfratti delle relazioni umane; tra lutti, amori persi e ritrovati, legami familiari e mille altre sfaccettature della vita.

Al centro delle varie storie c’è un articolato campionario di umanità che abbraccia protagonisti molto diversi tra loro e tutti alle prese con fatti normali e straordinari.

Per darvi un assaggio: il primo racconto ruota intorno alla 14enne Carol, assunta come babysitter da una famiglia molto più ricca della sua e almeno apparentemente ben più felice. Lei nei momenti di pausa si diletta nella lettura di “Jane Eyre”, si immerge talmente tanto nel capolavoro di Charlotte Brontë da cercare di vivere in prima persona l’educazione sentimentale e l’approccio alla vita della famosa istitutrice inglese, orfana e di umili origini, che finisce per conquistare il cuore del suo padrone, Edward Rochester. Ma la vita non sempre imita l’arte.

Tra gli altri protagonisti troverete: un ragazzino che per la prima volta scopre il fremito della libertà lontano dallo sguardo dei genitori, un libraio scontroso e solitario che si apre a nuovi sentimenti, due vecchi ex compagni di stanza ai tempi del college che il coming out di uno di loro aveva irrimediabilmente diviso.

Insomma tanti scampoli di vita che la scrittrice americana mette in scena e racconta con flash memorabili di bravura.

 

 

Valentina Nasi “Torino elegante follia” -Idea Books- euro 59,00

Pare quasi superfluo dire che questo è un volume prezioso in cui vengono eccezionalmente aperte alcune case private, privatissime, difficilmente espugnabili; nell’impresa è riuscita Valentina Nasi Marini Clarelli il cui nome ha ovviamente fatto breccia.

La discendente dei Nasi, strettamente intrecciati agli Agnelli, si è avvalsa della collaborazione di Massimo Nistri per le splendide fotografie, e dell’architetto e docente al Politecnico di Milano Antonella Dedini Sportoletti Baduel per i testi. Un gran bel lavoro di squadra che racconta una Torino osservata con uno sguardo nuovo.

Hanno visto così la luce 260 pagine che ci introducono in dimore storiche di solito rigorosamente inaccessibili, grondanti lusso, storia, buon gusto. Palazzi, appartamenti di prestigio, ville e dimore del 700 in cui è passata anche la Storia e che tengono fede a Torino ex capitale prima della Savoia e poi dell’Italia. Case che sono scrigni di prezioso antiquariato, altre che raccontano la ricerca dei collezionisti d’arte. Ma ci sono anche dimore che sono fiori all’occhiello di Torino, come Palazzo Reale, Palazzo Madama e Reggia di Venaria; e caffè storici come “Mulassano” e “Baratti & Milano”

Risulta un eclettico mix di opulenza, follie e fantasia quasi insospettabili nei torinesi tendenzialmente seriosi, Barocco, raffinatezza, e spesso alchimie riuscitissime tra antico e moderno design. Di alcune vengono svelati i nomi dei padroni di casa, di altre invece nulla sapremo oltre alle immagini. Resta da gustarvi antri di bellezza e comfort di una città affascinante, in parte magica, mai banale.

Rock Jazz e dintorni a Torino: De Gregori-Venditti e Fabrizio Bosso

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Per “Seeyousound” al Cafè des Arts, si esibisce la cantante Sabrina Mogentale mentre al cinema Massimo sono di scena Roberto Angelini e Rodrigo D’Erasmo.

Martedì. Al Jazz Club Matteo Salvadori propone i classici della tradizione americana. Al cinema Massimo per “Seeyousound” suona lo Gnu Quartet. A seguire il documentario “Meet Me in The Bathroom”, The Wends.

Mercoledì. Al Blah Blah l’Ukulele Turin Orchestra riarrangia alla sua maniera “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd. Per “Seeyousound” al Massimo il lungometraggio su Sinead O’Connor “Nothing Compares” mentre al Maffei Giovanni Corgiat e Davide Broggini musicano “Tenshi No Tamago” di Mamuro Oshi.

Giovedì. Alla Suoneria di Settimo il quartetto di Fabrizio Bosso propone un tributo a Stevie Wonder.

Chiusura di “Seeyousound” con “In The Court Of The Crimson King: King Crimson At 50” sul gruppo guidato da Robert Fripp. A seguire “The Night James Brown Saved Boston” e concerto di Nicolò Piccinini al termini delle premiazioni. Al Blah Blah sonorizzazione di “Koyaanisqatsi” di Godfrey Reggio a cura di Propaganda 1904.

Venerdì. Al Bunker suonano Brigada Flores, Stiglitz e Azione Diretta. All’Hiroshima Mon Amour rap con Dj Shocca e Inoki. Allo Juvarra la cantante e arpista Cecilia, presenta “Sunset In A Cup”. Al Magazzino di Gilgamesh suona l’armonicista Andy Just. Al Folk Club si esibisce Lula Pena.

Sabato. All’Off Topic suona il chitarrista Manouche Adrien Tarraga. Al Concordia di Venaria si esibiscono i Nu Genea. Al Jazz Club suona il quartetto del sassofonista Josiah Boornazian. Allo Spazio 211 è di scena il produttore elettronico Gigi Masin preceduto da Francesco Lurgo. Al Superga di Nichelino viene assegnato il premio intitolato a Gianmaria Testa con ospiti Eugenio Bennato e Neri Marcorè.

Domenica. Al Blah Blah si esibisce il duo The Courettes.

I greci di Torino ricordano la “catastrofe” del 1922

Nelle viuzze del Quadrilatero, in pieno centro, la piccola comunità greco-ortodossa torinese si raccoglie in chiesa.
Si prega, si ascolta, si commentano i fatti e non si trascura la storia, le vicende dei greci dominati per quattro secoli dai turchi, l’indipendenza dal giogo ottomano, le tragedie di cent’anni fa, i massacri, la fuga e la gioia di vivere in patria, nella propria terra. Ma quanti lutti, quante sofferenze patite dai greci a causa di eventi storici che molti neppure conoscono. I greci del Piemonte, alcune centinaia di persone, ci ricordano quel passato con un grande manifesto su cui compare la scritta “1922, la catastrofe dell’Asia Minore”, appeso sul portone della chiesa della Santissima Annunziata delle Orfane, oggi utilizzata dai greci-ortodossi, in via Delle Orfane angolo via San Domenico, a pochi passi dal Mao e dalla Consolata. Perché la catastrofe?
Il periodo storico è quello della guerra greco-turca che si svolse, da maggio 1919 a ottobre 1922, tra la Grecia e la nuova Repubblica di Turchia nata sulle ceneri dell’Impero ottomano. Il Trattato di Sèvres (10 agosto1920) successivo alla Prima guerra mondiale, aveva assegnato alla Grecia i territori dell’Anatolia, della Tracia e la città di Smirne e fu proprio il passaggio di questa città ai greci che scatenò la furia dei turchi. La Turchia di Ataturk vinse la guerra e ottenne i confini attuali ma per la Grecia la fine del conflitto provocò lo stravolgimento dell’assetto demografico del Paese. Nell’estate 1922 i soldati turchi entrarono a Smirne con l’obiettivo di cancellare ogni elemento greco dell’Asia Minore. È quello che fece il comandante dell’esercito turco repubblicano Nureddin Pascià il cui scopo era quello di sterminare i cristiani di Smirne.
Per attuare il piano furono commessi crimini terribili, le case furono incendiate, migliaia di greci torturati e uccisi, i distretti greco, armeno ed europeo della città rasi al suolo. I due terzi di Smirne furono distrutti. Le vittime furono oltre 30.000. Solo l’area turca rimase intatta. L’incendio di Smirne per i greci dell’Asia Minore rappresentò il culmine degli eventi chiamati dagli storici greci con il nome di “Catastrofe dell’Asia Minore” da cui riuscirono a salvarsi 250.000 cristiani che fuggirono in Grecia. Un testimone d’eccezione che descrisse il dramma degli abitanti di Smirne fu Ernest Hemingway, allora giovane corrispondente di guerra nell’Impero Ottomano. I suoi articoli raccontano in modo terrificante l’odissea della popolazione greca. Nello stesso anno si concluse anche la tragedia dei greci del Ponto, regione storica della Turchia nord-orientale sul Mar Nero, la cui popolazione scampata allo sterminio dei turchi fu compresa nell’accordo sullo scambio di popolazioni tra i due Paesi stabilito dal Trattato di Losanna del 1923 con il quale la Grecia perse tutti i territori che aveva ottenuto con il Trattato di Sèvres nel 1920. Losanna stabilì in pratica le frontiere della Turchia moderna di Ataturk. Si creò così un immenso esodo di profughi nelle due direzioni, circa un milione e mezzo di cristiani greco-ortodossi verso la Grecia e oltre 500.000 musulmani verso la Turchia. Tutti costretti da un giorno all’altro a lasciare case, paesi, città e beni per spostarsi in un territorio sconosciuto che diventerà la loro patria.
La “catastrofe dell’Asia Minore” è considerata la più grande calamità nella storia moderna della Grecia. Ancora oggi greci e turchi si detestano ricordando il passato e le ferite aperte portano a volte le due nazioni a un passo da un conflitto. Secondo diversi studiosi il numero totale dei morti varia da 300.000 a 900.000 vittime. Ogni anno, il 14 settembre, la Grecia commemora lo sterminio dei greci dell’Asia Minore da parte dei turchi. È trascorso un secolo da quella tragedia. “Non dimenticate la nostra storia, chiedono i greci del Piemonte.
 
Filippo Re
nelle foto Chiesa greco-ortodossa in via delle Orfane
interno chiesa greco-ortodossa
Incendio di Smirne
Conquista turca di Smirne

Gli appuntamenti nei musei della Fondazione

Ecco l’agenda  in programma alla GAM, a Palazzo Madama e al MAO

 

Domenica 26 febbraio ore 17.30

THERESA WONG

MAO – concerto nell’ambito della mostra Buddha10

 

 

DOMENICA 26 FEBBRAIO

 

Domenica 26 febbraio ore 11

RIFLETTIAMO INSIEME: È UN DIRITTO SALVARSI LA VITA?

Palazzo Madama – convegno

Introduzione con proiezione video documentario in prima visione “Donne rifugiate” di Deka Mohamed Osman; partecipano Abdullahi Ahmed, scrittore e consigliere Comune di Torino, Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 Ottobre, Berthin Nzonza dell’associazione Mosaico e Suor Giuliana Gallo della Fondazione Mamre. Conduce Ikram Mohamed dell’associazione ADASS.

Evento in occasione del Black History Month Torino – Seconda edizione, rassegna dedicata alla storia e alla cultura afrodiscendente.

Ingresso libero. Posti limitati con prenotazione obbligatoria: blackhistorymonthto@gmail.com

 

Domenica 26 febbraio ore 16

L’EVOLUZIONE DELLA GIURISPRUDENZA E L’APPLICAZIONE CONCRETA SUI NUOVI CITTADINI

Palazzo Madama – convegno

Con l’avv. Fairus Jama, Ihsane Ait Yahia, operatrice legale e interprete PA Reggio Emilia e l’avv. Rania Maadani, Associazione Avvocati di discendenza straniera in Italia. Conduce Ikram Mohamed dell’associazione ADASS.

Evento in occasione del Black History Month Torino – Seconda edizione, rassegna dedicata alla storia e alla cultura afrodiscendente.

Ingresso libero. Posti limitati con prenotazione obbligatoria: blackhistorymonthto@gmail.com

 

Domenica 26 febbraio ore 16.30

LUSTRO E LUSSO DALLA SPAGNA ISLAMICA. Frontiere liquide e mondi in connessione

MAO – visita guidata alla nuova mostra

La visita guidata all’esposizione approfondisce lo stretto legame culturale ed artistico tra il mondo islamico e quello europeo, che per diversi secoli ebbe nella penisola iberica il punto di maggior contatto e interconnessione. L’invasione musulmana dei territori andalusi gettò le basi per uno scambio continuo tra l’arte islamica e quella cristiana, scambio da cui scaturì una produzione di manufatti sempre più ricca e fiorente che via via attrasse l’interesse dei collezionisti e delle corti di tutta Europa.

Tappeti, frammenti di tappeti e ceramiche a lustro esposti nell’allestimento temporaneo raccontano sapientemente il lusso della produzione risalente al XV e XVI secolo, e la visita guidata ne approfondirà il significato culturale oltreché artistico in un continuo rimando e confronto con le collezioni permanenti esposte nella Galleria dedicata ai Paesi islamici dell’Asia.

A cura di Theatrum Sabaudiae.

Costo: € 6 a partecipante; costi aggiuntivi: ingresso alla mostra temporanea (gratuito per possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte)

Info e prenotazioni: t. 011.5211788, prenotazioni ftm@arteintorino.com

 

Domenica 26 febbraio ore 17.30

THERESA WONG

MAO – concerto nell’ambito della mostra Buddha10

Un’interpretazione personale della musica classica contemporanea: radicale e seducente.

La musica della compositrice, violoncellista e cantante Theresa Wong unisce musica classica, arti visive e teatro in composizioni innovative, spesso collaborative e improvvisate. “Harbors”, il suo album collaborativo con Ellen Fullman, l’inventrice del Long String Instrument, ha avuto un grande successo di critica. Wong ha presentato il suo lavoro a livello internazionale in luoghi quali Fondation Cartier, Parigi; Café Oto, Londra; Fabbrica Europa, Firenze; Festival di Sidney; The Lab, San Francisco; e The Stone a New York. Nel 2022 ha composto tre performance site-specific ispirate alle opere d’arte della collezione del San Francisco Asian Art Museum per la serie Sound/scapes.

Il suo ultimo lavoro, “Practicing Sands”, è un album per violoncello e voce che sviluppa un vocabolario personale sul violoncello e documenta l’approccio personale di Wong all’utilizzo e al posizionamento dei microfoni come estensioni della composizione stessa.

Costo: 15 € | ridotto studenti 10 €. I biglietti sono disponibili presso la biglietteria del museo.

Info e prenotazioni: eventiMAO@fondazionetorinomusei.it

 

Prima del concerto, nello spazio dei giardini giapponesi, verrà proposta la performance “My Freedom”, curata da Vincenzo Di Federico e Lanxin Zheng, primo esito del Laboratorio di studio performativo proposto dal MAO in collaborazione con YizhongArt. Protagonisti dell’azione performativa sono i giovani studenti d’arte cinesi Cao Xiaoyu, Li Xinke, Liu Ruogu, Luo Siliang, Sun Yuancong, Zheng Yiwen. Si ringrazia l’Associazione degli Studenti e Studiosi Cinesi (ASSCAT) dell’Accademia di Belle Arti di Torino per aver promosso l’iniziativa.

La performance è inclusa nel costo del biglietto del concerto.

 

 

 

 

 

Theatrum Sabaudiae propone visite guidate in museo

alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.

Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

 

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

 

Torino e le leggende fondative: il toro rosso e la discendenza egizia

Personalità carismatiche, antiche storie e mistero: sono queste le tre coordinate che hanno reso il principale capoluogo del Piemonte celebre a livello mondiale. Questa fama però spesso fa passare in secondo piano altre nozioni altrettanto interessanti che fanno parte del patrimonio storico e culturale della città. Fra queste figurano le leggende fondative di Torino, che spiegano le origini del suo nome e il collegamento con l’animale-simbolo presente nel suo stemma. Infatti nonostante l’etimologia derivi probabilmente dalla radice celtico-ligure “-thor”, che rimanda semanticamente ai monti e alle alture, si possono trovare diverse storie che vedono come protagonista un toro.

Le leggende di Torino

Nella versione più antica del mito la popolazione viveva nel terrore costante, a causa di un drago che viveva nelle foreste vicine. Per scongiurare il pericolo, gli abitanti della città fecero ubriacare un toro e lo mandarono a combattere contro il nemico. Il coraggioso animale riuscì nell’impresa, ma perse la vita. Per onorare il suo gesto coraggioso, i cittadini decisero di inserire un toro rosso nelle effigi della città. Lo stemma infatti inizialmente presentava questo colore, ma dal XVII secolo in poi divenne dorato e assunse la posizione rampante che si può osservare ancora oggi nell’iconografia cittadina.

Questo racconto di origine celtica venne però poi soppiantato da una narrazione aristocratica. Infatti nel 1563 i Savoia decisero di trasferire la capitale del Ducato da Chambéry a Torino. In quel periodo incaricarono lo storico Filiberto Pingone di approfondire la loro genealogia. Lo studioso dunque mise ordine all’interno delle fonti storiografiche e aggiunse anche una parte  mitologica per nobilitare la stirpe.

Egitto e Torino:

In questa operazione è possibile trovare il primo collegamento fra la casata e l’Egitto: infatti secondo questa narrazione i Savoia discenderebbero dal figlio del faraone. Pa Rahotep lasciò la sua terra natia per dei dissidi con la casta sacerdotale e partì con l’intento di creare un nuovo regno. Sbarcò prima in Liguria e poi continuò il suo viaggio fino in Piemonte: attendeva infatti un segno divino. Quando vide un toro abbeverarsi lungo le sponde del Po, decise di fermarsi. Riconobbe in questa apparizione il benestare del dio Api e quindi ribattezzò il luogo Eridania.

Questa storia divenne poi centrale nella politica culturale dei Savoia, che incominciarono ad acquistare reperti archeologici egizi. Fra falsi storici e pezzi di pregio andò a costruirsi così la collezione che attualmente è custodita presso il Museo Egizio.

leggende torino iside I Il Torinese

Da allora fino ad oggi

Ma la potenza delle leggende fondative di Torino non ha solo portato alla creazione di una tradizione egittologica, ma anche ad un immaginario popolare condiviso. Ancora adesso infatti è diffusa la credenza che alcuni monumenti siano stati costruiti su vestigia di antichi templi. Costituisce un esempio la Gran Madre, edificata -secondo le dicerie- sui resti di un antico santuario dedicato alla dea Iside.

In un processo di sincretismo la divinità sarebbe poi stata traslata nella Madonna, con cui effettivamente sono presenti delle somiglianze. Entrambe condividono i tratti della vergine e della madre e rappresentano l’incarnazione di un amore puro e filiale. Su questo terreno confuso e affascinante si è poi andata ad innestare anche la leggenda del sacro Graal. Infatti si dice che la chiave per trovarlo sia conservata in una delle due statue presenti all’esterno della chiesa. Ai lati della scalinata sono infatti presenti le personificazioni di Fede e Religione, rappresentate rispettivamente con un calice e una croce. Secondo gli amanti dell’esoterismo la prima sarebbe la chiave per rintracciare il Santo Graal. Basterebbe infatti seguire il suo sguardo per trovare la reliquia più ricercata di tutti i tempi.

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Francesca Pozzo