CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 238

UniTo: quando interrogavano Calvino

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Torino e la Scuola

“Educare”, la lezione che ci siamo dimenticati
Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi
Le riforme e la scuola: strade parallele
Il metodo Montessori: la rivoluzione raccontata dalla Rai
Studenti torinesi: Piero Angela all’Alfieri
Studenti torinesi: Primo Levi al D’Azeglio
Studenti torinesi: Giovanni Giolitti giobertino
Studenti torinesi: Cesare Pavese al Cavour
UniTo: quando interrogavano Calvino
Anche gli artisti studiano: l’equipollenza Albertina

 

9 UniTo: quando interrogavano Calvino

Lo dico subito: tengo molto al tema di questo articolo e non medierò in nulla la mia passione per l’autore che andrò ad affrontare quest’oggi per la mia rubrica sugli studenti torinesi. Si tratta di uno scrittore che purtroppo a scuola non viene approfondito e che rischia, a mio parere, di non essere sufficientemente conosciuto.
Sto parlando di Italo Calvino, nato nel 1923 a Santiago de Las Vegas, (Cuba), da genitori italiani, entrambi docenti universitari di materie scientifiche. In seguito, nel 1925, la famiglia si trasferisce a Sanremo, dove Italo trascorre l’adolescenza e compie il primo ciclo di studi, infine, nel 1941, si trasferisce a Torino per frequentare l’Università di Agraria. Nel 1943 entra nella brigata comunista Garibaldi. Dopo la guerra, nel ’45, Calvino lascia la Facoltà di Agraria e si iscrive a Lettere e nello stesso anno aderisce al PCI. Alla Facoltà di Lettere di Torino si laurea nel 1947 con una tesi su Joseph Conrad. A Torino entra in rapporto con Natalia Ginzburg e Cesare Pavese a cui sottopone i suoi racconti. Inizia a collaborare con il quotidiano “l’Unità” e con la rivista “Il Politecnico” di Elio Vittorini. Nel frattempo si afferma la celebre casa editrice torinese Einaudi (fondata nel ‘33 da Giulio Einaudi), all’interno della quale collaborano Pavese e Vittorini, di cui Calvino è diventato ormai grande amico. Grazie a Pavese viene pubblicato nel 1947 il primo romanzo di Italo “Il Sentiero dei nidi di ragno”. Le sue doti di scrittore non possono passare inosservate, così due anni più tardi esce una prima raccolta di racconti “In ultimo viene il corvo” (1949), seguito da una moltitudine di altri successi. Nel ‘57 lascia il PCI, e nello stesso periodo collabora con diversi giornali, tra cui “Officina”, rivista fondata da Pier Paolo Pasolini, e dirige con Vittorini la rivista “Menabò”.

Dopo i successi lavorativi, nel 1962, Calvino incontra l’amore, conosce infatti Esther Judith Singer, una traduttrice argentina con cui si sposa – a Parigi- nel 1964. Italo rimane con la compagna nella capitale francese fino al 1980, anno in cui si trasferisce a Roma e pubblica “Palomar”. Nel 1984 lascia Einaudi e passa a Garzanti. Nel 1985 riceve il riconoscente invito da parte dell’Università di Harvard a tenere una serie di conferenze. Italo accetta e inizia a preparare le sue lezioni, ma, purtroppo, viene colto da un ictus improvviso nella sua casa a Roccamare, presso Castiglione della Pescaia. Muore pochi giorni dopo a Siena, nella notte tra il 18 e il 19 settembre. I testi tuttavia vengono pubblicati postumi nel 1988 con il titolo “Lezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio.” Per quel che mi riguarda, Calvino l’ho scoperto per caso, curiosando tra i molti libri che a casa ci sono sempre stati, giocando a leggere titoli che mi suggerivano storie elaborate e fantasiose. Ricordo una copertina sul verde, leggermente consunta, avvolgeva delle pagine ingiallite: era la trilogia de “I nostri antenati”. È stata una delle prime opere che ho letto con attenzione e totale trasporto, ho da subito amato lo stile lineare e lucidissimo dell’autore, il suo modo semplice di raccontare con misurato rigore, le parole fluide che si dispongono quasi in automatico a comporre le frasi, come pezzi di un puzzle che per forza così si devono incastrare.

Leggere Calvino è bello. Lasciarsi trasportare dalle trame dei suoi racconti è un’esperienza avvolgente, completa, rilassante, ma anche occasione di riflessione, perché Italo non è solo maestro della narrazione, ma anche uomo di grande cultura e forbito pensatore. Calvino tuttavia, prima di diventare un grande fra i grandi, fu uno studente fra gli studenti, e viene un po’ da sorridere all’idea di immaginarselo di fronte all’Università, intento a rivedere gli appunti e a ripassare per gli esami, mentre sfoglia velocemente i propri libri. E fa ancora più meraviglia immaginarselo lì, forse lievemente impaurito, in attesa di essere interrogato da qualche professore per cui provava magari timore reverenziale. Certamente di professori che incutevano, diciamolo pure, “paura” all’Università di Torino ne sono passati molti, e la storia dell’istituzione è decisamente antica. Le origini dell’Università degli Studi Torino risalgono ai primi anni del XV secolo. Dopo la morte improvvisa di Gian Galeazzo Visconti alcuni docenti delle Università di Pavia e Piacenza proposero a Ludovico di Savoia-Acaia la creazione dello “Studium Generale” di Torino, in quanto sede vescovile e crocevia della rete di collegamenti tra la Francia, la Liguria e la Lombardia. La nuova Università nacque ufficialmente nel 1404 con la bolla di Benedetto XIII, papa di Avignone.
Dal 1443 fino all’inaugurazione del prestigioso palazzo di via Po vicino a Piazza Castello nel 1720, l’Università ebbe sede nel modesto edificio acquistato e ristrutturato appositamente dal Comune all’angolo tra via Dora Grossa, l’attuale via Garibaldi, e via dello Studio (poi via San Francesco d’Assisi).

L’Università torinese, pur non competitiva rispetto alle altre grandi Università italiane, era comunque di grande rilievo, non dimentichiamo che Erasmo da Rotterdam vi conseguì la laurea in Teologia nel 1506. Particolarmente floridi per l’Università furono gli anni delle riforme di Carlo Alberto (1831-1849). Il periodo albertino è caratterizzato dallo sviluppo di alcuni istituti, dalla creazione di nuovi e dalla presenza sul territorio di docenti di prestigio, quali ad esempio Augustin Cauchy, matematico e ingegnere francese, o Pier Alessandro Paravia, letterato e mecenate italiano di grande fama. Nel corso degli anni molte furono le innovazioni e le modifiche che i vari corsi subirono, per esempio, nel 1844 le Facoltà di Medicina e di Chirurgia furono nuovamente riunite e riformate, mentre nel triennio 1846-48 si provvide, tra forti contrasti e resistenze, a riformare la Facoltà di Scienze e Lettere che il 9 ottobre 1848 cessò di esistere. Si istituirono due Facoltà separate, una di “Belle Lettere e Filosofia” e l’altra di “Scienze Fisiche e Matematiche”, quest’ultima tra l’altro poteva vantare nomi di docenti illustri quali Avogadro, Bidone, Plana, Giulio, De Filippi, Sobrero, e Menabrea. Continuando per una più che rapida carrellata storica, è necessario ricordare un altro momento storico cruciale, non solo per la storia della Scuola, ma per la Storia con la “S” maiuscola. La riforma Gentile, varata nella prima metà del 1923, che riconobbe 21 Università e inserì quella di Torino tra le dieci a carico dello Stato. Siamo durante il ventennio fascista, periodo in cui l’Ateneo torinese cercò di mantenere la massima autonomia didattico-scientifica. Quando il regio decreto del 28 agosto 1931 stabilì che i docenti avrebbero dovuto giurare di essere fedeli non solo alla monarchia, ma anche al regime fascista, in tutta Italia solo 12 insegnanti su oltre milleduecento rifiutarono di prestare il giuramento, perdendo così la cattedra. Tre di questi erano membri del corpo docente dell’Università di Torino: Mario Carrara, Francesco Ruffini e Lionello Venturi. Nell’ultimo secolo la Facoltà di Lettere ebbe insegnanti come Luigi Pareyson, Nicola Abbagnano, Massimo Mila. A Giurisprudenza insegnarono Luigi Einaudi e Norberto Bobbio. Molti tra i protagonisti della vita politica italiana del Novecento si formarono all’Università di Torino, come Gramsci e Gobetti, Togliatti e Bontempelli.

Alla fine degli anni Sessanta la nuova (e attuale) sede del “Palazzo delle Facoltà Umanistiche”, noto anche oggi come “Palazzo Nuovo”, trovò spazio nella moderna costruzione di Via Verdi. Nel 1998 è stata fondata l’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”. Nel 2012 è stato inaugurato il “Campus Luigi Einaudi”, nuovo polo accademico con funzione di sede unica per i corsi di studio nell’ambito delle Scienze giuridiche, politiche ed economico-sociali. L’identità dell’Università degli Studi di Torino è costituita dal sigillo, il cui primo esemplare risale al 1615. Vi è rappresentato un toro, che indica lo stretto legame dell’Ateneo con la città di Torino, adagiato su tre libri, che alludono alle prime tre Facoltà dello “Studium” torinese: Teologia, Leggi, Arti e Medicina. Il toro ha la testa volta all’indietro verso un’aquila ad ali aperte che poggia sulla groppa dell’animale. L’aquila fissa il sole, simbolo della sapienza, ed è coronata, perché è il re degli uccelli ed è anche insegna dell’imperatore che, con diploma del 1412, aveva confermato la bolla papale di fondazione, risalente al 1404. Sui tre libri sono incise una crocetta, un fermaglio e un altro segno indistinto. Questa la legenda: “SIGILL(um) UNIVERS (itatis) AUGUSTAE TAURINORUM”. Il logo divenne emblema dell’Università dal 1925.

Dopo questo breve “excursus” possiamo focalizzarci nuovamente sul nostro studente per oggi prediletto.
“Gli artisti usano le bugie per dire la verità” dice V, personaggio mascherato da Grey Fox, disegnato da David Loiyd, protagonista di “V per Vendetta”, una serie di fumetti scritti da Alan Moore, allo stesso modo – se mi è permesso l’ardito accostamento tra l’autore italiano e il mondo fumettistico inglese- Calvino usa le sue narrazioni favolistiche come spunto per un’ardita riflessione sull’esistenza e sulla condizione dell’uomo contemporaneo.  L’autore occupa un posto di primo piano non solo nella storia della narrativa ma anche nel nostro panorama culturale italiano, sia per i suoi lucidi interventi di critico militante, sia per la centralità del suo ruolo di collaboratore nella politica editoriale della casa editrice “Einaudi”, dove ha lavorato per trent’anni.
Calvino sostiene una concezione impegnata del lavoro intellettuale e della letteratura, tanto che nel 1955 scrive nel suo saggio “Il midollo del leone”: “Noi pure siamo tra quelli che credono in una letteratura come educazione di grado e di qualità insostituibile”.

La produzione di Calvino, per la varietà di innovazioni fantastiche e per le diverse modalità narrative, non trova eguali in nessun altro autore del Novecento. Il tema costante della sua produzione è la condizione storica dell’uomo, il suo stare al mondo, argomentazione a lui cara sia nei primi scritti, fino al suo ultimo libro “Palomar” (1983) in cui porta avanti una lucida e disincantata analisi della condizione dell’essere umano, che si interroga e che vuole capire se stesso e l’universo in cui vive.
La multiforme produzione calviniana è solitamente divisa in “fasi”: “neorealistica”, “allegorico-fiabesca” e “fantascientifica”. È utile però ribadire che tali classificazioni, che sono elastiche e strumentali, non vanno intese come un’ordinata successione cronologica, con modalità narrative specifiche che si concludono definitivamente una dopo l’altra; è infatti caratteristica preminente in Calvino la coesistenza, spesso anche all’interno dello stesso testo, di atteggiamenti contrastanti, che però egli riesce sapientemente a mediare.

Il suo essere narratore peculiare è evidente già dal suo primo romanzo, edito nel 1947, titolato “Il sentiero dei nidi di ragno”, un testo inseribile all’interno del filone neorealistico. Il libro affronta la tematica della Resistenza, argomento caro a molti altri suoi contemporanei, ma che Calvino espone secondo la sua ottica innovativa e inaspettata, così il lettore si trova catapultato non in un “semplice” romanzo storico, ma in una sorta di “favola a lieto fine”. Protagonista del romanzo è Pin, un bambino maturato velocemente, costretto a conoscere la violenza e la durezza della vita per strada. La vicenda ci è raccontata attraverso il suo sguardo di fanciullo cresciuto, che certo si inserisce nelle vicende degli adulti, ma che comunque non riesce a comprendere del tutto.
La dimensione favolosa e fantastica è di certo la più autentica per Calvino, come dimostrano i romanzi “Il visconte dimezzato” (1952), “Il barone rampante” (1957) e “Il cavaliere inesistente” (1959). Tali opere, conosciute come la trilogia de “I nostri antenati”, fanno capo al genere del racconto filosofico, filone letterario che in Italia non ha mai conosciuto particolari apprezzamenti. Va però detto che, se nel racconto filosofico l’intento è dimostrativo e raziocinante, in Calvino dominano il gusto per l’invenzione e il fantastico. In questi testi favolistici vi è però una sorta di “doppio fondo”, un messaggio nascosto, che il lettore accorto scova se si sofferma a pensare tra un capoverso e l’altro. Si tratta di tre romanzi allegorici sulla condizione dell’uomo contemporaneo, “alienato”, impossibilitato a raggiungere la completezza (come dichiara l’autore stesso nella presentazione editoriale de “Il visconte dimezzato”). Oltrepassiamo la gradevolezza della “fabula” e soffermiamoci dunque sul motivo di fondo del racconto di colui che è “dimidiamento dell’uomo contemporaneo, mutilato, incompleto, nemico a se steso”, o sul principio enunciato dal Barone: “chi vuol guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria” oppure sulla vicenda di Agilulfu, che è solamente un’armatura vuota, metafora dell’essere umano deprivato della sua irripetibile individualità, ridotto a “funzione”, usato come mezzo e non pensato come fine. Favole certo, ma con un “Ὁ μῦθος δηλοῖ ὅτι” (o mythos deloi oti: “la favola insegna che”, di esopica memoria) da non sottovalutare.

L’interesse per la condizione umana è altresì evidente ne “Le Cosmicomiche” e in “Ti con zero” (1967). Si tratta di opere inscrivibili alla fase “fantascientifica”, in cui l’autore attinge alla fisica quantistica, alla genetica e alla biochimica per sottoporre a discussione una moltitudine di problematiche scientifiche. Qfwfq è l’impronunciabile nome dell’entità protagonista, vecchia quanto il mondo e con la stessa memoria del mondo. È proprio tale improbabile personaggio ad analizzare un microcosmo lontano dal nostro, esistente prima della nascita del concetto di spazio e di tempo, nel quale però sono già presentati i conflitti, le tensioni e le dinamiche interpersonali che si incontrano nel mondo di oggi. Anche in questo romanzo psichedelico vi è una riflessione celata all’interno del tessuto narrativo, e l’interrogativo costante è “L’uomo non cambia e i suoi problemi sono immutabili e insolubili”? Al lettore l’ardua sentenza.
L’autore ci coinvolge continuamente e ci esorta a rimuginare, a trarre le giuste conclusioni, ma da sommo Maestro com’è, intanto che aspetta ne approfitta per darci ancora una lezione, che forse ci spiazza e ci costringe ad ingoiare quella minuscola frase che stavamo faticosamente formulando. Nell’opera “Le città invisibili” egli scrive: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abbiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce fatale a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio”. E la domanda rimane aperta: “la favola insegna che?”

Alessia Cagnotto

Le 3Chic Atmosfere e sonorità vintage

Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/c, Torino

Mercoledì 8 febbraio, ore 21.30

Le 3Chic

Atmosfere e sonorità vintage per il trio vocale al femminile che si esibisce cantando e danzando coreografie in stile Trio Lescano e Quartetto Cetra

Le 3Chic sono un trio vocale al femminile composto da Marinella Locantore, Martha Umana e Cristina Geremias: cantanti, ma anche ballerine jazz e musical style. Il loro spettacolo è un vero e proprio “vintage show” con un set di abiti, trucco e acconciature progettati ad hoc. Il loro repertorio spazia dagli arrangiamenti vocali anni ’40 in stile Trio Lescano e Quartetto Cetra a quelli americani in stile Andrews Sisters, ai brani degli anni ’50 e ’60 stile The Supremes, The Chordettes, fino ad arrivare alle canzoni odierne riarrangiate in stile vintage, stile Puppini Sisters, o in chiave blues.

Formazione

Marinella Locantore, voce

Martha Umana, voce

Cristina Geremias, voce

Emanuele Olivetti, contrabbasso

Alex Sorel, batteria

Riccardo Chiara, chitarra

Ora di inizio: 21,30

Ingresso:

15 euro (con calice di vino e dolce) – 10 euro (prezzo riservato a chi cena)

Possibilità di cenare prima del concerto con il menù alla carta

Info e prenotazioni

Web: www.osteriarabezzana.it

Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it

“Video Killed The Radio Star”

MUSIC TALES, la rubrica musicale

“la tv ha ucciso la stella della radio

la tv ha ucciso la stella della radio

sono arrivate le immagini e ti hanno spezzato il cuore”

Per la serie … ci si ricorda di loro per una canzone che resta nel cuore e nelle orecchie del mondo, oggi si parla di: “Video Killed The Radio Star”.

La celebrità di questo brano la si deve soprattutto al fatto che il videoclip, diretto da Russell Mulcahy, andò in onda per inaugurare le trasmissioni di MTV il 1º agosto 1981.

Tale scelta non fu casuale, sia perché all’epoca pochi artisti avevano l’abitudine di realizzare videoclip dei propri brani, e i Buggles erano tra questi; sia perché la canzone e le immagini del video (in cui, tra l’altro, si vedono esplodere delle radio) parlano di una “stella della radio” che perde popolarità con l’avvento dell’era della “musica da vedere”.

Sono certa che ognuno di voi ricordi la canzone, perchè è un vero “cult”della musica di inizio degli anni ’80.

Forse non tutti sanno che la nota versione pubblicata dai Buggles, può essere considerata una cover di un’incisione precedente; infatti, nello stesso anno, una versione diversa fu registrata da Bruce Woolley (autore del brano con Horn e Downes) e dal suo gruppo “Camera Club” (che comprendeva anche Thomas Dolby) e pubblicata nel loro primo ed unico album English Garden.

Ve la linko qui se voleste andare ad ascoltarla

https://www.youtube.com/watch?v=1HLwljnmzR8&ab_channel=puske1990

Sebbene tecnicamente “Video Killed the Radio Star” appartenga per diritto anagrafico agli anni settanta, sul piano puramente musicale esso è di fatto il capostipite degli ottanta, dei quali anticipa lo stile: sofisticata elettronica, accenni di utilizzo del “Wall of Sound” (che verrà poi usato a piene mani per spruzzare di effetti sonori i brani di quel decennio) e quel tono vagamente romantico che fa da ponte sentimentale e cronologico tra il passato e le nuove tecnologie.

Una canzone che, forse al di là di ogni intenzione degli autori, ha costituito praticamente la porta d’ingresso verso un mondo dominato dagli epigoni del sintetizzatore elettronico, e un brano techno-pop ante litteram.

La batteria è suonata da Warren Cann,

co-fondatore e batterista del gruppo new-wave Ultravox.

“La televisione. La televisione è la cosa più sinistra del nostro pianeta. Va’ subito a prendere la tua TV e buttala dalla finestra o vendila e compra uno stereo migliore.”

Kurt Cobain

Oggi vorrei proporvi (so che a molti non piacerà n.d.r.) una versione del brano se fosse stato sulla bocca di Freddy Mercury

Buon ascolto

https://www.youtube.com/watch?v=N26_hRITlsU&ab_channel=PostmodernJukebox

Chiara De Carlo

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

Da Torino a New Delhi Capita a “Il Grande Vuoto”, la mostra prodotta dal “MAO”

Un grande orgoglio per Torino, per il suo “MAO – Museo d’Arte Orientale” di via San Domenico in primis e per la “Fondazione Torino Musei”, di cui il MAO è la pedina più recente (inaugurazione, nel 2008) di importante e riconosciuto prestigio.

Parliamo del trasferimento, avvenuto il 13 gennaio scorso, di parte della mostra “Il Grande Vuoto” – che ha dato il via (la scorsa primavera) alla direzione del Museo subalpino di Davide Quadrio, curatore della stessa mostra – verso l’India. Destinazione l’“Istituto Italiano di Cultura” di New Delhi. Dove, fino al prossimo 26 febbraio, della rassegna torinese, presentatasi sotto la Mole “come esperienza multisensoriale – parole dello stesso Quadrio – e come segno forte di speranza per un futuro che si rivela incerto e sconfortante”, saranno visibili alcune delle opere più significative presentate a Torino, fra cui una selezione di 40 immagini di “tulku”, realizzate dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri e che ritraggono i cosiddetti “Buddha viventi”, figure salvifiche la cui “mente di saggezza” rinasce in nuovi corpi per condurre l’umanità verso la salvezza e il “Grande Vuoto … verso la buddhità”. Non semplici ritratti fotografici, ma autentici oggetti di venerazione. Una raccolta iniziata oltre una decina d’anni fa dall’artista Paola Pivi che ha raggiunto il numero considerevole di migliaia di immagini e che costituisce quello che è oggi il più grande archivio di “tulku” al mondo. In mostra, da Torino a New Delhi, è arrivata anche la scultura “Dakini rossa”  dell’artista di origini liguri (Loano, 1969) Maurizio Anzeri.

Scultura terrifica a tecnica mista – filo di cotone e capelli sintetici, materiale a suo dire il più scultoreo di tutti, cuciti e tessuti insieme fino a diventare corpo solido – per la quale Anzeri s’è ispirato alla “Na-ro mkha’ – spyod – ma”, la “Dakini” (spiriti femminili dalla natura ferina quasi demoniaca, di tradizione hindu, IV sec. d. C., assistenti della dea Kali) esposta al MAO nella sezione dedicata al Tibet. La rassegna, promossa dall’“Istituto Italiano di Cultura”, prevede inoltre l’inserimento di alcuni contenuti nuovi e, in particolare, della performance “When I think of Her” della danzatrice Antonella Usai, realizzata su musiche di Vittorio Montalti e Park Jiha, in programma il 10 febbraio.

La partitura coreutica sarà in relazione proprio con l’opera “Dakini rossa”, “un dialogo – sottolinea Davide Quadrio – che porta, di rifrazione in rifrazione, dal ‘Grande Vuoto’ alla ‘dakini’ attraverso una gestualità fatta di movimenti pesanti, viscerali o iconici con richiami a una classicità indoeuropea”.

La tappa indiana de “Il Grande Vuoto” fa parte di un progetto di circuitazione internazionale, in collaborazione con importanti partner istituzionali che coinvolgerà tutti i progetti espositivi del Museo. “Il ‘MAO’ sta infatti costruendo – ancora Quadrio – moduli espositivi che possano essere adattabili a un concetto di collaborazione internazionale. Si tratta di un processo che, partendo da questa mostra, deve però e soprattutto coinvolgere le sue ‘Collezioni’, la vera ricchezza del Museo, su cui intendo investire e lavorare per renderle sempre più accessibili e fruibili”.

Per info: “MAO – Museo d’Arte Orientale”, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932 o www.maotorino.it

 Gianni Milani

Nelle foto:

–       “Tulku” e “Dakini rossa”

–       Davide Quadrio

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Massimo Recalcati “La luce delle stelle morte” -Feltrinelli- euro 16,00

Cosa si spezza dentro di noi quando muore una persona amata? Come possiamo superare quel dolore e riprendere a vivere? Sono solo due delle tante domande su cui si interroga uno dei psicoanalisti più famosi d’Italia.

Lutto, nostalgia e melanconia ci appartengono e basta guardarsi indietro per constatare che la nostra vita è un cimitero di morti, sepolture, rimpianti, scomparse e tutto lo strazio che segue ad ognuno di questi eventi traumatici.

La morte fisica del nostro corpo non è l’unica esperienza che possiamo fare della fine; esistono innumerevoli lutti nell’esistenza di tutti noi, anche sotto forma di abbandoni, separazioni, perdite affettive.

Al centro del saggio ci sono temi portanti come l’elaborazione del lutto che non finisce mai, la narrazione della nostalgia che è rimpianto ma anche gratitudine, e può trasformarsi in forza di rinnovamento della vita, proprio come fa la luce delle stelle morte.

Perché morendo scompariamo ma forse continuiamo a brillare. Questo è un libro che ci induce a meditare, guidati da un autore che spinge a pensare in profondità. I lutti ci gettano nel baratro del dolore, ma in quelle disperazioni c’è anche la luce del passato che ci fa riemergere dalla sofferenza e rinascere alla vita.

 

 

Elisabeth Åsbrink “Abbandono” -Iperborea- euro 18,50

L’autrice è una scrittrice e giornalista svedese, nata nel 1965 a Göteborg, affermatasi per i suoi reportage letterari e vincitrice di svariati premi. In questo romanzo risale alle origini della sua famiglia, attraverso le figure della madre e della nonna, fino alla diaspora degli ebrei sefarditi nell’Europa Medievale.

Ambientato tra Londra, Stoccolma e Salonicco il libro ricompone vite e storie, a partire da quella della nonna Rita; il suo arrivo a Londra, le difficoltà della famiglia, la relazione tenuta segreta con Vidal.

Lui è un ebreo sefardita esule da Salonicco, uomo nato nell’Impero Ottomano che nella capitale inglese del primo Novecento si fa strada con ingegno e duro lavoro, ma non può identificarsi in nulla; non è turco, né greco e ancora meno inglese.

Per di più, è pesantemente condizionato dalla tradizione di famiglia e da una madre ingombrante.

Rita e Vidal si ameranno e metteranno al mondo due figlie, ma tutto tenuto nell’ombra in una sorta di doppia vita, in gran segreto, almeno fino a un certo punto.

Attraverso la ricostruzione anche della vita materna, la Åsbrink farà i conti con la storia, le sue radici più lontane e un senso di abbandono che attraversa non solo il suo destino….

 

Erin Kate Ryan “Quantum girl” -Neri Pozza- euro 18,00

Questa talentuosa giovane scrittrice americana (nata a Cincinnati nel 1978) prende spunto da un caso realmente accaduto ed imbastisce una trama quantistica, ovvero fatta di tanti multipli. Il fatto di cronaca a cui si ispira risale al 1946 quando scomparve nel nulla la 18enne Paula Jean Welden. La Ryan immagina tanti possibili destini toccati alla ragazza e ci immerge nella teoria secondo la quale quando una donna che sparisce può diventare tutto quello che si immaginano gli altri.

Una scelta più che stilistica, in cui immaginare il destino di una persona di cui non si sa più nulla è come evocare tanti mondi alternativi che si sostituiscono alla verità… ed ecco la meccanica quantistica dispiegata. Mentre sciorina in parallelo tante ipotizzabili storie che sarebbero scaturite da quell’assenza, l’autrice spariglia le carte e fa entrare in scena il personaggio chiave.

E’ Mary Garrett, donna in perenni difficoltà economiche e con alle spalle una famiglia pessima, che ha un dono derivante dalla sua esperienza personale: la chiaroveggenza che applica in modo prioritario alla ricerca delle persone scomparse.

Una sera Mary si presenta alla porta di casa degli Starking; la loro figlia Polly è scomparsa da pochi giorni e lei sostiene di poterla rintracciare grazie al suo dono che chiama “la Vista”.

Non vi resta che avventurarvi nelle pagine che narrano reticenze, angosce, esperienze spesso tragiche vissute dalle vittime di sparizioni. “LaVista” costringe Mary ad essere testimone di ogni cosa, compreso l’arrivo della morte, e non le permette di distogliere lo sguardo. Un esordio letterario stupefacente….

 

 

Leah Hager Cohen “Matrimonio in 5 atti” -BigSur- euro 18,00

L’autrice ha al suo attivo 6 romanzi e 5 opere di non fiction; in questo libro mette in scena una famiglia un po’ particolare. I progressisti Bennie e Walter Blumenthal sono una coppia di mezza età che ha messo al mondo 4 figli ed è inaspettatamente sono in attesa del quinto.

Ora si trovano ad affrontare i preparativi per le nozze della loro primogenita Clem che tra 5 giorni sposerà la compagna di college Diggs, in una cerimonia allestita nel giardino dei genitori.

Ecco il detonatore di una commedia a tratti deliziosa che narra come anche i più strampalati legami familiari possono salvare da situazioni complesse. L’organizzazione dell’evento è decisamente ancora in alto mare, affidata alla sposa e ai suoi amici, tutti carenti di senso pratico.

Tra ospiti in arrivo, panini al volo, bambini che richiedono attenzione, una zia che sembra un po’ confusa e mille altri piccoli imprevisti vengono a galla anche segreti traumatici del passato e altri di nuova fattura; tutto condito da spumeggiante ironia. Insomma poco più di 300 pagine all’insegna dell’ottimismo che finisce per stemperare qualsiasi tensione alberghi nei meandri dei rapporti che tengono insieme questa memorabile famiglia.

 

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Yari Selvetella “Vite mie” -Mondadori- euro 18,50

Questo è una sorta di memoir di vita vissuta scritta dal giornalista Rai e autore di romanzi Yari Selvetella che parla prima di tutto di amore e riflette sul senso della famiglia e dei rapporti affettivi.

Il protagonista Claudio Prizio è un uomo che ha attraversato la passione, l’amore bruciante che fa compiere pazzie; poi la maturità, il dolore della perdita con la morte della donna amata.

Come affrontare una tragedia di tale portata che lascia il protagonista con il rimpianto della compagna che aveva portato in dote 2 figli e poi ne aveva messo al mondo uno anche con lui?

Claudio lo fa a piccoli passi, dolorosi e introspettivi, assumendosi responsabilità importanti e scoprendo di covare una vocazione da pater familias.

Decide di crescere anche i figli della compagna scomparsa, facendo così un grande passo di amore e senso di responsabilità che travalica qualsiasi vincolo di sangue. Il cammino di Claudio attraversa momenti difficilissimi e poi le schiarite, sensazioni strane come l’impressione di imbattersi per strada in un suo sosia, fasi in cui diventa accudente come una buona madre. E dietro l’angolo di tanta fatica e impegno una rinascita, un nuovo amore e un’altra figlia.

 

 

Abraham Brueghel raccontato da Cottino al Centro Pannunzio

LUNEDÌ 6 FEBBRAIO ALLE ORE 17.30

al Centro  Pannunzio in via Maria Vittoria 35H a Torino Alberto COTTINO, docente di Storia dell’Arte alla Università di Torino e Bologna, presentando il suo libro “ABRAHAM BRUEGHEL”, edizioni etgraphiae, parlerà del grande pittore, nato ad Anversa e vissuto prevalentemente in Italia. Introdurrà Pier Franco QUAGLIENI.

Holden Grand Tour Ventuno tappe in Italia e una a Londra

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Per imparare a scrivere con la Scuola Holden
in collaborazione con autori e librerie locali

TORINO – Imparare a scrivere storie è un viaggio lunghissimo. Chi scrive per passione o per mestiere è sempre in cammino, e Holden Grand Tour può essere l’inizio di questo viaggio: si tratta di un progetto ideato dalla Scuola Holden di Torino per portare percorsi di scrittura base in giro per il mondo, in collaborazione con librerie e scrittori locali.

Nel 2023 il Grand Tour prevede 21 tappe in Italia più una tappa a Londra. Le città italiane coinvolte saranno Alghero, Ascoli Piceno, Bari, Bisceglie, Bitonto, Busto Arsizio, Catania, Catanzaro, Cosenza, Empoli, Enna, Firenze, Ladispoli, Mortara, Ravenna, Roma, San Benedetto del Tronto, Trapani, Trento, Varese e Venezia. Le lezioni cominceranno a marzo e di solito si concentrano nel weekend, per due o al massimo cinque appuntamenti.

In classe ci si addentra nel mondo della narrazione seguendo una mappa di libri, trame, autori e autrici classici e contemporanei: tra le loro pagine ci sono ispirazioni e segreti, metodi per affinare la tecnica e spunti per incoraggiare il talento.

In cattedra ci sarà sempre uno scrittore o una scrittrice, che insegnerà a mettere a punto diversi strumenti per poi usarli. Si leggerà molto e si scriverà ancora di più, ci si allenerà a scrivere incipit, dialoghi e descrizioni, si studierà come si organizza un plot, si sceglierà il genere a cui dedicarsi, soffermandosi sulla ricerca della giusta voce narrante. Si scoprirà che la grammatica delle storie è fatta da alcuni elementi fondamentali, come l’arco evolutivo dei personaggi, la struttura della trama, il punto di vista. Si comincerà a capire quando le storie funzionano e quando, invece, non stanno in piedi e perché.

Alla fine di ogni percorso, la Scuola Holden ripartirà per una nuova tappa del Grand Tour, alla ricerca di nuovi viaggiatori. Ma a quel punto, tutti quelli della classe appena conclusa saranno in grado di tracciare nuove rotte, ideate da loro, e di far arrivare lontano le proprie parole.

Tutte le date, i corsi e le informazioni per iscriversi si trovano online sul sito della Scuola Holden: scuolaholden.it/holden-grand-tour

Tutte le tappe di Holden Grand Tour

Londra / The Italian Bookshop in collaborazione con Londra Scrive

con Marco Mancassola, Caterina Soffici, Livia Franchini, Paolo Nelli, dal 1° al 29 marzo

Roma / in collaborazione con Libreria Spazio Sette

con Nadia Terranova, dal 7 marzo al 16 maggio

Varese / in collaborazione con Libreria Ubik Varese

con Giorgio Fontana, dal 18 marzo al 1° aprile

Empoli / in collaborazione con libreria La San Paolo * Libri & Persone

con Eleonora Sottili, 25 e 26 marzo

Ravenna / in collaborazione con Libreria Dante di Longo

con Giusi Marchetta, 25 e 26 marzo

Busto Arsizio / in collaborazione con Libreria Ubik Busto

con Giuseppe Culicchia, , 25 e 26 marzo

Venezia / in collaborazione con Libreria Toletta – Spazio Eventi

con Roberto Ferrucci e Tiziano Scarpa, 25 e 26 marzo

Firenze / in collaborazione con Libreria Alice

con Pietro Grossi, 25 e 26 marzo

Bitonto / in collaborazione con Libreria Hänsel e Gretel Libri e giochi

con Andrea Donaera, 25 e 26 marzo

Catanzaro / in collaborazione con Libreria Ubik Catanzaro

con Luca Ricci, 25 e 26 marzo

Trento / in collaborazione con Libreria Erickson

con Arianna Giorgia Bonazzi, 1 e 2 aprile

Catania / in collaborazione con Legatoria Prampolini – Libreria Vicolo Stretto

con Giorgio Vasta, 1 e 2 aprile

Enna / CNA Servizi in collaborazione con Bookstore Mondadori

con Eleonora Lombardo, 1 e 2 aprile

Cosenza / Ovo – Officina Visuale Orizzontale in collaborazione con Bookstore Mondadori

con Elena Giorgiana Mirabelli, 1 e 2 aprile

Bisceglie (BA) / in collaborazione con Vecchie Segherie Mastrototaro

con Emiliano Poddi, 1 e 15 aprile

Alghero / Biblioteca della Confraternita della Misericordia in collaborazione con Cyrano Libri, Vino e Svago

con Loredana Lipperini, 1 e 2 aprile

Ascoli Piceno / in collaborazione con Libreria La Rinascita

con Cristiano Cavina, 1 e 2 aprile

Ladispoli / in collaborazione con Libreria Scritti & Manoscritti

con Elvira Seminara, 1 e 2 aprile

San Benedetto del Tronto / in collaborazione con Libri ed Eventi, Associazione culturale I Luoghi della Scrittura e Pelasgo 968

con Alessio Romano, 1 e 2 aprile

Trapani / in collaborazione con Libreria Galli Ubik (Erice Casa Santa)

con Evelina Santangelo, 1 e 2 aprile

Mortara / in collaborazione con Libreria “Le mille e una pagina”

con Iaia Caputo, 1 e 2 aprile

Bari / in collaborazione con Libreria Campus

con Alessandra Minervini, 2 e 16 aprile

Il Grande Fiume in fotografia

Si è svolta a Casale Monferrato, la mostra fotografica personale di Simonetta Guaschino e Maurizio Lupano, visitabile nei fine settimana dal 14 al 29 gennaio 2023.

La fotografa casalese, titolare tra l’altro di un’edicola al quartiere Priocco, da molti anni pratica la fotografia nel tempo libero, con il marito Maurizio Lupano. L’ esposizione fotografica prende il titolo ”Un Po tutti i giorni” nel Torrione del Castello di Casale Monferrato. Visibilli un centinaio di scatti, della poliedrica paesaggista e ritrattista monferrina. Nei giorni della pandemia, durante il lockdown, appena poteva staccava dal lavoro e con il marito, il mattino presto all’alba e sovente anche nelle ore della sera al tramonto e del pomeriggio, con una macchina fotografica reflex, si recava sulle rive del fiume Po, ai murazzi di Casale Monferrato, a riprendere con sguardo curioso e inusuale la natura circostante, fatta di piante e fitti boschi, radure e scorci mozzafiato.

Fino a farle venire l’idea di una mostra, quando cessato il tempo dell’emergenza e ritornata la normalità del post covid-19, anche la vita sociale ha ripreso vigore. Un giorno mi disse che «un’edicola è uno sguardo sul mondo» un punto di osservazione privilegiato, che aiuta l’occhio fotografico a visualizzare il mondo sociale. Luogo tra gli altri, affacciato sulle persone e le cose del quotidiano. Un diaframma panoptico sulla realtà, dove addestrare l’occhio visuale ad estrarre i soggetti della ripresa e il successivo utilizzo della macchina fotografica. Influenzata dallo stile del veneziano Fulvio Roiter e del francese Henry Cartier Bresson, la fotografa casalese non è nuova a mostre personali, nel monferrato e altrove. Ha praticato l’insegnamento della fotografia e con il consorte scatta, stampa, ingrandicse e cura la realizzazione delle immagini. Ha un profilo Facebook e uno Instagram sempre aggiornati e consultabili. Il soggetto paesaggistico invita il fruitore dell’esposizione, a visitare i luoghi fotografati con le luci fredde delle prime luci del mattino o quelle più sature e cromatiche del crepuscolo.


Il fiume è metafora della vita e della storia, ha animato la riflessione spirituale induista e buddista ( il Gange), la riflessione storico- letteraria  ( Riccardo Bacchelli, il mulino del Po), la cinematografia etnografica con Cesare Zavattini, il pensiero politico in Mao Tze Dong e moltissimi altri ambiti e autori. E chiudo con questo aforisma, da uno scrittore immortale:

« Ad ascoltare mi ha insegnato il fiume, e anche tu imparerai da lui. Lui sa tutto, il fiume, tutto si può imparare da lui. Vedi, anche questo tu l’hai già imparato dall’acqua, che è bene discendere, tendere verso il basso, cercare il profondo».

Hermann Hesse, Siddhartha, 1922.

ALDO COLONNA

Buon anno del Coniglio! L’Oriente in Palazzina

Domenica 5 febbraio, ore 15,45

Per il Capodanno Cinese una visita speciale alla scoperta delle “cineserie” della Palazzina di Caccia di Stupinigi

In occasione del Capodanno Cinese, la Fondazione Ordine Mauriziano organizza una visita speciale alla scoperta delle influenze orientali presenti all’interno del percorso di visita della Palazzina di Caccia di Stupinigi.

L’appuntamento, che è anche un augurio, “Buon anno del Coniglio!” vuole essere un’occasione per ripercorrere le influenze ed il gusto delle “cineserie” diffuso nelle residenze sabaude, con una particolare attenzione ai Gabinetti Cinesi arricchiti di tappezzerie importate dalla Cina.

Il fascino dell’Oriente conquista l’Europa a partire dal 1600 con l’arrivo nel Vecchio Continente di merci preziose quali lacche, sete, carte da parati e porcellane che vanno ad abbellire le dimore di re e principi. In Italia, i Savoia, influenzati anche loro dall’esotismo, creano ambienti che riecheggiano questi luoghi lontani. I Gabinetti Cinesi della Palazzina di Stupinigi hanno una tappezzeria di carta dipinta a tempera della seconda metà del Settecento, importata dalla Cina meridionale, che raffigura scene di vita cinese su sfondo roccioso.

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

Piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

Domenica 5 febbraio, ore 15.45

Buon anno del Coniglio!

Durata: 1 ora e 15 minuti

Costo dell’attività: 5 euro, oltre il prezzo del biglietto.

Giorni e orario di apertura: da martedì a venerdì10-17,30 (ultimo ingresso ore 17); sabato, domenica e festivi 10-18,30 (ultimo ingresso ore 18).

Biglietti: intero 12 euro; ridotto 8 euro

Gratuito: minori di 6 anni e possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Royal Card

www.ordinemauriziano.it

Info e prenotazioni: 011 6200634biglietteria.stupinigi@ordinemauriziano.it