CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 183

Il Gallo di Brancusi

Il Gallo di Brancusi, il premio offerto a Torino, da Sua Eminenza Teodosio, al poeta greco Dinos Koubatis. 

La consegna del prestigioso premio è avvenuta al termine del simposio denominato „Cultura romena, cultura europea”, evento che si è svolto presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, tra il 26 e il 28 luglio 2023, sotto l’egida della neonata „Accademia Europea delle Scienze, delle Arti e delle Lettere di Torino”.

Durante i due giorni, i torinesi hanno potuto ammirare anche un’impressionante collezione di sculture realizzate dall’artista Rodion Gheorghiță ricostruendo le opere perdute del grande scultore Constantin Brancusi, oltre a opere d arte digitali firmate dal giovane artista Mihai Dionis Barbu, insieme con un manoscritto del 501, appartenuto a Giovanni Cassiano, santo nato nella Scizia minore, la Dobrogea di oggi.
Il Palimpsesto di San Giovanni Cassiano fa parte dell’archivio della Biblioteca Nazionale di Torino ed è stato esposto per la prima volta al grande pubblico, cosa che ha dato maggiore importanza al recente evento tenutosi ai piedi delle Alpi.
Un momento di grande carica spirituale è stato anche la gioia e l’onore di avere al centro di questa azione Sua Eminenza Teodosio, Arcivescovo di Tomis, che ha fatto una bella esposizione della vita di San Giovanni Cassiano, così come di altri Santi, trasmettendo ai presenti messaggi e insegnamenti calorosi, parabole con insegnamenti spirituali.
Durante i due giorni dedicati all’evento, la soglia della Biblioteca Nazionale di Torino è stata varcata da numerosi ospiti d’onore, come il vicesindaco di Torino, Michela Favaro, il filosofo Constantin Barbu, Sua Eccellenza Bogdan Cuza (pronipote del principe Alexandru Ioan Cuza), oltre a insegnanti, giornalisti, scrittori, poeti, artisti, sacerdoti, persone di cultura provenienti dall’Italia, dalla Romania e dall’Europa in generale. Tutti hanno dato lustro alla cultura romena a Torino.
Dinos Koubatis, il poeta premiato a Torino in occasione dell’evento culturale organizzato dall’Accademia Europea delle Scienze, delle Arti e delle Lettere di Torino, in collaborazione con la rivista Ispirazione Romena, è nato ad Atene ed è un rinomato poeta greco che ha dedicato tutta la sua vita all’arte, essendo, oltre che un illustre uomo di cultura, un importante attore e regista in Grecia.
Ha pubblicato oltre 20 libri, i suoi volumi sono stati pubblicati in diverse lingue e venduti in paesi come Grecia, Francia, Polonia, Canada ecc.
Istituita nel giugno 2023, l’Accademia Europea delle Scienze, delle Arti e delle Lettere di Torino nasce con l’obiettivo di difendere la cultura in generale, promuovere la cultura romena e la lingua romena, le nostre tradizioni, promuovere la conoscenza della storia, dell’etnografia, con l’obiettivo di promuovere la scienza in generale.
Il primo evento organizzato a Torino, nella sede della prestigiosa Biblioteca Nazionale della città piemontese, sottolinea la nobile missione che questa organizzazione si assume, sulla base degli obiettivi sopra elencati.
La cultura romena ha oggi un ruolo essenziale nel mondo, un posto che merita. Al fine di rafforzare questo ruolo, l’accademia avrà presto un senato composto da intellettuali romeni, ma anche accademici di diversi stati europei.
Un ringraziamento speciale viene dato da parte dell’Accademia Europea di Scienze Arte e Letteratura al Ministero della Cultura italiana.
 Luiza Diculescu 
Servizio fotografico Mihai Bursuc

“Scacco Matto” con “I Venerdì del CAI”

A Sauze d’Oulx, fresche serate con la “cultura della montagna” nel gradevole Bar – Solarium di Paola Debili

Dal 4 agosto al 1° settembre

Sauze d’Oulx (Torino)

Iniziati il 21 luglio scorso, proseguono, fino al prossimo 1° settembre, le “serate informative e culturali” – i “Venerdì del CAI” – organizzate dal 2018 a Sauze d’Oulx, “Balcone delle Alpi” in Alta Val di Susa, dalla sottosezione sauzina del “Club Alpino Italiano”. L’appuntamento è, come sempre (dopo una fase iniziale ospitata presso la Sala Conferenze dell’“Ufficio del Turismo” di viale Genevris) nella gradevole e simpatica location del Bar – Solarium “Scacco Matto” di Paola Debili, in Piazzale Miramonti, la piazza più alta (panorama “mozzafiato”) del Centro valsusino. In agenda sono ancora sette gli incontri (tutti a partire dalle 21 e a ingresso gratuito) rivolti, in particolare, ma non solo, agli appassionati di montagna e alla secolare architettura “roccia su roccia” che spesso ne contraddistingue magnificamente il paesaggio.

Il prossimo rendez vous è per venerdì 4 agostocon un incontro, a cura di Bruno Dotti, sulle orme tracciate – da Venezia alla Cina del Kublai Khan – e raccontate ne “Il Milione”(“Devisement du Monde”), dal leggendario Marco Polo. E proprio “Viaggio in Afghanistan: Trek sulle orme di Marco Polo” è il titolo dell’incontro condotto da Dotti che, per immagini e con molta capacità di suggestiva narrazione, ci porterà dalle sicure cime di casa nostra alle montagne dell’Hindu Kush, nella zona del Panjshir, oltre i 7mila, montagne definite “senza più futuro”, a causa dei continui conflitti che da mezzo secolo stanno martoriando quel Paese.

Con Paolo Manenti del CAI di Almese, l’appuntamento è invece per giovedì 10 agostoe il tema non sarà certo meno suggestivo del precedente. Manenti racconterà infatti di “Ski Alp in Norvegia”. Come dire, immaginarci di praticare “scialpinismo”, al di sopra del circolo Polare Artico, sulle Isole Lofoten, fra i fiordi norvegesi, sospesi fra mare e cielo e magari in tempi di “aurora boreale”. Cosa di meglio? Ascoltare e sognare. E (perché no?), se possibile, far del sogno una concreta realtà.

Di “Montagne teatri di guerra” (e quanto lo siano state anche per noi,  proprio in Val di Susa, ce lo insegna ancora oggi ciò che resta della “Batteria dello Chaberton”, il forte più alto d’Europa) tratterà invece, sabato 12 agosto, lo storico Gian Paolo Rovetto, mentre di “Naturopatia alpina. Erbe e rimedi popolari per i disturbi di oggi” parlerà, domenica 13 agosto, la torinese, da anni residente ad Avigliana, Loredana Matonti. Laureata in “Scienze Naturali”, la Matonti farà riferimento al suo libro “Erbe e antichi rimedi di ieri, oggi e domani” (“Editrice del Graffio”), frutto di una ricerca decennale condotta proprio in Val di Susa, in cui si tratta scientificamente delle meraviglie compiute, ai fini del benessere umano, da decotti, impacchi, sciroppi, oleoliti, unguenti e quant’altro.

Di grande interesse sarà anche, venerdì 18 agosto, la presentazione del libro, edito da “Zerotre” nel 2022, “Storia della Valle di Susa e della Sacra di San Michele”, scritto dall’architetto torinese, socio del “Lions Club Susa Rocciamelone”, Sandro Sandri. Coverrealizzata dal grande Ugo Nespolo, nel consueto linguaggio visionario in cui si incontrano gran parte delle cifre stilistiche dell’arte contemporanea, il libro nasce con l’obiettivo di apportare, attraverso la vendita, un importante contributo economico alla “Sacra” (fra i più importanti monumenti – simbolo del Piemonte), che per il lungo periodo di pandemia non ha più beneficiato delle quote di ingresso dei numerosi visitatori, mediamente 100mila all’anno.

E, dopo l’incontro a tema – giovedì 24 agosto – su “Fauna e viabilità in Alta Valle di Susa”(nell’ambito del Progetto “Life Wolfalps Eu”), è ancora con la presentazione di un libro che si concludono i “Venerdì del CAI” a Sauze. Si tratta de “La Regina del Labirinto” (edito da “Kubera”) che l’autore, lo scrittore santantoninese Marco Pent presenterà allo “Scacco Matto” la sera di venerdì 1 settembre. Per Per Pent (insegnante in pensione, scrittore nonché appassionato compositore di musica sacra) si tratta ormai del suo quarto romanzo – dopo tre raccolte di poesie e un’autobiografia dedicata agli anni dell’infanzia – un unico libro che per la molteplice varietà dei sentimenti e delle condizioni umane trattate “sembra contenerne – è stato scritto – una decina d’altri”.

Per info: tel. 339/6523306

Gianni Milani

Nelle foto:

–       “Scacco Matto”, Paola Debili con Elisa e Giulia

–       Sandro Sandri

–       Cover “Storia della Valle di Susa e della Sacra di San Michele”

Torino, dove “abitano” gli incubi di Dario Argento

Torino e Dario Argento, un sodalizio all’insegna della paura e del mistero. Potremmo iniziare così, parlando dello speciale “feeling” che lega il maestro del brivido, il regista che è stato definito “l’Hitchcock italiano” con la “città magica”, fascinosa e austera, chiamata dal grande Le Corbusier “…la città con la più bella posizione naturale del mondo”.

Dario Argento, nella sua autobiografia ( “Paura” – Einaudi,2014) ha confessato che “Torino è il luogo dove i miei incubi stanno meglio”, rendendo esplicito il suo amore per la città all’ombra delle Alpi . “ Ero giovanissimo, un bambino  -racconta – e venni a Torino con mio padre, che doveva andarci per lavoro. Arrivammo di sera, pioveva e subito la trovai una città bellissima. Aveva appena piovuto, le strade riflettevano le luci di questi lampioni, queste luci gialle… le strade luccicavano. Mi piaceva molto, aveva un’aria malinconica e al tempo stesso inquietante. Non pensavo che avrei mai fatto il regista, ma ero sicuro che Torino sarebbe 

stata una città ideale per girarci dei film ; anche se non conta la città in se stessa per rendere più o meno pauroso il film, perché dipende da come la si inquadra, da come la si illumina”. La sua carriera dietro la macchina da presa iniziò nel 1970 con “L’uccello dalle piume di cristallo”, ma è dal secondo film che il regista scelse Torino come “set naturale”  per dare corpo ai suoi incubi. Ne “Il gatto a nove code” gran parte delle scene vennero filmate nel capoluogo piemontese. I luoghi e i “volti” di Torino emersero nel film: da via Vincenzo Vela, 12, dove abitava l’enigmista Franco Arnò (l’attore Karl Malden) con la piccola Lori, al misterioso Istituto di ricerche genetiche Terzi” che, nella realtà, era il retro della GAM, la Galleria di Arte Moderna, per passare dalla stazione ferroviaria di Porta Nuova, da via Santa Teresa e da piazza Solferino. Altre scene vennero girate ai piedi della collina torinese, a due passi dal Po, in corso Fiume, 2, per finire tra le tombe del cimitero Monumentale in piazzale Carlo Tancredi Falletti di Barolo (già corso Novara). Torino piacque a Dario Argento a tal punto che, nello stesso anno, la scelse anche per il thriller “Quattro mosche di velluto grigio”. Le “location”, anche in questo caso, furono molte: dal giardino Lamarmora, incastonato tra le vie Cernaia, Stampatori, San Dalmazzo e Bertola, all’Auditorium RAI di piazza Rossaro,angolo Via Rossini; dalla galleria Umberto I all’esterno del Conservatorio Giuseppe Verdi, in piazza Bodoni; dalla galleria Subalpina al  Caffè Mulassano,al numero 15 di piazza Castello. Ma Dario Argento raccoglierà a piene mani l’aurea misteriosa di Torino tre anni dopo, nel 1974, girando le scene più importanti del suo capolavoro, l’inquietante “Profondo rosso” dove si scorgono, oltre alle piazze e alle vie più note del centro, il Teatro Carignano,  la Galleria San Federico e piazza CLN,dove si riconoscono le fontane di fronte alle quali Gabriele Lavia e David Hemmings assistono al primo terribile delitto del film, quello della sensitiva Helga Ullman ( l’attrice Macha Méril). David Hemmings (che nel film interpreta il pianista inglese Marc Daly ),sulla collina torinese,incrocia alcune dimore importanti come Villa della Regina (residenza storica dei Savoia), lungo la Strada Comunale Santa Margherita, per poi raggiungere l’obiettivo della sua ricerca : Villa Scott, in Corso Giovanni Lanza, 57. È quella, infatti,  la lugubre “villa del bambino urlante” che si trova in Borgo Po, sulle colline della città: un edificio bellissimo, uno degli esempi più straordinari dell’art decò.  “L’ho scoperta per caso – ha raccontato  il regista –  mentre giravo in auto in cerca di posti interessanti dove girare il film. La villa era in realtà un collegio femminile diretto dalle monache dell’Ordine delle Suore della Redenzione  e, siccome ne avevo bisogno per un mese, offrii alle occupanti una bella vacanza estiva a Rimini, dove si divertirono tantissimo. Con noi restò una monaca-guardiano, che sorvegliò le riprese con austerità”. Una curiosità va ancora segnalata. Quando Marc, nel film,suonò a casa del suo amico Carlo, si trovò di fronte la madre di lui (Clara Calamai), che lo fece entrare in un appartamento ricco di cimeli e foto d’ogni sorta. La casa era davvero quella dell’attrice e, quindi, ciò che si vede è probabilmente in gran parte ciò che davvero c’era in quell’appartamento nel 1974, diventato set per l’ultima prova cinematografica della grande interprete del cinema italiano. Il film, quinta prova dietro la macchina da presa per Dario Argento, uscì nelle sale il 7 marzo 1975 e lo consacrò, grazie al successo, come il vero  “maestro del brivido made in Italy”. Il ritorno di Dario Argento alle atmosfere tipiche del genere thriller, parecchi anni dopo “Profondo Rosso”, coincise ancora con una pellicola girata a  Torino dove il capoluogo piemontese venne sfruttato per ambientare praticamente tutte le location di “Non ho sonno”. Anche la colonna sonora, firmata dai Goblin, è un trade-union con il capolavoro del 1975. E come dimenticare l’inquietante “filastrocca del fattore”, quella iniziava con “è arrivata mezzanotte, con il letto faccio a botte, ora inizia la mia guerra con le bestie della terra”? Alcune scene furono girate presso i teatri di posa Euphon Communications, a Mirafiori Sud, mentre per gli esterni il primo ciak avvenne alla stazione Dora di Torino, capolinea della Torino-Ceres. Le immagini del film accompagnano luoghi facilmente riconoscibili dalla Crocetta a piazza della Gran Madre, da San Salvario a piazza Carignano, da piazza Castello al vecchio deposito della SATTI di Lungo Dora Agrigento, al cimitero Monumentale, alla Casa di Riposo  ex “Poveri Vecchi” di Corso Unione Sovietica. Per non parlare di due locali “storici” come la celebre discoteca “Big Club” di Corso Brescia e il  pub “Barbican’s”di piazza Vittorio Veneto. In “Non ho sonno” le analogie con “Profondo rosso” sono molte, quasi come se Dario Argento volesse “citarlo” più volte. Gabriele Lavia , ad esempio, interpreta, anche in questa pellicola, il presunto colpevole e, in una scena importante ,sbotta in un “È’ tutta colpa tua”, esattamente come nell’altro film, recitando la stessa identica espressione. La scena dell’omicidio della ballerina venne girata al Teatro Carignano, la stessa location dove la sensitiva Helga  tenne la conferenza nelle scene iniziali di “Profondo rosso” e, infine,  anche in ”Non ho sonno”, si scelse di usare un manichino che ha le sembianze dell’assassino. Dopo questo ritorno al thriller classico, Argento girò sempre a Torino un film per la televisione: “Ti piace Hitchcock?”. Ai giornalisti, confessò: “Questa città è uno stupendo teatro di posa, quando penso a un film lo immagino qui”. Nelle sequenze Torino si vede dappertutto, da via Vincenzo Vela (già nota per aver ospitato la casa di Arnò el’Istituto Terzi ne “Il gatto a nove code”) al Politecnico di Corso Duca degli Abruzzi, dalla fontana dei dodici mesi” al parco del Valentino a Corso Francia, per finire nella videoteca – il luogo d’incontro di tutti i protagonisti – immaginata al n. 26 di via Cesare Balbo.“La terza madre “, diretto nel 2007 da Dario Argento, con protagonista sua figlia Asia (che aveva già lavorato con il padre nei film “Trauma”, “La sindrome di Stendhal” e “Il fantasma dell’Opera” ) è stato il capitolo conclusivo della saga delle tre madri di cui fanno parte Suspiria (1977) ed Inferno (1980), vale a dire la storia delle tre streghe sorelle, madri degli inferi: Mater Suspiriorum, Mater Tenebrarum e Mater Lacrimarum. Anche per questo film Torino  “prestò” se stessa per molte scene, dagli interni della libreria “La Bussola” di Via Po alla villa abbandonata nei sotterranei della quale si rifugiano la Strega e i suoi discepoli, collocata in Viale Thovez, dalle Molinette di corso Bramante a piazza Emanuele Filiberto, per finire nel Quadrilatero romano,  in Via Bellezia, all’altezza del noto ristorante “Le tre galline”. Anche i dintorni della capitale sabauda ospitarono il set del film: dall’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso a Buttigliera Alta alla  chiesa dei Batù e al cimitero di Andezeno, da strada Cenasco a Moncalieri all’aeroporto di Caselle. Nel 2009 Dario Argento ambienta a TorinoGiallo”, un thriller dove una hostess statunitense insieme ad un investigatore italiano deve seguire le tracce della sorella scomparsa, vittima di un terribile serial killer. Il cast vede un protagonista d’eccezione come Adrien Brody mentre la sua partner è Emmanuelle Seigner, moglie di Polanski, il regista con cui Brody  vinse un premio Oscar per Il pianista. Dopo vari problemi distributivi, il film venne commercializzato direttamente in home video. Anche in quel caso è un rincorrersi per le vie e i quartieri della città. Da corso Vercelli  a via Pietro Egidi, dalle parti del Duomo; dal Conservatorio Giuseppe Verdi, in Piazza Bodoni, al Mastio della Cittadella, ai Portici di via Cernaia, al Teatro Regio di piazza Castello al Caffè San Carlo nell’omonima piazza. S’intravedono anche il palazzo dell’Elettricità in via Bertola, il mercato del pesce di Porta Palazzo. Una citazione a parte merita la macelleria Curletti, ormai ex” dopo un secolo di onorata attività. E’ lì che, nel film, viene assassinato il macellaio. In corso Moncalieri, sulla riva destra del Po, ai piedi della collina, questa rinomata macelleria venne aperta all’inizio del Novecento da Oreste Curletti che, al mestiere di macellaio di grande qualità, affiancava la passione per la pittura, arricchendo la sua bottega di una notevole galleria di quadri raffiguranti quarti di bue, costate, bovini d’ogni razza commissionate ad artisti del calibro di Soffiantino, Calandri e  Tabusso. L’ultimo film girato in terra piemontese dal maestro del brivido è del 2012 e non venne accolto molto bene dal pubblico e dalla critica. “Dracula 3D” (conosciuto anche come Dracula di Dario Argento) non è certo annoverabile tra le migliori prove del regista, nonostante il cast impegnato sul set  (il tedesco Thomas Kretschmann nei panni del più famoso “succhiasangue” della storia, il grande Rutger Hauer come interprete di Van Helsing, il cacciatore di vampiri, e Asia Argento). Le riprese del film sono state ambientate nella splendida cornice medievale del Ricetto di Candelo, nel biellese, e nel castello di Montaldo Dora, sull’erta del monte Crovero, nell’anfiteatro morenico di Ivrea. In attesa di vedere se Dario Argento vorrà tornare ancora “sul luogo del delitto” con un altro film da ambientare nella città dei quattro fiumi, per gli appassionati – ai primi di settembre – verrà organizzata la sesta edizione del“Tour Locations Argentiano” , promosso dal regista Alessandro Benna e dagli esperti cinefili Stefano Oggiano e Davide Della Nina. Lo scopo è far conoscere e scoprire una Torino inedita, visitando i luoghi utilizzati nei sette film girati qui dal “maestro del brivido” italiano. Un programma “da urlo” che non va perso per nessuna ragione.

Marco Travaglini

Il sorriso di Renzo Villa e l’invenzione della tv privata

Una fetta di sorriso è il titolo di un libro molto bello che si legge in un fiato.

L’ha scritto Cristiano Bussola, giornalista alessandrino di nascita e torinese d’adozione, appassionato di televisione. Racconta, attraverso una quarantina di testimonianze, l’avventurosa storia del luinese Renzo Villa, uno dei pionieri della televisione commerciale italiana, morto prematuramente nel 2010. Pagina dopo pagina, sfogliando i ricordi di registi e conduttori, cantanti e comici, cameraman e telespettatori, prende vita l’incredibile impresa di un uomo che amava lo spettacolo e la cultura al punto da spingersi, nel 1975, a fondare la prima tv privata in Italia a trasmettere via etere al fianco del petroliere Giuseppe Mancini e dell’amico Enzo Tortora, notissimo volto del piccolo schermo grazie alla Domenica Sportiva e a Portobello. L’esperienza di Telealtomilanese, che trasmetteva da Busto Arsizio in provincia di Varese, dovette fare i conti con mille ostacoli e con il sequestro operato dalla   polizia del trasmettitore e delle telecamere dell’emittente. Ma Villa e Tortora non erano certamente dei tipi che si lasciavano intimorire. Nel 1977 fondarono una nuova tv, Antennatre Lombardia, emittente che farà la storia delle trasmissioni televisive, all’avanguardia dal punto di vista della tecnologia e del linguaggio, con uno studio ( il celebre Studio 1 a Legnano) che poteva vantarsi di essere il più grande d’Europa, trasmettendo le immagini a colori nell’anno in cui anche la Rai andò oltre al bianco e nero. Nelle interviste raccolte da Cristiano Bussola con un lavoro dove s’intuisce la grande passione per il piccolo schermo viene ricostruita la storia della creatura mediatica di Renzo Villa che lanciò la réclame a livello imprenditoriale in un contesto di creatività e sperimentazione con programmi che sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo come La Bustarella, condotta da Ettore Andenna, Il Pomofiore condotto da Lucio Flauto con la regia di Cino Tortorella ( il mitico mago Zurlì dello Zecchino d’Oro) e Bingooo, il gioco a premi ispirato alla versione anglosassone della tombola che andò in onda per 420 puntate, condotto dallo stesso Villa che compose ed eseguì anche la sigla del programma (“Se la vita non ti sembra bella, gioca al Bingoo, ridi, canta e balla, se sei triste e pieno di guai, vieni dai, e sorriderai…”)  che, incisa sul vinile a 45 giri registrò la vendita record di un milione e mezzo di copie. Le testimonianze raccolte da Bussola offrono una visione ricchissima della personalità di Villa e degli anni ruggenti di Antennatre Lombardia tra il 1977 e il 1987. Oltre al già citato Andenna ci sono gli esordi di Massimo Boldi e del suo personaggio Max Cipollino, Gerry Bruno già leader dei Brutos, Enrico Beruschi e Elena, la figlia di Lucio Flauto, Donatella Rettore e Wally Villa che tiene viva la memoria del marito attraverso l’associazione di amici che porta il suo nome. E ancora Peppo Sacchi, Memo Remigi, Johnson Righeira (L’estate sta finendo fu un grande successo sull’emittente lombarda),il giornalista sportivo Ravezzani, Wilma De Angelis e tantissimi altri. L’ultima parte del libro è dedicata all’album fotografico di quel decennio d’oro che suscita ricordi ed emozioni. Cristiano Bussola ha avuto il grande merito di dare l’opportunità a chi ignorava questa storia e i suoi protagonisti di conoscere Renzo Villa e i suoi collaboratori che, dal più umile operatore e tecnico ai volti più noti e popolari, hanno contribuito alla storia delle televisione italiana regalando a una larghissima platea di spettatori una grande “fetta di sorriso”.

Marco Travaglini

 

“Una fetta di sorriso. Renzo Villa, l’inventore della tv commerciale raccontato da chi lo ha conosciuto” di Cristiano Bussola, Paola Caramella Editrice – Euro 18,00. Link per l’acquisto:

https://www.paolacaramella.it/product/una-fetta-di-sorriso/

Per un mese, a Niella Tanaro, si suona in “aia” la musica “dotta e popolare”

“Musica sull’Aia”

Dal 2 al 30 agosto

Niella Tanaro (Cuneo)

Il palcoscenico è indubbiamente suggestivo e custode di antiche memorie: l’“aia”, un tempo (ma a volerlo ancora oggi) luogo centrale della vita contadina. Nell’aia, davanti alla cascina, le famiglie di campagna erano solite, un tempo, battere il grano o sgranare i legumi e nelle serate estive riunirsi a crocchio e raccontarsi della rava e della fava o sentire o fare musica o ballare, mentre i più piccoli si rincorrevano e giocavano in piena libertà sotto le stelle. Complici, qualche spetteguless (che ci stava sempre bene) e un buon bicchiere di rosso o (perché no?) un bell’“Antico Toscano”, trinciato “spacca gola”, di quelli da godersi pian piano e in santa pace, anche se spenti, che manco te ne accorgi.

E proprio qui, in queste memorabili e rimpiante oasi di pace, ritorna anche quest’anno, per la sua XXIX edizione, la ricca programmazione concertistica di “Musica sull’Aia”, organizzata a Niella Tanaro, fra le dolci colline monregalesi, da “Maestro Società Cooperativa”“Pro Niella Tanaro”. Cinque gli appuntamenti concentrati nel mese di agosto (sempre di sera, a partire dalle 21) e tesi, come sempre, a promuovere e diffondere la musica “dotta e popolare” (un termine non esclude l’altro) portandola direttamente nelle caratteristiche aie o nei cortili di paese. Davvero una bella pensata che prenderà il via mercoledì 2 agosto, presso “Aia Camilla”, località Roà Soprana a Niella Tanaro, con il concerto “Incantevole Barocco”, protagonisti i musicisti Carlo Aonzo (mandolino) e Marcello Scandelli (violoncello). La rassegna proseguirà, sempre a Niella Tanaro, con altri quattro eventi in calendario domenica 6, 13 e 20 agosto, per terminare il mercoledì 30 agosto.

Domenica 6 agosto, il  ritrovo è nell’“Aia della Cascina Berzide” con “Radio Juice – I grandi successi rivisitati in chiave acustica” e arricchiti da effetti elettronici, beatbox, da Giulia Cavallera, Andrea Griffone, Claudio Bozzolasco e Paolo Tarolli (“Fondazione Academia Montis Regalis”). La serata sarà animata dalla partecipazione attiva del pubblico, che avrà un ruolo fondamentale nella realizzazione del concerto.

“Madame, l’operetta con un tocco di Napoli”trasporterà, invece, in luoghi e tempi remoti gli spettatori che, domenica 13 agosto, interverranno presso l’“Aia di Baraté” in località Borgo, al concerto dedicato ad alcune delle più celebri melodie d’operetta dal soprano cuneese Serena Garelli e dal tenore borgarino Michelangelo Pepino, accompagnati al pianoforte da Lorenzo Martini.

Il programma proseguirà domenica 20 agostopresso “Aia Beccaria”, località Poggio, con “Naviganti e sognatori”, concerto tratto dall’ultimo disco di Luca Falomi, chitarrista genovese, Alessandro Turchet, bassista friulano, e Max Trabucco, batterista e percussionista veneziano. Lo spettacolo promette di raccontare “un intreccio di storie nascoste nei riflessi salmastri e sfuggenti dell’Italia marittima”.

A chiudere davvero alla grande, il quinto e ultimo appuntamento, di respiro internazionale, che si terrà mercoledì 30 agosto, presso l’“Aia Camilla-Borio”, in località Sant’Anna. Qui il “Bebado Jazz Duo” con Enrica Capilli (voce) e Gioele Mazza (chitarra) si esibirà in “Racconto musicale sulla Bossa Nova”, narrazione in musica della storia di questo genere musicale brasiliano, dalla fine degli anni ’50 (origini dalla samba) fino alle più moderne, attuali trasformazioni. Nel primo atto, ci si concentrerà sui personaggi che hanno dato inizio al movimento, da Vinìcius de Moraes ad Antonio Carlos Jobim, da Joao Gilberto a Chico Buarque. Nel secondo, invece, si attraverserà l’Oceano per ritrovare questi autori in Italia e, grazie alla fruttuosa collaborazione con Ornella Vanoni, esplorare la brillante unione tra musica brasileira e lingua italiana.

Per ulteriori info e per il programma completo: tel. 347/3810902 (Emanuele Rovella) o www.musicasullaia.it

g.m.

Nelle foto:

–       Immagine di repertorio

–       Carlo Aonzo e Marcello Scandelli

–       “Bebado Jazz Duo” – Enrica Capilli e Gioele Mazza

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Karl-Markus Gauss “Viaggio avventuroso intorno alla mia camera”

-Keller Editore- euro 18,00

In questo breve e affascinante libro lo scrittore austriaco è un flâneur della sua stanza: perimetro limitato in cui lui ha l’abilità di avventurarsi e ogni oggetto su cui posa lo sguardo diventa lo spunto per un volo fantastico… altrove. Viaggiare nella storia e nel mondo, ma stando fermi e osservando quello che ci circonda e abita le nostre stanze; per farlo occorre avere cultura e fantasia.

Il germanista Karl –Markus Gauss, classe 1954, ci aveva già appassionati con il precedente “Nella foresta delle metropoli”, una mappa temporale del vecchio continente in cui era chiara la sua grande capacità di essere un viaggiatore nella memoria europea.

Ora dalla sua casa di Salisburgo osserva le stanze e parte da semplici oggetti per aprire mondi da esplorare e raccontare.

Un tagliacarte con la scritta «scatole in Eternit-brevetto Hatschek» è l’innesco per ripercorrere la storia dell’inventore del materiale edilizio a lunga conservazione, che lo rese ricco e fu impiegato ovunque, perché non si sapeva ancora quanto fosse mortale. Gauss ricostruisce l’avventura di Ludwig Hatschek, nato nel 1856 in Moravia, poi trasferitosi nell’Alta Austria, studi in Inghilterra e la sua creazione che, dopo la morte a soli 60 anni (causata dall’Eternit), fu portata avanti dal figlio che continuò a venderlo in mezzo mondo.

Questo solo un esempio, poi quadri, foto, raccolte di oggetti, librerie stracolme, bauli di famiglia, ricettario della nonna……tutto quello che è l’habitat domestico dello scrittore diventa trampolino di lancio per ricucire biografie, pensieri, viaggiare in altri paesi e in altre epoche. Tutto diventa materia che nelle sue mani si trasforma in racconto intelligente, dotto, interessante. Impossibile riassumere i tanti spunti che scoprirete e che vi faranno amare questo filosofo della memoria.

 

 

Isaac Bashevis Singer “Max e Flora” -Adelphi- euro 19,00

E’ rocambolesca la trama di questo romanzo dello scrittore yiddish Premio Nobel Isaac Bashevis Singer ((1902- 1991), uscito a puntate tra agosto e aprile 1972 sul quotidiano di New York (in lingua yiddish) “Forverts”, e finora inedito in volume.

E’ la storia di una coppia di coniugi ambientata nella Varsavia ebraica a inizio Novecento. Sono i Max e Flora del titolo, ebrei polacchi emigrati in Argentina dove hanno fatto fortuna con una fabbrica di borsette, ma anche gestendo un lucroso traffico di prostitute per il bordello di una certa Berta. Flora è analfabeta con un passato da attrice e sogna di tornare sul palcoscenico. Max gongola del successo ottenuto oltreoceano e della bella moglie.

I due partono da Buenos Aires, destinazione Varsavia, per reclutare nuova manovalanza femminile di dubbia destinazione finale, giovani operaie o/e «carne fresca» per la seconda attività redditizia.

Max e Flora si muovono nel ghetto ebraico, riallacciano i rapporti con i vecchi amici, a partire dal malavitoso Meir Panna Acida. L’azione si svolge tutta intorno a via Krochalma, pullulante di ladri, prostitute, rabbini, gestori di attività sordide e miseria umana varia ed assortita.

Singer ha passato gran parte della sua vita negli Stati Uniti, eppure il suo pensiero è tornato spesso nei romanzi in quella strada dove aveva abitato con la famiglia nel 1908, dove era cresciuto, aveva studiato e preso parte a tutti gli eventi chassidici. La via principale del quartiere ebraico di Varsavia, cancellato poi dalla Shoa.

E’ lì che i protagonisti si trovano immersi in grovigli amorosi, segreti del passato, e viene messa a dura prova la loro solidità di coppia particolare. Una serie di vicende tra il tragico e il ridicolo.

Flora è legata da un’ infinita riconoscenza all’uomo che l’ha salvata dal destino incerto, la sua dedizione arriva addirittura a scegliergli le amanti. Dal canto suo Max è pienamente appagato da Flora che soddisfa ogni suo capriccio. Le sortite extraconiugali paradossalmente cementano il loro legame e la passione che li unisce. Ma l’incontro con Rasha, la 15enne badante di un’anziana, rischia di far vacillare Max che (40enne) medita addirittura di sfidare la legge pur di stare con il nuovo amore. Aspettatevi complicazioni di ogni sorta.

A Varsavia accade di tutto: il ghetto imbriglia le loro vite e li scaraventa in una girandola di gangster, innamoramenti, ladruncoli, rabbini, tra sordide camere di hotel, case di sconosciute, stazioni e via così di grovigli criminali…..

 

 

Carlo Vecce “Il sorriso di Caterina” -Giunti-

A mettere al mondo Leonardo da Vinci il 15 aprile 1452, uno dei maggiori geni dell’umanità, sarebbe stata la schiava circassa, Caterina. Lo svela nel suo romanzo Carlo Vecce, professore all’Orientale di Napoli, filologo e studioso del Rinascimento, che padroneggia 6 lingue, autore di saggi dottissimi, abilissimo nello scandagliare importanti archivi storici.

Il 14 maggio Vecce ha annunciato che dopo anni di approfonditi studi e ricerche ha scoperto chi era la madre di Leonardo. Tutto accuratamente documentato e reso accessibile in forma romanzata.

Il libro ricostruisce la vita di Caterina, nata libera e selvaggia sugli altopiani del Caucaso, figlia del guerriero Jacob. La sua vita cambia drasticamente quando viene catturata alla Tana (ultima colonia veneziana alla foce del Don).

E’ l’inizio della sua schiavitù, considerata meno di niente, passata di mano da un padrone all’altro: comprata, rivenduta e prestata. Trascinata contro la sua volontà via mare fino a Costantinopoli, poi a Venezia; sempre in lotta con la fame, rischiando stupri e morte.

La schiava circassa a un certo punto si ritrova a Firenze, proprietà dell’avventuriero Donato di Silvestro che fugge a Firenze dove ritrova il suo primo amore, monna Ginevra; la sposa e le regala Caterina.

E’ in casa loro che la giovane viene notata dal notaio Ser Piero, sposato a sua volta, che se innamora e, contravvenendo alla legge, la sottrae alla famiglia di cui è schiava. E’ con lui che Caterina concepisce quel figlio che, essendo frutto di una relazione extraconiugale, rischia di esserle portato via.

Ser Piero però non l’abbandona e insieme fuggono a Vinci, dove il piccolo Leonardo nasce il 15 aprile 1452.

Caterina ha 25 anni quando con un parto travagliato mette al mondo il suo primo figlio Leonardo. Ma poiché è stato concepito quando lei era una schiava e fuori dal matrimonio è qualcosa che le leggi dell’epoca puniscono severamente, ragion per cui non potrà mai dichiarare il loro legame di sangue.

Il nome scelto per il nascituro è quello del Santo protettore degli schiavi, e crescerà con lo zio, i nonni e Caterina che lo allatta e lo cresce per 10 anni, nel ruolo di balia dei figli del padrone di casa.

Quando il piccolo non ha neanche 6 mesi lei viene dichiarata libera con un atto notarile stilato proprio da Ser Piero da Vinci.

Anni dopo sposerà un ex soldato diventato contadino, avrà altri 5 bambini e il loro matrimonio durerà 40 anni. Anche se la sua strada si separerà da quella di Leonardo, il suo amore per lui sarà insuperabile, ampiamente ricambiato.

Rimasta vedova lo raggiungerà a Milano dove lui lavorava presso Ludovico il Moro; ed è lì che morirà di malaria il 26 giugno 1494, accudita fino all’ultimo dal figlio.

Leonardo organizzò per lei un funerale principesco e si ipotizza che i suoi resti potrebbero essere tra quelli riportati alla luce durante i recenti scavi nella Cappella dell’Immacolata Concezione nella Chiesa di San Francesco Grande.

 

 

Carlo Arancio “Sicily in Decay”

Carlo Arancio è un giovane prodigio siciliano, nato a Catania il 20 marzo 1992, studi di architettura, fotografo di sensibilità e talento, che si avventura in palazzi abbandonati e ferma nelle sue immagini il tempo inesorabile del degrado. Risultato: foto stupende che parlano all’anima e raccontano stralci di vite passate.

E’ talmente bravo che ha vinto gli ND Awards 2020, contest internazionale, come migliore fotografo non professionista nella sezione architettura d’interni. Inoltre vanta collaborazioni prestigiose con grandi fotografi, primo fra tutti Thomas Jorion.

Il volume raccoglie gli scatti della sua prima mostra personale a Catania “Sicily in Decay. Serie Biscari e serie Scammacca”.

Libro pregiato dell’allestimento aperto al pubblico dal dicembre 2020 ad aprile 2021 in due location poco distanti una dall’altra. A Palazzo Biscari (nella parte adibita a co-working) e nel piano nobile di Palazzo Scammacca, (restaurato ed ora aperto al pubblico come spazio espositivo).

La sua è una sorta di missione di vita ed è legata soprattutto alla magnifica terra che gli ha dato i natali, la Sicilia, dove le dimore lasciate a se stesse sono innumerevoli e nascondo meraviglie incredibili. Lui le scopre, vi entra con passo felpato, grande rispetto ed estrema sensibilità, poi compie la sua magia: riesce a cogliere l’essenza del luogo, la intuisce tra calcinacci e muri scrostati.

Se visitate la sua pagina social Sicily_ in_ Decay trovate le magnifiche foto che scatta in ville, chiese e palazzi fatiscenti.

Il libro è acquistabile sul suo sito, va consultato ripetutamente, con calma, e ad ogni sguardo scoprirete qualche dettaglio in più. Perché, come ci ha raccontato, il suo non è semplicemente addentrarsi in luoghi massacrati dall’incuria.

Se volete conoscere meglio questo artista si è raccontato nella lunga intervista che ha concesso al Torinese

https://iltorinese.it/2023/07/07/sicily-in-decay-le-fotografie-di-carlo-arancio/

 

Per scoprire le sue opere e acquistare il libro è da consultare il sito

www.sicilyindecay.com

Per le foto al Winners Awards 2020 il link del Contest:

https://ndawards.net/winners-gallery/nd-awards-2020/non-professional/interior/812/gold-award/

Rock Jazz e dintorni a Torino. Cristina Donà e i Marlene Kuntz

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA

Lunedì. Francesca Michielin si esibisce a Chesal sopra Bardonecchia. Chiusura a Venaus di “Alta Felicità” con Mellow Mood, Myss Keta e Cosmo in veste di Dj. A Verbania blues con Fabrizio Poggi. Per “Attraverso” a Cherasco è di scena Neri Marcorè in duo con Domenico Mariorenzi.

Martedì. Sempre per “Attraverso” recital di Gioele Dix con “Ma per fortuna che c’era il  Gaber”

Mercoledì. A Cuneo per “Musica e pace” in piazza suonano i Marlene Kuntz. Epilogo di “Monfortinjazz” con Carmen Consoli e Marina Rei ( in replica dopo 2 giorni al forte di Bard). Al Blah Blah si esibiscono i Cro-Mags.

Giovedì. A Mondovì è di scena gIANMARIA. A Cuneo canta Alberto Fortis.

Venerdì. Allo Ziggy si esibisce Hellripper. A Cuneo arriva Francesco Baccini.  Al forte di Exilles suona la Bandakadabra. Alla Cascina Bellaria di Sezzadio si esibisce il sestetto Sothiac Group. A Verbania è di scena il cantautore curdo Ashti Abdo. A Sant’Ambrogio debutto di “Camosci Sound” con Torso Virile Colossale e Tubipora.

Sabato. A Cuneo termina “Musica e Pace” con Massimo Priviero. Per “Camosci Sound” Cristina Donà e Patrizio Fariselli. A Guarene per il “Roero Music Fest”, suona il sestetto di Mauro Ermanno Giovanardi. A Verbania suona il batterista Khompa.

Domenica. A Rossana per “Occit’amo” si esibisce Lou Pitakass. A Visone suona il quartetto della violoncellista Ana Carla Maza. Chiusura di “Camosci Sound” con Valeria Sturba  e Carlot-ta.

Ad Agosto l’8 al Blah Blah suonano i Sasquatch. Il 9 a Rivalta è di scena Tricarico. Il 10 a Exilles Raphael Gualazzi e Simona Molinari. Per il concerto di ferragosto si esibiscono i Lou Dalfin a Castelmagno. Il 18 a Bardonecchia arriva Cesareo, chitarrista di Elio e le Storie Tese. Il 19 Baccini ad Aramengo, Mr.Rain al forte di Bard  e Francesco Gabbani a Castagnole Lanze per “Contro” che prevede anche i Nomadi il 26 e il 27 Bobby Solo. Comincia anche “Todays” con allo Spazio 211 Wilco(25), Verdena (26) e Christine And The Queens (27).

Buone vacanze a Tutti! Ci si vede a settembre

Pier Luigi Fuggetta

Attraverso Festival 2023. #parolenuove

Una settimana fra cuneese e alessandrino, con musica, poesia e spettacolo

Dal 31 luglio al 4 agosto

Cherasco (Cuneo)

In agenda per fine luglio e la prima settimana di agosto: Neri Marcoré,  Gioele Dix, il poeta Franco Arminio, la scrittrice Raffaella Romagnolo e il  cantautore Federico Sirianni.

Proseguono gli appuntamenti di “Attraverso Festival”, la rassegna giunta ormai alla sua VIII edizione e nata sotto le stelle dell’“UNESCO” che riunisce oltre 20 comuni di tre provincie piemontesi (Alessandria, Asti e Cuneo) e di quattro territori (Langhe, Monferrato, Roero e Appennino Piemontese). Fino al 9 settembre, si andrà per piazze, cortili, Forti possenti, Auditorium, giardini e naturaQuasi 40 gli appuntamenti tra concerti, spettacoli teatrali, incontri, dialoghi, “attraversamenti” di genere, di linguaggi, di artisti che con il loro lavoro ben rappresentano il tema “Le parole nuove”, sottotitolo di quest’ edizione del Festival “che intende approfondire – dicono gli organizzatori – l’esigenza ormai stringente di provare a costruire un nuovo alfabeto per la contemporaneità, una sorta di mappa di istruzioni per far fronte ai grandi cambiamenti del nuovo millennio e a quello spaesamento che ne è conseguito”. L’#parolenuove accompagnerà dunque tutto il Festival, che per i prossimi giorni ha in serbo appuntamenti (tutti alle ore 21) di notevole interesse e levatura.

Si parte con il funambolico Neri Marcoré (attore, comico, conduttore, cantante e doppiatore) che, lunedì 31 luglio, a Cherasco (Cuneo) porterà in scena in piazza Arco del Belvedere lo spettacolo, concerto acustico, “Duo di tutto – Canzoni belle e buone”. Con lui l’inseparabile amico e strepitoso polistrumentista Domenico Mariorenzi. Figura fra le più versatili dello spettacolo italiano grazie a un innato talento capace di districarsi tra i più svariati ambienti, Neri spazierà nel mondo dei cantautori italiani e stranieri, dal folk al pop: da Elvis Costello agli “Eagles”, da “Simon and Garfunkel” a Elvis Presley fino a Fabrizio De André, a Francesco De Gregori e ad Ivan Graziani, solo per citarne alcuni. In scaletta anche pezzi noti e meno noti che ci raccontano la formazione musicale di Neri Marcorè, legata a esperienze di vita personali o semplicemente al piacere di coinvolgere il pubblico nella condivisione di un patrimonio musicale comune.

“Ma per fortuna che c’era il Gaber: viaggi tra inediti e memorie del Signor G”, è invece il titolo dello spettacolo portato in scena, in una doppia replica, martedì 1° agosto a Cherasco (Cuneo), in piazza Arco del Belvedere, e giovedì 31 agosto a Casale Monferrato (Alessandria), nel cortile di Palazzo Langosco, dal visionario Gioele Dix. Da sempre filo-gaberiano, il milanese Gioele Dix (al secolo David Ottolenghi) renderà omaggio al talento inimitabile di Giorgio Gaber, in occasione del ventennale della scomparsa, nella doppia veste di attore e cantante, accompagnato da Silvano Belfiore (pianoforte) e Savino Cesario (chitarre). Lo spettacolo è costruito come un “insolito itinerario all’interno del teatro-canzone” di Gaber e Sandro Luporini (suo straordinario compagno di scrittura), in cui si intrecciano brani conosciuti del loro repertorio con musiche e testi variamente inediti: uno spettacolo assolutamente speciale nel quale convivono sorprese (un esilarante monologo inedito sulla “Rivoluzione d’Ottobre”) e rievocazioni personali (il primo incontro assolutamente casuale fra Gaber e Dix nella hall di un albergo di Mestre), brani d’annata (“Il Riccardo”“Barbera e champagne”) e bozze di canzoni tipicamente alla Gaber-Luporini su cui inventare una musica (“Appunti di democrazia”).

E sempre al genio di Giorgio Gaber – dopo i due incontri con il poeta, scrittore e regista Franco Arminio (mercoledì 2 agosto, sul Sagrato della Chiesa a Spigno Monferrato, Alessandria, con il suo “Sacro minore”) e con la scrittrice Raffaella Romagnolo ( giovedì 3 agosto, nell’“Area Verde” di Gamalero, Alessandria, con “Il cedro del Libano”) – è dedicato “20 anni senza Signor G” il recital proposto, giovedì 3 agosto nell’“Area di Boscopiano” a Borghetto Borbera (Alessandria), dal cantautore genovese (e di “scuola genovese”) Federico Sirianni, sul palco con i musicisti del “Teatro Canzone di Giorgio Gaber”, Gianni Martini (chitarra) e Claudio De Mattei (basso). “Con questo spettacolo – racconta Sirianni – cerco di ripercorrere alcuni pezzi di storia dello straordinario artista milanese scegliendo, tra le canzoni e i monologhi, quelli più significativi in ciò che veniva definito, in quegli anni belli e difficili, ‘il politico e il personale’. Un omaggio pieno di passione e rispetto per uno dei più straordinari uomini di spettacolo del Novecento italiano”.

Da segnalare anche l’appuntamento di venerdì 4 agosto, sul “Sagrato della Chiesa” di Santa Limbania a Rocca Grimalda (Alessandria), con “La leggenda di Santa Limbania”, racconti e musica dedicati alla Santa cipriota, protettrice dei mulattieri e degli emigranti, con testi di Valentina BosioViola Cortellini e Marc Rossi. Accompagnamento musicale di Walter Porro.

Per info e programma completowww.attraversofestival.it

  1. m.

Nelle foto: Neri Marcoré, Gioele Dix, Federico Sirianni

“Stanze da un altro secolo. Gruppo di artisti in un interno”. Ultimo giorno

In mostra, al “Palazzo Lomellini” di Carmagnola, “stanze” e “interni” raccontati attraverso cinque secoli di storia dell’arte

Fino al 30 luglio

Carmagnola (Torino)

La bellezza salverà il mondo. Con queste parole (citazione – mantra fin troppo abusata … ma pazienza!), messe in bocca dal “genio crudele” Dostoevsij al suo principe “idiota” Miskin, me ne uscivo nei giorni scorsi dalle Sale del quattrocentesco “Palazzo Lomellini” di Carmagnola – dal ’39 proprietà del Comune e sede della “Civica Galleria d’Arte Moderna” – dopo aver visitato l’enciclopedica Rassegna espositiva “Stanze da un altro secolo”, promossa dal Comune di Carmagnola, in collaborazione con l’Associazione “Amici di Palazzo Lomellini” e l’organizzazione e la curatela di Elio Rabbione, amico e critico d’arte, da alcuni anni organizzatore attento, competente e instancabile (mai come questa volta) di mostre ad alto tasso di gradevolezza. Come quella attualmente in corso, per l’appunto, nello storico Palazzo carmagnolese: una cavalcata attraverso cinque secoli di storia dell’arte, alla rincorsa di un soggetto neppure poi tanto praticato (Sei-Settecento a parte), come gli “interni”, le “stanze” di casa, botteghe d’arte, salotti borghesi o umili antri popolari o cucine con frutta ortaggi e pollame e selvaggina in bella vista o, ancora, squallide bettole con vogliosi “vecchiacci” intenti a corteggiare le giovani e generose bellezze di turno. Cinque secoli di storia, si diceva. Dal “Sei-Settecento” fino al “Contemporaneo”. Oltre 120 i pezzi espostiun’ottantina abbondante gli artisti rappresentati. Chapeau a Rabbione! Ma impossibile dar conto di tutti. D’obbligo, per la pagina seicentesca menzionare la grande tela (immagine – guida della mostra) “La bottega dell’arte” appartenente al “secolo d’oro” dell’arte fiamminga e firmata da Jacques de Claeuw: gli alunni impegnati a lavorare di buona lena, il maestro che corregge gli errori di un giovane discepolo, busti e fogli sparsi a terra, una statua di classica fattura e una colonna dorica sullo sfondo che apre al plumbeo paesaggio esterno, in primo piano un mappamondo a rappresentare il potere della Repubblica olandese dopo la “Guerra degli 80 anni”, che ne sancì l’indipendenza. E via fra cucine più o meno “importanti”, il rituale protetto dalle mura domestiche della “ricerca di pidocchi”, le tante oscure bettole con il ridanciano “brillo” che alza il calice a se’stesso o con il monaco (di Godgried Schalcken) che offre denaro alla ragazza abbondante “di petto”, fino al triplice susseguirsi degli ambienti raffinati e di minuta eleganza di Pieter de Hook e al “Gesù nella stanza del Fariseo” del nostro Michele Antonio Milocco. Passando all’Ottocento, che meraviglia (da starci davanti a tempo illimitato) quegli “Occhi severi” di Demetrio Cosola da San Sebastiano Po: gli occhi del padre (è proprio vero! Allora bastava uno sguardo), la mano pronta al ceffone della mamma e il sorriso bonario del nonno. Lui, il piccolo “furfantello”, cappellino in testa, occhi bassi, atteggiamento pentito da non lo faccio più. Olio godibilissimo. E poi nomi che non necessitano di presentazioni, dal “fiammingo piemontese” Giovanni Battista Quadrone, alla “Donna al focolare” del biellese Lorenzo Delleani, seguito dal più estroso e “moderno” Vittorio Cavalleri, via via fino alle stupende incisioni di Celestino Turletti e del francese Carl Albert Waltner. Una trentina di artisti ci regala il Novecento. Dagli ambienti intimi e famigliari di Nella Marchesini, allo studio d’artista (al lavoro) di Ottavio Mazzonis, fino all’inquietante “Sogno – Presagio” di Francesco Tabusso, alle incisioni di Mario CalandriVincenzo Gatti e Giacomo Soffiantino, accanto a quattro corpose sculture di Riccardo Cordero, alla magnifica donna immobile di “Tre palle un soldo” di Guido Bertello, fino a “L’odalisca” di Giulio Da Milano, alla nitida sincerità di Enrico Paulucci, all’esaltazione del colore di Gianni Sesia della Merla (di recente scomparso e a cui la mostra al “Lomellini” è dedicata) e all’onirica evanescenza dell’“Autoritratto in studio” di Francesco Menzio. Due su tutti i contemporanei. Pippo Leocata con la poetica ma ingegnosa site-specific “Stanza dei ricordi” (legni e acrilici), separé dai blu profili umani e dalle “iconiche” skyline di cupole e santuari, memorie di storie e paesaggi lontani nel tempo e nello spazio, ma ben vive e presenti per l’artista – architetto di origini siciliane, che in mostra presenta anche un “Omaggio a Mollino”, suo indimenticato maestro. E, per ultimo, l’“Inside. La vita è lì dentro” di Luisella Rolle. Finestre accese nel buio della sera. In attesa di spegnersi per dare spazio alla notte. Scrive Rabbione: “E’ la rarefazione dell’intera mostra, per offrire in chiave moderna un panorama nuovo, solitario e anonimo, il respingimento, il ritratto del tempo che stiamo vivendo”.

Gianni Milani

“Stanze da un altro secolo. Gruppo di artisti in un interno”

Palazzo Lomellini, piazza Sant’Agostino 17, Carmagnola (To); tel. 011/9724220 o www.palazzolomellini.com

Fino al 30 luglio

Orari: dal giov. al sab. 15,30/18,30; dom. 10,30/12,30 e 15,30/18,30

Nelle foto: Jacques de Claeuw: “La bottega dell’arte”, olio su tela; Demetrio Cosola: “Occhi severi”, olio su tela, 1884; Guido Bertello: “Tre palle un soldo”, acrilico su tela, 1980; Pippo Leocata: “La stanza dei ricordi”, legni e acrilici, 2023

Dov’è finito papà? Una serata con Assemblea Teatro in memoria di Willy Jervis

Sabato 5 agosto, alle ore 21, la piazza Jervis di Villar Pellice (TO) in occasione della serata in memoria di Willy Jervis, ingegnere olivettiano e antifascista, alpinista e partigiano di Giustizia e Libertà, fucilato dai nazisti nella notte tra il 4 e il 5 agosto 1944, ospiterà la pièce di Assemblea Teatro dal titolo Dov’è finito papa?. Uno spettacolo per chi resta. La rappresentazione nasce da un percorso civile di Renzo Sicco con Arturo Gerace, Elena Cavallo e Tiziana Catalano. La regia è dello stesso Sicco con musiche di Ryuichi Sakamoto e Peter Gabriel. L’evento è promosso anche dalla municipalità di Villar Pellice. “Sebbene, in queste ultime ore, con la conclusione della vicenda di oppressione, ingiusta accusa e carcerazione in Egitto, la vicenda di Patrick Zaki si sia felicemente conclusa, con gioia di tutti noi – dicono ad Assemblea Teatro – sono ancora troppi, nel mondo, i giovani come Patrick, che hanno sofferto, e come Giulio Regeni, Mahsa Amini, Mohsen Shekari che, per la libertà e la democrazia, hanno perduto la loro vita. A tutti loro ed ai troppi giovani scomparsi in Egitto, Iran, e nei conflitti di Siria, Ucraina, Africa, alle loro madri, ai padri e ai parenti tutti, è offerta la nostra memoria e il nostro impegno”. È così che è stato creato Dov’è finito papà?, un vero “spettacolo per chi resta”, la storia del piccolo Giulio (un nome non a caso..) al centro del racconto. È un bambino normale con una vita normale di una famiglia benestante, ma basta un istante perché la sua vita e quella della sua famiglia precipitino nel caos. Mentre sta giocando in camera nella sua casa, una pattuglia sequestra il padre che scomparirà nel nulla per sempre. Oltre al terrore si innestano diverse altre dinamiche che sfaldano decisamente l’intera famiglia. Il dolore, la confusione, lo sgomento, a volte uniscono, il più delle volte dividono le comunità. La paura è costruita apposta, per recidere tutti i legami sociali e così anche i vincoli affettuosi più forti cedono di fronte alla necessità di ognuno di trovare la propria soluzione al dramma. Resta la domanda “dov’è finito papà?” perché, anche dopo, quando è ormai certa la sua morte, scomparso il corpo, non esiste lutto, non esiste una elaborazione della giustizia. Non bisogna andare troppo lontano per trovare Paesi dove la perdita di ogni diritto umano e il potere di sopraffazione sui corpi provocano uragani di questo tipo. La storia simbolica di giovani eroi laici, in una sera in cui si fa memoria di un altro eroe del passato democratico e repubblicano italiano: William Jervis, più noto come Guglielmo o come Willy. I legami della famiglia Jervis con la Val Pellice sono stretti. Il nonno di Willy, un importante geologo britannico che come lui si chiamava William Paget Jervis, aveva sposato una donna valdese di Torre Pellice, Susanna Laura Monastier. Anche Thomas Jervis, il padre di Willy, pur vivendo abitualmente a Milano, era frequentemente in visita alle valli valdesi”. Guglielmo Jervis studiò a Torino, Firenze e al Politecnico di Milano dove si laureò in ingegneria nel 1925. Attivo nel movimento giovanile valdese, Jervis collaborò alla redazione della rivista Gioventù Cristiana e nel 1932 sposò una ragazza fiorentina conosciuta a Torre Pellice, anch’essa valdese, Lucilla Rochat. Nel 1934 il giovane ingegnere passò alle dipendenze della Olivetti. Dopo un breve incarico come direttore della filiale di Bologna, Adriano Olivetti lo chiamò nella sede di Ivrea, affidandogli il compito di pianificare e coordinare la formazione professionale degli operai meccanici della prestigiosa fabbrica di macchine per scrivere. Intelligente, schivo, riservato e, al tempo stesso, estremamente concreto e dinamico, l’ingegner Jervis nutriva una grande passione per l’alpinismo. Amava le montagne, le ascensioni in roccia e fece parte del Club Alpino Accademico Italiano, la sezione d’eccellenza del sodalizio, il fiore all’occhiello del CAI, formato da alpinisti che si erano distinti per le loro imprese sportive. Deciso oppositore del fascismo dopo l’armistizio dell’8 settembre fu tra i primi a organizzare la resistenza armata nella zona di Ivrea. Mettendo a frutto la sua abilità alpinistica e la conoscenza delle lingue, accompagnò più volte gruppi di profughi ebrei e di sbandati in Svizzera, dove entrò in contatto con esponenti dell’esercito e dei servizi segreti militari inglesi dell’OSS che gli affidarono importanti missioni di collegamento con i partigiani italiani. Ricercato da fascisti e nazisti, Jervis raggiunse Torre Pellice e le valli valdesi dove proseguì l’attività partigiana assumendo il nome di battaglia di “Willy” diventando Commissario politico delle formazioni piemontesi di “Giustizia e Libertà”. Dopo essere stato catturato e torturato venne portato a Villar Pellice e fucilato sulla piazza che oggi, in memoria del suo sacrificio, ne porta il nome. Il corpo di Willy Jervis, a spregio e monito, fu poi impiccato a un albero. Il giorno dopo, sul luogo dell’esecuzione, fu ritrovata la Bibbia tascabile che portava sempre con sé sulla quale aveva inciso con uno spillo l’ultimo suo pensiero: “Non piangetemi, non chiamatemi povero. Muoio per aver servito un’idea”. Dopo la sua morte, considerando il suo ingegnere un “caduto sul lavoro”, Adriano Olivetti si offrì di mantenere la famiglia di Jervis, chiedendo alla vedova “l’onore di provvedere” a lei e ai figli. Nel 1950 Jervis venne decorato alla memoria con la medaglia d’oro al valor militare. Ecco dunque il valore della scelta di Assemblea Teatro di onorare la memoria di Willy e di tutti i giovani che, nel mondo, cercano di diradare le cupezze (guerre, carestie, crisi climatiche, economiche e democratiche) che il futuro, per ora, sembra continuare a riservarci.

Marco Travaglini