CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 138

Prosegue nel 2023 il Lab:  OFT fa crescere sogni e talenti

Coinvolgere e valorizzare i giovani musicisti è una delle missioni che da sempre l’Orchestra Filarmonica di Torino porta avanti con passione.

Da alcuni anni questa vocazione si è concretizzata in modo ancora più esplicito nel progetto OFT Lab, grazie al quale alcuni giovani talenti entrano a far parte con regolarità della compagine orchestrale, lavorando fianco a fianco con professionisti di caratura nazionale e internazionale, in uno scambio continuo tra esperienza ed entusiasmo. Questi giovani musicisti condividono inoltre con OFT un percorso formativo grazie al quale possono approfondire le tematiche più rilevanti nell’ambito dello spettacolo dal vivo, per prepararsi alle grandi sfide legate alla professione ed al proprio percorso artistico.
Nell’ambito di OFT Lab sono stati selezionati sia musicisti di strumenti ad arco che a fiato (violino, violoncello, contrabbasso, flauto, corno e tromba), ai quali si aggiungono il musicologo Francesco Cristiani e il grafico Gabriele Mo.
Come nel 2022, poi, alcuni dei ragazzi di OFT Lab sono protagonisti di una rassegna di concerti di musica da camera che si terrà, nell’arco del mese di novembre, a Più SpazioQuattro, “casa” di questa iniziativa.
E per rafforzare lo spirito di OFT Lab, che guarda al futuro rendendolo protagonista nel presente, OFT ospiterà all’interno di questa rassegna anche un concerto dedicato un quartetto di giovanissimi studenti – il Quartetto Irina – in collaborazione con il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino.

«La bellezza della musica dal vivo – racconta il direttore artistico e presidente di OFT Michele Mo – è il frutto di un lavoro di bottega dove si incrociano esperienze diverse. Come Orchestra Filarmonica di Torino da sempre coinvolgiamo in questo percorso giovani professionisti della musica, ragazzi che uniscono talento e ambizione, ai quali è data la possibilità, suonando nelle nostre file, di raccogliere una sfida importante. Con OFT Lab abbiamo fatto un passo ulteriore, perché li sosteniamo anche dal punto di vista della formazione mettendoli al centro di un progetto pensato su misura. Un percorso che finora ci ha riservato grandi e reciproche soddisfazioni e che contiamo di portare avanti anche per il futuro».

IL CALENDARIO DEI CONCERTI DI MUSICA DA CAMERA

OFT Lab#1

Venerdì 3 novembre 2023 ore 21, Più SpazioQuattro

Fabrizio Berto violino
Michele Nurchis pianoforte

Musiche di:
Edward Elgar
Sonata in mi minore per violino e pianoforte op. 82

Cèsar Frank
Sonata in la maggiore per violino e pianoforte

OFT Lab#2

Venerdì 10 novembre ore 21, Più SpazioQuattro

Quartetto Irina

Giovanni Putzulu e Samuele Preda violini
Leonardo Vezzadini viola
Clara Ruberti violoncello

Musiche di:

Franz Joseph Haydn
Quartetto per archi in do maggiore op. 20 n. 2 Hob. III:32

Robert Schumann
Quartetto per archi in la minore op. 41 n. 1

In collaborazione con Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino

OFT Lab#3

Venerdì 17 novembre 2023 ore 21, concerto Più SpazioQuattro

Martino Maina violoncello
Chiara Biagioli pianoforte

Musiche di:

Robert Schumann
Fantasiestüke per violoncello e pianoforte p. 73

Ludwig van Beethoven
Sonata n. 4 per violoncello e pianoforte in do maggiore op. 102 n. 1

Johannes Brahms
Sonata n. 2 per violoncello e pianoforte in fa maggiore op. 99

OFT Lab#4

Venerdì 24 novembre 2023 ore 21 – concerto Più SpazioQuattro

Niccolò Susanna flauto
Giorgia Delorenzi pianoforte

Musiche di:

Johann Sebastian Bach
Sonata per flauto e basso continuo in mi maggiore BWV 1035

Julius Rietz
Sonata per flauto e pianoforte in sol minore op. 42

Paul Taffanel

Grande fantaisie sur Mignon per flauto e pianoforte

LA BIGLIETTERIA

Per i concerti della rassegna di musica da camera a Più SpazioQuattro, via Saccarelli 18 a Torino, è previsto l’ingresso non numerato al costo di 5 euro. I biglietti possono essere acquistati presso la biglietteria dell’Orchestra Filarmonica di Torino in via XX settembre 58 a Torino (martedì: ore 10.30-13.30 e 14.30-18.00; oppure prenotati via mail a biglietteria@oft.it, o telefonicamente in orario di apertura al pubblico tel. +39 011.533 387).

Alina Art Foundation, a Paratissima l’esposizione sul potere

Dall’1 al 5 novembre nella cornice di Paratissima Eye Contact, Alina Art Foundation presenta la mostra “Il potere”. Presso la sede della Cavallerizza Reale in via Verdi 5, espongono in un percorso tematico Alice Padovani, Arjan Spannenburg, Caterina Crepax, Epvs, Enrico Valerus, Sanda Sudor e Valentin Bakardjiev.

Sabato 4 alle ore 16 sarà possibile partecipare a un talk sull’argomento con il curatore e gli artisti, a cui si potrà accedere anche senza prenotazione.

Alina Art Foundation talk

Alina Foundation – la storia

Ideata nel 2020 per opera di Sanda Sudor, Alina Art Foundation ha come obiettivo quello di creare arte esplorando l’umanità e il dolore. Infatti la fondazione è nata da una grossa perdita: la morte improvvisa dell’unica figlia della presidente, travolta da un incidente automobilistico a soli 26 anni di età. La spinta a ricostruire e ricostruirsi ha così condotto la madre a un viaggio di rinascita, che affonda le proprie radici nel ricordo.

Per questo ogni anno l’ente italo-olandese si prefigge di costruire valore intorno a un tema specifico con opere che vadano al di là della mera estetica e si concentrino sulla pienezza di senso. L’obiettivo è quello di esplorare un determinato segmento di realtà tramite un contenitore di artisti. Infatti la dimensione collettiva è uno dei pilastri della mission, incentrata sulla volontà di offrire al pubblico dei prodotti poliedrici, sia dal punto di vista del linguaggio che del significato. L’incontro fra diverse sensibilità infatti produce dei risultati di maggiore spessore, ma la volontà dei creatori di contaminare e contaminarsi porta a delle collaborazioni che potrebbero veramente apportare un contributo alla società.

Alina Art Foundation Compelled
Compelled, Arjan Spannenburg

Il Potere

Al 2023 è assegnato il tema del potere. Quanto infatti abbiamo la facoltà, per volontà o per disattenzione, di cambiare l’esistenza degli altri? Quanto siamo disposti a opprimerli o a falciarli via? L’esposizione solleva questi interrogativi, ora più che mai legati anche ai recenti fatti storici. Ma la propria posizione rispetto all’argomento non si esprime solo con uno sguardo consapevole alla contemporaneità, ma anche nel nostro vissuto quotidiano: una sola azione infatti potrebbe devastare le vite altrui, come nel caso delle vittime della strada.

Allo stesso modo alcune installazioni ci chiamano a fare una scelta personale. È il caso di “Compelled” di Arjan Spannenburg, una cui parte è formata da alcuni tappeti stampati che ritraggono degli individui al guinzaglio. I loro sguardi si posano direttamente sullo spettatore, con un atteggiamento supplichevole. Starà a lui decidere se calpestarli o aggirarli, come sarà una sua decisione esprimere la propria posizione rispetto alla comunità LGBTQ+: squarciare una fotografia di una famiglia omogenitoriale o rattopparla con l’aiuto del nastro adesivo? Oppure ignorare ciò che stato fatto e passare alla prossima sala?

Alina Art Foundation Renaissance
Dettaglio Renaissance, Destroy, Caterina Crepax

Ma per fortuna non c’è solo il lato crudo del potere. Lo dimostra Caterina Crepax con il suo lavoro “Renaissance”, una parete tripartita in cui troneggiano le sue caratteristiche sculture di carte. Queste figure sono intrise di riferimenti alla cultura classica e celtica, con dei forti rimandi alla potenza creativa del femminile. Tre sono le statue come tre le Parche, collegate da dei fili che uniscono i concetti di creare, distruggere e rigenerare. Così il titolo dell’installazione rievoca il Rinascimento, periodo di grande mecenatismo e splendore, ma anche il potenziale rivivere di una forza che risorge dalle proprie ceneri.

Alina Foundation Il potere Crepax
Renaissance, Caterina Crepax

Orari e biglietti

La mostra sarà visitabile tutti i giorni indicati nei seguenti orari:

  • 1 novembre dalle 10 alle 00;
  • 2 novembre dalle 15 alle 00;
  • 3 novembre dalle 10 alle 00;
  • 4 novembre dalle 10 alle 00;
  • 5 novembre dalle 10 alle 20.

I biglietti sono acquistabili sia online che in loco, sia interi che con sconti e riduzioni.

Francesca Pozzo

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“The Phantasmagoria of Jathilan” Nelle “Antiche Ghiacciaie” di Porta Palazzo

la performance musicale degli indonesiani “Raja Kirk”, organizzata dal “MAO” di Torino

Venerdì 3 novembre, ore 22

Serata ghiotta, in tutti i sensi. Non ultimo, il piacere di riscoprire una Torino ai più misteriosa, se non sconosciuta. Nella rinnovata collaborazione fra il “MAO-Museo d’Arte Orientale”, di via San Domenico a Torino, con il “Mercato Centrale” subalpino e in occasione dell’edizione di “Artissima 2023”, si svolgerà infatti, venerdì 3 novembre (ore 22), all’interno delle “Antiche Ghiacciaie” di Porta Pila, la performance musicale “The Phantasmagoria of Jathilan” del duo indonesiano dei “Raja Kirk” (accompagnato dalla cantante Silir Pujiwati e dal performer Ari Dwiyanto), secondo appuntamento del public program “Trad u/i zioni d’Eurasia” a cura di Chiara Lee e Freddie Murphy. Nelle ottocentesche “Giacciaie” (non bleffate: quanti le conoscevano o ne avevano sentito parlare?) del mercato all’aperto più grande d’Europa, portate alla luce in seguito agli scavi del 2002 per la costruzione del “Palafuksas” che oggi ospita il modernissimo “Mercato Centrale”, i “Raja Kirk” si esibiranno, con la loro musica (dal forte impatto ipnotico, onirico e percussivo) in remoti brani della “tradizione Jathilan”, che accompagnava le danzatrici indonesiane dell’isola di Giava, ai tempi del colonialismo olandese. In “The Phantasmagoria of Jahtilan”, il duo dei “Raja Kirk” rielabora la cosiddetta danza del “cavallo Jathilan”, una “trance dance” popolare celebre a Giava e utilizzata per dare forza dopo una sconfitta. “Jathilan” è l’acronimo di “Jarane jan tjil-thilan”, che si traduce in “cavallo che balla in modo irregolare”. L’attuale forma di “Jathilan” si sviluppò dopo la “Guerra di Giava” (combattuta tra i ribelli giavanesi e l’impero coloniale olandese dal 1825 al 1830) come pratica comune per far fronte alla sconfitta subita per mano dell’Impero olandese e alla devastazione causata dalla conseguente guerra civile. Nelle danze venivano usati dei cavalli di bambù per esprimere sostegno ai cavalieri del leader ribelle, il principe Diponegoro, che avevano combattuto coraggiosamente contro le forze coloniali olandesi. Nonostante la sconfitta subita dai ribelli, la danza “Jathilan” raffigura una vittoria immaginaria della cavalleria locale contro demoni, mostri o colonizzatori. Questa performance eroica ha quindi molteplici scopi: intrattenere, incoraggiare, guarire e unire le persone in un rituale contro l’oppressione. Nel corso dello spettacolo ritmi elettronici sincopati si combinano con percussioni metalliche di strumenti, costruiti dagli stessi musicisti, che inducono alla trance“Il canto – spiegano i curatori – meravigliosamente monotono in uno stile melismatico ripetitivo e accattivante si intreccia con melodie cadenzate che sgorgano da strumenti a fiato improvvisati. Con una propulsione frenetica e apparentemente infinita, la musica di ‘Raja Kirik’ abbraccia un’ampia portata emotiva”.

Ingresso libero fino al raggiungimento della capienza massima. Si consiglia la prenotazioneinfo.torino@mercatocentrale.it

g.m.

Nelle foto:

–       Immagine guida “Phantasmagoria”

–       Raja Kirk “Phantasmagoria” (Ph. Yuda Kusuma Putra)

La contemporaneità nel testo di Giovanni Grasso

Sino al 5 novembre, al Carignano, “Il caso Kaufmann”

Una storia d’amore “sovversiva” è quella raccontata nel “Caso Kaufmann” (tra gli altri, Premio Biagio Agnes 2019 e Premio Capalbio per il romanzo storico il medesimo anno) da Giovanni Grasso, scrittore e giornalista, consigliere per la stampa e la comunicazione del Presidente della Repubblica Mattarella e direttore dell’ufficio stampa della Presidenza della Repubblica dal febbraio 2015. Un periodo buio della Storia, tema e linguaggi alti, doverosamente da ripensare proprio in queste settimane, ottant’anni passati inesorabilmente invano, se nel 14mo arrondissement parigino certe case oggi vengono ancora sfregiate con la stella di David e a Roma si tenta di distruggere certe pietre d’inciampo: che tuttavia non trovano nella trasposizione teatrale di Piero Maccarinelli quella secchezza, quella sincerità compatta dei sentimenti, quel racconto documentaristico che ci saremmo aspettati. Con il pericolo che il caso privato cancelli o per lo meno affievolisca oltre misura nell’attenzione dello spettatore uno sguardo assai più ampio e pubblico.

Sessantenne, ricco commerciante di Norimberga, presidente della Comunità ebraica della città, Lehman Kaufmann viene raggiunto nel dicembre del 1932 dalla lettera di un amico ariano in cui gli è fatta richiesta di prendersi cura di sua figlia Irene e di aiutarla a stabilirsi a Norimberga. Irene è giovane, bella, spigliata e piena d’iniziativa, il rapporto che si instaura tra i due è di affetto e pressoché filiale ma anche portatore di un desiderio nel protagonista che tenue serpeggia nelle parole, negli atteggiamenti, nei momenti di conversazione e di vicinanza, come quelli di un tranquillo pranzo in un ristorante. Dai pettegolezzi iniziali della gente del quartiere si passa, in un totale clima di indifferenza (che maggiormente dovrebbe far riflettere), con facilità alla delazione e all’odio, ormai tutti incanalati nella ferrea legge che l’ebreo è nemico del popolo tedesco e del nazismo in particolare. Una forma di accerchiamento che si stabilisce sempre più forte giorno dopo giorno, negli anni le leggi razziali e la notte dei lunghi coltelli, i rastrellamenti e le deportazioni, i processi farsa già stabiliti, in quella “banalità del male” – sono le parole di Hannah Arendt – che si è ormai impossessata di tutti: dopo dieci anni di umiliazioni e di privazioni e di carcerazione, nel giugno del ’42, Kaufmann verrà condannato a morte per “inquinamento razziale” e Irene ai lavori forzati per quattro anni.

Tutto questo, con squilibri narrativi evidenti, racchiuso nell’incontro tra Kaufmann e il cappellano della prigione (sul palcoscenico del Carignano uno sbiadito Graziano Piazza, incolpevolmente tenuto per troppo tempo immobile all’interno della gabbia carceraria, al buio), dove il primo ha usato il sotterfugio di volersi far cristiano per poi confessare il desiderio di raccontare a chi gli sopravviverà l’intera sua vicenda. Ed ecco allora Kaufmann entrare e riuscire dalla gabbia (a tratti inconsapevolmente sul versante comico: quando, per rendersi visibile al pubblico, nell’oscurità della scena infila con il suo interlocutore il viso tra le inferriate perché più visibile e sonoro arrivi il suo racconto), incontrarsi con Irene (Viola Graziosi, che tratteggia persuasivamente una ragazza piena di voglia di vivere, anche divertitamente sfrontata), con Eva, la domestica di casa (Franca Penone, che dovrebbe rivestire la subdola malvagità e la banalità di ognuno ma che al contrario e ridotta dalla regia a una macchietta divertita e a tratti divertente) che mal sopporta la situazione che sta vivendo sotto i suoi occhi, con i suoi aguzzini, mentre in un paio di occasioni il fondale si anima di croci uncinate e dei bagliori di un incendio. In un meccanismo vecchio stampo, in un ripetersi pericoloso di spostamenti da una parte all’altra della scena firmata in piena ristrettezza da Domenico Franchi, in un espediente che fa tanto vecchia o vecchissima tivù.

La regia di Maccarinelli ha coinvolto la prova di un grande attore quale è Franco Branciaroli, qui indeciso e impreciso nel mostrarsi padre amorevole o riprovevole seduttore, lontano dal dare un vero carattere al suo Kaufmann, sentendosi inspiegabilmente costretto a ricorrere a certe suoi ricami gutturali o sonori, come da tempo non gli sentivamo fare. “Il caso Kaufmann” nell’impronta improvvida di Maccarinelli è debolezza, è parziale messa a fuoco, è il non avere materia di invenzioni tra le mani per esprimere con maggior sicurezza i caratteri dei personaggi: ma il testo di Grasso è comunque un’occasione che impone la propria autorevolezza, nello spendersi in quella contemporaneità che a tratti mette i brividi. Repliche sino a domenica 5 novembre.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Umberto Favretto

La rassegna dei libri del mese

Ottobre è finito e mentre il sole declina e il buio avanza, noi lettori de iL Passparola Dei Libri non smettiamo di inseguire storie che ci fanno sognare, riflettere, commuovere. Questo mese abbiamo discusso di Una terra senza gelsomini, di Wajdi al-Ahdal una convincente  descrizione della realtà yemenita; dell’ultimo romanzo di Isabel Allende, Il Vento Conosce Il Mio Nome , mentre gli eventi delle ultime settimane hanno riportato in auge Ogni Mattina A Jenin, della scrittrice americana Susan Abulhawa

Incontri con gli autori

A Lucca Comics (dal 1 al 5 novembre) potrete incontrare  Christelle Dabos, Matteo Bussola, Frank Miller. In realtà, gli autori ospiti della manifestazione sono moltissimi e vi consigliamo di consultare il sitodedicato, per scoprirli tutti.

Le nostre interviste, questo mese, ci portano a conoscere Daniele Iannetti, al suo esordio letterario con  Otto Regni. La Furia Del Vento, Il Sussurro Dell’Acqua (Edizioni del Faro 2023) un fantasy di stampo classico; Andrea Zavagli , l’autore di Tutto Il Mondo E’ Paese (Edizioni 0111, 2022),  vincitore nella categoria “Miglior stile narrativo” al Giallo Festival 2022; Stefania Maida l’esordiente scrittrice di La Scatola Di Latta (Youcanprint, 2023) una raccolta di racconti che fanno riflettere sulle gioie e le difficoltà della vita; Linda Savelli e Barbara Calcinai, psicologhe, autrici di  Pensieri Quasi Quotidiani Di Una Psicologa Sulla Famiglia (Wondermark, 2021), un saggio divulgativo che affronta molti temi legati alla quotidianità del vivere in famiglia.

Per questo mese è tutto. Vi invitiamo a seguire Il Passaparola dei libri sui nostri canali sociali e a venirci a trovare sul nostro sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura! unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

IAAD. co-firma la veste grafica di Paratissima XIX

Eye Contact – Match with Art

Timidi, rapidi e delicati. Indiscreti, sfrontati e provocatori. Gli sguardi possono assumere infiniti significati e nella loro intensità o fugacità si possono nascondere intenzioni, desideri o perplessità. In un imprevedibile battito di ciglia, si può vivere un gioco dove le parole sono meri accessori, dove è il solo scambio di sguardi a travolgerci in connessioni, emozioni ed energie. Così l’arte, nella sua forma visiva, si svincola dalla necessità di generare un dialogo, costruendo con lo sguardo dell’osservatore un rapporto silenzioso ed intimo, segreto ma complice.

IAAD. ha studiato l’identità e la campagna di comunicazione di “Eye Contact – Match with Art”, il tema della XIX edizione di Paratissima. L’ideazione e la realizzazione dell’immagine guida è stata elaborata come tesi di classe dal gruppo di studenti formato da Vittoria Gaia Pitacco, Vito Paolo Pace, Alberto Pitton, Fabiana Ruotolo, Rachele Pozzo, del terzo anno del corso di Communication Design coordinato da Andrea Bozzo, con direttore strategico Aurelio Tortelli.

«Nel nostro progetto di tesi in collaborazione con Paratissima – spiegano gli studenti – abbiamo esplorato il tema “Eyes on Paratissima”. Il nostro obiettivo era di enfatizzare l’identità unica di Paratissima nel panorama artistico e culturale, distinguendola dai suoi competitor. Abbiamo riconosciuto tre aspetti chiave che caratterizzano Paratissima: la riqualificazione di spazi abbandonati, la promozione di artisti emergenti e la creazione di legami forti all’interno della community. Ognuno di questi elementi è stato analizzato in profondità allo scopo di creare una narrazione visiva e concettuale che potesse riassumere la filosofia dell’organizzazione. Il nostro progetto ha cercato di sottolineare questi aspetti chiave attraverso vari applicativi, da campagne pubblicitarie a installazioni artistiche, con l’obiettivo di mettere gli “occhi su Paratissima” e celebrare la sua unicità e il suo impatto positivo sulla società».   

 

Peppe Servillo legge Marcovaldo

Teatro Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO) Venerdì 3 novembre, ore 21

 

 

 

Per i 100 anni dalla nascita di Italo Calvino, Peppe Servillo, con le note alla chitarra di Cristiano Califano, legge “Marcovaldo” portando così in scena uno dei personaggi più celebri della letteratura italiana.

Dalla lettura delle fiabe scelte emergono gli aspetti più fiabeschi e ironici del noto personaggio evidenziandone l’assoluta modernità: la complessa vita caotica in città, l’urbanizzazione senza razionalità ed ordine, l’industrializzazione crescente, la povertà delle fasce più basse della popolazione, la difficoltà dei rapporti umani ed interpersonali.

Le storie di Marcovaldo invitano ad affrontare le difficoltà quotidiane con fantasia ed immaginazione: l’eroe tragicomico insegna come in ogni momento della giornata si possano ricercare segni e occasioni per poter essere felici.

 

Venerdì 3 novembre, ore 21

Peppe Servillo legge Marcovaldo

Con Peppe Servillo, voce recitante

E con Cristiano Califano, chitarra

Distribuzione a cura di AidaStudioProduzioni

Coordinamento artistico a cura di Elena Marazzita

Biglietti: intero 18 euro, ridotto 16 euro

Dido’s Brazilian Jazz in Osteria Rabezzana

Mercoledì 1 novembre, ore 21.30

L’appuntamento del Moncalieri Jazz Festival

Il DBJ – Dido’s Brazilian Jazz nasce nel 2014 con la calda voce di Delfina Di Domenico, il pianoforte eclettico di Massimo Rizzuti pronto ad accompagnare e creare ritmiche che ben si miscelano alle percussioni di Giorgio Ricchezza che le alterna al suono di un elegante sax contralto, insieme al maestoso contrabbasso di Pippo Caccamese. Tutti e quattro uniti dalla passione per la musica, spaziano dalle calde sonorità di bossa nova e samba, all’improvvisazione jazz e al blues leggero, passando tra brani famosi della musica italiana anni ’50 e approdando a grandi miti come Mina, Vanoni, Paoli, Conte.

FORMAZIONE

Delfina Di Domenico, voce

Massimo Rizzuti, pianoforte

Giorgio Ricchezza, percussioni

Pippo Caccamese, contrabbasso

Ora di inizio: 21.30

Ingresso:

15 euro (con calice di vino e dolce) – 10 euro (prezzo riservato a chi cena)

Possibilità di cenare prima del concerto con il menù alla carta

Info e prenotazioni

Web: www.osteriarabezzana.it

Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it

Torino e i suoi teatri: il Medioevo e i teatri itineranti

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Torino e i suoi teatri

1 Storia del Teatro: il mondo antico
2 Storia del Teatro: il Medioevo e i teatri itineranti
3 Storia del Teatro: dal Rinascimento ai giorni nostri
4 I teatri torinesi: Teatro Gobetti
5 I teatri torinesi :Teatro Carignano
6 I teatri torinesi :Teatro Colosseo
7 I teatri torinesi :Teatro Alfieri
8 I teatri torinesi :Teatro Macario
9 Il fascino dell’Opera lirica
10 Il Teatro Regio.

 

2  Storia del Teatro: il Medioevo e i teatri itineranti

Cari lettori, il caldo e l’afa di questi giorni hanno notevolmente limitato le mie energie, di conseguenza non ho “escamotage” letterari da proporvi per l’abituale introduzione discorsiva che è solita precedere l’argomentazione vera e propria dei miei pezzi. Non mi attarderò dunque oltre, al contrario vi propongo di entrare subito “in medias res”, nel vivo del nostro discorso sulla storia del teatro, iniziato la settimana scorsa con una premessa sulle radici antiche di tale fenomeno rappresentativo.
L’unico augurio che mi preme rivolgervi è che possiate leggere questo mio scritto in un luogo strategico, magari su una panchina ombrosa e leggermente ventilata, oppure a casa, seduti sulla vostra poltroncina preferita, mentre il ventilatore vi fa roteare i pensieri estivi.
Lo ribadisco, la materia che mi sono proposta di trattare è pressoché infinita e alquanto complessa, ma vedrò di proseguire per sommi capi, proponendovi un racconto organico ma non eccessivamente specifico, tale da rispecchiare le caratteristiche delle letture che solitamente si fanno sotto l’ombrellone.
Oggi ci occupiamo delle forme teatrali tipiche dell’epoca medievale, uno dei momenti storici maggiormente estesi e variegati che compongono le vicende dell’Europa.
Solo per rispolverare nozioni che sicuramente già avete e per rendere accetta quell’attitudine da docente che ormai è parte integrante del mio essere, vi ricordo che stiamo prendendo in considerazione quell’esteso periodo di circa mille anni che va dal 476 d.C. (caduta dell’Impero Romano d’Occidente), al 1492 (scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo).
Il termine Medio Evo deriva dal latino “media aetas” o “media tempestas”. Per lungo tempo i dotti hanno considerato tale periodo come un’ epoca “buia”, priva di quegli ideali alti e luminosi tipici dell’Umanesimo e del Rinascimento. Bisognerà attendere l’Ottocento affinché l’atteggiamento degli studiosi cambi, e si inizi a considerare con attenzione i molteplici avvenimenti importanti che si susseguono a partire dalla caduta dell’Impero Romano fino all’inizio dell’epoca moderna.


Lungi da me propinarvi in questa sede una lezione di storia, sarebbe davvero troppo complesso e non opportuno, quello che posso invece fare è – per semplificare la questione- proporvi di richiamare alla mente immagini simboliche e, se vogliamo, stereotipate, di quei secoli, in modo da immedesimarci il più semplicemente e velocemente possibile in quel “guazzabuglio medievale”.
Vi invito dunque a pensare al capolavoro bergmaniano de “Il settimo sigillo” (1958), in cui il contrastato bianco e nero avvolge le melanconiche vicende dei personaggi, primo fra tutti Antonius Block (Max von Sydow), cavaliere di ritorno dalla Crociate, accompagnato dal fedele servo Jöns. Il film incarna con magistrale maestria la comune visione che si ha dell’epoca medievale: impregnata di religiosità opprimente, in cui la fede nella magia e nell’ultraterreno prendono il sopravvento sul raziocinio e in cui la violenza delle guerre si affianca alla povertà dilagante.
Iconiche e indimenticabili sono le emblematiche scene della processione dei guitti e dei flagellanti e quella finale, in cui le sagome dei protagonisti “danzano solenni allontanandosi dal chiarore dell’alba verso un altro mondo ignoto”. Ed ora che siamo pronti per proseguire, ormai pienamente contestualizzati in questi secoli lontani ma pur sempre affascinanti, prima di tutto occorre dimenticarci del concetto di teatro greco e latino. Con il crollo dell’Impero Romano l’antica istituzione teatrale viene surclassata da un’idea di teatro imprecisa e nebulosa e dai confini decisamente più labili rispetto all’antico. Rientrano infatti nel generale concetto di spettacolo teatrale svariati fenomeni, dai riti liturgici alle feste popolari, dall’esibizione di giullari e saltimbanchi, alle sacre rappresentazioni.
La memoria del teatro classico sopravvive grazie agli amanuensi, come testimonia la monaca Hroswita (935-973), la quale riporta che nei monasteri autori come Terenzio vengono ancora letti e trascritti, tuttavia si tratta appunto di semplici letture e non di rappresentazioni a tutti gli effetti.
In epoca medievale si parla di “teatralità diffusa”, espressione che si riferisce alla nascita e alla diffusione di diverse figure che differenziano i numerosi professionisti dello spettacolo, comunemente chiamati “histriones”. Accanto agli attori comuni, troviamo “joculatores”, “mimi”, “scurrae”, “menestriers” o “troubadours”; tra questi il ruolo più diffuso è sicuramente quello dello “joculator”, ossia “colui che si dedica al gioco”, ma lo “joculator” è anche – in senso lato- il chierico o il monaco incline al vagabondare, – il “gyrovagus”- che è senza fissa dimora e conseguentemente privo di un ruolo stabile all’interno della società.

La figura del teatrante, sia esso un “histrione” o un giullare, è da subito considerata negativamente, tant’è che la storia degli attori può considerarsi parimenti come la storia della loro condanna.
Certo, anche nell’antichità gli attori non godevano di particolari riconoscimenti, ma è proprio in epoca medievale che la situazione si inasprisce.
Se tra voi lettori vi è qualche disneyano convinto, avrà sicuramente presente, ne “Il gobbo di Notre Dame”, il disprezzo che prova il malvagio giudice Frollo nei confronti non solo del popolo gitano, ma degli umili parigini che partecipano alla “Festa dei Folli”. Il cartone del 1996 altro non fa che sottolineare quel lunghissimo conflitto che nasce proprio in epoca medioevale, tra il mondo ecclesiastico e i teatranti. Di tale dissidio oggi chiaramente non si percepisce più nulla, ma fateci caso: quanti tendoni viola avete visto ancora adesso all’interno dei teatri? (il viola è il colore dei paramenti liturgici usati in Quaresima). Per comprendere appieno questo contrasto è opportuno pensare alla rivoluzione culturale attuata dal Cristianesimo, i cui primi scrittori, gli apologisti, pur accogliendo la tecnica letteraria e la retorica della civiltà classica, rifiutano la società pagana e la sua concezione della vita. Della cultura classica in genere il teatro era considerato l’espressione più terrena e diabolica. I giullari e i teatranti sono visti come “instrumenta damnationis” e condannati senza pietà per le turpitudini a loro attribuite. Moltissimi sono i documenti che attestano le accuse mosse contro gli uomini di spettacolo, ma sono proprio tali condanne a essere le migliori fonti a cui attingere per studiare l’attività giullaresca di tale periodo.
Le motivazioni di biasimo sono riducibili a tre termini specifici: l’attore è “gyrovagus”, “turpis” e “vanus”. Con il primo termine si sottolinea il “porsi ai margini” e lo stare al di fuori dell’organizzazione sociale; in seconda istanza l’arte del giullare è priva di contenuto, cioè “vana”, ma ciò che è vano è mondano e ciò che è mondano è diabolico; infine, l’attore è “turpis”, perché è colui che stravolge (“torpet”) l’immagine naturale delle cose, intervenendo e modificando la natura, così come Dio l’ha creata, sublime e perfetta.

Tale condanna riguarda tutti i tipi di travestimenti, attività specifiche anche di altri contesti, quali la festa popolare e la grande festa carnevalesca.
Non di meno i giullari sono un elemento costante della vita quotidiana, come ben dimostrano le arti figurative: essi compaiono numerosi, raffigurati con sembianze animalesche e bestiali in particolar modo nei codici miniati e nei capitelli delle chiese. La figura del giullare è tuttavia molto complessa e ricopre diversi ruoli. Uno degli incarichi a lui affidabili, ad esempio, è quello di diffamare determinati individui, di qui la “satira contro il villano”, – il contadino è sempre il bersaglio più gettonato – particolarmente diffusa dall’anno Mille nelle “chouches” aristocratiche e borghesi. Egli è però anche un narratore, un cantastorie, autore sia delle amate “Chansons de geste”, sia di favolette o “fabliaux”, brevi storie in cui i protagonisti si muovono nella sfera del quotidiano, avvicinandosi alla “farsa”. L’acerrimo dissidio tra Chiesa e Teatro non si esaurisce nel solo svilire e condannare la figura dell’attore, vi è anche un altro aspetto da tenere in considerazione: il rito purificatore e spirituale che si contrappone alla festa mondana.
Il rito cattolico è in effetti ricco di elementi spettacolari e trova il suo culmine nella Santa Messa, in quanto rappresentazione simbolica di un avvenimento: “Fate questo in memoria di me”. Nell’assistere al rito, inoltre, il fedele non si limita alla mera contemplazione del mistero che lo trascende ma partecipa attivamente al rituale che lo coinvolge.
Rimanendo in ambito religioso, si diffonde nel Medioevo il “tropo”, una particolare cerimonia ottimamente esemplificata dal “Quem quaeritis?”, le cui battute sono tratte direttamente dai testi evangelici. In questo caso specifico la vicenda rappresentata descrive la visita delle pie donne al sepolcro di Gesù, esse lo trovano vuoto e subito assistono alla discesa di un angelo che annuncia loro l’avvenuta resurrezione.

Dal “tropo” si sviluppa il dramma liturgico, che può svolgersi in una piccola parte della chiesa o investirla totalmente, avvalendosi in questa circostanza di allestimenti scenici ben determinati e con precisi valori simbolici. Nel dramma liturgico troviamo per la prima volta l’idea della scena “simultanea”, caratteristica prima dei “misteri”. Si tratta di particolari sacre rappresentazioni allestite fuori dalle mura delle chiese e prive di connessioni con il cerimoniale liturgico ma dirette da chierici o preti, la rappresentazione era solitamente accompagnata da didascalie in latino, vero e proprio elemento che fa da “trait d’union” con il recinto sacrale. Uno dei “misteri” più tipici e apprezzati è lo “Jeu d’Adam” – spettacolo composto da un autore normanno, e particolarmente diffuso nel XII – secolo in cui per la prima volta vengono allestiti dei “luoghi deputati”, atti a rappresentare la globalità dell’Universo, costituito da Terra, Paradiso e Inferno.
I luoghi deputati, anche chiamati “mansiones” (case), sono costruzioni in legno e tela che delimitano zone circoscritte in cui avviene una determinata azione.
Tali spettacoli – dramma liturgico e “misteri”- vengono realizzati e allestiti da laici, ma appartengono nondimeno alle diverse forme di teatro cristiano, poiché il tutto è incentrato sulla visione, semplificata e drammatizzata, delle Sacre Scritture e della vita dei Santi, o in altre parole, sull’eterna lotta tra Bene e Male.
Vi sono poi i “grandi misteri”, che si svolgono in più giornate ma che non differiscono di molto dalle rappresentazioni più semplici.
Queste manifestazioni sono essenziali per il credente, poiché rappresentano e sintetizzano con semplicità tutto ciò che il buon cristiano deve sapere, la funzione culturale dei “misteri” non differisce poi molto da quella della “Biblia pauperum”, ossia la “Bibbia dei poveri”, una raccolta di immagini che rappresentano scene della vita di Gesù e le figure e le vicende dell’antica storia di Israele.

Siamo dunque arrivati al termine, vi ho grossomodo raccontato delle principali manifestazioni teatrali che fioriscono in epoca medioevale; esse nascono in quei secoli lontani ma perdurano nel tempo, soprattutto laddove gli spettacoli assumono cadenza annuale e finiscono per tramutarsi in ricorrenze tradizionali.
Sottolineo ancora che gli spettacoli religiosi non sono altro che il rovescio cristiano degli antichi riti carnevaleschi e pagani della fecondità, tanto che a volte si fondono con essi.
Ancora una volta spero di avervi invogliato ad approfondire l’argomento, magari cercando qualche festività o ricorrenza tradizionale a cui partecipare. Il teatro ha molti volti, dall’aspetto tradizionale dello spettacolo in prosa fino alla festa popolare, tale sua peculiare natura ci offre l’opportunità di scegliere quale tipologia di stupore vogliamo vivere, qualcosa di più intimo o un’esperienza condivisa con la comunità, sta a noi decidere che maschera indossare.

Alessia Cagnotto

Chiara Bertola è la nuova direttrice della Gam

Il Consiglio Direttivo della Fondazione Torino Musei annuncia la nomina di Chiara Bertola a Direttrice della GAM – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino.

A seguito della manifestazione di interesse per la raccolta delle candidature, scaduta lo scorso 12 settembre, il Consiglio Direttivo della Fondazione ha deliberato la nomina della Commissione valutatrice esterna, i cui membri sono stati scelti tra profili di assoluta e comprovata competenza, indipendenza e caratura internazionale. Tutti i commissari, di seguito indicati, sono riconosciuti e apprezzati nel mondo dell’arte moderna e contemporanea e vantano esperienze con le principali istituzioni museali nazionali e internazionali.

Sylvain Bellenger, Direttore Generale del Museo e Real Bosco di Capodimonte
Elena Filipovic, Direttrice della Kunstmuseum Basel
Lorenzo Giusti, Direttore della GAMeC di Bergamo
Chiara Parisi, Direttrice del Centre Pompidou-Metz
Alberto Salvadori, Magazzino Italian Art New York e Direttore ICA Milano

La Commissione ha esaminato tutti i curricula e i progetti elaborati dai partecipanti alla selezione in possesso dei requisitirichiesti e sentito a colloquio una rosa di candidati i cui profili sono stati ritenuti maggiormente in linea con i requisiti richiesti dall’avviso. A seguito delle valutazioni e delle audizioni effettuate la Commissione ha quindi concluso i propri lavori e restituito alla Fondazione i nominativi dei profili ritenuti idonei alla carica e quindi sottoposti al Consiglio Direttivo.

Sulla base delle risultanze delle valutazioni e delle motivazioni indicate dalla Commissione, il Consiglio Direttivo, con consenso convinto ed unanime, ha nominato Chiara Bertola, rilevando nel profilo una solida esperienza nella gestione di istituzioni museali e una profonda comprensione delle specificità del Museo e delle sue esigenze.

Esprimo piena soddisfazione per la nomina di Chiara Bertola alla direzione della GAMdichiara Massimo Broccio Presidente della Fondazione Torino Musei. Ringrazio la qualificata commissione per il prezioso lavoro svolto che ha consentito al Consiglio direttivo l’individuazione di una professionalità con una solida esperienza nella gestione di istituzioni museali e all’altezza di garantire il cambiamento necessario ad affrontare le future sfide della GAM.

Conservazione, tutela e ricerca rimangono chiaramente la missione centrale del museo ma da sole queste attribuzioni non sono sufficienti ad interpretare le nuove funzioni di una istituzione museale nel XXI secolo.

Il museo deve essere un soggetto attivo, strumentale alla evoluzione e al progresso sociale e culturale delle persone, con una vocazione di ascolto e di interazione con l’attualità e con il presente. Un organismo sapiente, complesso e vivo; un luogo di incontro e di confronto che guarda al futuro in modo attivo.

Nel suo progetto Chiara Bertola ha dimostrato una profonda comprensione della specificità della nostra istituzione e di queste esigenze.

Sono particolarmente lieto che sia lei a raccogliere la sfida di scrivere una nuova ed importante pagina della storia della prima Galleria civica d’Arte nata in Italia

Desidero ringraziare la Fondazione Torino Musei della fiducia accordatami nell’avermi voluta come nuova Direttrice della GAMdichiara la neoeletta Direttrice Chiara Bertolaun’istituzione che rappresenta un’eredità culturale importante da sottolineare, accendere e riattivare con vitalità e uno sguardo rivolto al futuro, facendo emergere interpretazioni insolite.

Assumo questo incarico consapevole della responsabilità del ruolo e onorata di portare avanti la storia della GAM e il lavoro di chi mi ha preceduto.

Il Consiglio Direttivo sentitamente ringrazia Riccardo Passoni per la serietà ed il rigore del lavoro svolto in questi anni a beneficio del Museo.

Biografia Chiara Bertola

Nata a Torino nel 1961 – vive e lavora a Venezia. E’ curatrice del progetto di arte contemporanea “Conservare il futuro” alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia dal 1999 a oggi. Dal 2014 e’ socia fondatrice della Venice Gardens Foudation di Venezia con il compito di restaurare giardini e farvi crescere l’arte. Ideatrice e curatrice del Premio FURLA per giovani artisti italiani dal 2000 al 2015. E’ stata direttrice artistica dell’Hangar Bicocca di Milano dal 2009 al 2012 dove ha ideato e curato il progetto sperimentale Terre Vulnerabili a growing exhibition, una mostra lungo un anno in 4 tappe di crescita. Dal 1996 a 1998 è stata Presidente della Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia. Tra i curatori fondatori del Progetto Ars Aevi per la costituzione del Nuovo Museo di Arte Contemporanea di Sarajevo. E’ stata curatrice del “Padiglione Venezia” della Biennale Internazionale d’Arte di Venezia e della XV Quadriennale di Roma. Ha curato diverse mostre personali e collettive in Italia e all’estero tra cui quelle di Marisa Merz, Giovanni Anselmo, Michelangelo Pistoletto, Elisabetta Di Maggio, Mona Hatoum, Haris Epaminonda, Giulio Paolini, Lothar Baumgarten, Joseph Kosuth, Roman Opalka, Maria Teresa Sartori, Paolo Icaro, Christian Boltansky, Hans Peter Feldmann, Ilya&Emilia Kabakov, Georges Adeagbo, Remo Salvadori, Kiki Smith, Maria Morganti, Jimmie Durham. Ha pubblicato il libro Curare l’arte dedicato alla figura del curatore (2008); Conservare il futuro, 25 anni di arte contemporanea alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia (2022).