Nelle sale della GAM, sino al 9 marzo 2025
Ha rischiato davvero di passare in secondo piano, nel momento dell’inaugurazione affollatissima la settimana scorsa, il ritratto e la mostra di “Berthe Morisot, pittrice impressionista” – organizzata e promossa dalla Fondazione Torino Musei, GAM Torino e 24Ore Cultura – Gruppo 24 Ore, una cinquantina di opere sotto la cura di Maria Teresa Benedetti e Giulia Perin, con l’eccezionale sostegno del Musée Marmottan Monet di Parigi -, diremmo scavalcata dalle dichiarazioni – un appello unanime – del presidente Massimo Broccio e della assessora alla Cultura del Comune Rosanna Purchia, seguiti a ruota dalla novella direttrice Chiara Bertola (giustamente) preoccupati di quanta strada si debba ancora fare per vedere completato il “processo di riqualificazione” della Gam che pur vede aprirsi “una sua nuova stagione”, pur “chiusa per un terzo dei suoi spazi quando mi sono insediato”, sottolinea Broccio. Dando fiato alle trombe per urlare ancora una volta che pecunia non olet, si fa sonora richiesta secondo la impellente bisogna a Regione e Governo – secondo la consuetudine, il primo richiesto dovrebbe essere il Ministero della Cultura, di questi tempi mai così sconquassato e vistosamente claudicante – di farsi carico di un futuro più che concreto e soddisfacente: mentre il segretario generale della Compagnia di San Paolo, Alberto Anfossi, elenca il quanto già fatto e il quanto già deliberato per interventi a venire (poco meno di due milioni di euro).
Ma torniamo a Berthe, “figura femminile capace di farsi accettare in un ambiente tutto maschile”, sono ancora parole del Presidente, consapevole altresì che sia, in questo 150mo anniversario dell’Impressionismo, il bentornato momento artistico dell’artista, se anche il Palazzo Ducale di Genova sente la necessità di ambientare nelle proprie sale “Impression, Morisot” che “sarà la prima grande mostra in Italia sulla figura” (ci fanno sapere da Genova) della pittrice (e tu vuoi che un minimo di rivalità al di qua e al di là dell’Appennino non ci sia? magari, se Parigi val bene una messa, sarà l’occasione per un giro nella Superba, e approfondire), con “86 opere, tra dipinti, acqueforti, acquerelli, pastelli, cui si aggiungono documenti fotografici e d’archivio, molti dei quali provenienti dai prestiti inediti degli eredi Morisot”. Berthe che era nata a Bourges nel gennaio del 1841 e che sarebbe scomparsa a Parigi il 2 marzo 1895, la casa della sua giovinezza aperta a intellettuali e artisti, la preclusione all’École des beaux-arts che avrebbe aperto al gentil sesso soltanto nel 1897, i primi maestri e le visite al Louvre per studiare Raffaello e Rubens, l’allergia alle urgenze accademiche, l’entrata nell’atelier di Corot che la spinse a dipingere en plein air. Poi la conoscenza con Edouard Manet, incrociato nei lunghi corridoi del grande museo, forse una loro intima relazione data in pasto ai salotti parigini tra mille pettegolezzi, molto presumibilmente vuoti, una “relazione” artistica che sfociò nella comune passione artistica, nella stima e nell’amicizia, nell’affidarsi dell’allieva al maestro per divenire una delle sue modelle predilette (la ritrasse in ben undici tele, come “Il balcone”, 1868, “Berthe Morisot con il ventaglio”, 1872, e “Berthe Morisot con un mazzo di violette”, ancora 1872).
Questa frequentazione e quest’amicizia non impedirono a Berthe di sposare nel 1874 Eugène, il fratello di Manet, in un matrimonio oltremodo felice, “ho trovato un brav’uomo, onesto, e sono sicura che mi ama sinceramente”, parole che avrebbero sicuramente cancellato quelle pronunciate un tempo: “Non credo ci sia mai stato un uomo che abbia trattato la donna alla pari, e questo è tutto ciò che chiedo, perché conosco il mio valore.” È il piacere, quasi la necessità di dipingere a portare avanti la vita dell’artista, i suoi sentimenti consolidati, le amicizie, i viaggi e le frequentazioni di luoghi e amici, la dolcezza dei rapporti familiari, primo fra tutti quello con la sorella Edma; è l’importanza, forse mai immaginata ma pur sempre ricercata, di far parte di un gruppo, che trova nella “Società anonima degli artisti, pittori, scultori, incisori, ecc.” e che vede tra i partecipanti, tra gli altri, Pissarro, Degas, Renoir, Sisley, Monet: con cui, unica presenza femminile, allestisce (nove erano le sue opere) nel 1874 una mostra nello studio del fotografo Nadar. Avrebbe partecipato a ogni mostra successiva, avrebbe mancato soltanto quella del 1879 perché incinta della figlia Julie.
“Magicienne”, la definì Stéphane Mallarmé e nel passare dinanzi a certe opere, suddivise in quattro sezioni, la sfera familiare e i ritratti femminili, i paesaggi e i giardini e i capolavori en plein air, provenienti da importanti musei (oltre il Marmottan, il Musée d’Orsay di Parigi, il Musée des Beaux-Arts di Pau, e ancora Madrid e Bruxelles) e collezioni private (la difficoltà dei prestiti, ricorda Maria Teresa Benedetti, “per la volontà di accrescere la conoscenza di questa donna che a suo tempo non ebbe il riconoscimento che meritava”), ti rendi pienamente conto dell’affermazione, pochi tratti racchiusi in un vortice a renderci la grazia e la prepotenza al tempo stesso dell’incompiuto. Unite all’uso della luce che si spinge attorno a un personaggio e a un angolo di giardino con una incontrastata ricchezza di pennellate che brillano e vivacizzano la superficie delle tele, il tutto avvolto dall’intensità dell’apporto cromatico. A queste sezioni, è anche esposta una importante raccolta di opere su carta dell’artista, provenienti dal Marmottan, fondamentali come i dipinti per ripercorrere le tappe del suo percorso creativo.
Ci si trova dinanzi a “Eugène Manet all’isola di Wight” realizzato durante il viaggio di nozze in Inghilterra e a “Eugène Manet e sua figlia nel giardino di Bougival” (entrambi dal Marmottan), padre e figlia sorpresi in un affettuoso atteggiamento che coinvolge il gioco, la giacca di lui fatta di rapidi tocchi mentre alle spalle ha maggiore concretezza espressiva il giardino di fiori variopinti e di piante: un luogo che, in altro momento, coinvolge la domestica di casa, Pasie, mentre è intenta a cucire, ancora tra il verde del giardino, esempio non ultimo di figure femminile colte nelle loro attività più umili nella storia dell’arte. Ci si trova dinanzi alla “Donna con ventaglio” (1876, seconda mostra impressionista), stilisticamente matura, dove in bella sequenza sono la composizione floreale, l’acconciatura della signora e il ricco ventaglio dal sapore settecentesco nei suoi disegni; e al “Ciliegio”, tra i dipinti a olio di dimensioni più imponenti realizzati dalla Morisot, e alla “Pastorella nuda sdraiata” e all’”Autoritratto con la figlia davanti a una finestra”, uno dei pezzi di maggior richiamo dell’intera mostra.
A cornice, o forse facendosi materia prima di “Morisot, pittrice impressionista”, si inserisce un “display”, realizzato da Stefano Arienti, un’ambientazione che incamera le tele dell’artista, ponendo qua una panchina o giocando là con un interno dove trovano posto un appendiabiti e un pianoforte, più in là un vasto, “erboso”, tappeto e certi teli di carta da parati, dipinti di grigio e di oro, o certe (deprecabili, queste sì) carte da pacchi color nocciola che umiliano certe tele che sopportano. O chi sopporta chi? Alcuni materiali con i relativi nuovi effetti creano un “dialogo con le opere” che non è da cancellare ma certo in alcuni momenti – leggi la prima sala – si tenta persino d’ingannare il visitatore camuffando quattro opere della Morisot con l’apporto moderno della cera di pongo “imposto” a larghe ditate da Arienti. È un progetto della direttrice Bertola di cui, per molti versi, non si sentiva affatto la necessità. “La culla”, poniamo, ci avrebbe personalmente rallegrato di più. S’intitola “L’intruso”. Se ho ben capito, nelle mostre a venire ne avremo ancora altri.
Risalendo all’inizio, tutti sottolineavano con dolenti note che per il restayling definitivo ci vorrà ancora tempo, con Purchia che, sottolineando la (già) nuova vita della GAM, ripete “noi continuiamo a credere in quella che è la prima galleria d’arte moderna del Paese, ma sarebbe bene che questo lo si ricordasse anche al governo”. Anfossi, da parte sua, ricorda che San Paolo ha già fatto il proprio dovere (leggi: 500 mila euro per i lavori di messa in sicurezza, altri 500 per il lotto zero). Con il milione e mezzo già messo da parte, si arriva a circa quattro milioni: per cui ad Anfossi non resta che chiedersi “a quando il contributo pubblico?”. La risposta che Mario Turetta, capo dipartimento per le attività culturali del Ministero della Cultura, dava alla Stampa nei giorni successivi, suonava glaciale: “Per quest’anno niente soldi alla Gam”. Sangiuliano, ex ministro ex promesse ex interventi, lasciava intravedere 15 milioni di euro: da Torino si aspetteranno i giochi (nuovamente?) del 2025. Responsabili e pubblico, tutti in attesa.
Elio Rabbione
Nelle immagini: di Berthe Morisot “Autoritratto con la figlia davanti a una finestra” (1887), “Il ciliegio”, “Donna con ventaglio” e “Autoritratto” (1885).