





Grazie a loro siamo entrati nei saloni dove vivevano i Principi ereditari, un luogo che viene aperto solo in occasioni molto particolari. Il secondo piano di Palazzo Reale è infatti sempre chiuso al pubblico per mancanza di personale. Con il Fai si entra, non accadeva da quindici anni. Mentre il primo piano, sempre aperto alle visite del pubblico, era riservato al sovrano e alla sua famiglia, il secondo piano di Palazzo Reale, un tempo cuore politico e artistico di Torino dal Seicento alla metà del Novecento, era destinato ai principi ereditari e alle loro consorti. Naturalmente i saloni hanno subito radicali cambiamenti nei secoli decisi dai vari architetti chiamati a Palazzo.
I tempi cambiano, i secoli passano, le mode anche. Infine sarà il principe ereditario Umberto, trasferitosi a Torino nel 1925 per seguire le manovre del suo reggimento, a rinnovare le trenta sale di Palazzo Reale con arredi del Settecento e strutture moderne. Verrà installato un impianto di riscaldamento con termosifoni nascosti nelle bocche dei camini e ogni sala verrà attrezzata con ascensori e montacarichi. Si può vedere lo studio di Umberto in cui il principe leggeva la corrispondenza e riceveva ospiti importanti. L’allestimento di Palagi verrà mantenuto solo nell’alloggio occupato nel 1930 dalla moglie Maria Josè del Belgio. Dopo la guerra e la fine della monarchia l’Appartamento del Principe venne dimenticato per almeno 50 anni.Litteris servabitur orbis è una frase latina di grande importanza. In lingua italiana equivale a “il mondo sarà salvato dalle lettere”.
Durante il periodo oscuro delle leggi razziali l’acronimo di questa frase, ovvero L.S.O, venne usato dall’editore fiorentino ebreo Leone Samuele Olschki per poter stampare i suoi libri. Una lunga storia quella della casa editrice che fondò nel 1886 e tutt’ora attiva con migliaia di titoli in catalogo e molti periodici tra i quali l’Archivio storico italiano, la più antica rivista italiana ancora edita. Leo Samuele Olschki, figlio di un tipografo della Prussia orientale, si era trasferito in Italia seguendo il percorso dei tanti personaggi come Rosenberg & Sellier, Sperling & Kupfer, Hoepli, Le Monnier, Loescher, Scheiwiller, attratti dal sogno di realizzare nel nostro paese un’attività editoriale. Dopo aver vissuto e lavorato a Verona, Venezia e per tanti anni a Firenze l’emanazione delle leggi razziali del ’38 lo costrinse all’esilio a Ginevra, dove morì il 17 giugno del 1940. Quell’acronimo, oltre a rimarcare una grande verità e rivendicare il proprio diritto d’autore evitando d’incorrere nella repressione antiebraica che rappresentò una delle pagine più vili della storia italiana, era un grido di libertà e d’avvertimento. ” Dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli esseri umani “, scriveva nella prima metà dell’800 il poeta tedesco Heinrich Heine. Un monito tragicamente anticipatore di quei “roghi di libri” organizzati nel 1933 nella Germania nazista durante i quali vennero bruciati tutti i volumi che non corrispondevano ai canoni imposti dall’ideologia del regime dalla croce uncinata. Quei roghi, pensati per distruggere “lo spirito non tedesco”, vennero organizzati dalla Deutsche Studentenschaft, associazione degli studenti tedeschi. Una follia negazionista che venne salutata da Goebbels, il ministro della propaganda del Terzo Reich come un ottimo modo “per eliminare con le fiamme lo spirito maligno del passato”. Quale fu la logica conseguenza nemmeno la pur pessimistica profezia di Heine poteva lontanamente immaginarlo e tutto il mondo scoprì l’orrore delle persecuzioni, delle deportazioni nei lager e dell’olocausto. Eppure sono in molti ad aver dimenticato la storia, minimizzandola o relegandola negli angoli polverosi della memoria. “Chi nega la ragion delle cose, pubblica la sua ignoranza”, scriveva Leonardo da Vinci mezzo millennio fa. In un tempo cupo e difficile dove si legge sempre meno, dove la cultura viene presentata come un peso e l’ignoranza si accompagna quasi sempre all’arroganza, c’è poco da stare allegri. Un antidoto ci sarebbe ed è racchiuso in quella frase piena di speranza: “il mondo sarà salvato dalle lettere”. A patto che non rimanga solo una frase.
Marco Travaglini

E’ sempre stato un baluardo inespugnabile il forte valdostano di Bard, una fortezza di sbarramento resa famosa dall’assedio di Napoleone e ricostruita dai Savoia. Si arrese solo alle truppe di Napoleone ma quanta fatica, quante perdite umane, che onta per il grande Napoleone Bonaparte che quel giorno rischiò perfino di essere catturato. Andò su tutte le furie per non essere riuscito ad impadronirsi velocemente del forte a causa della valorosa resistenza dei soldati italiani e austriaci e alla fine decise di raderlo al suolo. Con una curiosità: nel maggio del 1800 Napoleone varcò il Gran San Bernardo non su un maestoso cavallo bianco come si vede nel celebre dipinto del David ma a dorso di mulo accompagnato da una giovane guida che trainava l’animale con sopra Napoleone il quale chiese poi a David di essere ritratto su un cavallo focoso. Ma il fatto straordinario di questa vicenda è che Bard, l’avamposto difensivo dell’esercito austro-piemontese, bloccò la Campagna d’Italia di Napoleone. Bard tenne testa ai francesi alla perfezione. Ma come si svolsero questi fatti storici? Per saperne di più è assai utile leggere il libro “La fortezza inespugnabile di Bard: storia dello sbarramento tra Valle d’Aosta e Pianura Padana” dello storico Mauro Minola, edizioni Susalibri. Fu un’incredibile battuta d’arresto per Napoleone, autoproclamatosi Primo Console con il colpo di Stato del 1799, un tale disonore che lo costrinse a reagire in seguito con la distruzione totale del Castel de Bard. Ma torniamo un po’ indietro. L’unico ostacolo imprevisto che si opponeva alla veloce avanzata dei francesi verso la pianura era appunto il forte di Bard, un bastione imprendibile che controllava e difendeva la Valle d’Aosta. Napoleone lo sottovalutò rischiando di far fallire i suoi piani. Eppure la fortezza era difesa da meno di 400 persone contando anche magazzinieri, cuochi e tamburini. All’esterno premeva una forza soverchiante di 40.000 francesi dell’Armée de Réserve. Come si presentava il forte di Bard nel maggio 1800? Aveva ancora la fisionomia di una fortezza medievale ed erano state realizzate nuove batterie per consolidare le difese in vista dell’attacco. Le scorte di viveri e d’acqua erano sufficienti per oltre due mesi ma dai documenti ufficiali dell’epoca trapela che gli ufficiali francesi non avevano nessun timore del forte e dei suoi difensori a tal punto che la fortificazione non era stata tenuta in nessun conto. Minola spiega che “la causa della sottovalutazione di Bard da parte dei generali di Napoleone fu dovuta alla mancanza di informazioni precise e alla carenza di una cartografia aggiornata della Valle d’Aosta. Secondo recenti ricerche dei cartografi Aliprandi è da cercare proprio in questi fattori il motivo per cui Bard non fu considerato un ostacolo così importante”. Nella notte tra il 21 e il
22 maggio un gruppo di soldati francesi camminando curvi dietro i parapetti che costeggiano la strada si avvicinarono alle postazioni difensive degli austro-piemontesi mentre un secondo gruppo di zappatori e granatieri scese lungo i dirupi della montagna impadronendosi della borgata. Occupato il paese di Bard che contava 246 abitanti cominciò l’assedio al forte con “un audace stratagemma” ideato dai francesi. Far passare i cannoni attraverso l’unica strada che lambiva il borgo appena preso dagli assedianti non era impresa facile. Vari tentativi fallirono per la pioggia di fuoco che arrivava dal forte sovrastante e investiva soldati e mezzi militari. Allora si decise di agire di notte ricoprendo le ruote dei cannoni con paglia e fieno per contenere al massimo i rumori del movimento e ingannare la sorveglianza dei difensori sulla strada del paese. La strada lastricata fu ricoperta di letame, paglia e materassi presi nelle case. I cavalli da tiro vennero sostituiti da squadre di 50 uomini adibiti al traino. Tutto perfetto ma non funzionò come era previsto nei piani. Alcuni cannoni passarono integri sotto le difese della fortezza ma ben presto gli austro-piemontesi scoprirono il traffico in corso nella via del paese e scatenarono un inferno di fuoco sui francesi che nonostante le perdite di uomini e mezzi riuscirono a far passare nell’arco di alcune notti una quarantina di cannoni. Infastidito per i ritardi subiti nella spedizione militare Napoleone lasciò Aosta e si avvicinò a Bard per verificare di persona la situazione ma venne circondato a sorpresa da un drappello di soldati austriaci. Si salvò grazie al pronto intervento delle sue
guardie che lo seguivano a breve distanza. Era giunto il momento di farla finita. Sul monte che sovrasta il forte vennero portati con grande fatica diversi cannoni ma la potenza di fuoco anche questa volta non fu sufficiente a costringere i difensori alla resa. Il capitano Stockard von Bernkopf, comandante della guarnigione, rifiutò più volte di arrendersi. Dopo alcuni tentativi falliti che lasciarono sul terreno centinaia di morti e feriti, un cannone da 12 libbre venne posizionato di fronte al portone del forte, fuori dalla portata di tiro degli assediati. Il bombardamento aprì brecce sempre più larghe nella mura del forte ma l’esito non fu decisivo per la conquista della fortezza. Decisiva fu la resa degli assediati, stremati ed esausti: la resistenza della guarnigione era giunta alla fine e il comando austriaco ordinò di cessare il fuoco e di arrendersi. I francesi persero oltre 1500 uomini contro i 13 morti e i 61 feriti tra le fila dei difensori. Il baluardo valdostano fu poi nello stesso anno completamente raso al suolo a colpi di mine. Trent’anni dopo Carlo Felice di Savoia lo farà ricostruire. Tra le fortificazioni alpine sabaude il forte di Bard è l’unico che ha conservato l’aspetto che aveva fin dai tempi della sua riedificazione nel 1838. Abbandonato alla fine dell’Ottocento, il forte divenne un carcere militare e in seguito polveriera dell’Esercito italiano. Oggi è di proprietà della Regione Autonoma Valle d’Aosta. Un libro di storia da leggere tutto d’un fiato.. aspettando “Napoleon”, il kolossal di Ridley Scott, a novembre sul grande schermo. Filippo ReMartedì 1 aprile, alle ore 19.30, debutto al Teatro Gobetti di “Risveglio di primavera” del drammaturgo tedesco Frank Wedekind, nella traduzione di Roberto Cavosi, per la regia di Marco Bernardi. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e dal Teatro Stabile di Bolzano resterà in scena per la stagione in abbonamento fino a domenica 6 aprile prossimo.
“In 19 brevi scene dal ritmo travolgente, con una struttura simile a quella del montaggio cinematografico, Wedekind, appena ventiseienne, ci racconta con una straordinaria forza drammatica l’eterno conflitto tra adolescenti e adulti, e non si fa mancare nulla – commenta il regista Marco Bernardi a l’avere di un testo che è simbolo delle condizioni giovanili di ogni tempo – dalla scoperta del sesso alle difficoltà di comunicazione, dall’importanza dell’amicizia alla struggente speranza di dare un senso alla vita, dallo smarrimento della ricerca della propria identità alla paura del primo amore. Così il grande autore tedesco, padre dell’espressionismo teatrale, ci colpisce ancora oggi per la modernità dei temi trattati e la sensibilità nei confronti dei giovani e delle loro speranze, spesso tradite”.
“Risveglio di primavera”, scritto da Frank Wedekind nell’inverno 1890-91, viene portato in scena, a causa della censura, solo 15 anni dopo. Fu Max Reinhardt a portarlo al debutto a Berlino. Era il 1906 e lo spettacolo scandalizzò i benpensanti, entusiasmò la critica e il pubblico liberale e progressista. Di questa pièce teatrale sono state messe in scena diverse edizioni nei teatri del mondo, riscritture comprese, e ne sono derivati film memorabili come “L’attimo fuggente” di Peter Weir del 1989. La forza dirompente dell’adolescenza e il conflitto generazionale sono i temi centrali della messa in scena di Bernardi, che dirige una compagnia di 14 attori, dieci dei quali sono giovani selezionati in tutta Italia tramite 100 provini. Bernardi li guida attraverso i vertiginosi cambi di registro di Wedekind, nell’alternarsi continuo di scene comiche e drammatiche, nella rapido passaggio tra un quadro e l’altro, da un dialogo a un monologo, da una situazione all’altra, seguendo l’acuta e ostinata ricerca che caratterizza l’autore. Questa rilettura è ispirata a un altro artista contemporaneo di Wedekind, il pittore di Ostenda James Ensor, con le sue maschere misteriose e grottesche. Oltre a una assoluta libertà creativa, li accomuna il bisogno di esprimersi attraverso regimi stilistici apparentemente opposti, da un lato un’intensa vena drammatica, dall’altro una specie di ansia dello sberleffo, una macabra vena farsesca.
Teatro Gobetti – via Rossini 8, Torino
Orari: martedì, giovedì, sabato ore 19.30/mercoledì e venerdì ore 20.45/domenica ore 16
Biglietteria: teatro Carignano – piazza Carignano 6, Torino. Telefono: 011 5169555 – biglietteria@teatrostabiletorino.it
Mara Martellotta
Venerdì 28 marzo Club Arci Circolo Corso Parigi – ore 21
Tante voci e brani per valorizzare la canzone autorale torinese
Venerdì 28 marzo alle ore 21, nel suggestivo Club Arci Circolo Corso Parigi, in corso Dante 28/A, riprende il secondo appuntamento con il “Circolo dei Cantautori“. Un collettivo di artisti fondato da Luigi Antinucci, nato con lo scopo di valorizzare il mondo della canzone attraverso iniziative e una rete territoriale di musicisti.
Venerdì 28 marzo l’appuntamento è dedicato a “Zucchero”, grazie all’esibizione di Luca “Cipo” Sperindio, il più accreditato fra i cantanti tributo di Fornaciari. Sul palco saliranno anche Luigi Antinucci, direttore artistico del Circolo dei Cantautori e vicepresidente dell’associazione Magica Torino Ets, che porterà alcune sue canzoni e un paio di brani di grandi maestri storici; Maurizio Seren Rosso con un’anteprima del suo nuovo lavoro discografico e Marco Roagna alla chitarra.
“Il Circolo dei Cantautori vuole essere propulsore e portavoce di un “movimento culturale” vicino alla tradizione cantautorale poetica, quella dei grandi artisti quali i piemontesi Luigi Tenco, Paolo Conte o Gian Maria Testa” – commenta il direttore artistico del Circolo dei Cantautori, Luigi Antinucci – “Anche nella nostra Torino, come ad esempio a Genova, Bologna, Roma, Napoli, è giusto parlare di “scuola torinese”, riguardo la canzone d’autore. Se le voci degli autori piemontesi si uniranno sono sicuro che creeremo un coro potente che non potrà passare inosservato, al fine di tutelare e dare risalto a quella canzone d’autore che come ben sappiamo, oggi non è più adeguatamente valorizzata”.
L’ingresso è riservato ai possessori di tessera Arci, per prenotare è necessario scrivere a corsoparigi2019@gmail.com
Curato da Alessandro Castelletto, Maurizio Cilli e Luca Morino il progetto è nato nell’ambito di Biennale Democrazia dalla collaborazione tra l’Associazione Vox Creola, Biennale Democrazia e OGR Torino con l’obiettivo di ricostruire e rielaborare l’impatto delle subculture giovanili nate tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo millennio.
Il programma della giornata si apre con il panel Creative City dalle 16 alle 17.30: con Chiara Bobbio (Città di Torino), Gian Alberto Farinella (Accademia Albertina di Belle Arti), Sara Fortunati (Circolo del Design), Alberico Guerzoni (Scuola Holden), Marco Rainò (IAAD), Paola Zini (IED Torino). Come mantenere il primato di un ambiente fertile per la creatività e la sperimentazione artistica intessendo reti e connessioni della scena culturale locale?
Dalle 18 alle 20 l’occasione per celebrare il 50° anniversario del Laboratorio Teatro Settimo con un omaggio a una delle realtà teatrali più innovative del panorama nazionale, che ha saputo esplorare le intersezioni tra scuola, città, teatro e mondo del lavoro, con Lucio Diana, Erica Nava e Lorenzo Tombesi (PoEM), Gabriele Vacis, Adriana Zamboni. Seguirà un tributo alla storica compagnia di danza contemporanea Sosta Palmizi, con Natalia Casorati, Daniele Ninarello e Alessandro Pontremoli. a seguire un Tributo a Guido Carbone, gallerista che ha segnato un’epoca dell’arte torinese, creando uno spazio che ha accolto artisti emergenti e sperimentatori con Monica Carocci, Sergio Cascavilla, Guido Costa, Enrico De Paris, Daniele Galliano, Pierluigi Pusole.
VILLEGGIATURA, SMANIE, AVVENTURE E RITORNO Durante tutta la serata, la resident band Loschi Dezi accompagnerà dal vivo gli incontri, con un’inedita colonna sonora figlia delle famose notti al Tuxedo e allo Studio 2. Proprio ai Loschi Dezi, testimoni e protagonisti di quell’epoca vibrante e seminale, il regista Alessandro Castelletto sta dedicando il documentario “Balla un nuovo passo falso” e nel corso della serata verranno presentati il teaser e la campagna di crowdfunding per sostenerne la realizzazione.
FLASHOVER sarà un’esperienza immersiva fatta di parole, immagini, video e musica, contributi originali di quegli anni, per raccontare e reinterpretare un’epoca in cui Torino ha saputo reinventarsi attraverso la cultura alternativa. Un evento per ricordare da dove veniamo e immaginare il futuro.

Giovedì 27 marzo si inaugura, alle ore 18, la mostra dell’artista Roberto Demarchi
Si inaugura giovedì 27 marzo prossimo dalle ore 18, nello studio di corso Rosselli 11, a Torino, la mostra dell’artista Roberto Demarchi, dal titolo “Perché gli Dei restino tra noi – il mito di Er”. Questa esposizione riflette sui miti che la cultura greco romana partorì. Era un mondo popolato di Dei, senza un Dio creatore che desse un senso al tutto, per cui con le sole forze del pensiero e dell’immaginazione ci si addentrò nel mistero dell’esistente e dell’universo. L’uomo possiede la ragione, grazie alla quale “sopra-vive” nel mondo, ed è posseduto dal mito attraverso cui vive nel mondo. Il mito e le arti sono grandi illusioni che ci permettono leopardianamente di naufragar in quei cieli che la ragione saggiamente evita. Come cantava il poeta Yves Bonnefoi “Perché gli Dei restino tra noi…”
Mail: rb.demarchi@gmail.com
Mara Martellotta


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