CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 116

Debutta al Teatro Gobetti il 9 gennaio in prima nazionale lo spettacolo “Wonderland”

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Al teatro Gobetti debutta in prima nazionale il 9 gennaio prossimoWonderland, tratto da Lewis Carroll, per la regia di Giulia Odetto

 

Debutta al Teatro Gobetti di Torino il 9 gennaio prossimo in prima nazionale lo spettacolo “Wonderland”, per la regia di Giulia Odetto, ispirato al celebre romanzo di Lewis Carroll “Alice in Wonderland”. In ordine alfabetico saranno in scena nello spettacolo adattato da Giulia Odetto e Antonio Careddu, Lav Gilardoni, Marta Pizzigallo, Camilla Soave, Alice Spisa, Francesca Turrini. Drammaturgo Antonio Careddu, scene e costumi di Gregorio Zurla, luci di Giulia Pastore, suono di Lorenzo Abattoir. Andrà in scena fino al 21 gennaio prossimo, in abbonamento per la stagione del Teatro Stabile di Torino.

Ispirandosi  ad Alice in Wonderland un cast multidisciplinare di attrici e performer darà vita ad un luogo abitato da giochi collettivie significanti fluttuanti, in cui corpi e parole si muovono liberi da motivazioni o aspettative di senso e di logica. A Wonderland i confini tra case, corpi e realtà,  identità si confondono e tutto sembra contemporaneamente qualcos’altro. Il lavoro del collettivo EFFE si muove alla ricerca di modalità performative  che uniscono al lavoro sul corpo e sulla parola, l’uso del video in presa diretta, allo scopo di creare atmosfere percettive che trasportano il pubblico in mondi alternativi.

“MI sono chiesta cosa sia Wonderland per me – spiega la registaGiulia Odetto – e non ho trovato una risposta. Mi sono chiesta cosa penso dovrebbe essere Wonderland in questo periodo storico e ho trovato un legame con molte parole che io stessa faccio fatica a comprendere appieno. Una di queste è  ‘queer’, e l’ho ritrovata in tutto il racconto di Carroll. In inglese il verbo “to wonder” viene  usato per esprimere il desiderio di conoscere qualcosa verso cui si prova curiosità,  ma anche per comunicare un dubbio, la presenza di qualcosa di poco chiaro, qualcosa che non torna. Il verbo “to wonder” contiene un movimento in avanti in cui il soggetto ‘who wonders’ è  impegnato per comprendere e conoscere.  To wonder è  un verbo ‘queer’ e Wonderland è un luogo ‘queer’.

Abbiamo conosciuto Wonderland attraverso gli occhi di Alice nel romanzo di Lewis Carroll e attraverso i vari adattamenti cinematografici  e teatrali. È un mondo che non rispetta il senso logico, privo di un senso univoco e che, al contempo, si abbandona a volte a un eccesso di senso. Ma cos’è  Wonderland senza Alice, senza uno sguardo esterno che ne evidenzi la stranezza,  senza un soggetto che applichi quel “to wonder”?Wonderland è  uno spettacolo queer e in quanto tale non rispetta le regole, non c’è  una storia da seguire, non ci sono personaggi con cui empatizzare, non ci sono conflitti personali o sogni da realizzare.

Wonderland non si trova da un’altra parte o in un altro tempo, ma si offre a chiunque accetti di abbandonare le dimensione logico-razionale che porta con sé paura e giudizio per entrare in uno spazio di libertà e di gioco. E’ in una costante ma rinnovatadimensione ludica che Wonderland continua a esistere o meglio, che non smettere mai di esistere.

Wonderland è quella terra ambigua tra infanzia e età  adulta, tra casa e mondo esterno, tra rischio e sicurezza, tra palcoscenico efoyer, tra ricordare e dimenticare.

Wonderland è  uno spettacolo che non rispetta le regole, non per anarchia o rifiuto, ma perché  le regole stesse sono vive, in costante mutazione e cambiamento ”

“ Io credo – prosegue la regista- nella potenza del fallimento, nel non raggiungere obiettivi normativamente riconosciuti importanti. Wonderland è un altrove, un’alternativa al nostro reale,  uno spazio utopico.

E le utopie contemplano le delusioni e i fallimenti. Il successo del presente è  determinato dalla norma del passato. Il fallimento del presente può essere il successo del futuro, una nuova concezione di successo. Wonderland è  un luogo che coinvolge i corpi di chiunque e comprende le regole mutanti. Gli abitanti di Wonderland sono soggetti che si disfano, cherifiutano di essere coerenti,  che non vogliono essere se l’essere è  già  stato definito.

Wonderland è un luogo in cui ci si può sentire privati della propria identità  e chiedersi “cosa sia  rimasto di me”, un luogo dove non essere un grado di nominare qualcosa può diventare un’occasione poetica, dove il linguaggio è  liberatodall’obbligo del significare.

Wonderland è popolato di significati selvatici che si fanno addomesticare. Il lavoro drammaturgico e compositivo parte dai quadri attraversati dalla Alice di Carroll, dalle situazioni e dai personaggi che ella incontra, riscrivendoli in una composizione  che segue la logica-non logica, del mondo onirico, secondo un criterio di montaggio non gerarchico, un metodo di associazione libero dalla razionalità per creare un concatenamento di situazioni sceniche che possono esserericonosciute più che comprese”.

Teatro Gobetti, via Rossini 8.

Orario degli spettacoli martedì giovedì e sabato ore 19.30, mercoledì e venerdì ore 20.45, domenica ore 16. Lunedì riposo

Mara Martellotta

Ecco i Re Magi, perché portano oro, incenso e mirra?

Una notte di duemila anni fa apparve in cielo una luce. Gaspare, Melchiorre e Baldassarre riconobbero il segnale che attendevano da tempo e partirono verso Betlemme in Giudea attraversando infiniti paesi in un viaggio lungo e avventuroso. I tre Re Magi, come racconta il Vangelo secondo Matteo, l’unico Vangelo che ne parla, portarono con sé un dono da offrire a Gesù bambino. Ma perché proprio oro, incenso e mirra? L’oro, donato da Melchiorre, il più anziano dei Magi, era un dono riservato ai Re e Gesù, per i tre misteriosi personaggi, era il re dei re. É il metallo più prezioso, simbolo di bellezza e luce divina, energia e ricchezza, trasmette calore e forza e da sempre è associato alla luce e al sole. Tutte le civiltà hanno usato l’oro per celebrare ed esaltare Re e divinità. L’incenso, portato da Gaspare, il più giovane dei tre, è una resina ricavata dalla corteccia di alcuni alberi e fin dai tempi antichi fu utilizzato per cerimonie religiose e rituali gradite agli dei. Il fumo dell’incenso bruciato facilitava la meditazione e la purificazione del corpo. Il magio Gaspare onora Gesù con un dono prezioso che generalmente veniva offerto in sacrificio agli dei. La mirra, resina estratta da piante che crescono in India e in Africa, veniva utilizzata nelle sacre unzioni e per conservare le salme durante i funerali. Sono tutti doni ricchi di significato e molto costosi e pertanto degni di un re. Anche la mirra, portata da Baldassarre, il re magio dalla pelle scura, è una resina molto profumata e conosciuta fin dall’antichità per le sue proprietà antibatteriche. Nella Bibbia viene citata spesso perché veniva usata come olio di unzione per profumare le vesti dei sacerdoti. Le sacre Scritture parlano di alcuni Magi ma non dicono che erano tre e neanche ci dicono che i loro nomi fossero Gaspare, Baldassarre e Melchiorre. E poi ci sarebbe anche un quarto Re Magio, non menzionato nei Vangeli ma presente nella tradizione cristiana da sempre, che rende ancora più fitto un mistero di 2000 anni. Molte leggende infatti narrano di un quarto Re Magio che non giunse mai a Betlemme perché si perse lungo la strada e si dice che per tutta la vita abbia continuato ad errare alla ricerca di quel Bambino.
Filippo Re

“Parlami di quello che vuoi… ma non mi parlare d’amore”

MISIC TALES, LA RUBRICA MUSICALE


“Parlami di quello che vuoi parlami dei tuo viaggi, del Brasile, delle compagnie aeree che preferisci ma, non mi parlare d’amore ”

Milanese, classe 1971, è di madre lombarda di Inzago, mentre il padre era pugliese di Gallipoli, ed era un aviatore, morto a Gallipoli nella città vecchia nel 1974 quando Tricarico aveva solo tre anni.

 A questo episodio si fa cenno nella canzone “Io sono Francesco” che ottiene un ottimo successo di vendite (primo posto nella classifica italiana dei singoli più venduti) e che viene premiata col disco di platino e con vari riconoscimenti.

La canzone subisce, però, alcune censure in radio: Tricarico definisce “puttana” la sua maestra delle elementari per aver tenuto un giorno un comportamento scorretto nei suoi confronti, ignorando, nella circostanza dell’assegnazione di un tema sui genitori, che il bambino fosse orfano di padre fin da quando aveva 3 anni e ignorando le conseguenti proteste del giovanissimo Tricarico.

Ha iniziato a suonare da giovanissimo (come ricorda nel brano Musica) e si è diplomato in flauto traverso al Conservatorio di Milano.

Ha suonato jazz con una piccola band nei locali milanesi, ma si è esibito per qualche mese anche a Parigi.

Oggi si presenta con un brano posato con eleganza sulla bocca di un Gianluca Gori noto anche con lo pseudonimo di Drusilla Foer.

Un brano che mi apre il cuore, mi porta in terre conosciute, scomode a volte, ma emozionanti.

Un brano reale, per ognuno di noi, struggente, malinconico che in un mare di delusione lascia ancora un barlume di speranza nell’amore, quello per sempre.

 Grazie a Dio la musica, quella vera, resta sempre.

“Conosce l’amore solo chi ama senza speranza”.

(Friedrich Schiller)

Vi invito all’ascolto ed attendo le vostre impressioni sul brano:

Buon ascolto

CHIARA DE CARLO

 

(2) Drusilla Foer – NON MI PARLARE D’AMORE – YouTube

 

“L’ispettore generale“ di Nikolaj Gogol’ con Rocco Papaleo protagonista

 

Debutta martedì 9 gennaio 2024, alle 19.30, al teatro Carignano, la pièce teatrale ‘L’ispettore generale’ di Nikolaj Gogol’ per l’adattamento e la regia di Leo Muscato, protagonista in scena Rocco Papaleo insieme a Elena Aimone, Giulio Baraldi, Letizia Bravi, Marco Brinzi, Michele Cipriani, Salvatore Cutri, Marta Dalla Via, Gennaro Di Biase, Marco Gobetti, Daniele Marmi, Michele Schiano di Cola, Marco Vergani.

Rocco Papaleo è protagonista de ‘L’ispettore generale’ di Gogol’, uno dei più grandi capolavori della letteratura russa, scritto quasi duecento anni fa, ma tragicamente più attuale di quanto si possa immaginare, grazie anche alla resa registica di Leo Muscato. Nella Russia del 1836 per controllare la vita e l’operato dei suoi sudditi, lo zar Nicola I istituisce un nuovo organo di Stato chiamato Terza Sezione ,suhe altro non è che una sorta di inquisizione che persegue e ostacola tutti i liberi pensatori, tra cui Dostoevskij, Puskin e lo stesso Gogol’. In breve tempo questo sistema scatena un processo di burocratizzazione della macchina amministrativa e esponenzialmente aumenta il livello di corruzione tra i funzionari statali.

‘L’ispettore generale’ è una commedia satirica estremamente divertente che si prende gioco delle piccolezze morali di chi detiene il potere e si ritiene intoccabile. È, forse, l’opera più analizzata, criticata, incompresa, osteggiata della letteratura russa di tutti i tempi, tanto che Gogol si sentì in obbligo di scrivere diversi testi che fugassero i fraintendimenti sorti al suo debutto.

Commedia satirica impastata di fraintendimenti e di giochi di ruolo, fra le più divertenti taglienti che mai siano state scritte, Revisor ( questo il titolo originale) è un affresco di una società allo sbando, di cui Gogol’ si prende gioco, in particolare di chi detiene il potere. Corrotti, approfittatori, affaristi, sfruttatori, gli abitanti della Russia zarista sono presi al laccio dai loro stessi inganni. Si tratta di una commedia in cui nessuno si salva, dove emergono, quali elementi strutturali, la mascalzonaggine, l’imbroglio, l’assenza di buona fede da parte del protagonista e degli altri personaggi.

Scritta nel 1836, ‘L’ispettore generale’ è una tipica espressione del teatro gogoliano e del suo tentativo di denunciare, attraverso riso e comicità, quella burocrazia corrotta della Russia zarista, dove a dominare l’esistenza sono l’ingiustizia e il sopruso. Sembra suggerire Gogol ‘che non è l’uomo a essere malvagio, ma la società a renderlo tale. Oggi la commedia di Gogol’ rivive grazie alla regia di Leo Muscato, regista di opera e di prosa, drammaturgo e pedagogo, capace di muoversi agilmente tra i classici e i testi contemporanei, senza mai perdere di vista le contraddizioni della realtà e del tempo presente.

Non era la prima volta che sulle scene russe venissero rappresentati gli abusi quotidiani dei burocrati statali. Ma tutti i testi precedenti erano sempre stati basati sulla contrapposizione tra il bene e il male, con personaggi positivi e personaggi negativi. Ne ‘L’ispettore generale’, invece, per la prima volta i personaggi sembravano essere tutti negativi e per gli spettatori dell’epoca questo era inconcepibile. Persino il finale risultava ambiguo, sia perché sulla scena non venivano rappresentati il trionfo della giustizia e la punizione dei corrotti, sia perché non era esplicitato se il vero ispettore generale annunciato nell’ultima scena avrebbe fatto giustizia o si sarebbe comportato come il falso revisore.

Il testo di Gogol’ è molto più metaforico che naturalistico e denuncia, attraverso il riso e la comicità, la burocrazia corrotta della Russia zarista. ‘L’ispettore generale’ apre le porte ad un mondo dove dominano ingiustizia e sopruso. Non è l’uomo a essere malvagio, ma la società a renderlo corrotto, corruttore, sfruttatore e imbroglione.

 

Teatro Carignano

Dal 9 al 21 gennaio 2024

Di Nikolaj Gogol’

Adattamento e regia di Leo Muscato

Con Rocco Papaleo

Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Torino, Teatro Nazionale, Teatro Stabile del Veneto, Teatro Nazionale

 

Mara Martellotta

Foto Tommaso LePera

“La Bella e la Bestia” in abiti storici nella Palazzina di Caccia di Stupinigi

Sabato 6 gennaio, ore 15.30 e 17

Nel Salone d’Onore della Palazzina di Caccia di Stupinigi, nel giorno dell’Epifania, sabato 6 gennaio, si entra nel magico mondo Disney e in uno dei momenti più iconici della storia del cinema: il ballo de “La Bella e la Bestia” nella messa in scena in abiti storici curata da Nobiltà Sabauda.

I personaggi più celebri della fiaba di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont, che ha ispirato il film, rivivono nel Salone d’Onore della Palazzina che ha ospitato nella sua storia le grandi feste da ballo e i ricevimenti di nozze di casa Savoia.  

 

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

Piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

Sabato 6 gennaio 2023, due repliche alle ore 15.30 e 17

L’ingresso allo spettacolo è compreso nel prezzo del biglietto

Biglietti: intero 12 euro; ridotto 8 euro

Gratuito: minori di 6 anni e possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Royal Card

Senza la prenotazione non si garantisce la possibilità di assistere allo spettacolo seduti

Info e prenotazioni: 011 6200634 stupinigi@info.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

Giorni e orario di apertura: da martedì a venerdì 10-17,30 (ultimo ingresso ore 17); sabato, domenica e festivi 10-18,30 (ultimo ingresso ore 18).

“La spada nella roccia”, show per famiglie

Teatro Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

Domenica 7 gennaio, ore 16

Per Favole a Merenda uno show musicale per la famiglia dinamico, comico, emozionante

 

In Britannia re Uther Pendragon muore senza lasciare eredi al trono, infatti il suo unico figlio Artù è troppo piccolo per governare. Così il grande Mago Merlino, il più grande mago di tutti i tempi, nasconde il bambino affidandolo alle cure del buon re Ector, e per placare il caos scoppiato a seguito della morte del sovrano fa comparire a Londra una misteriosa spada che solo il nuovo re sarà in grado di estrarre.

“La spada nella roccia” è uno show musicale per la famiglia dinamico, comico, emozionante e dal ritmo travolgente. Un’ora e mezza di coinvolgimento con i personaggi più noti delle storie del ciclo bretone, come Mago Merlino, Fata Morgana e Artù.

Domenica 7 gennaio, ore 16

La spada nella roccia

Biglietti: adulto 12 euro – bambino 10 euro

Info

Teatro della Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

www.teatrodellaconcordia.it

011 4241124 – info@teatrodellaconcordia.it

“Carlo Mollino. Paesaggi inclinati” In mostra al Forte di Bard

Il  fotografo italo-tedesco Armin Linke racconta l’opera del grande architetto torinese

Fino al 18 febbraio

Bard (Aosta)

Un estroso genio dell’architettura. E un genio indiscusso della fotografia ambientale. Signori miei, che accoppiata di gran lusso nella Sala dell’“Opera Mortai” al valdostano “Forte di Bard” che, in occasione del cinquantesimo anniversario della scomparsa (27 agosto, 1973) di Carlo Mollino, icona dell’architettura novecentesca (ma anche fantasioso e bizzarro designer, fotografo e scrittore), a lui dedica una mostra fotografica, curata dall’architetto e studioso milanese Luciano Bolzoni, con immagini assolutamente singolari realizzate dal celebre fotografo e regista italo-tedesco (origini meneghine, ma da tempo residente a Berlino) Armin Linke. Il percorso espositivo traccia un’ampia panoramica, fino al 18 febbraio 2024, del lavoro di Mollino attraverso scatti datati fra il 2006 e il 2023 e prosegue nel tentativo ( da Linke mai abbandonato e, ancora una volta, ben riuscito) di esplorare, attraverso le immagini, le relazioni esistenti fra l’uomo e le graduali, incisive trasformazioni che il progredire della “tecnologia” porta negli ambienti e nel mondo in cui viviamo. “La mostra – da nota stampa – parte dall’idea che la fotografia è indagine e quindi le architetture di Mollino costituiscono un’importante raccolta di dati e annotazioni in grado di leggere un territorio. Linke riflette sulla profonda idea della fotografia come momento per leggere la trasformazione della realtà. Sotto questo punto di vista, gli atteggiamenti di lettura dell’esistente da parte dell’architetto e del fotografo coincidono”. Così come gli sguardi “inclinati” e i paesaggi “inclinati” dei due, atti a meglio inquadrare il prodotto architettonico all’interno del paesaggio e a valutarne, prima (per l’architetto) e dopo (per il fotografo), le inevitabili – accettabili o dirompenti – trasformazioni.

Il tutto per certificare quella funzione sociale del “costruir bene”, soprattutto nel paesaggio alpino, propria di Mollino e della sua rigorosa attenzione al processo costruttivo, pur se sempre piacevolmente attratto da “un’ idea non statica della tradizione che in lui diviene fiume rigoglioso e generatore di nuova vita”. Estrosa eccentricità, di cui sempre mostrano segni inconfondibili le sue opere. Di architettura e di design. E la sua stessa vita, “adrenalinica” e perfino un tantino “spericolata”, come ben sa chi ebbe modo di conoscerlo. Mollino fu, infatti, uomo amante di originali hobbies e attività sportive legate soprattutto alla “velocità”,  quali lo sci (fu anche maestro di sci e, nel dopoguerra presidente della “CoScuMa”- Commissione delle Scuole e dei Maestri di sci”, nonché della “F.I.S.I.”), l’acrobazia aeronautica e le corse automobilistiche con futuristici prototipi da gara. Uomo profondamente legato alla montagna (anche se nel ’30, ancora prima di laurearsi, progettò la “Casa per Vacanza” a Forte dei Marmi) uomo delle Alpi, sciatore e costruttore di funivie e di residenze per la villeggiatura, per Mollino le Alpi sono state soprattutto la Valle d’Aosta, regione che iniziò a frequentare già a partire dagli anni Venti, studiando all’inizio gli edifici tradizionali e successivamente costruendo la “Casa del Sole” e la funivia del “Furggen” di Breuil-Cervinia (ben documentate in mostra nei potenti scatti di Linke), la “Casa Capriata” di Gressoney-Saint-Jean (poi ricostruita), il “Rascard Garelli” di Ayas, la “Casa Olivero” di La Thuile e la “Casa Collettiva” di Aosta. La Vallée, ma non solo. A lui si deve anche, in Alta Valsusa, nel 1946-’47, lo “Chalet – Slittovia” del Lago Nero sopra Sauze d’Oulz, oggetto nel 2001 di un radicale intervento di restauro, dopo decenni di abbandono e vandalismi. Anche la sua Torino, ovviamente, beneficiò del suo ingegno, con opere di cui ancor oggi possiamo godere dell’imponente e singolare bellezza. Suo, nel dopoguerra e in collaborazione con Umberto Mastroianni, il primo Premio al Concorso per il “Monumento ai Caduti per la Libertà” (noto anche come “Monumento al Partigiano”) collocato nel “Campo della Gloria” del Cimitero Generale di Torino. Nel ’52 progettò l’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” (oggetto nel 2006 di un controverso restauro) seguito da altri importanti progetti, fino ad arrivare agli ultimi anni della carriera, quando fra il ’65 ed il ’73 firmò i suoi due più importanti edifici: il Palazzo della “Camera di Commercio” in via San Francesco da Paola e il nuovo “Teatro Regio”, ricostruito dopo il rovinoso incendio del ’36 ed inaugurato nel ’73. Mezzo secolo di attività, ricostruito al “Forte di Bard”, anche attraverso una sezione documentale leggibile in modo dinamico e che trasforma il visitatore in scopritore di documenti originali, componendo così un racconto in grado di restituire la linearità del percorso artistico di Mollino.

Gianni Milani

“Carlo Mollino. Paesaggi inclinati” – Fotografie di Armin Linke

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www,fortedibard.it

Fino al 18 febbraio 2024

Orari: feriali 10/18; sab. dom. e festivi 10/19. Lun. chiuso

Nelle foto di Armin Linke: “Funivia del Furggen”, Breuil-Cervinia, 2006; “Casa del Sole”, Breuil-Cervinia, 2009; “Teatro Regio”, Torino, 2011.

“Luci d’inverno”, il sentimento dei russi per la neve

Alla galleria Pirra, sino al 21 gennaio

Una finestra, con gli stretti legni grigiazzurri che la separano in riquadri, un davanzale e una stanza che s’immagina allegra di presenze umane, divani e poltrone, il samovar sul tavolo apparecchiato.  Al di là, gli alberi spogli e carichi di neve, lo spiazzo davanti tutto imbiancato, sul fondo lo spicchio di una casa. La divisione netta tra due mondi, il dentro e il fuori, il tepore e il freddo che sembra addormentare ogni cosa. gli uomini e gli oggetti di fronte all’ovatta che li circonda. È l’immagine principe della mostra “Luci d’inverno”, ospitata nella galleria Pirra di corso Vittorio Emanuele II 82 sino al 21 gennaio prossimo, è il “Giardino invernale” di Maya Kopitzeva, artista russa scomparsa nel 2005, una degli esponenti di quel post-impressionismo che trovò i massimi traguardi nelle scuole di Mosca e di San Pietroburgo.


Realismo e poesia si mescolano in ognuna delle tele esposte, soprattutto in esterno, lo sguardo su una dimensione di sogno che quei pittori, la maggior parte scomparsa all’inizio del nuovo millennio, conoscevano assai bene, per amore, per convivenza, per il piacere di riprendere, con l’aiuto di una ineccepibile tecnica, con gli ampi quanto concreti colpi di spatola, la luce che cade sulle distese bianchissime o le ombre leggere che ne possono nascere, disseminate qua e là. La neve che, per tutto il mondo russo, nei tanti aspetti della sua arte, dalla musica alla letteratura, è intesa come “preludio della rinascita”, in un attimo prolungato di attesa, in un invito a soffermarsi nei nuovi ritmi calibrati nello scorrere lento delle giornate, a esprimere nuovi sentimenti davanti a quelle luci che si vengono a formare e di cui in nessuna altra stagione dell’anno l’uomo – l’artista – potrebbe godere. E allora è un generale intrecciarsi di rami, di cortecce che resistono o che si slabbrano, si sfaldano, di villaggi addormentati e dove rare sono le figure che s’intravedono, i fiumi gelati e i covoni come messi a riposare, i ricami del sole che a tratti riesce a introdursi tra gli alberi, tra i cespugli, tra le pieghe dei terreni.


Pirra, che da decenni mostra con orgoglio quelle immagini, allinea i nomi di Gleb Savinov, di Boris Lavrenko, del sempre superbo Georgij Moroz, di Leonid Vaichlia e di altri, e della Kopitzeva appunto. Forse la cifra che più ci immaginiamo fuoriuscire dalle tele è un senso di “adagio”, di riposo, di malinconia anche, che tutto avvolge, anche quella “Giornata di sole” di Nadezhda Vorobieva, riempita di bambini che giocano in un giardino pubblico imbiancato, avvolti in cappotti e cuffie colorate e guanti, una lunga panchina dove attenta vigila una madre su una culla gialla posta in pieno sole, anche sulla “Giornata” sembra posarsi un velo di attesa, di un sole di maggior calore. E un senso di quiete che accompagna quell’attesa, che s’intravvede nel “Villaggio” di Lavrenko, o nel “Ruscello d’inverno” di Moroz, nelle distese e nei silenzi che popolano i panorami del “Giorno invernale” di Dmitrij Kosmin e degli alberi solitari, leggeri fantasmi nella distesa bianca, di Vaichlia. “Indipendentemente da ciò che raffigurano, le opere esposte si propongono come scenografie del pensiero, in cui la natura diventa il rispecchiamento degli stati d’animo e delle riflessioni di colui che guarda”, dicono i responsabili della mostra: è l’invito rivolto al visitatore ad “entrare” nel quadro, a scoprirne le componenti più nascosto, a vedere oltre quegli alberi e quei raggi di sole indeboliti che cosa si nasconda, che cosa si voglia esprimere attraverso lo sguardo dell’artista, di più intimo, di più interiore, di più legato ai personali sentimenti di ciascuno.

Elio Rabbione

Nelle immagini, “Giardino invernale” di Maya Kopitzeva (olio, 1975), Georgij Moroz, “Oche d’inverno” (olio, 2006) e Nadezhda Vorobieva, “Giornata di sole” (olio, 1968).

Per i più piccoli l’Epifania con Lucilla

Amatissima anche dai genitori, la star di Youtube con oltre trecento milioni di visualizzazioni, arriva live con il suo spettacolo, per salutare le vacanze natalizie con il sorriso perché

“Lucilla viene dal sole portando raggi di felicità per giocare e cantare con i bambini!”.

Lo spettacolo, della durata di circa un’ora, divertente, coinvolgente ed interattivo,

è pensato per stupire i bambini e portare allegria a tutta la famiglia con canzoni,

coreografie da ballare col pubblico e tante sorprese.

Uno spettacolo ricreativo e al contempo educativo che si basa sui concetti base del primo apprendimento come

numeri, lettere e suoni,

grazie all’esperienza di Lucilla, laureata in scienze dell’educazione.

Il LUCILLA SHOW, organizzato da Dimensione Eventi,

avrà luogo al Teatro Atlantic di Borgaro Torinese (Via Lanzo 163)

 sabato 6 gennaio e a grande richiesta vedrà una doppia replica:

– ore 16 (SOLD OUT)

– ore 18.30

Per le ore 18.30 tre settori disponibili:

PRIMO SETTORE: 31 euro

SECONDO SETTORE: 28 euro

TERZO SETTORE: 22 euro

I bambini al di sotto di uno anno compiuto di età non pagano.

“Gian Paolo Barbieri. L’uomo e la bellezza” al  Forte di Bard

La mostra dedicata al celebre fotografo di moda milanese s’accompagna a un docufilm che ne ripercorre la vita e l’opera

Mercoledì 3 gennaio

Bard (Aosta)

Fra i massimi esponenti della fotografia contemporanea di moda e di costume, Gian Paolo Barbieri (Milano, 1935) è stato classificato nel ’68 dalla rivista “Stern” come “uno dei quattordici migliori fotografi di moda al mondo”. Voce creativa dei brand più famosi a livello internazionale, con l’ostinata e superlativa vocazione a cristallizzare il “bello” secondo personali magie di visione che lo rendono unico e irripetibile, di lui possiamo ripercorrere vita e carriera attraverso il docufilm “Gian Paolo Barbieri. L’uomo e la bellezza”, proiettato, mercoledì 3 gennaio (ore 16), all’Auditorium dell’“Opera Mortai” del valdostano “Forte di Bard”. Prodotto da “Moovie” (Distribuzione Wanted), il film nasce dalla regia di Emiliano Scatarzi (soggetto dello stesso Scatarzi in coppia con Federica Masin) e vanta già un palmarès di tutto rilievo con la vittoria dell’ “Audience Award” al “Biografilm Festival” di Bologna e di due prestigiosi premi (l’“Award for Best Debut documentary on Art” e lo “Special Award for Best documentary”) al “Festival Master of Art” in Bulgaria. La proiezione nasce a corollario della grande retrospettiva “Gian Paolo Barbieri. Oltre” (in mostra 112 fotografie, di cui 88 inedite che spaziano dagli anni ’60 agli anni Duemila, frutto di un’approfondita ricerca condotta all’interno dell’archivio analogico dell’artista) realizzata dal “Forte” valdostano in collaborazione con la “Fondazione Gian Paolo Barbieri” di Milano e curata da Emmanuele Randazzo, Giulia Manca e Catia Zucchetti.

A soggetto della pellicola, la vita dell’uomo Barbieri e del celebre fotografo, dagli esordi a Roma e la consacrazione negli anni ’70, ’80 e ’90, passando per Cinecittà e Parigi, fino agli ultimi anni, caratterizzati dalla nascita della “Fondazione Gian Paolo Barbieri”, costituita nel 2016 in via Lattanzio 11 a Milano dallo stesso Barbieri che ne è oggi presidente. Un racconto intimo che ripercorre un’era. Maestri, icone di cultura e bellezza, materiale d’archivio, testimonianze di chi ha lavorato con lui portano alla luce una vita alla perenne “ricerca della bellezza”. E volti e artisti che hanno segnato nel profondo la storia mondiale della moda e del cinema: i maestri Tom Kublin e Richard Avedon; icone dello star system tra cui Audrey Hepburn, Ava Gardner, Sofia Loren, Elisabeth Taylor e Monica Bellucci; il teatro e il cinema, sue grandi fonti di ispirazione; la moda in cui ha trovato la fama, grazie anche al padre, proprietario negli anni ‘50 di un negozio di tessuti, che diventeranno protagonisti assoluti della sua ispirazione scenografica, permettendogli di comprendere al meglio il “Gotha” del settore, da Valentino a Versace a Ferré ad Armani e ad altri grandi stilisti di peso internazionale.

La macchina da presa è al servizio delle emozioni che il protagonista stesso fa trapelare nei suoi racconti, testimoniando una vita spesa per la fotografia. Oggi, Gian Paolo Barbieri continua il suo percorso creativo, ancora più ispirato. “Un ritratto tra passato e presente, la storia di un uomo mosso dalla passione, costellata di infiniti scatti fotografici di impareggiabile valore artistico, sempre volti alla ricerca della bellezza”.

L’accesso alla proiezione è incluso nel biglietto di ingresso alla mostra “Gian Paolo Barbieri. Oltre” (intero 8 euro; ridotto 7 euro; ragazzi 19-25 3 euro; gratuito 0-18 anni).

Non è necessaria la prenotazione.

g.m.

Nelle foto: la locandina del film e immagini della mostra “Gian Paolo Barbieri. Oltre”