CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 108

Novalesa, il Tesoro di Sant’Eldrado sul web

Fioccava quel giorno quando bussò alla porta dell’Abbazia ma il priore non lo fece entrare. Voleva essere certo della sua forza di volontà e lo mise alla prova. Gli diede un bastone e una sacca da pellegrino e lo inviò sulla strada. Quando tornò al monastero Eldrado fu ammesso finalmente alla Novalesa. Era l’814, l’anno della morte di Carlo Magno che fu uno dei tanti personaggi della storia a varcare la soglia dell’Abbazia. Sant’Eldrado rivive oggi nel silenzio ventoso della Val Cenischia mentre l’ultima neve si scioglie ai piedi della millenaria Abbazia dei Santi Pietro e Andrea di Novalesa.
È la festa di Sant’Eldrado, il più importante abate del cenobio, attento ai poveri, ai quali donò gran parte delle ricchezze possedute, e ai viandanti, costruttore di chiese, pellegrino con bastone e bisaccia in Gallia, Provenza, Aquitania e Spagna, un santo che “combatteva” i serpenti. Ogni anno accorrono in questa valle, a pochi chilometri da Susa, per rendergli omaggio centinaia di persone da Novalesa, Venaus e dal resto della Val Susa e anche dalla Maurienne, dal Briançonnais, dal Delfinato e dalla Savoia, dalle terre a cavallo delle Alpi, per ricordare il ruolo svolto dall’Abbazia e dai suoi abati nei momenti del suo maggiore splendore. Per gli abitanti della Val Cenischia e delle valli vicine la festa di Sant’Eldrado è uno degli eventi più sentiti che si tramanda e si celebra da oltre mille anni. Ancora oggi, dopo un millennio, la festa viene celebrata la domenica successiva al 13 marzo, il giorno della morte di Eldrado, quando l’urna in argento, a forma di sarcofago, con le reliquie del santo viene portata dalla chiesa parrocchiale di Novalesa all’Abbazia con una solenne processione. E così accadrà domenica 17 marzo. Eldrado nacque in Provenza da una famiglia nobile, orfano a vent’anni rinunciò ai suoi beni che distribuì ai poveri e si mise a lavorare la terra.
Un tal giorno decise di abbandonare tutto e raggiunse in pellegrinaggio Santiago di Compostela e quando tornò sulle Alpi andò dai monaci della Novalesa. Eldrado rimase nel monastero alcuni anni come monaco e dopo la morte dell’abate Ugo che, secondo le fonti storiche, sarebbe figlio illegittimo di Carlo Magno, divenne abate fino alla morte nell’840. Ma la notizia di oggi è la nascita del progetto “Il Tesoro di Eldrado” promosso dall’Abbazia con il sostegno della Fondazione Compagnia San Paolo e della Città metropolitana di Torino, ente proprietario del monastero. Si tratta di un portale digitale dedicato al patrimonio artistico, librario e documentario legato alla storia del monastero e alla figura dell’abate Eldrado. I reperti e i fondi archivistici e librari conservati nel monastero benedettino saranno collegati sul web con i beni dell’abbazia che per varie vicende passate si trovano attualmente in altri enti e istituti italiani e stranieri. Con un click saranno messi a disposizione di studiosi e appassionati di storia. L’idea è quella di riordinare la memoria del luogo religioso e dei personaggi che vi hanno soggiornato grazie a un archivio digitale nel quale saranno riuniti documenti, libri, dipinti, oreficerie e altre reliquie del tempo. La sua notorietà è anche legata all’attività culturale da lui promossa negli anni in cui amministrò l’Abbazia novalicense arricchendo la biblioteca monastica di nuovi manoscritti e controllando che i libri religiosi fossero ben leggibili. Non si conosce la data di nascita del Santo e ben poche sono le notizie sulla sua vita prima di insediarsi a Novalesa.
Il Chronicon Novaliciense (Cronaca di Novalesa) parla dell’abate Eldrado come di un uomo “fulgido di santità, pieno di sapienza e illustre per miracoli”. Infatti il culto di Sant’Eldrado è sentito soprattutto nei luoghi in cui vennero segnalati i miracoli a lui attribuiti, in tutta la Val Cenischia, al colle del Moncenisio, in alta Valle di Susa, a Torino, Asti e nelle vicine valli della Francia. I prodigi compiuti hanno propagato la fama di Sant’Eldrado diventato un personaggio fondamentale per la storia religiosa della Valle di Susa. Si parla di numerosi miracoli e i più noti sono la liberazione della valle di Briançon dai serpenti che l’avevano infestata oppure il salvataggio da un naufragio di un gruppo di crociati che, travolti da una tempesta di ritorno dalla Terra Santa, avevano invocato il suo aiuto. Eldrado morì il 13 marzo 840, la splendida cappella a lui dedicata nel complesso dell’Abbazia di Novalesa risale alla fine del IX secolo.         Filippo Re

“Senti chi parla”. All’Associazione Culturale “OFF TOPIC”

La presentazione del nuovo libro del giornalista e blogger padovano Leonardo Bianchi

Giovedì 14 marzo, ore 18,30

“Miti, armi e terrore dell’estrema destra globale”: tema di altissima attualità e indubbio interesse sulla scia di “nuove” paure che, purtroppo, sembrano farci sempre più spesso compagnia da alcuni mesi a questa parte. E su cui da congetturare e scrivere, non manca di certo il materiale. Lo ha fatto con intensità e acute interpretazioni il giovane (classe ’86) giornalista e blogger padovano Leonardo Bianchi, nel suo ultimo libro “Le prime gocce della tempesta” (Solferino Libri) che verrà presentato, all’interno del format “Senti chi parla” (interamente dedicato a libri e podcast), dalle Associazioni Culturali “OFF TOPIC” e “The Goodness Factory”, sul palco di via Giorgio Pallavicino 35, a Torino, giovedì 14 marzo, alle ore 18,30.

A moderare l’evento saranno Fabio Malagnino(giornalista e docente all’“Università di Torino”) e Chiara Foglietta (“Assessora alla Transizione Digitale” della Città di Torino).

Leonardo Bianchi, pur giovanissimo, si porta dietro una lunga esperienza di scrittura e, soprattutto, la capacità di leggere  e interpretare gli eventi della quotidianità (sociale e politica) con sottile acutezza e il coraggio delle idee. E’ editor di “Facta”, ha lavorato a lungo per “VICE Italia” e collabora con “Valigia Blu”, “Internazionale” e altre testate. Cura anche una newsletter sulle teorie del complotto chiamata “Complotti!” e seguita da migliaia di iscritti ed è autore di altri due libri: “La Gente (2017) e “Complotti!”(2021).

Per meglio avvicinarci ai contenuti e alle tematiche del nuovo libro presentato a Torino, può servire lo stesso incipit del volume.

È il maggio del 2012. Un uomo è solo in una stanza e sta scrivendo a una scrivania. Quella, però, non è una normale scrivania: è un tavolo imbullonato al muro bianco. Quella stanza è la cella di una prigione. E quell’uomo non è come gli altri. Otto mesi prima ha colpito a Oslo e sull’isola di Utøya, uccidendo settantasette persone in nome di una sola fede: il nazismo. L’uomo verga veloce le ultime righe di una lettera: “Siamo le prime gocce della tempesta purificatrice che sta per abbattersi sull’Europa”, scrive Anders Behring Breivik.

Ecco, comincia proprio da qui, dal carcere di Ila, un’immersione in apnea nell’incubo diventato realtà, un reportage narrativo – sconvolgente e documentatissimo – che racconta la “galassia del neonazismo” contemporaneo e del “terrorismo suprematista bianco”. “Nelle pagine di questo libro – racconta Bianchi – occhi spiritati compulsano manuali dello stragismo fai-da-te; armi sparano come in un videogame contro i “diversi”, neri, immigrati, musulmani e militanti socialisti; una scia di sangue si allunga da Macerata alla Nuova Zelanda, dagli Stati Uniti alla Norvegia; parole pesanti come piombo inneggiano alla guerra razziale”.Leonardo Bianchi indaga così sulle “reti liquide” della nuova “Internazionale Nera”, perlustra le pieghe più oscure del web inseguendo l’eco della “propaganda incendiaria, analizza l’avvento della destra americana di ultima generazione, svela i processi di normalizzazione delle “teorie di morte” in voga dall’Ungheria di Orbán all’Italia del nazional-sovranismo, indica la minaccia letale che grava sull’Occidente. “Perché la tempesta – continua Bianchi – infuria già …”. E ancora: “Sarebbe rincuorante pensare che si tratti di pochi individui squilibrati e totalmente al di fuori della società, come il ritratto che ne viene fatto dai ‘media’ e dalla politica. In realtà sono molto più integrati di quanto si voglia pensare; e molte delle cose che dicono e scrivono fanno ormai parte della propaganda politica dei principali partiti conservatori (e non solo), a partire dalla teoria della ‘sostituzione etnica’”.

Per info: “OFF TOPIC”, via Giorgio Pallavicino 35, Torino; tel. 011/0601768 o www.offtopictorino.it

g.m.

Nelle foto:

–       Leonardo Bianchi

–       Cover “Le prime gocce della tempesta”

Torino e Egitto: un legame che dura da secoli

Mummie, faraoni e maledizioni sono elementi esotici che rappresentano tuttora degli spunti di fascinazione per il grande pubblico. Dall’Ottocento infatti furono molti nobili europei ad interessarsi a questa antica civiltà: per questo si cominciò a diffondere in tutta Europa una fama esoterica e favolistica a riguardo. A fianco alla trattazione fantastica però ci fu uno studio approfondito della materia, soprattutto a Torino che legò le proprie sorti all’Egitto fino a creare uno dei musei più importanti al mondo. Infatti attualmente risulta secondo solo a quello della capitale egiziana, proprio a causa del pregio e della varietà dei pezzi conservati al suo interno.

Torino e l’antico Egitto: i re che discesero dal faraone

Il vero motivo per cui la città è associata alle sponde del Nord Africa risiede nelle leggende fondative dei Savoia. I suoi sovrani infatti per legittimare la stirpe, incaricarono lo storico di corte, Emanuele Pingone, di strutturare una storiografia che includesse anche le radici mitiche della famiglia. Il nobile quindi inserì come capostipite un sovrano egizio, giunto in Piemonte per fondare un nuovo regno.

La conseguenza principale di questa narrativa fu l’acquisto compulsivo di reperti da parte della casata che portò man mano alla creazione di una collezione degna di nota. Il desiderio spasmodico di appropriarsi di ritrovamenti egizi portò a molti falsi storici ma anche a un progressivo interessamento nei confronti dei siti archeologici in loco.

La leggenda che diventa realtà

Da questo mito fondativo i reali e la nobiltà sabauda vennero ben presto pervasi da una vera e propria “egittomania”. Ne è la prova la famosa Mensa Isiaca, una tavola di bronzo che presenta una elaborata successione di divinità e geroglifici. Attualmente conservata al Museo Egizio, venne venduta nel 1529 al Cardinale Bembo. Il prezioso oggetto rimase a Mantova anche dopo la sua morte fino a quando venne comprato da Carlo Emanuele. L’anno era il 1630.

torino egitto mensa isiaca I Il Torinese

Questa insieme ad altri pezzi, rappresenta il cosiddetto “Lotto Gonzaga” che fu la prima base per la collezione che conosciamo ancora oggi. La tavola è di epoca romana, databile attorno al I secolo d.C, ed è probabilmente una testimonianza del culto di Iside in Italia, dovuta al sincretismo religioso tipico del pantheon dell’epoca. Nel 1723 le antichità in possesso dei Savoia vennero trasferite in un’ala dell’Università di Torino.

La vera e propria nascita del museo

Le campagne napoleoniche non fecero che acuire l’interesse nei confronti della produzione artistica dell’antico Egitto. Infatti a questa occasione si deve il ritrovamento della famosa Stele di Rosetta, l’iscrizione in tre lingue che ha reso possibile decifrare il geroglifico. Nello stesso periodo Bernardino Drovetti, console italiano presso Il Cairo, iniziò a collezionare statue, papiri e gioielli, fra cui la famosa statua di Amenhotep I. Nel 1824 l’uomo cedette tutta la propria raccolta ai Savoia, che decisero di rendere accessibile al pubblico questo immenso patrimonio culturale con l’apertura del polo museale.

torino egitto abu simbel I Il Torinese

Allo stesso tempo si intensificarono i contatti con l’Egitto, collaborando per gli scavi e per la manutenzione dei monumenti. Infatti si devono a degli italiani sia la scoperta della tomba della regina Nefertari -uno dei complessi più suggestivi della Valle delle Regine- che il trasferimento del mausoleo di Abu Simbel. Quest’ultimo sito infatti era minacciato dalla costruzione della diga di Assuan che l’avrebbe totalmente sommerso. Fra il 1964 e il 1968 per la sua salvaguardia si mobilitarono i più esperti cavatori di marmo di Carrara. Questi lo smontarono pezzo per pezzo per collocarlo più in alto, lontano dal pericolo delle acque.

Leggi anche – Torino e le leggende fondative: il toro rosso e la discendenza egizia

Francesca Pozzo

Lorenzo Matta presenta “La salvezza alla fine del mondo”

Mercoledì 13 marzo, alle ore 18:30, presso il Caramella ChocoBistrot, si terrà la presentazione del libro di Lorenzo Matta “La salvezza alla fine del mondo”, la vicenda dei rifugiati ebrei di Shangai durante la seconda guerra mondiale. L’incontro avverrà alla presenza dell’autore e dell’editore Paola Caramella. Moderare l’incontro Alessandro Valabrega, giornalista e scrittore.

 

Mara Martellotta

OSCAR: Nolan e Glazer, non poteva che essere così

Il rito è finito e lo spettacolo più o meno sfavillante – le contestazioni fuori del Dolby Theater disturbano e insegnano in un mondo che sarà pur sempre dorato ma che a poco a poco, sempre più, prende atto di quanto gli sta attorno e lo coinvolge – pure, Emma Stone ha ricacciato le lacrime e ricucito il suo abito, John Cena dopo una botta di notorietà – con la busta a ricoprire le proprie pudenda, un ingenuo teatrino inventato dal presentatore della serata degli Oscar Jimmy Kimmel se si è scoperto che sotto a protezione già ci stava un tranquillizzante cache-sex – è corso a rivestirsi, i vincitori hanno ripiegato i foglietti preparati per i ringraziamenti d’occasione, le mamme e i papà e le famiglie al completo hanno riabbracciato quegli idoli che a loro hanno indirizzato tutti quei grazie e hanno guardato con occhi ammirati le ben lustrate statuette dello zio Oscar. Fine della storia, ci rivediamo al prossimo anno.

Certe pagine erano già scritte, quando ancora i primi arrivati non avevano ancora messo piede sul red carpet. Era impossibile che Emma Stone non salisse su quel palcoscenico a stringere la sua seconda statuetta (dopo quella per “La La Land”) perché la migliore attrice protagonista non poteva essere che lei: ma noi abbiamo imparato due cose. Abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare in modo incondizionato la grandezza di un’attrice come Sandra Hüller, moglie con l’accusa d’aver fatto fuori il consorte tra le immacolate quanto solitarie nevi francesi e (ancora) moglie, nella “Zona di interesse” di Jonathan Glazer, un miglior film straniero d’obbligo, del comandante del campo di Auschwitz tutta presa dalla normale spensieratezza della sua vita quotidiana – chissà se e quanto i giurati avranno pensato ad attribuirle il premio per il primo ruolo? E abbiamo imparato che, quegli stessi giurati – che già se la sono immeritatamente ritrovata nella cinquina -, hanno oscurato con acume la nativa Lily Gladstone, messa chissà perché al centro dell’attenzione del pubblico e di un film tutt’altro che perfetto come è “Killers of the Flower Moon” di Martin Scorsese, uscito dalla serata a bocca asciutta. Forse tra tutte le colleghe, svetta Da’Vine Joy Randolph, biondissima e spumosa, debordante e stracolma di piume azzurre, un premio come migliore attrice non protagonista a omaggiare – meritatamente, questa volta sì – la sua Mary, chiusa negli abiti dimessi di cuoca nelle sale della scuola chiusa del New England, nei giorni del Natale quando tutti se ne sono andati, la ferita da rimarginare della recente morte del figlio in Vietnam, poche scene e poche frasi ma una presenza costante e indimenticabile attorno alla figura problematica del professor Paul Giamatti.

Pagine già scritte, perché sopra tutti si stagliava l’”Oppenheimer” di quel mago del cinema che è Christopher Nolan, tredici nomination tanto per cominciare. S’è portato via sette statuette, tra cui (e tralascio montaggio, fotografia, colonna sonora) le due maggiori di miglior film e miglior regista, senza tralasciare il riconoscimento a Cillian Murphy (ha ringraziato affermando che “viviamo tutti nel mondo di Oppenheimer”, siamo sul continuo orlo di un precipizio e chi ha dato una faccia allo scienziato dell’atomica lo può ben dire forte), magnifico protagonista che, con buona pace di Bradley Cooper alias Leonard Bernstein, non aveva rivali e a Robert Downey jr., pronto a ringraziare la moglie che lo ha raccolto un giorno come un cucciolo abbandonato e lo ha riportato sulla retta via dalle dipendenze che aveva anni fa attraversato. Forse un possibile ex aequo avrebbe potuto addolcire l’esistenza di Ryan Gosling, come autoironicissimo Ken forse tra le pochissime note positive di un “Barbie” tutto rosa confetto che non ha mai convinto fin dal suo apparire chi scrive queste note. Il per noi sconosciuto “American Fiction” si guadagna la statuetta per la miglior sceneggiatura non originale mentre quella originale va a Justin Triet e Arthur Harari per il successo dell’anno “Anatomia di una caduta”, già Palma d’oro a Cannes, capolavoro di lettura intimistica, di rari disegni psicologici, di nebbiose tracce di thriller che soddisfano appieno l’intelligenza e la fame di autentico cinema da parte dello spettatore. Una pagina annunciata anche questa.

E poi c’è il capitolo “Io capitano”. Che stava nella cinquina dei film stranieri. Con i colori verde bianco rosso. Ho sempre pensato che ci stesse un po’ stretto, che le ragioni prime di una simile scelta non fossero quelle sinceramente cinematografiche ma altre, affidate alla nostra quotidianità, che Garrone deponendo a terra la malvagità e la durezza di “Dogman” si fosse – con un bel carico di banalità e di aspetti già conosciuti – spinto nel campo dei buoni sentimenti, del buonismo a tutti i costi, non riuscendo a reggere la fuga dei due ragazzi sino in fondo, con convinzione, con robustezza, con un disegno più documentaristico. È chiaro che davanti alla freddezza, alla rappresentazione del Male – quella sì intesa come un “documentario” dentro il racconto – fatta di gesti che rabbrividiscono mentre al di là dello sguardo degli abitanti della casa e del giardino incombono quelle ciminiere che eruttano fumo e ceneri, ai sorrisi e alla banalità delle chiacchiere che riempiono le giornate degli aguzzini nel film di Glazer, “Io capitano” non poteva avere in sé i mezzi autentici per vincere. Quasi per pretenderla, quella vittoria: con buona pace di una certa stampa che sino all’ultimo giorno ha tentato con tutte le forze di esprimere quelle convinzioni.

Elio Rabbione

Nelle immagini, scene di “Povere creature!”, di “Oppenheimer” e di “La zona di interesse”.

Immagini in viaggio – artisti cinesi e internazionali a confronto

in mostra insieme a “La Via Crucis dei bambini” al Museo MIIT

 

Si è inaugurata giovedì 7 marzo, dalle ore 18:00, e sarà aperta fino al 21 marzo prossimo, la mostra “Immagini in viaggio – artisti cinesi e internazionali a confronto”, e parallelamente la mostra di Christel Sobke: “La Via Crucis dei bambini”.

“Immagini in viaggio”, il viaggio come scoperta di sé e dell’altro, quale viaggio interiore della propria anima e inteso come esplorazione dell’ignoto e dell’uomo. Questo tópos letterario ha origini lontane nella storia, gli artisti, ma non solo, moderni Ulisse inquieti e in cerca della loro essenza, esplorano mondi e universi dell’anima nella speranza di trovare risposte. Questo è il tema della mostra, dedicata ai 700 anni dalla scomparsa di Marco Polo, viaggiatore instancabile e ponte disteso nella storia tra Oriente e Occidente. Il Museo MIIT di Torino, facendo seguito a una stagione che negli anni passati ha visto esporre nelle sue sale talentuosi artisti cinesi, ha creato una solida collaborazione tra il suo direttore Guido Folco e la curatrice internazionale e di origini cinesi Fei Xinyao, che nel prossimo triennio proporrà una selezione dei migliori talenti emergenti dell’arte cinese. Un viaggio che inizia con questa esposizione per svilupparsi nel tempo, creando un dialogo e un confronto tra maestri internazionali e italiani e giovani affermati maestri cinesi. La mostra presenta, affiancata alle opere selezionate da Xinyao, quelle scelta dal Museo MIIT, creando una profonda sinergia tra stili, culture e linguaggi differenti. In questo periodo prepasquale di quaresima, anche l’arte serve a far riflettere, e il Museo MIIT presenta una splendida e intensa personale dedicata all’artista tedesca Christel Sobke. Sono 15 immagini per 15 stazioni, compresa l’ultima che rappresenta l’unica strada possibile per un futuro di pace e condivisione. Un “viaggio”, anche questo, sicuramente diverso dalla concezione prevalente, ma salvifica il Cristo che sale al Calvario. L’artista, ripercorrendo la sofferenza di Cristo che sale al Calvario, quasi per transustanziazione unisce e immedesima carne e spirito e i bambini sofferenti del mondo alla passione del Salvatore. Lo fa utilizzando un linguaggio scabro, diretto, per immagini. Una sorta di Vangelo illustrato contemporaneo che aiuta a meditare e a cogliere il significato di questo periodo sacro e ad attualizzarlo alla luce degli avvenimenti e della storia di oggi. Christel Sobke prende spunto dalle tante tragedie che purtroppo insanguinano il nostro pianeta e le pone sotto il riflettore della contemporaneità. Sofferenza e speranza vengono declinate dall’artista con potenza narrativa, fortemente cromatica e gestuale. Le immagini di bambini di tante nazionalità diverse, tra cui quelle argentina, americana, messicana, peruviana e giamaicana, incontrate sul suo percorso umano e artistico, danno vita a scene e stazioni di una Via Crucis sorprendentemente colorata, nonostante la drammaticità dei contenuti. Questo aspetto contrastante e stridente tra immagine e contenuto, tenebre e colore, concetto razionale e fede, trasmette una forza espressiva vibrante interiore, con un moto dell’anima che si ribella alle troppe ingiustizie del mondo. La mostra si compone di 30 opere , stampe laser su tela con interventi in acrilico. La prima serie del 1982 è intitolata “Cristo vero Dio” e presenta il fiore come simbolo biblico, mentre la se onda serie del 1985 è intitolata “Cristo vero Uomo”, realizzata con stile realistico e dedicata alla cultura latino americana. Questa serie è stata donata alla Scuola Madre “SOS “ di Cochabamba. Christel Sobke utilizza un grafismo immediato, pungente, stilizzando personaggi e momenti che rappresentano altrettante stazioni di una Via Crucis universale, che ci vede tutti fratelli, seppur vittime e carnefici, ma uniti da un unico e ineluttabile destino. Dalle prime espressioni del IV secolo ritrovate a Gerusalemme fino alle rappresentazioni medievali come le intendiamo noi, la Via Crucis creata da San Bernardo di Chiaravalle, San Francesco e Bonaventura da Bagnoregio, a cavallo del 1100 e 1200, diventa simbolo di un viaggio doloroso e salvifico, quello di Cristo sul Monte Golgota e, per similitudine, quello dell’uomo nel corso della sua storia. L’arte di Christel Sobke è un’arte di ricerca e di sperimentazione sui materiali, sui media e sulle tecniche. Al centro della sua visione c’è sempre l’uomo con la sua anima e il suo spirito inquieto, perennemente alla scoperta di sé e dell’altro. Per questo il progetto artistico dedicato alla Via Crucis dei bambini ci aiuta a scandagliare in profondità il senso autentico del nostro tempo, con l’eterna lotta tra carnefici e innocenti.

 

Museo MIIT, corso Cairoli 4, Torino

Telefono: 011 8129776

www.italiaarte.it

 

Mara Martellotta

Quaglieni e la vitalità del pensiero di Bobbio

Giovedì   14  marzo 2024 alle ore 16.30 presso la Sala  Conferenze dell’Archivio di Stato in Piazzetta Mollino 1  incontro a cura di Pro Cultura Femminile con  il  Prof. Pier Franco Quaglieni su   Norberto Bobbio la vitalità di una lezione a vent’anni dalla morte .  Un personaggio che ha segnato la storia della cultura e non solo  e il cui lascito intellettuale  continuerà ad essere fermento.

“Mare violato”, il nuovo romanzo di Rosanna De Amicis

Nell’ultimo libro “Mare violato” Rosanna De Amicis , come già nel precedente, si avvale di due storie parallele per poi ricomporle indissolubilmente riannodandole in occasione di una indagine svolta da Camilla Di Francesco, l’affascinante e intuitiva Capitano di Corvetta incaricata di occuparsi della misteriosa scomparsa di un ragazzo siciliano stabilitosi da poco in Liguria.

Protagonista dell’altra storia è proprio Vito che, al contrario di Camilla , gratificata dalla felice esistenza a Genova , dal prestigioso lavoro, dall’amore del marito Diego, Capitano di Guardia Costiera, dall’affetto dei suoi famigliari e del piccolo Mattia, è scontento e triste nell’aver dovuto necessariamente lasciare l’amata Catania al seguito del padre che ha trovato lavoro nel porto di Genova.

Le pagine, in cui la scrittrice descrive la malinconia e il rimpianto del giovane nel ricordare la sua terra natale, lo splendore di Aci Trezza, Aci Castello e Giardini Naxos, sono trattate con particolare sensibilità e ammirazione svelando un sentore autobiografico.

Anche lei non può dimenticare quei ricordi nostalgici scolpiti nel suo cuore dei luoghi in cui ha vissuto in gioventu’ col marito siciliano che glieli ha fatti conoscere.

Intorno a Camilla e Vito ruotano tanti personaggi, anche i minori, tutti colti con una attenta indagine psicologica.

Soprattutto viene messo in rilievo Rosario, il ristoratore che ha assistito alla nascita dell’amore tra i due ufficiali ma la sorpresa è data dal ritorno di un personaggio , che conoscevamo già dal libro precedente.

Sono le ultime pagine, quando il lettore pensa che il romanzo si concluda, ad essere le più sorprendenti ed intriganti nel coinvolgere in prima persona la stessa Camilla in una situazione impensabile e inquietante che rende il tutto sempre più avvincente.

Giuliana Romano Bussola

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Julian Barnes “Elizabeth Finch” -Einaudi-

Euro 18,00

In questo romanzo lo scrittore inglese tratteggia un personaggio femminile intrigante, complesso, affascinante, indimenticabile, al di là del tempo e delle mode.

E’ Elizabeth Finch, enigmatica docente che negli anni Ottanta tiene un corso di “Cultura e Civiltà” per adulti. A parlarci di lei è uno dei suoi studenti, Neil, che a quelle lezioni si è iscritto nel tentativo di decifrare meglio la sua vita che ancora non ha una direzione. Ha fatto più lavori, collezionato due matrimoni falliti e tre figli.

Elizabeth è un’insegnante fuori da ogni schema, di lei e della sua vita non trapela nulla; la sua mente è geniale, le sue analisi taglienti, la sua visione delle cose inusuale. Neil ne è come stregato, attratto in un modo che sembra oscillare tra amore platonico e cerebrale, sicuramente è incapsulato in una potente fascinazione. Sentimento che condivide con gli altri studenti abituati a ritrovarsi in un pub dopo le lezioni e l’argomento di conversazione è proprio Elizabeth, chiamata E.F.

Lei apre questioni complesse, sviscera problemi, ma non porge mai soluzioni o risposte, scatena pensieri, propone temi e lascia libertà di pensiero e analisi molteplici ai suoi allievi. Il suo appeal transita per il cervello, la sua arma di seduzione è l’intelligenza.

Neil le resta legato anche negli anni successivi al corso. I loro incontri seguono un copione preciso ed immutabile. Si trovano saltuariamente sempre nello stesso locale scelto da E.F, sempre alla stessa ora per il pranzo: dura sempre 75 minuti, ordinano sempre gli stessi piatti, paga sempre lei. Parlano di tutto e E.F. rimane sempre indecifrabile, ammantata di mistero.

Poi un avvocato contatta Neil per comunicargli che E.F. è morta e gli ha lasciato tutte le sue carte, i diari e alcuni lavori in embrione. E l’enigma prende un’altra piega. Neil intraprende una sorta di indagine sempre più ossessionato; parla con il fratello della donna, risale a elementi del suo passato, cerca di ricostruirne la vita.

 

 

Elizabeth Jane Howard “Amarsi” -Fazi Editore- euro 20,00

Lautrice -diventata un mito con la fortunata serie de “La saga dei Cazalet”- in questo “Amarsi” ambienta la storia a Melton in Inghilterra, a fine anni 60 del 900 e costruisce un romanzo corale in cui narra relazioni, intrecci amorosi e dolorose perdite. Lo fa incrociando le vite di più personaggi, fornendoci una notevole carrellata di destini, caratteri, emozioni, pensieri e scelte.

Al centro di tutto c’è la difficoltà di amare: quella di chi ama troppo e di chi troppo poco o ne è del tutto incapace, quella di chi si sacrifica e chi invece pretende tutto, quella di chi perde la persona amata….insomma forse la cosa più difficile della vita.

Tra i tanti personaggi spicca Persephone (Percy) Plover, 20enne poco amata dai genitori che l’avevano sballottata da un posto all’altro. La giovane ha una relazione piena di aspettative con un uomo sposato (e con figli), che invece la vive come un’avventura e niente di più. A lenire il dolore, la delusione e il senso di abbandono di Percy è sua zia Florence (Floy), curatrice e amante di giardini.

Il cammino delle due donne incrocia quello del ricco (di origini modeste si è fatto da solo e ne va fiero) Jack Curtis che ha acquistato la grande magione di Melton House e incarica Floy di rendere splendido il parco. Jack a sua volta è reduce da un doloroso divorzio ed è attratto da Percy.

A Melton House sono legate anche le vite di altri personaggi, Mary e Thomas, e le loro vicende corrono in parallelo nelle pagine di “Amarsi”. Su tutto campeggia la bravura di Elizabeth Jane Howard nel raccontare pensieri e stati d’animo dei suoi protagonisti alle prese con le capriole della vita.

 

 

Naomi Alderman “Il futuro” -Feltrinelli- euro 22,00

Non è sempre facile seguire questo romanzo distopico, eppure gli spunti in qualche modo inchiodano alla sua lettura. Un futuro estremo, neanche tanto lontano, in cui il mondo sarebbe sull’orlo del disastro climatico ed è governato da grandi compagnie tecnologiche prive di etica.

Naomi Alderman, la scrittrice cresciuta nella comunità ebraica ortodossa di Hendon, a Londra, e autrice di “Ragazze elettriche” torna a terrorizzarci con lo spettro del baratro di un domani i cui pericoli sono molteplici. Ha iniziato a scrivere “Il futuro” prima della pandemia e di ChatGpt, ma ha dimostrato un sesto senso notevole.

Nel romanzo le insidie in agguato hanno molteplici aspetti: i disastri causati dal cambiamento climatico, i rischi dell’intelligenza artificiale, un’epidemia globale, uno strapotere concentrato nelle mani di pochissimi uomini che pensano solo a fare business e a salvarsi, anche a scapito della sopravvivenza dell’umanità.

C’è di che far tremare le vene dei polsi. Seguiamo le vicende dei fondatori delle tre Big Tech più potenti del pianeta (i nomi fittizi rimandano a personaggi come Musk) che hanno già pronti bunker super accessoriati, tute di sopravvivenza, aerei e altre diavolerie per mettersi in salvo.

La Alderman immagina l’esistenza di un algoritmo capace di prevedere 10 giorni prima l’arrivo di un virus letale. La vita sulla terra come la conosciamo potrebbe stravolgersi in una manciata di disastri.

In campo scende un pool di donne che cercano di contrastare la fine. Dall’esperta di tecniche di sopravvivenza Lai Zhen alla sua amante Martha, che è il braccio destro di uno dei grandi magnati, ed è cresciuta in una setta religiosa. Senza tralasciare Badger, giovane figlia della Ceo dell’azienda di computer più redditizia del mondo.

 

John Grisham “Lo scambio” -Mondadori- euro 22,50

Se avete amato “Il socio” uscito nel 1991 (dal quale è stato anche tratto il famoso film interpretato da Tom Cruise), questo è il suo seguito e l’ultimo romanzo dello scrittore di legal thriller tra i più famosi al mondo. Grisham, 68 anni, al suo attivo 28 best seller e oltre 300 milioni di copie, non ha bisogno di presentazione.

Protagonisti de “Lo scambio” sono Mitch Mc Deere e sua moglie Abby, che ritroviamo 15 anni dopo gli avvenimenti del best seller “Il socio”; storia intrigante degli inghippi di uno studio legale di Memphis gestito dalla mafia per riciclare denaro sporco ed evadere le tasse.

Ora Mitch è cresciuto parecchio professionalmente, tanto da essere diventato un avvocato di fama internazionale in un prestigiosissimo studio legale di New York. Abby è editor di libri di cucina ed hanno due figli piccoli.

Ma un’altra avventura è in agguato, e Mitch finisce dritto nelle spire un complotto internazionale; costretto ad affrontare una banda di terroristi, di quelli che non si fanno problemi a mozzare le teste delle loro vittime. Galeotto è un incarico che un collega romano gli affida riguardo un importante cliente turco in Libia.

Siamo nell’era in cui Geddafi era ancora al potere, ed è lì che Mitch si reca per portare avanti la causa. Tutto precipita quando la giovane collega Giovanna, figlia di un suo amico di vecchia data, viene rapita e i sequestratori chiedono un riscatto colossale. E’ così che Mitch si ritrova al centro di un complotto internazionale……

Elena Racca Bruno. Da Alice nel Paese delle Meraviglie ai Venerdì Letterari

 

Lunedì 11 marzo 2024 alle 18, nella Sala della Biblioteca del Circolo dei Lettori di Torino (via Bogino, 9), si terrà un incontro dedicato alla memoria di Elena Racca Bruno, attiva sostenitrice e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Bottari Lattes.

Grande collezionista delle traduzioni di Alice in tutte le lingue del mondo, Elena Racca, di Alice condivideva la curiosità senza limiti, il coraggio, la capacità di vivere ogni incontro senza pregiudizio. Non è un caso che Irma Antonetto l’avesse scelta per succederle alla guida dei Venerdì Letterari. Chi meglio di lei poteva farsi carico di quella politica culturale innovativa che dal 1947, per decenni, aveva visto passare qui a Torino grandi intellettuali / artisti / scrittori internazionali (Evgeni Evtuschenko, Susan Sontag, Predrag Matvejević, Albert Camus…) che partecipavano con entusiasmo a questa iniziativa? Elena sapeva accogliere persone di fama mondiale con leggerezza e con una gioiosità mai spenta dalle traversie della vita.

In quest’incontro si vuole ricordare l’influsso che Elena ha saputo esercitare su molti protagonisti della vita culturale e artistica che, grazie alle sue iniziative e al suo charme, si incontravano e interagivano. La musica, la letteratura, la creatività nell’arte, nelle case, nei giardini, nelle relazioni umane… tante tessere di un’esistenza che noi qui vorremmo almeno sfiorare.

Interverranno Maddalena Bumma, Fabrizio Pennacchietti, Marina Verna, Pompeo Vagliani Presidente della Fondazione Tancredi di Barolo e voci amiche con testimonianze e ricordi.

Sarà presente Caterina Bottari Lattes, Presidente della Fondazione Bottari Lattes.