CULTURA E SPETTACOLI

Mondi… dell’altro mondo in mostra a “Palazzo Mazzetti” di Asti

Le opere del grande olandese Maurits Cornelis Escher, l’artista delle geometrie e dei mondi impossibili

Fino all’11 maggio 2025

Asti

Mondi e figure impossibili. A osservarle è, subito, “shock visivo”, da cui uscire indenni solo superando il concetto puramente artistico di immagini uniche, frutto di aliene visionarietà, per imbrigliare e tenere ben strette le corde di quell’“impossibile” su cui trovano modo di esistere “invenzioni fantasiose e paradossi magici, dal forte rigore scientifico”, architetture e cruciverba filosofico-matematici su cui sarà bene, ma non facile, riflettere “coniugando l’arte con l’universo infinito dei numeri, la scienza con la natura, la realtà con l’immaginazione”. Artista indubbiamente geniale, incisore e grafico fra i più interessanti e singolari del Novecento, all’olandese Maurits Cornelis (Mauk) Escher (Leeuwarden, 1898 – Laren, 1972), il settecentesco “Palazzo Mazzetti” (sede del “Museo Civico” dal 1940) di Asti, dedica una corposa retrospettiva in cui ben si riflettono i caratteri di un “fare arte”  (incisioni su legno, soprattutto, litografie e “mezzetinte”) che hanno reso Escher artista iconico per gli amanti dell’arte, ma anche per scienziati, matematici e fisici, fortemente attratti da quelle sue “tassellature” del piano e dello spazio e da quelle “distorsioni geometriche” e “poliedriche” appartenenti, in egual misura, a un ragionare scientifico e, insieme, artistico.

 “Mi sento spesso più vicino ai matematici che ai miei colleghi artisti”, affermava del resto lo stesso Escher, aggiungendo ironicamente: “Non una volta mi diedero a scuola una sufficienza in matematica … La cosa buffa è che, a quanto pare, io utilizzo teorie matematiche senza saperlo”. Sarà! Ma nella magia di “Relatività”, litografia del ’53, tutto sarebbe buio assoluto in quell’incessante saliscendi di figure umane – imprigionate in un interno fantascientifico – e molto simili a dannati e affaticati peccatori inseriti in un dantesco (non ben precisato) girone infernale, se l’occhio non riuscisse a fondere l’“unitarietà” del mondo architettonico ed umano rappresentato, con la percezione di più mondi distinti, rappresentati dall’artista a sfida della “concettualità” da secoli “sedimentata nella psiche umana”.

Ad Asti, attraverso l’esposizione di oltre 100 opere, approfondimenti didattici, video e “sale immersive”, la mostra, realizzata dalla “Fondazione Asti Musei” e curata da Federico Giudiceandrea, racconta l’intero percorso artistico di Escher, dagli inizi – sotto la guida magistrale del grafico Samuel Jessurum de Mesquita – ai viaggi in Italia (tantissimi e fondamentali, a cavallo delle due guerre, così come lo studio dell’“Alhambra” a Granada e di quelle sue “piastrellature moresche”, fascinose e capaci di composizioni moltiplicabili all’infinito), fino alle varie tecniche artistiche che lo videro impegnato per tutta la vita e che lo hanno reso un artista dalla cifra stilistica davvero unica e inconfondibile.

Tra tassellature, metamorfosi, strutture spaziali e geometriche fino alle opere che dagli anni ’50 ne hanno accresciuto la popolarità tanto da poter parlare oggi di una vera e propria “Eschermania” (con rimbalzi ispirativi che saltellano dal cinema alla fumettistica, dalla letteratura alla musica, con cover che vanno da “Le Cosmicomiche” di Calvino alla celebre “On the Run” dei Pink Floyd) in mostra vengono presentati i lavori più noti dell’artista olandese come “Mano con sfera riflettente” (1935, dove l’artista ricorre all’aiuto di specchi convessi per raddoppiare la “realtà ambigua e illusoria” del dipinto con “autoritratto”), “Vincolo d’unione” (1956, con volti nascosti o pronti ad unirsi fra ingombranti e bizzarre “bucce” serpentine), “Metamorfosi II” (1939, in cui la parola “metamorphose” si trasfigura in figure geometriche, api, insetti e perfino in una scacchiera, per poi ritornare al punto di partenza) e quel mirabile “Giorno e Notte” (1938, dove una “tassellazione bidimensionale” raffigurante anatre bianche e nere in volo“degenera in una fantastica visione dall’alto dei campi coltivati olandesi”). Paradossi visionari, irripetibili e straordinari “di un artista – commenta Antonio Lepore, presidente della ‘Fondazione Asti Musei’ – che ha saputo esplorare con la propria genialità e con il supporto esclusivamente della propria maestria grafica e delle proprie competenze matematiche quegli universi impossibili che oggi appaiono più vicini grazie agli algoritmi e all‘intelligenza artificiale, icone ammalianti delle infinite possibilità di interazione tra arte e scienza”.

Gianni Milani

“ESCHER”

Palazzo Mazzetti, corso Vittorio Alfieri 357, Asti; tel. 0141/530403 o www.museidiasti.com

Fino all’11 maggio 2025

Orari: lun. – dom. 10/19

Nelle foto: Mauritis Cornelis Escher “Relatività”, litografia, 1953; “Mano con sfera riflettente”, litografia, 1935; “Vincolo d’unione”, litografia, 1956; “Giorno e notte”, xilografia, 1938

Eccessivo e troppo teatrale il Pirandello di Placido

“Eterno visionario” sugli schermi

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

 

Ad Amburgo, in una notte del dicembre del 1934, mentre è in viaggio nel treno che lo sta portando a Stoccolma per la consegna del Nobel, Pirandello riaccende attorno a sé i fantasmi della sua vita, umana e letteraria, le luci e le tante ombre che l’hanno attraversata. La luce maggiore è Marta Abba, la ragazza che venticinquenne, incontrata durante un provino per la messinscena di “Nostra Dea” di Bontempelli, lo fece “risorgere come artista e come uomo”, con le immagini di un amore sempre sussurrato ma impossibile, le ombre sono gli insuccessi di una carriera, la sfida dei “Sei personaggi” perduta alla prima del Valle, di fronte a un pubblico urlante e minaccioso, che avrebbe voluto scuotere, prendere artisticamente a schiaffi e distogliere da un mare di (vecchio) teatro che rappresentava tutti i suoi luoghi comuni, le sue consuetudini, le vecchie leggi ormai da superarsi; la libertà da un padre che lo avrebbe voluto contabile nella Sicilia antica delle sue solfatare e la fuga in Germania per inseguire tutti i sogni di scrittura che giovanissimo già coltivava, la disfatta economica della famiglia e la conseguente instabilità mentale della moglie Antonietta Portulano, dolorosissima per lui, con il successivo ricovero in ospedale, i rapporti non sempre facili con i tre figli e i lunghi distacchi e le loro ribellioni, la speranza di una collaborazione cinematografica con il regista tedesco Murnau che non si realizzò mai.

Non è attraverso i pur brevi ricordi il Pirandello dell’opera letteraria, dell’autore diviso tra realtà e finzione, quello che Michele Placido propone in “Eterno visionario” (sceneggiato con Toni Trupia e Matteo Collura), l’autore coltivato o forse passato frettolosamente nei banchi di scuola ma l’uomo della vita soprattutto, infelice, disastrata, cercata sempre nella sua completezza, di quell’involucro da cui gran parte della carriera dello scrittore deriva. Il desiderio d’affrontare un altro genio della cultura dopo il Caravaggio di un paio d’anni fa, con la conoscenza e la passione che già in altre occasioni, al cinema come a teatro, gli ha fatto incontrare lo scrittore siciliano. Anche Placido, qui, con quella “visionarietà” che attribuisce al proprio personaggio e portata avanti in un montaggio che è passaggio continuo di anni e decenni, di azioni e di ricordi, improvviso, frammentario, altalenante, costruisce il personaggio, nella complessità del suo vivere: sino alla comparsa sul set del “Fu Mattia Pascal” di Pierre Chenal che precederà di poco l’ultima notte di una vita passata a dettare al figlio Stefano l’imbarbarimento di una società nei “Giganti”.

Placido da sempre coltiva un cinema sanguigno, corposo e corporale, fervidamente inteso e fabbrica di grandi effetti. Nell’”Eterno visionario” il regista pare se possibile accrescere ancor più le proprie scelte e il cinema sembra arretrare, farsi mezzo (stridente) e non fine (secondo le proprie più intime leggi), assumere connotati che non gli sono propri, che lo disturbano, il teatro o le consuetudini teatrali prendono il sopravvento – il tipo di recitazione sempre sopra le righe, i vistosi trucchi e le lacrime copiose, i ritagli berlinesi che fanno tanto Kurt Weill che fanno tanto “Cabaret” e che mettono in primo piano la fotografia di Michele D’Attanasio, la Madre dei “Sei personaggi” strisciante a terra nella sua disperazione, certi dialoghi troppo scritti e troppo insistiti, Pirandello seminudo allo specchio e alla luce delle sue ultime volontà testamentarie, e si potrebbe continuare: un film di grandi eccessi – e ogni immagine più s’adatta a un palcoscenico che non a uno schermo. Va da sé che pure le interpretazioni ne risentano, sovraccariche, lontano da una sobria naturalezza, Bentivoglio in primo luogo (al Servillo della “Stranezza”, pur in tutt’altro contesto, era dato di cogliere meglio la figura), lo stesso Placido che si ritaglia il personaggio di Saul Colin, collaboratore e agente letterario di Pirandello, agghindato come Poirot sul treno dell’”Orient Express”. Bella la presenza di Federica Vincenti, anche in veste di produttrice, i costumi di Andrea Cavalletto e le scenografie di Tonino Zero sono un valore alto; l’applauso incondizionato è a Valeria Bruni Tedeschi che è Antonietta, eccellente nel costruire ancora una volta uno di quei ritratti femminili avvolti in una pazzia più o meno tangibile, che camminano con tutta l’intelligenza dell’attrice sul filo di una lama, negli sguardi stralunati, nelle parole rotte, nei gesti folli, nell’entrata a una festa che non è mai stata la sua e a cui lei non ha mai preso parte.

“Club Silencio On Ice”. Una serata speciale tra musica, pattinaggio e performance

In programma al Palavela di Torino

Venerdì 22 novembre, dalle 19 all’1 di notte

Il progetto è a firma dell’Associazione Culturale torinese “Club Silencio” (da sempre impegnata nel creare esperienze culturali ed artistiche innovative in spazi d’eccezione, la più nota, datata 2017, “Una notte al Museo”) che in collaborazione con il “Palavela” di via Ventimiglia, in occasione dell’avvio della stagione del pattinaggio e in vista dei “XXIII Giochi Mondiali Universitari Invernali”previsti sotto la Mole nel prossimo gennaio 2025, propone per venerdì 22 novembre sulla pista del “Palavela” una serata e un evento imperdibili, dal titolo: Club Silencio On Ice”. Serata che unirà la magia e il piacere del pattinaggio su ghiaccio con un mix coinvolgente di “musica” e “performance”visive, in grado di offrire al pubblico un’esperienza sensoriale a 360 gradi.

Il “Palavela”, simbolo per eccellenza, insieme al vicino “Palazzo del Lavoro”  delle celebrazioni di “Italia ‘61” e, dopo anni di oblio, ritornato tra i protagonisti architettonici del contesto urbano in occasione dei “XX Giochi Olimpici Invernali” del 2006 (grazie al progetto – reinterpretazione dell’originario “Palazzo delle Mostre” firmato da Gae Aulenti) diventerà il palcoscenico ideale per una serata tutta dedicata all’arte, alla cultura e allo sport.

Dalle 19 fino all’1 di notte, gli ospiti avranno la possibilità di immergersi in due slot di pattinaggio di due ore ciascuno, godendo della libertà e del divertimento offerti dalla pista. Per chi preferisce vivere l’evento da spettatore, sarà possibile partecipare accompagnando amici e assaporando l’atmosfera unica della serata senza scendere sul ghiaccio.

Momento clou dell’evento, le performanceartistiche sul ghiaccio dei talenti del “CUS Torino”. In pista daranno spettacolo Melissa Merrone e Alberto Tommasi, coppia di “artistico” fresca partecipante al “Gran Prix Junior” tenutosi in Polonia, a Danzica; Irene Barreri e Alessandro Di Giorgio, nazionali di “Danza Junior”; Alessia Tornaghi, Vivienne Contarino ed Emilia Russo, atlete nazionali di “artistico singolo”. A ulteriormente arricchire la serata, sarà la proposta artistica di Tommini Cherubaso che presenterà una visual performance a tema “AI-generated”, esplorando il potenziale creativo dell’intelligenza artificiale per un viaggio visivo che si riflette e si trasforma sugli schermi in sincronia con la pista di ghiaccio. E, infine, a completare l’esperienza, l’“accompagnamento musicale” di Lollo De Gregorio, che porterà il suo sound vibrante per animare la pista e coinvolgere il pubblico in un gradevole clima di festa e condivisione. Immancabile la “VR Experience”, tecnologia che offre “esperienze immersive” uniche, grazie alla quale sarà possibile creare disegni e opere in 3D in uno “spazio virtuale”.

Complessivamente saranno sei belle ore piene piene, ricche di sport, arte, divertimento e magia assolutamente indimenticabili, come promettono gli organizzatori.

Siamo entusiasti – sottolinea Alberto Ferrari, presidente di ‘Club Silencio’ – di questo appuntamento al ‘Palavela’, una delle strutture più iconiche di Torino, e di questa esperienza che va oltre il semplice intrattenimento. Con questo evento vogliamo offrire al pubblico l’opportunità di vivere la pista di pattinaggio in un’atmosfera nuova, che unisce arte, tecnologia e musica in un contesto straordinario. La nostra missione è sempre stata quella di valorizzare il patrimonio culturale e artistico del territorio, e crediamo che questa sinergia con il ‘Palavela’ rappresenti un passo importante verso questo obiettivo, offrendo al pubblico una serata che resterà impressa nella memoria.

Per partecipare alla serata è necessario accreditarsi sul sito di “Club Silencio” al link https://clubsilencio.it/next-event/

Per info: “Club Silencio”, corso Massimo D’Azeglio 60, Torino – www.clubsilencio.it

g.m.

Nelle foto:

–       Palavela – Credit Rachele Venco

–       Alberto Ferrari – Credit Federico Masini Studio

“Casa Fools”, al Teatro Vanchiglia alla scoperta della musica classica “nascosta” nelle canzoni pop

“Classica Pop”

Venerdì 22 e Sabato 23 novembre, ore 21

Ma pensate un po’! La bellissima e celebre “All by myself” (brano scritto e registrato nel 1975 dal cantante americano Eric Carmen, fra gli altri grandi interpreti Céline Dion e il gruppo musicale di “crossover” classico “Il Divo”) è una canzone di Sergej Vasil’evič Rachmaninov e precisamente l’“Adagio sostenuto” del “Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in do minore, op. 18”. E ancora. Le note de “La danza delle streghe” (2003) del torinese, disc jockey e conduttore radiofonico Gabri Ponte danzano sulle note di “Lacrymosa” della “Messa da Requiem” di Giuseppe Verdi. Così come “Babe il maialino coraggioso”  (film del 1995 diretto da Chris Noonan) canta una melodia del grande compositore francese Charles Camille Saint-Saens.

In una girandola tra il serio e il faceto, le succitate tesi si sostengono in “Classica Pop”, curioso spettacolo teatrale alla scoperta della “musica classica” nascosta nella “musica pop” (chissà quanta!) tra aneddoti curiosi, rivelazioni stupefacenti e scoperte inaspettate.

Lo spettacolo fa parte del progetto “Consonanze”, un dialogo tra il patrimonio classico e le espressioni artistiche contemporanee, inserito nella stagione teatrale 20024 – 2025 di “Casa Fools”, Compagnia Teatrale, associata Arci, nata a Roma nel 2005 e nel 2013 trasferitasi a Torino per trovare “Casa con dentro un Teatro” in via Bava 39, sede per l’appunto del loro ormai noto spazio scenico, il “Teatro Vanchiglia”.

E proprio sul palco del “Vanchiglia”, Luigi Orfeo, attore e regista di teatro e di lirica, racconterà, venerdì 22 e sabato 23 prossimi, alle 21, come alcune delle “melodie pop” più celebri siano in realtà pezzi di “musica classica”, come l’“opera lirica” imperversa nel rock e il jazz si fonda niente meno che su Johann Sebastian Bach, l’inarrivabile. Insieme a lui, il compositore, pianista e direttore d’orchestra di Big Mama ed Emma al “Festival di Sanremo 2024”, Alberto Cipolla, che “sarà la chiave” per entrare nel magico mondo delle contaminazioni tra la “classica” e la musica “pop”.

Spiega Luigi Orfeo, codirettore, insieme a Roberto Calia e a Stefano Sartore di “Casa Fools”: “Quante categorie di musica ci sono? Classica, blues, pop, jazz, rock… etichette che imprigionano idee. In ‘Classica Pop’ vogliamo spezzare queste barriere e lasciare che la musica vaghi libera. Al mio fianco il maestro Alberto Cipolla, già direttore d’orchestra del ‘Festival di Sanremo’, esperto di pop contemporaneo, arrangiatore di Elisa, Big Mama e Lazza, porta in scena la sua esperienza. Insieme, raccontiamo la musica classica nascosta nel pop, tra aneddoti, storie, confronti e video, invitando il pubblico a un ‘karaoke’ gigante che culmina in un finale inaspettato”. Tutto, ma proprio tutto, da scoprire.

 

Per info: “Casa Fools/Teatro Vanchiglia”, via Bava 39, Torino; tel. 392/3406259 o www.casafools.it

 g.m.

 

Nelle foto:

–       Luigi Orfeo

–       Alberto Cipolla 

Zoe Saldaña sarà l’ospite speciale del Museo Nazionale del Cinema

 

L’attrice incontra il pubblico alla Mole Antonelliana e al Cinema Massimo dove introdurrà la premiere del film di Jacques Audiard EMILIA PÉREZ

 

2 DICEMBRE 2024

Considerata una delle personalità più rispettate della sua generazione, con una carriera straordinaria di oltre 20 anni come attrice e produttrice, Zoe Saldaña sarà l’ospite speciale del Museo Nazionale del Cinema di Torino il 2 dicembre 2024. In una conversazione con il direttore del Museo Carlo Chatrian, Saldaña ripercorrerà le tappe più importanti della sua carriera, affrontando temi a lei cari come il ruolo della donna e la violenza nella società, ma anche la sua attenzione per l’ambiente e i cambiamenti climatici.

Attrice versatile e di talento, Saldaña è nota per la sua capacità di immergersi completamente nei personaggi che interpreta, spesso con una forte fisicità e un’intensa emotività. Grazie al suo background di ballerina, Saldaña usa il suo corpo in modo espressivo per trasmettere emozioni che trascendono il linguaggio verbale. Che si tratti di Gamora nel franchise degli Avengers o di Neytiri nei film AVATAR di James Cameron, Saldaña rende i suoi personaggi credibili e umani, capaci di combinare forza fisica, dolcezza e determinazione. La sua ultima interpretazione di Rita in EMILIA PÉREZ di Jacques Audiard, per la quale ha ricevuto il prestigioso premio come miglior attrice al Festival di Cannes insieme all’ensemble femminile composto da Karla Sofia Gascon, Selena Gomez e Adriana Paz, mostra una nuova dimensione della sua abilità artistica.

“Siamo molto felici di poter accogliere una delle attrici che meglio incarna quella varietà di proposte che il Museo Nazionale del Cinema ospita nelle sue sale espositive – sottolinea Carlo Chatrian, direttore del Museo Nazionale del Cinema. Splendido contrappunto alla mostra ‘Movie Icons’, Zoe Saldaña è icona cinematografica cara all’immaginario giovanile ma anche figura a tutto tondo carica di una profonda umanità. Nei panni delle “guerriere” Neytiri e Gamora ma anche in quelli dell’avvocato Rita Mora Castro, Saldaña ha dato corpo ad un’idea di femminilità capace di conciliare fragilità e fermezza”.

La sua carriera è iniziata con un ruolo di primo piano nel film del 2000 CENTER STAGE ed è salita alle stelle con la sua interpretazione di Nyota Uhura in STAR TREK (2009). Nello stesso anno ha interpretato Neytiri in AVATAR di James Cameron, ruolo che ha ripreso nel sequel AVATAR: LA VIA DELL’ACQUA (2022), a cui seguiranno altri tre episodi. Nel Marvel Cinematic Universe è nota per il ruolo di Gamora nei film GUARDIANI DELLA GALASSIA e AVENGERS. Tra le altre sue interpretazioni figurano OUT OF THE FURNACE, THE ADAM PROJECT, CROSSROADS, DRUMLINE, PIRATES OF THE CARIBBEAN, THE LOSERS, TAKERS, COLOMBIANA e altri ancora.

All’inizio di quest’anno, Saldaña ha diretto e prodotto il film indipendente THE ABSENCE OF EDEN e attualmente è protagonista, oltre che produttore esecutivo, della seconda stagione della serie drammatica LIONESS di Taylor Sheridan per Paramount+, dove guida un cast fantastico che include Nicole Kidman e Morgan Freeman.

Durante la sua permanenza a Torino, Zoe Saldaña riceverà il Premio Stella della Mole, incontrerà il pubblico e, con il marito, l’artista Marco Perego,presenterà il cortometraggio Dovecote, girato da Perego.Dovecote, candidato alla categoria cortometraggi degli Academy Awards, è stato presentato alla Biennale di Venezia 2024 nel Padiglione del Vaticano.

Zoe Saldaña introdurrà anche il musical EMILIA PÉREZ. Diretto da Jacques Audiard e candidato francese per la categoria Lungometraggi Internazionali agli Academy Awards 2025, il film ha ricevuto il prestigioso Premio della Giuria al Festival di Cannes e 4 candidature agli EFA, tra cui quella per il Miglior Film.

EMILIA PÉREZ uscirà in Italia il 9 gennaio 2025 distribuito da Lucky Red.

OFT Lab 2024 a Cascina Roccafranca

Venerdì 22 novembre terzo appuntamento della rassegna dei concerti da camera 

 

Venerdì 22 novembre è in programma il terzo appuntamento della rassegna di concerti di musica da camera OFT Lab 2024, ospitati a Cascina Roccafranca, in via Rubino 45.

A esibirsi sarà Iacopo Sommariva, al violoncello, accompagnato da Alessandro Mosca al pianoforte. OFT Lab è un progetto il quale l’Orchestra Filarmonica di Torino conduce da anni per valorizzare i giovani musicisti. Una missione che è approdata nel progetto OFT Lab, che ha preso il via nel 2022 e grazie al quale alcuni ragazzi di talento entrano a far parte con regolarità della compagine orchestrale, lavorando fianco a fianco dei professionisti di caratura nazionale e internazionale, in uno scambio continuo tra esperienza ed entusiasmo.

I musicisti selezionati per il progetto OFT Lab 2024 sono Lucia Caputo, Ruben Galloro Giovanni Pulzulu ( violini), Cecilia Caminati e Jacopo Sommariva (violoncelli), Simone di Lalla ( contrabbasso), Niccolò Susanna ( flauto), Luca Vacchetti ( fagotto), Mattia Gallo (tromba) Andrea Iaccino e Francesco Parodi (percussioni). Ad essi si aggiungono il musicologo Francesco Cristiani, il compositore Francesco Mo, Chiara Marcone al management Cuturale e Chiara Sacchetto alla produzione.

Nel Lab di OFT vi è spazio per la musica, ma anche per affrontare tematiche formative di approfondimento rilevanti per chi opera nell’ambito dello spettacolo dal vivo.

Alcuni giovani di OFT Lab saranno protagonisti della rassegna di quattro concerti da camera di cui due si sono già tenuti, venerdì 7 e venerdì 15 novembre scorsi, e altri due sono in programma venerdì 22 e venerdì 23 sempre alle ore 21 alla Casa del Quartiere di Mirafiori Nord, ospitata in via Rubini 45.

Venerdì 22 novembre il programma previsto del concerto comprende musiche di Sergej Projof’ev, la Sonata in di maggiore per violoncello e pianoforte op. 119 e la Sonata in fa maggiore per violoncello e pianoforte op. 6 di Richard Strauss.

Il concerto conclusivo comprenderà la suite in sol minore per fagotto e pianoforte op 69 di Alessandro Longo, la romanza per pianoforte e orchestra op. 62 di Edward Elgar, le tre romanze per oboe e pianoforte op. 94di Robert Schumann e la Sonata per fagotto e pianoforte op. 168 di Camille de Saint Saens.

Per i concerti di musica da camera alla Cascina Roccafranca il biglietto singolo non numerato ha il costo di 5 euro.

Mara Martellotta

Dini ancora una volta indaga la donna e la famiglia

I parenti terribili” di Cocteau sino a domenica 24 al Carignano

Filippo Dini, passando dal ruolo di regista residente, ricoperto sino alla scorsa stagione all’interno dello Stabile di Torino – Teatro Nazionale, a quello di direttore artistico del Teatro Stabile Veneto – Teatro Nazionale, s’è portato dietro un personale progetto già ripensato qualche anno fa, proprio nel capoluogo piemontese, e ha messo in scena “I parenti terribili” di Jean Cocteau, nella traduzione di Monica Capuani, testo concepito all’indomani della fresca unione con Jean Marais (1938) e rappresentato quattro anni dopo, in pieno conflitto, agli Ambassadeurs parigini con la regia di Alice Cocéa. Stimolante tappa, per Dini, la commedia, considerata “la più perfetta opera teatrale” dell’autore – con cui questi “rompe, almeno formalmente, col teatro di raffinata e astratta acrobazia intellettuale, che sino allora aveva avuto in lui uno dei più fertili campioni, per accostarsi ad un tipo di teatro molto più tradizionale” -, stimolante dal momento che, dopo gli appuntamenti con “Casa di bambola” e “Agosto a Otage County”, entra a formare una intrigante (per il regista e per il pubblico) trilogia, offerta a personale dimostrazione dei segni di logoramento del nucleo familiare dei giorni nostri nonché un più variegato specchio nei confronti della figura femminile. Nel primo titolo, Dini si trovava a voler ridipingere la figura donna-moglie mentre in quello successivo era di fronte alla donna-figlia, annientata come il resto degli altri congiunti dalla dominante Violet; la commedia di Cocteau, accusata a suo tempo di immoralità per quei frammenti incestuosi che vi circolano, gli permette di scoprire il ruolo della donna-madre: forse non arrestandosi neppure qui nella ricerca di ampliare il proprio quadro d’esplorazione.

In questo spaccato di famiglia borghese, avvelenato sino al midollo e fatto a pezzi in un incessante quanto imprevedibile susseguirsi di scene, Yvonne, malata di incubi e di droghe, è la madre che dal momento in cui ha partorito il proprio figlio, Michel, lo ha ricoperto di un amore che con troppa facilità è sceso nel morboso, Georges è il marito che da quella stessa nascita s’è visto precluso ogni gesto di interesse e di affetto all’interno della coppia, mentre zia Léonie – sorella di Yvonne – ha per anni cresciuto il proprio amore per Georges e ancora lo accresce, lasciando tuttavia quell’uomo alla sorella, lei che da tempo ha deciso di annullarsi in quella stessa casa, tentando di sistemare quel “carrozzone” in modo che sia possibile viverci. Nel tentativo di una fuga giovanile (“dove ha dormito stanotte Michel?”), viene a formarsi una giovane coppia tra Michel e Madeleine, fatta di un amore fresco e senza limiti, sorpresa in un turbine inatteso dove il vecchio signore che prima occupava i pensieri della ragazza altri non era che Georges. Si romperanno i rapporti di sempre e il mare di bugie (quante se ne dicono sotto quel tetto) e gli equilibri insani, anche violentemente, al di là di una volontà a rimettere ordine, là dove restano soltanto indumenti sporchi e buttati alla rinfusa, lenzuola ammucchiate e letti sfatti.

Tutto in un’atmosfera di drammaticità pronta a sfociare nel tragico e mi suonerebbe strano che l’autore non volesse circondare strettamente la vicenda entro questi termini. Andando con la memoria ad altre edizioni dei “Parenti”, non mi pare che si cercasse sfacciatamente l’angolo del ridicolo. È vero, Georges specialmente si dibatte in situazioni che ne mettono alla luce, come un nervo scoperto, la comicità, decisamente di sbieco ma pur sempre comicità, e il lungo dialogo con Léonie, seduti quasi in proscenio a rimandarsi tutto il buffo di una situazione per cui si dovrà escogitare una scappatoia, spinge al sorriso e alla risata. Ma che qualcuno pronunci all’interno della narrazione la parola “farsa” non vuol dire che gran parte della commedia in “farsa” debba essere girata. Mancano a Dini, di cui nello spettacolo continuiamo a prediligere di gran lunga le zone oscure e più dolorose e maggiormente mantenute nella tragicità (eccezion fatta per quell’incubo iniziale di cui non s’avverte assolutamente la necessità), le mezze tinte, il fondersi esatto di un’ombra all’interno di una zona di luce, cancellando ogni taglio netto. Una “tutta luce“ che altresì, mi è parso di capire, cancella pure quel tanto di “recitazione” che vi era e vi sarà in Georges (lo stesso Dini) e Léonie (Milvia Marigliano, colei che con saggezza cerca d’aggiustare i cocci, eccellente), che trascorrono quell’”angolo” della commedia a “dire” esclusivamente le proprie battute.

Perno della commedia Mariangela Granelli come Yvonne, bravissima, sulla giusta linea di acidità e perbenismo e amour fou per quel suo Michel in cui Cosimo Grilli costruisce un frastagliato personaggio, fatto di passione e di felicità e di dolore, prova non semplice in quell’andamento ondivago ma più che felicemente superata. Giulia Briata è Madeleine, con convinzione a combattere contro i peccati di una famiglia che non vorrebbe altro che distruzione e macerie. La scena funzionale e immacolata è di Maria Spazzi, i costumi pieni di colore di Katarina Vukcevic.

Elio Rabbione

“Volti da scoprire, ritratti di cinema”. Un percorso curato dal critico cinematografico Paolo Mereghetti

UniVerso, il programma di eventi culturali dell’Università di Torino, presenta sino a mercoledì 18 dicembre, la mostra fotografica “Volti da scoprire, ritratti di cinema”. Un percorso curato dal critico cinematografico Paolo Mereghetti, assurto da anni a grande notorietà per l’omonimo dizionario dei film, il più venduto in Italia, che iniziato a scrivere a partire dal 1990, esce per la prima volta nel ’93, ha festeggiato lo scorso anno il suo trentennale.

La mostra propone una serie di ritratti realizzati negli anni Ottanta e Novanta da Pino Guidolotti esposti su scenografici ingrandimenti inseriti nella splendida cornice del Cortile del Palazzo del Rettorato dell’Università di Torino, in via Verdi, 8 ed in via Po,17. Scatti in bianco e nero che raccontano donne e uomini di cinema, attori, registi e sceneggiatori messi in scena dal fotografo, anche se ultimamente Guidolotti sembra preferire il disegno, grazie alla sua capacità di entrare con loro in una profonda relazione umana.

Spirito libero, curioso ed insofferente alle etichette, Pino Guidolotti ha sempre avuto la bellezza come sua personalissima bussola sia che dovesse documentare opere artistiche o architettoniche sia che dovesse ritrarre personaggi dello spettacolo o della cultura.

La sua attività di ritrattista ci ha lasciato una serie di straordinari ritratti, capaci di cogliere sempre il segreto che si nasconde dietro i volti e i corpi di Wim Wenders o di Jeanne Moreau, di Mario Soldati o di una giovanissima Juliette Binoche, che per la prima volta sono esposti, insieme a quelli di Michel Piccoli, di Marco Ferreri e tanti altri ancora, e tutti da scoprire, qui a Torino al Rettorato.

 

Igino Macagno

La grande estate partigiana

Martedì 19 novembre 2024, alle ore 17.00, presso l’Unione Culturale Franco Antonicelli ( via Cesare Battisti,4 – Torino) la Sezione ANPI Eusebio Giambone di Torino  presenta il documentario La grande estate partigiana ( Estate 1944: dalla formazione delle prime bande alle Repubbliche Partigiane. La storia di un’Italia che sceglie di resistere ). Realizzato dal regista Marzio Bartolucci, in collaborazione con gli autori Arianna Giannini Tomà e Andrea Pozzetta, il progetto è frutto della produzione di Lutea e dell’Associazione DomoMetraggi, con fotografia e montaggio a cura di Pixelpro Videoproduzioni. Il documentario offre uno sguardo approfondito sull’estate del 1944, un periodo cruciale nella storia dell’Italia, caratterizzato dall’emergere di numerose zone libere nel Centro-Nord, occupate dalle formazioni partigiane. Attraverso un mosaico di testimonianze, filmati d’epoca e fotografie, insieme a interviste a ricercatori e storici come Antonella Braga, Mirco Carrattieri, Chiara Colombini , Santo Peli e Andrea Pozzetta, il film ricostruisce una delle fasi cruciali della lotta di Liberazione mettendo in luce l’esperienza delle zone libere, vere e proprie anticipazioni di una democrazia che si affermerà con la sconfitta del nazifascismo ottant’anni fa. Alla presentazione del documentario saranno presenti il regista Marzio Bartolucci e gli autori, la giornalista Arianna Giannini Tomà e Andrea Pozzetta, responsabile scientifico del Centro di documentazione della Casa della Resistenza di Verbania Fondotoce.