Cosa succede in città- Pagina 98

Rock Jazz e dintorni a Torino: Paolo Fresu e i Nomadi

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al Colosseo in memoria di Carlo Rossi si esibiscono Negrita, Caparezza, Nina Zilli e altri.  Per il Torino Jazz Festival al Folk Club suona il quartetto di Pasquale Iannarella mentre all’Hiroshima Mon Amour è di scena il quintetto The End.

Martedì. Al Magazzino sul Po sono di scena i Kanerva. Chiusura del Torino Jazz Festival con il concerto del quintetto di Paolo Fresu con la Torino Jazz Orchestra al Lingotto. Sempre per il TJF alla Casa Teatro Ragazzi tributo a Gil Scott-Heron con una formazione guidata da Eric Mingus e Silvia Bolognesi. Al Blah Blah si esibiscono i LabGraal. Allo Spazio 211 è di scena LNDFK mentre all’Off Topic suona il trio Turin Unlimited Noise.

Mercoledì. Al Capolinea di Ciriè raduno “metallaro” con gli Elvenpath e Airborn.

Giovedì. Al Circolo della Musica di Rivoli va’ in scena lo spettacolo “Canzoni d’amore e di contributi” con Max Collini e Lastanzadigreta. Al Blah Blah è di scena Johnny DalBasso mentre al Magazzino sul Po suonano gli Indianizer.

Venerdì. Al Blah Blah si esibiscono i Lem. Al Kontiki suonano i Vespri+Tuan. All’Hiroshima è di scena il rapper Claver Gold. Al Magazzino sul Po suonano i Lhi Balòs. Al Folk Club  si esibisce il chitarrista Clive Carroll. Al Cap 10100 sono di scena i Milanonord. Al Cafè Muller suonano i jHAsHA!. Allo Spazio 211si esibiscono i Furor Gallico.

Sabato. A Pinerolo festival musicale in una chiesa sconsacrata con : Kypck, Skepticism , Cultus Sanguine, Shores  of Null. Al Colosseo “sold out” per i Nomadi. Alla Suoneria di Settimo suona La Paranza del Geco. Al Blah Blah sono di scena i Titor.

Domenica. A Pinerolo suonano i Dawn of Winter, Shape of Despair, Blck Oath e Ponte del Diavolo. Al Blah Blah suona Il Senato. Al Bunker party di Ivreatronic con Donato Dozzy.

Pier Luigi Fuggetta

“Nomade con radici” Indimenticato musicista e cantautore, ma anche poeta e pittore

Il grande Augusto Daolio è sapientemente ricordato allo “Spazio Musa” di Torino

Dal 12 aprile al 12 maggio

Lui stesso amava definirsi: “Nomade con radici”. Ossimoro clamoroso. Ma a lui concesso, per l’onesta maestria con cui seppe cavalcare, nella sua breve vita, entrambe le situazioni.

Lui “vagabondo” per cuore ed istinto, sempre in “fuga – raccontava – alla ricerca di luoghi migliori …”, ma saldamente ancorato, un tutt’uno inestricabile con le radici di quella sua padana Novellara (o Nualera in dialetto reggiano) che gli diede i natali il 18 febbraio del 1947 e lo vide lasciare questo mondo – contro cui non di rado si era impegnato a lanciare canori strali nei suoi concerti – il 7 ottobre del 1992, all’età di soli 45 anni.

Voce unica ed inconfondibile. Rocciosa e delicata. Graffiante e poetica. Ad Augusto Daolio, leader carismatico e fondatore nel 1963, insieme a Beppe Carletti, de “I Nomadi” (inizialmente “I Monelli”), fra i Gruppi più longevi ed importanti della musica beat (ma anche pop e rock) italiana, il torinese “Spazio Musa” dedica da venerdì 12 aprile a domenica 12 maggio – a trentadue anni dalla sua prematura scomparsa – la mostra “Augusto Daolio: uno sguardo libero”, che già ebbe a riportare un grande successo a Reggio Emilia nel 2022 e che illustra, accanto alla storia del musicista, i “talenti multiformi” di un artista che fu anche pittore e scultore di grande interesse.  Artista “a tutto tondo”, simbolo canoro  delle proteste giovanili degli anni ’60 e ’70 (da “Come potete giudicar” a “Noi non ci saremo” alla gigantesca “Dio è morto” del ’67, scritte dall’amico e futuro cantante Francesco Guccini, fino al brano più rappresentativo del Gruppo, quell’“Io vagabondo” del ’72, ancora oggi manifesto esemplare di un’indomita ricerca di “libertà” e di quel  motto “sempre nomadi” che tuttora ispira Carletti e i suoi “nuovi” compagni), Augusto è ricordato e omaggiato nella rassegna allo “Spazio Musa” grazie ad una serie di materiali (molti dei quali assolutamente inediti), tra cui disegni, dipinti(una sessantina), schizzi, manoscritti (una quarantina con abbozzi di canzoni e poesie), taccuini di viaggio, fotografie, manifesti e video, la maggior parte messi a disposizione dagli archivi personali di Rosanna Fantuzzi, per 23 anni compagna di Daolio e presidente dell’Associazione “Augusto Per La Vita” da lei fondata per utilizzare al meglio le offerte devolute da amici e fan dopo la scomparsa dell’artista.

“Il diario è la mostra e la mostra è il diario”, sottolineano gli organizzatori. “Esattamente come egli stesso usava fare nel corso dei viaggi – trattenendo tutto il possibile sui suoi taccuini stracolmi di cartoline, foglietti, biglietti di musei, adesivi, scarabocchi, fotografie rubate alla quotidianità, pensieri riportati a biro su ogni genere di supporto – si è cercato di riassemblare materiali eterogenei all’interno di un allestimento che riprende la logica del diario, dove il valore delle singole opere non sta tanto nel loro peso specifico, ma piuttosto nel dialogo che creano tra loro”. “Nove grandi pagine aperte”, in cui vola alta, e oggi più che mai attuale, la voce (il suo ultimo concerto fu a Masone, alle porte di Genova, due mesi prima di morire) e la lezione di Augusto. Delle sue tante canzoni portatrici di messaggi pacifisti e di rifiuto d’ogni forma di guerra e sopruso o dei suoi molto dipinti e disegni dal tratto deciso e d’impronta surrealista che ritraggono “una natura metamorfica che si fonde con l’elemento umano”. Già la pittura! Pagina, forse meno conosciuta (rispetto a quella musicale) dell’artista Daolio. E ciò nonostante le varie personali susseguitesi alla prima allestita nella sua Novellara nel 1991, Augusto (allievo del maestro reggiano Vivaldo Poli, scomparso nel 1982) ancora in vita. La natura e, con essa, l’uomo sono le sue costanti fonti d’ispirazione, attori “spaesati” in “paesaggi spaesati”, dove larghi cuori battono forte per dar fiato a robusti tronchi o dove le radici della terra (della sua terra) si fanno sottile verticaleggiante e rada chioma a corpi dubbiosi e “alieni”, che paiono interrogarsi del loro essere lì, in mondi “altri” nuovi e sconosciuti. Immagini attraverso le quali Daolio indaga ciò che egli stesso chiamava “il piccolo grande mistero delle cose, degli oggetti e dei sentimenti”. Quel “mistero” e quel “cuore” che sempre sono stati “guida” al suo “fare arte”.

Nel canto: “Se canti solo con la voce – diceva – prima o poi dovrai tacere. Canta con il cuore, affinché tu non debba mai tacere”. Nella pittura: “Non disegno per riempire un vuoto, ma per vuotare un pieno che è dentro di me”. E che forte si palesava nella sua voce e, ancora oggi, nei suoi racconti per immagini. Irripetibile, unico e grande Augusto!

Gianni Milani

“Augusto Daolio. Uno sguardo libero”

Spazio Musa, viadella Consolata 11/E; tel.393/3377799 o www.spaziomusa.net

Fino al 12 maggio

Orari: mart. ven. 14,30/19,30; sab e dom. 16/19,30

Nelle foto: Immagine guida; Beppe e Augusto; Augusto e Rosanna; Dipinti “Senza titolo”, 1986

“Sid”, “Apocallisse” e “Cassandra” nella programmazione di maggio del TPE teatro Astra

 

 

Nell’ambito della stagione TPE 2023/2024 dedicata alla Cecità, dal 2 al 5 maggio andrà in scena Alberto Boubakar Malanchino, nella pièce “Sid – Fin qui tutto bene”. Alberto Boubakar Malanchino, vincitore del Premio Ubu 2023 come miglior attore under 35, è l’interprete adrenalinico di un racconto urbano, ma anche di frontiera, che veste i panni di un giovane figlio della periferia che, per rincorrere il sogno del successo, ha intrapreso la via sbagliata, quella della violenza, e ora si ritrova a fare i conti con il proprio passato. Sid è italiano di origini algerine, 15 o 16 anni, che veste sempre di bianco, in quanto colore del lutto per i musulmani. Vive come tanti ragazzi in una delle tante periferie dell’occidente, nel mondo drogato della società dello spettacolo. Per uscire dalla disperazione e dalla noia, di nascosto legge, ascolta musica, vede film e recita sempre, fino a dimenticare di essere Sid. Colleziona sacchetti di plastica, tessuto e materiale biodegradabile, tutti rigorosamente firmati. Bello, intelligente e raffinato lettore, perfettamente padrone delle sfumature della lingua, ha ucciso. Probabilmente per noia. Sicuramente per uno scopo più alto. Uccide soffocando le sue vittime nei sacchetti di plastica alla moda. La sua storia è un film senza montaggio dove scorrono schegge di vita, di bullismo, consumo, noia, droga, desolazione e vagabondaggi nei templi del consumismo. La regia e la drammaturgia sono firmate da Girolamo Lucania.

Sempre nell’ambito della Stagione TPE, dal 7 al 12 maggio, sarà in scena Lucilla Giagnoni in “Apocalisse”. La storia della rivelazione di un uomo solo, Edipo, il Re, che lotta invano contro un destino tragico e ineluttabile, si intreccia alla rivelazione dell’umanità intera, racchiusa nel libro dell’Apocalisse di Giovanni. Il vero significato di “apocalisse” non è catastrofe, bensì rivelazione. Ritorna in scena Lucilla Giagnoni, di casa al TPE del Teatro Astra, per una versione attualizzata del suo “Apocalisse”, che si ispira all’ultimo libro della Bibbia. “Guarda, racconta ciò che hai visto”, sono le indicazioni più frequenti date a Giovanni, testimone e narratore. In un mondo di ciechi che credono di vedere, dunque di sapere, il mistero si rivela solo a chi dimostra di saper guardare. Cecità e rivelazione fanno pensare a un personaggio totemico del teatro occidentale, Edipo: l’Apocalisse e l’opera teatrale che dà inizio a ogni forma di indagine sull’uomo sono poste in parallelo per raccontare che la fine dei tempi è in realtà un nuovo inizio per chi impara a vedere, è la storia dell’evoluzione della coscienza: un bambino appena nato vede il mondo come un fenomeno incredibile, in cui le cose si riempiono di senso. L’Apocalisse è l’ultimo capitolo di una trilogia spirituale composta dallo spettacolo “Vergine madre”, ispirato al percorso di salvezza raccontato nella Divina Commedia, e dallo spettacolo “Big Bang” che, a partire dall’ultima parola della Divina Commedia, “stelle”, e dai primidue capitoli del libro della Genesi indaga sull’inizio e sulla Creazione, facendo dialogare il linguaggio della scienza con quello della teologia e del teatro. Apocalisse indaga sul vero significato della fine.

Dal 14 al 31 maggio 2024 sarà in scena la pièce “Cassandra” tratta dal libro di Christa Wolf, che vive un doloroso conflitto tra il presente della guerra e un futuro di pace, legata a lunghe funielastiche sul palco, la principessa troiana vaticina sul destino di tutti noi. Cassandra, la veggente figlia di Ecuba e Priamo, racconta il tramonto e la rovina della sua città. Dalla sua memoria emerge tutto il suo passato, la traversata dell’Egeo in tempesta, l’arrivo a Troia delle Amazzoni, i delitti di Achille, la rottura con il padre Priamo, accecato dal meccanismo inarrestabile della guerra, la vita delle comunità femminili sulle rive del fiume Scamandro e l’amore per Enea. Christa Wolf, tra le più importanti scrittrici contemporanee in lingua tedesca, scrive il suo “Cassandra” nel 1983 e sceglie di dare una visione differente da quella omerica classica, recuperando lo sguardo e la voce della sacerdotessa troiana per darci il resoconto della liberazione femminile e del bisogno di pace, testimoniando il passato, perché in futuro non vengano ripetuti gli stessi errori. In scena Cecilia Lupoli. La regia è firmata da Carlo Cerciello.

 

Mara Martellotta

‘Shinhanga. La nuova onda delle stampe giapponesi’ a palazzo Barolo

 

 

Fino al 30 giugno prossimo Palazzo Barolo ospita la prima mostra in Italia sull’arte degli shinhanga, letteralmente “la nuova xilografia”.

L’esposizione si intitola “Shinhanga. La nuova onda delle stampe giapponesi”, curata da Paola Scrolavezza, esperta di cultura e letteratura giapponese e docente presso il Dipartimento di lingue, letterature e culture Moderne dell’università di Bologna,  con la consulenza artistica di Marco Fagioli, collezionista e storica autorità nell’arte giapponese.

Lo shinhanga è  un movimento nato ufficialmente nel 1916 grazie all’opera di artisti come Ito Shinsui e Kawase Hasui che si allontanarono gradualmente dai soggetti dell’ukiyoe, cominciando a raffigurare scorci caratteristici della provincia rurale o dei sobborghi cittadini, non ancora raggiunti dalla modernizzazione, come rovine, templi antichi, immagini campestri, scene notturne illuminate dalla luna piena e dalle luci dei lampioni. A queste vedute si aggiunsero i ritratti femminili,i bijinga, dedicati alle donne dei tempi moderni, ritratte nella loro quotidianità,  mentre si truccavano o si acconciavano i capelli.

Sono oltre ottanta le opere espositive provenienti da collezioni private e dalla Japanese Gallery Kensington di Londra,  accompagnate da kimono, fotografie storiche e oggetti d’arredo, con l’intento di mostrare come questo movimento shinhanga abbia saputo mantenere le tecniche tradizionali dell’incisione su legno, pur introducendo oltreoceano prospettive nuove.

Il percorso espositivo trova il proprio fulcro centrale nel terremoto del Kanto del primo settembre 1923, il peggiore della storia del Giappone. Seguito da violenti incendi che divamparono per ben due giorni, alimentati dai venti di un tifone, questo terremoto causò  oltre 100 mila morti e rase al suolo un’area molto vasta della capitale. Nasceva dalle ceneri una nuova Tokyo, proiettata sempre più verso il futuro. La produzione delle incisioni Shinhanga dopo questo funesto episodio si sarebbe intensificata. Agli scorci caratteristici si aggiunsero angoli metropolitani con strade deserte, case da cui filtrava un’illuminazione artificiale e densa. Le xilografie prodotte dopo il sisma esprimevano un senso di smarrimento e di solitudine dell’uomo di fronte alla fragilità dell’esistenza. Nei bijinga si affievolisce del tutto o quasi il legame con il mondo notturno tipico dell’ukiyoe. Le ragazze immortalate nelle opere sono donne comuni, che iniziano a muoversi anche fuori dalle mura domestiche, nelle vie e nei locali dei quartieri alla moda. Sono cameriere,  insegnanti, dattilografe e infermiere, giovani indipendenti, istruite e  emancipate pronte a cogliere le opportunità che il Giappone offre loro.

Lo shinhanga si afferma a partire dal secondo decennio del Novecento fino agli anni Quaranta. Si tratta del riflesso artistico di un periodo che per il Giappone contemporaneo era caratterizzato da un’atmosfera di estrema libertà e fermento culturale. Le città principali diventano lo sfondo di un’arte e di una cultura sempre più alla portata di tanti, aprendosi alla nuova borghesia  e al nuovo pubblico che dalla provincia approdava alla metropoli, attratto dalle nuove prospettive economiche e dallo stile di vita moderno e anticonformista.

Alcuni stampatori ed editori illuminati, quali Watanabe Shozaburo, diedero impulso allo sviluppo del movimento,  realizzando un’arte innovativa e autoctona, ma servendosi dell’hanmoto, ovvero l’atelier, dove l’artista si occupava dell’ideazione e del disegno, affidando all’incisore, al tipografo e all’editore le fasi successive della produzione e diffusione delle stampe.

“Shinhanga. La nuova onda delle stampe giapponesi” ricrea un’atmosfera densa di aspettativa e di nostalgia di inizio secolo, presentando al pubblico un’incredibile corrente artistica ancora sconosciuta in Italia e narrandola in maniera coinvolgente, dipingendo, attraverso di essa, uno spaccato intenso e vivido del Giappone tra le due guerre. Vi compaiono stampe dominate dai toni più cupi del blu, dove l’unica nota di luce è  la luna, marine bagnate dal sole al tramonto o dalle lanterne delle imbarcazioni, fino alle pagode che svettano sui ciliegi in piena fioritura. Ciò che emerge è un paesaggio ideale, emozionale e simbolico, uno sfondo sul quale spiccano le silhouettes femminili, icone malinconiche e inquiete della conquista della modernità.

 

Mara Martellotta

“Jacopo Benassi. Autoritratto criminale” le opere dell’eclettico, imprevedibile artista spezzino

 

In mostra alla “Wunderkammer” della “GAM” (per l’occasione, solo “Wunder”)

Fino al 1° settembre

All’ingresso del sotterraneo della “GAM”, in via Magenta a Torino, della consueta dicitura “Wunderkammer”, è rimasto solo “Wunder”, cancellato “Kammer”. “Meraviglia” e basta! E di “meraviglia” (“mirabilia” su cui spronare occhi e mente) ben s’avvertono, infatti e da subito, i sentori e gli intrighi mettendo piede nelle sale d’accesso alla mostra “Autoritratto criminale” di Jacopo Benassi, curata da Elena Volpato e visibile fino a domenica 1 settembre.

Mostra strana, questa dell’artista spezzino. “Strana” in tutti i sensi più positivi del termine: insolita, inconsueta, singolare, curiosa, speciale, bizzarra, stramba, balorda … e chi più ne ha più ne metta! Capace perfino di sbrecciare muri e far fuori quel “Kammer” (di cui sopra) per far entrare in mezzo alle sue opere il “gesso” – che non poteva non esserci con i legni che ne tengono insieme la struttura, ormai fragile e frantumata! – di Leonardo Bistolfi, realizzato nel 1910 dal grande scultore casalese, per il monumento all’amico medico-antropologo Cesare Lombroso. La fotografia, in prima battuta (un’autentica venerazione per Ando Gilardi, “il primo a occuparsi di fotografia segnaletica e criminale”), ma anche la pittura, la scultura – calchi in gesso, l’installazione e la performance, Benassi arriva ad esporre alla torinese “GAM” dopo l’acquisizione per le Collezioni del Museo, da parte della “Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT”, della sua opera “Panorama di La Spezia” (2022): un autoritratto – sostiene – che “autoritratto” (nel senso letterale del termine) proprio non é. Lui, né altre persone, vi compaiono. Vi compaiono, invece, foto di piante scattate nel buio della notte accanto ad alcuni angoli della città ligure “dipinti con vago sapore ottocentesco” e, a terra, una scaletta a due gradini con appoggiate – presenza non rara nelle opere di Benassi – due ciabatte (reminiscenze di vita) imbrattate. E tutto questo è lui. La realtà per l’artista è nascondimento, la “parte non visibile delle cose”, quella che “resta custodita – sottolinea la curatrice – tra una cornice e l’altra, tra un’immagine e l’altra, quello che si può solo immaginare o desiderare”. Dunque, un’installazione “paravento”, dietro cui compare “Serie di ritratti appesi” (2024), opera che esaspera il concetto di “cancellazione”, presentando, montati – avviluppati in forti e pesanti cinghie “simboli insieme di forza e di fragilità” – come fossero un “pesante sandwich di cornici di cui si vedono solo due retri”, ritratti fotografici di personaggi famosi (da Valentino a Nan Goldin da John Wayne a Biancaneve) e alcuni autoritratti fra cui l’immagine-guida della mostra, in cui Benassi pare sfidarci osservandoci quasi minaccioso dietro una lunga acconciatura femminile e un voluto travestimento dai contorni inquietanti.

 

“Un mascheramento veritiero e una mascherata verità”: si tratta in qualche modo, ancora Elena Volpato “di un autoritratto criminale, non solo perché potrebbe idealmente appartenere alla triste tradizione che voleva i travestiti, fino a pochi decenni fa, effettivamente schedati e fotografati, ma anche perché presenta i codici tipici dei ritratti segnaletici che Benassi mette in gioco in quella immagine e in molte altre, sin dai suoi inizi, grazie all’insegnamento di Sergio Fregoso e alla lettura di ‘Wanted!’ di Ando Gilardi, sillabario di estetica della fotografia giudiziaria”. E, su questa linea, fra gli stilemi di Gilardi e le memorie di Lombroso, un altro ritratto “spicca” (in obnubilante oscurità) in rassegna, quello del più grande criminale della storia, richiamato in scena, tentandone un’improbabile cancellazione sotto uno spesso strato di vetri, insufficiente “velo” ai mostruosi crimini che il ritratto di Hitler, anche quello scattato da Benassi al suo fantoccio al “Museo delle cere” di Londra, porta con sé.

“Nonostante siano le fattezze di una maschera– conclude Volpato – nonostante sia la rappresentazione di una rappresentazione, nonostante il numero ingente di vetri frapposti, la nota effige continua a emergere. E così si riavvia il ciclo vitale dell’immagine che continuamente sparisce per riapparire, tra rumore visivo e profondo silenzio, fra sovraesposizione e buio. In Benassi, tutto ciò che affiora affonda, e tutto ciò che affonda riaffiora”.

Gianni Milani

“Jacopo Benassi. Autoritratto criminale”

GAM-Galleria cIvica d’Arte Moderna e Contemoranea, via Magenta31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it

Fino al 1° settembre

Orari: da mart. a dom. 10/18; chiuso il lunedì

 

Nelle foto:

–       “Bistolfi” e “Serie di ritratti appesi”, ph. Perottino

–       “Panorama di La Spezia”, ph. Perottino

–       “Autoritratto truccato da femmina”, 2007

–       Adolf Hitler”, ph. Perottino

 

La raccolta di fotografie di Guido Bertero, un patrimonio da non disperdere

Nelle sale dell’Ersel di piazza Solferino, sino al 14 giugno

“Ho girato tutta l’Italia, di fotografo in fotografo, alla ricerca di ciò che non c’era più, o stava scomparendo.”

Una lunga strada, quasi una missione, un patrimonio ricco di vent’anni di storia e di circa duemila immagini, raccolte nelle aste come nei piccoli studi di fotografi, sperduti nelle città e nei più lontani angoli di provincia, quando tutti gli chiedevano perché si fosse messo in mente quella ricerca e il perché di quei pretesi acquisti. Una collezione che Guido Bertero – nato a Torino, classe 1938, imprenditore che per amore e per passione dal 1999 colleziona fotografie e che dal 2015 è vicepresidente di Camera Centro Italiano per la Fotografia di Torino, un uomo che strenuamente difende l’interezza di questo suo patrimonio e continua a chiedersi perché in maniera concreta nessuna istituzione di casa nostra (come al contrario avviene per lo stato francese, ad esempio) si sia ancora fatta avanti per renderlo a tutti gli effetti una ricchezza pubblica: il Tate londinese e il Moma di New York e il Getty Museum hanno mostrato un certo interesse ma perché, ad esempio tra i tanti da noi, si diceva l’altro ieri durante la conferenza stampa, la Reggia di Venaria non potrebbe ritagliare un proprio angolo per far luogo ad un tale lascito permanente? – presenta nelle sale dell’Ersel di piazza Solferino 11 – la sede di una delle più prestigiose società di gestione patrimoni, nata nel 1936 e oggi guidata dalla famiglia Giubergia, che dal 2002 fa della cultura e dell’arte uno dei propri tratti distintivi, vivacemente vicina a quanto di importante succede in città nel campo artistico -, raccogliendo cento esemplari della propria collezione: “Guido Io” recita il titolo della mostra, con un bel gioco di parole, curata da Chiara Massimello e Marco Sobrero, visitabile sino al 14 giugno, uno dei punti di maggior interesse del programma di “Exposed Extended”, primo Festival Internazionale di fotografia proposto in città e contenitore di oltre venti mostre temporanee.

Un tratto di vita focalizzata sulla fotografia del dopoguerra, ricordata attraverso i tanti nomi dei maestri italiani e arricchita nel tempo da incursioni nella grande fotografia internazionale. Un lungo elenco, da Giuseppe Cavalli a Mario Gabinio con le antiche istantanee di una Torino scomparsa (“Il canale dei Molassi” del 1923) a Riccardo Moncalvo e Luigi Veronesi, da Pietro Donzelli a Federico Patellani alle battagliere Letizia Battaglia e Lisetta Carmi e Carla Cerati, da Gabriele Basilico a Mario Cresci e Franco Fontana e Mario Giacomelli, da Luigi Ghirri a Mimmo Jodice (surreali le sue “Presenze” del 1980) e Ugo Mulas e Gianni Berengo Gardin alla Sicilia di Mario De Biasi sulla metà del secolo scorso, senza passare sotto silenzio le grandi firme di William Klein e David Seymour (“Domenica in campagna”, 1950) e Henri Cartier Bresson (“Contadino al rientro dalla campagna”, 1952, un angolo forse romano di un’Italia tutta da costruire), di Paul Strand e Robert Capa. Nel susseguirsi di scatti, senza tempo è, di quest’ultimo, “Verso Palermo” (1943), là dove il contadino indica la direzione con il lungo bastone a tre o quattro soldati a stelle e strisce, immagine acquistata in Giappone come la consorella con il carro armato e l’asino.

Il tempo trascorso, le immagini che ci rendono lo spirito di un’epoca, i decenni che forse ci siamo dimenticati, le curiosità che possono ritornare. I curatori hanno anche saggiamente dato forma a dei raggruppamenti, il divertimento, le coppiette appartate (di Mario Cattaneo, “L’idroscalo”, lui lei e la Vespa), l’Hollywood sul Tevere e serate in via Veneto (e allora Walter Chiari che si avventa su Tazio Secchiaroli, e l’inseguimento di Ava Gardner; e poi il viso di Sophia Loren, un primo piano bellissimo e mediterraneo, alla ricerca del partner Mastroianni non inquadrato, e Vittorio De Sica che impartisce istruzioni prima di un si gira, in pienissima atmosfera Neorealismo). Per arrivare al viso di Patty Pravo, cantante giovanissima del Piper.

Non ultimo, un nome forse troppo dimenticato tra i maghi dell’obiettivo, Piergiorgio Branzi, fotografo che aveva collaborato all’esperienza editoriale de “Il Mondo” di Mario Pannunzio, dal ’62 volto e voce per la tivù italiana prima da Mosca (fu il volere di Enzo Biagi) e da Parigi poi: qui è raccolto soltanto un solo esempio dei complessivi quattordici che riguardano il “Miracolo di SanGennaro” (1957), un perfetto intrico tra chiaroscuri di visi e di mani e di ampolle a narrare un momento tra superstizione e credenza religiosa. Nomi conosciutissimi e quelli che rappresentano una nicchia, Bertero li ha cercati e conosciuti e apprezzati tutti quanti, indistintamente, alla ricerca sempre di quelle stampe che “se possibile, dovevano essere ‘vintage’, cioè stampate al momento della realizzazione dello scatto (o poco dopo). Ogni fotografia porta con sé una storia e immortala un momento di quell’epoca”. Un viaggio in Italia, avrebbe chiamato quel percorso Roberto Rossellini, in pieno Neorealismo, un ricordo di oggi per andare ancora una volta alla ricerca delle nostre radici. Un patrimonio, soprattutto, da preservare, da rispettare, assolutamente da non smembrare. E da offrire all’avvedutezza delle istituzioni. Ce ne saranno?

Elio Rabbione

Nelle immagini: Mimmo Jodice, “Presenze”, 1980; David Seymour, “Domenica in campagna”, 1950; Mario Cattaneo, “L’Idroscalo”, 1972; Carla Cerati, “Inaugurazione del negozio di Nucci Valsecchi e Willi Rizzo”, 1970.

“Giovani sguardi”, la rassegna teatrale promossa da Casa del Teatro Ragazzi e Giovani

Dal 3 al 18 maggio 2024

 

Da venerdì 3 a sabato 18 maggio, presso la Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino, si svolgerà la terza edizione di “Giovani sguardi”, una rassegna che mette al centro giovani adulti, proponendo anche quest’anno 4 spettacoli alle ore 19:30, rivolti ai ragazzi e alle ragazze di oggi, spunti di riflessione sul loro sguardo sul mondo. Gli argomenti trattati sono quelli che vivono gli adolescenti: il bisogno di ammirazione, il dovere di piacere, il conflitto tra lo sguardo sul mondo, sul proprio corpo e sul bambino che si è dentro, anoressia e disturbi alimentari, come conseguenza di modificare il proprio corpo per adattarsi alle regole del mondo social, una riflessione sulla nostra esistenza, sulle regole che ci fanno stare al mondo e sul senso della vita.

In tutti questi quattro spettacoli è richiesta la partecipazione attiva del pubblico presente alla Casa del Teatro. Allo spettatore è chiesto di fare delle scelte, anche in negativo, e di essere attivi rispetto agli spettacoli in scena.

“’Giovani sguardi’ mette al centro gli adolescenti – dichiara il direttore artistico Emiliano Bronzino – coinvolgendoli non solo come spettatori ma condividendo con loro le scelte di strategia comunicativa. I ragazzi e le ragazze dell’Osservatorio saranno protagonisti di una serie di incontri con il pubblico e con gli artisti per sviluppare uno scambio di competenze tra generazioni. Un’occasione per potersi confrontare con i giovani, discutere con loro e provare ad osservare il mondo attraverso i loro occhi. Spettacoli che affrontano temi coraggiosi per rispondere al coraggio che serve a crescere”.

Si parte con un weekend tutto al femminile  venerdì 3 maggio con “Freevola”, confessione sull’insostenibile bisogno di ammirazione di Trento spettacoli, con Lucia e Raffella Mariani, confessione tragicomica, frammentata e poetica sul dovere di piacere, ponendo l’attenzione sul conflitto tra sguardo del mondo, del proprio corpo e sul bambino che è in noi.

L’ambientazione è quella di un ipotetico talent, e la giovane attrice che si rivolge al pubblico come se fosse la giuria, non riesce a vivere senza un segno di approvazione esterna, soprattutto da parte degli uomini. Per lei essere donna è come essere due dentro un corpo, quella che esiste e che si guarda esistere.

Sabato 4 maggio è la volta di “Perfetta? Quasi perfetta”, uno spettacolo sui disturbi alimentari di Manifatture Teatrali Milanesi, di Valeria Cavalli con Claudia Veronesi, per la regia di Claudio Intropido. Alice, vittima di se stessa e del bisogno di modificare il suo corpo per adattarsi alle regole del mondo social, dimentica l’importanza di vivere il reale e il contatto con l’altro. Uno spettacolo sulla schiavitù dell’illusoria ricerca di perfezione che sfocia in un vero e proprio disturbo psicologico.

Venerdì 10 maggio verrà ospitato lo spettacolo “Hallway”, un’esibizione di danza contemporanea della compagnia under 35Mixit, per la regia di Denise Zucca, e che racconta la vita e le scelte di alcuni giovani artisti. Il simbolo del corridoio, con tante porte che vi si affacciano, diventa un luogo sospeso in u  tempo perso, un approdo, un luogo di vita e di attesa, una scelta.

Infine, sabato 18 maggio, va in scena “Afànisi” della compagnia napoletana Ctrl+Alt+Canc, uno spettacolo performative dagli echi pirandelliani, un esperimento maieutico, provocatorio e un po’ spiazzante, portato in scena dagli attori Raimonda Maraviglia, Francesco Roccasecca e Alessandro Paschitto, che è anche autore e regista della pièce. Il pubblico, chiamato a partecipare attivamente allo spettacolo, verrà spinto a proiettare sulla scena quello che vorrebbe apparisse in scena, come fosse un’esibizione privata. Si gioca sui vuoti, sull’assenza della rappresentazione, sulla stimolazione dell’immaginazione del pubblico.

 

Casa Teatro Ragazzi e Giovani, corso Galileo Ferraris 266, Torino

Biglietti: intero 13 Euro/Ridotto 11 Euro (over 65, abbonati stagione 2022/2023, associazioni e CRAL convenzionati).

Young:  Carnet di 6 ingressi, Euro 30 ( dai 14 ai 26 anni)

 

Mara Martellotta

“Il Mandala della prosperità” al MAO dal 26 al 28 aprile

 

 

Da venerdì 26 a domenica 28 aprile, dalle 10 alle 18, il MAO ha il piacere di presentare l’evento “Il Mandala della prosperità”, a cura dell’Associazione Fedinsieme e della Casa della Cultura del Tibet. Per tre giorni consecutivi si potrà assistere alla creazione di un Mandala di sabbia ad opera di un gruppo di monaci buddisti della tradizione tibetana Geluk. Quella del Mandala, fonte di bellezza e perfezione, che rappresenta una delle più alte rappresentazioni della cultura spirituale buddista, è una pratica che prevede la costruzione di un complesso disegni composto da forme geometriche iscritti in un cerchio, mediante l’utilizzo di sabbia di vari colori, ciascuno con la sua valenza simbolica.

Frutto di una tradizione risalente a oltre 2500 anni fa, questa pratica è legata ai concetti di prosperità, pace, armonia e, soprattutto, all’idea di impermanenza e di distacco dalle cose materiali. Dopo aver lavorato per giorni alla composizione dell’opera, i monaci autorizzati allo svolgimento della pratica celebrano la cerimonia di dissoluzione, durante la quale la sabbia che compone il Mandala viene dispersa in acqua o distribuita alle persone presenti al rito. Durante l’evento al MAO, le fasi di creazione del Mandala si alterneranno a momenti di recita di Sutra e Mantra propiziatori, per culminare nella distruzione del Mandala domenica 28 aprile alle ore 17.

I visitatori del museo potranno assistere a tutte le fasi del processo, avvicinandosi così alla tradizione di riti nati sotto altri cieli. La partecipazione è inclusa nel biglietto d’ingresso al museo.

 

Mara Martellotta

Gli appuntamenti culturali della Fondazione Torino Musaei

26 aprile – 2 maggio 2024

 

VENERDI 26 APRILE

 

Venerdì 26, sabato 27 e domenica 28 aprile dalle 10 alle 18

IL MANDALA DELLA PROSPERITÀ

MAO – creazione di un mandala

Da venerdì 26 a domenica 28 aprile dalle 10 alle 18 il MAO ha il piacere di ospitare l’evento “Il Mandala della prosperità”, a cura dell’associazione Fedinsieme e della Casa della Cultura del Tibet.

Per tre giorni i visitatori del museo avranno la possibilità di assistere alla creazione di un mandala di sabbia a opera di un gruppo di monaci buddhisti della tradizione tibetana Geluk.

Quella del mandala, fonte di bellezza e perfezione che rappresenta una delle più alte espressioni artistiche e spirituali della tradizione buddhista, è una pratica che prevede la costruzione di un complesso disegno composto da forme geometriche inscritte in un cerchio mediante l’utilizzo di sabbia di vari colori, ciascuno con la sua valenza simbolica.

Frutto di una tradizione risalente a oltre 2500 anni fa, questa pratica è legata ai concetti di prosperità, pace, armonia e soprattutto all’idea di impermanenza e di distacco dalle cose materiali: dopo aver lavorato per giorni alla composizione dell’opera infatti, i monaci autorizzati allo svolgimento della pratica celebrano la cerimonia di dissoluzione, durante la quale la sabbia che compone il mandala viene dispersa in acqua o distribuita alle persone presenti al rito.

Durante l’evento al MAO, le fasi di creazione del mandala si alterneranno a momenti di recita di sutra e mantra propiziatori, per culminare infine nella distruzione del mandala domenica 28 aprile alle ore 17.

I visitatori del museo potranno assistere a tutte le fasi del processo, avvicinandosi così a tradizioni e riti nati sotto altri cieli.

Partecipazione inclusa nel biglietto di ingresso al museo.

 

 

SABATO 27 APRILE

 

Sabato 27 aprile dalle 14 alle 17.30

TRASFORMIAMO LE COLLEZIONI IN MANGA!

MAO – visita guidata e workshop

A cura di Theatrum Sabaudiae

Il linguaggio visivo dei manga, noto in tutto il mondo nel suo sviluppo contemporaneo, rappresenta un ricchissimo genere figurativo le cui origini attraversano secoli di cultura artistica giapponese. La visita guidata alla galleria del MAO dedicata al Giappone si soffermerà su alcuni nuclei di opere della collezione per apprezzarne in particolare la forza espressiva e l’energia del tratto pittorico in una varietà di manifestazioni, dai grandi paraventi alle stampe policrome ukiyo-e.

Segue il workshop di disegno in stile manga a cura di Marco e Mattia Boetti. Ispirati dalle opere in esposizione, l’esperienza proseguirà con un laboratorio didattico finalizzato alla creazione da parte dei partecipanti di una propria interpretazione di un soggetto di arte giapponese della collezione permanente del museo, precedentemente selezionato per l’occasione dagli artisti, utilizzando i segni grafici dello stile manga.

L’attività prevede un momento introduttivo in cui verranno fornite specifiche nozioni tecniche sull’utilizzo di alcuni tratti caratteristici per l’elaborazione di personaggi e ambienti naturali partendo da schemi composti da quadrati e rettangoli, ogni partecipante verrà poi guidato nell’esecuzione pratica per sperimentare la propria creatività e calarsi nei panni di un mangaka.

Al termine del laboratorio, ogni alunno porterà con sé, a ricordo dell’esperienza, il proprio disegno realizzato a matita e “chinato” utilizzando penne a sfera (biro).

Marco Boetti si diploma in Illustrazione presso l’Istituto Europeo di Design di Torino e segue corsi di approfondimento sia sulle principali tecniche artistiche in questo campo che su grafica e didattica. Collabora con Enti Pubblici (italiani ed esteri), privati e case editrici, specializzandosi nell’illustrazione naturalistica e nella didattica realizzando laboratori di disegno per bambini e adulti principianti, pannellistica per parchi e musei, murales, diorami e trompe-l’œil, manifesti e progetti grafici mirati.

Mattia Boetti si diploma in grafica e pubblicità presso l’Istituto A. Cravetta – G. Marconi di Savigliano e si dedica a studi di approfondimento nello stesso ambito. Realizza progetti grafici mirati, laboratori didattici di disegno e a tema divulgativo per bambini e adulti principianti, pannellistica per parchi e musei, murales, diorami e trompe-l’œil con tecnica ad acrilico, etichette enologiche e progetti per l’editoria. Tra le principali collaborazioni, si citano : British Museum, Natural History Museum, Tate Britain (Londra) – Comune di Genova per il progetto Io vivo qui (in collaborazione con l’associazione culturale Amistà) – Biblioteca Internazionale per ragazzi Edmondo de Amicis e Orto Botanico dell’Ateneo (Genova) per l’esposizione Euroflora ’06 – Filatoio di Caraglio (Cuneo) in occasione della mostra Texture del fotografo Steve McCurry (in collaborazione con l’associazione culturale Artea) – Museo Civico di Storia Naturale di Piacenza (2023, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente) e di Ferrara – Museo Geopaleontologico Capellini (Bologna) – CUFA Comando Unità Forestali e Agroalimentari (Roma) – Accademia dei Georgofili (Firenze) e Keith Art Shop Café (Pisa) – Gruppo Editoriale RCS, Hobby & Work Publishing (Milano) – Tavole per il Parco Naturale Regionale di Portofino dell’Aveto (Genova) e delle Alpi Liguri (Imperia).

Prenotazione obbligatoria. L’iniziativa verrà attivata al raggiungimento di un numero minimo di partecipanti, fino ad esaurimento posti disponibili.

Informazioni e prenotazioni: 011.5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com (da lunedì a domenica 9.30 – 17.30)

Costo: 24€ a persona

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso al museo; ingresso gratuito per possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte.

Appuntamento 15 minuti prima dell’inizio

GIOVEDI 2 MAGGIO

 

Giovedì 2 maggio dalle 12:00 alle 21:00

EXPANDED – I PAESAGGI DELL’ARTE

GAM – preview a ingresso libero della nuova mostra in occasione dell’inaugurazione di Exposed Torino Foto Festival

3 maggio – settembre 2024

La GAM è felice di presentare l’esposizione, a cura di Elena Volpato, dedicata ad alcuni fotografi che hanno saputo restituire i molteplici aspetti dell’arte e ritrarne nel senso più ampio i suoi paesaggi composti di opere e architetture, del volto degli artisti e dei loro momenti di lavoro nello studio o nel paesaggio naturale.

L’esposizione è parte di Expanded, il percorso di rilettura in tre capitoli della Collezione fotografica della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, che è parte del programma di EXPOSED. Torino Foto Festival. Il progetto si completa con Expanded Without, alle OGR Torino, ed Expanded With, nelle sale del Castello di Rivoli. Grazie al sostegno di Strategia Fotografia 2023, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, la GAM ha potuto rinnovare il proprio impegno collezionistico acquisendo 22 fotografie di Gianfranco Gorgoni, realizzate tra il 1970 e il 1974. Le foto sono dedicate alle diverse fasi di realizzazione dell’opera Spiral Jetty di Robert Smithson, di opere di Michael Heizer, oltre che ad alcuni ritratti di artisti come Bruce Nauman, Dan Flavin, Agnes Martin ed Ellsworth Kelly.

(Comunicato stampa allegato)

 

GIOVEDI 2 MAGGIO

 

Giovedì 2 maggio ore 17:30

HOUSES AND GARDENS OF KYOTO

MAO – Lecture dell’architetto e scrittore Thomas Daniell

Nonostante la rapida modernizzazione e i danni subiti nel corso dei secoli, Kyoto, capitale imperiale del Giappone per più di un millennio, rimane un archivio ricco e inesauribile della storia e della cultura del Paese del Sol Levante.

Il volume Houses and gardens of Kyoto presenta un’ampia gamma di case tradizionali di Kyoto di ogni periodo della storia della città: dalle ville estive ai monumentali templi buddisti, dagli ariosi padiglioni da giardino alle locande tradizionali, tutti con i loro spazi esterni associati, siano essi piccoli cortili o pittoreschi giardini adatti a lunghe passeggiate.

La lecture si terrà in inglese con traduzione di Marco Imperadori.

Ingresso libero fino a esaurimento posti.

 


Theatrum Sabaudiae
 propone visite guidate in museo
alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.
Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

Al teatro Regio l’Olandese volante di Richard Wagner con la direzione di Nathalie Stutzmann

In scena dal 17 al 26 maggio

 

Per la stagione di opera e balletto 2023-2024 andrà in scena dal 17 al 26 maggio prossimi al teatro Regio l’opera wagneriana ‘L’olandese volante’, con sul podio Nathalie Stutzmann, la direttrice prediletta dal festival di Bayreuth.

Del fliegende Hollander, L’olandese volante segna il ritorno in cartellone di un titolo di Richard Wagner e della amatissima direttrice Nathalie Stutzmann sul podio dell’Orchestra e Coro del teatro Regio di Torino e del Coro Maghini. L’allestimento onirico è di Willy Decker. Il Coro è istruito dal maestro Ulisse Trabacchin. L’olandese ha la voce ricca e raffinata del baritono americano Brian Mulligan, nel ruolo di Senta il soprano sudafricano Johanni von Oostrum, il tenore americano Robert Watson è il cacciatore Erik.

La regia creata da Willy Decker per l’Opéra National di Parigi nel 2000 e presentata al Regio nel 2012, si gioca sulle assenze e sulle suggestioni. Sono in scena pochi elementi, delle corde e alcune sedie, e una gigantesca porta bianca che rappresenta un confine tra dimensioni diverse. Tutto è essenziale e fortemente evocativo, come lo stesso regista spiegò all’indomani del suo primo allestimento: ”Così come nel teatro non si può rappresentare il mare vero, in tutta la sua infinità, allo stesso modo non si può far comparire un vero vascello. L’Olandese deve restare un’immagine, un racconto, una ballata. Infatti la tempesta che tuona nella musica di Wagner non può essere mostrata sulla scena, se non negli individui”. Wolfgang Gussmann ha creato le scene e i costumi e Hans Tolstede ha disegnato le luci.

L’Olandese volante è considerato il primo dramma musicale maturo di Wagner in quanto, pur

scontando l’evidente influenza del grand opera francese, presenta diversi elementi che anticipano la sua produzione successiva. Compaiono i primi leitmotiv relativi a personaggi e sentimenti ed emerge la tendenza a fondere i numeri chiusi, ancora riconoscibili, in scene più ampie e continue, soprattutto in corrispondenza con gli episodi di natura fantastica. Oltre al modello francese, evidente negli aspetti più spettacolari e nelle messe in scena, Wagner tenne presente la tradizione italiana. Nell’estate del 1839 Wagner, incalzato dai suoi numerosi creditori, salpò per Londra a bordo del mercantile Thetis. Il viaggio fu ricco di difficoltà e imprevisti e, nella sua autobiografia, egli narra come il richiamo dei marinai che ammainavano le vele durante una tempesta fra i fiordi norvegesi, gli diede lo spunto iniziale per l’Olandese volante. Nonostante la presunta ispirazione autobiografica sia solo in parte vera, è indiscutibile che egli abbia trattato con libertà la sua fonte letteraria, il romanzo di Heinrich Heine “Dalle memorie del signor von Scnabelewopski”, identificandosi con il tormentato e perseguitato protagonista e introducendo due temi fondamentali della sua poetica, la maledizione e la redenzione attraverso la donna. In principio Wagner concepì l’opera in prospettiva di una sua realizzazione all’Opéra di Parigi. Il musicista, giovane e semisconosciuto, propose al teatro un libretto per un’opera di un solo atto. Il soggetto fu accettato ma assegnato a un altro musicista, Pierre Louis Dietsch, che scrisse Le Vaisseau fantome. Wagner, deluso, rimaneggiò l’opera suddividendola in tre atti e cambiando ambientazione e nomi dei personaggi per proporla al teatro di Dresda, dove fu messa in scena nel 1843. Nella carriera del compositore quest’opera segna la prima drastica presa di distanza dall’opera convenzionale. Abolite le forme chiuse, Wagner crea i primi Leitmotiv, melodie associate a personaggi, oggetti o concetti astratti, leitmotive tutti introdotti nell’ouverture.

L’anteprima giovani è in programma mercoledì 15 maggio alle ore 20.

 

Mara Martellotta