Cosa succede in città- Pagina 8

Liu Zhenyun: “Una frase ne vale diecimila”

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Lo scrittore Liu Zhenyun è in Italia per presentare il suo libro intitolato “Una frase ne vale diecimila”, mercoledì 27 novembre, alle ore 18, presso il MAO di via San Domenico 11, a Torino. Il libro è di recentissima traduzione italiana. Zhenyun sarà a colloquio con Stefania Stafutti della Sezione Sinologica del Dipartimento di Studi Umanistici. Interverranno gli studenti delle scuole medie superiori “A. Spinelli” e “Umberto I” di Torino, e “G.F. Porporato “ di Pinerolo, presentando altre opere dell’autore tradotte in italiano.

L’incontro è gratuito, con prenotazione obbligatoria.


Giovedì 28 novembre, alle ore 10, con un anticipo di 15 minuti, si terrà un incontro gratuito con prenotazione obbligatoria dal titolo “Scrivere di gente comune: Liu Zhenyun racconta le sue opere”. L’appuntamento è presso l’auditorium del complesso Aldo Moro, in via Sant’Ottavio 18, a Torino. In collaborazione con la Sezione Sinologica del Dipartimento di Studi Umanistici e ISA Istituto di Studi Asiatici dell’Università di Torino. Liu Zhenyun è oggi l’autore di maggior successo nel panorama letterario cinese. Molti dei suoi lavori sono pubblicati in italiano, tra cui i più recenti sono “Un giorno, tre autunni” e “I mangiatori di angurie”. In questi giorni esce finalmente, anche nella nostra lingua, forse la sua opera più importante: “Una frase ne vale diecimila”, insignita nel 2006 del Premi Mao Dun, il massimo riconoscimento cinese in ambito letterario. Contribuiscono alla fama dello scrittore le versioni cinematografiche e televisive di molte sue opere, spesso sceneggiate dallo stesso scrittore e diretti da registi di rilievo internazionale e premiati anche fiori dalla Cina. Una breve rassegna dei film tratti dai suoi romanzi sarà presentata a partire dal 2 dicembre prossimo presso il cinema Romano.

 

Mara Martellotta

Pinchas Steinberg per il primo concerto della nuova stagione del teatro Regio

Prende il via mercoledì 27 novembre alle ore 20 la nuova stagione de I concerti 2024 2025 del Teatro Regio, otto serate da non perdere per esplorare la grande musica sinfonica e corale dal Classicismo viennese alle audaci innovazioni del Novecento.

Ad inaugurare la stagione è Pinchas Steinberg, direttore d’orchestra stimato per l’intensità e la profondità delle sue interpretazioni, che guiderà l’orchestra del teatro Regio in un programma intitolato “Mondi”, dedicato ai due massimi compositori boemi, Smetana e Dvorak, che guardano rispettivamente alla MItteleuropa e all’America.

Il concerto si aprirà con due poemi sinfonici tratti dal ciclo ‘La mia patria’ di Smetana, il Castello alto e la Moldava. Queste opere intrecciano storia e natura boeme, celebrandone le radici culturali con straordinaria ispirazione melodica. “Il castello alto” evoca le gioie e le leggende dell’antica fortezza sopra Praga, il Vysehrad, con un tema epico introdotto dalle arpe che culmina nella drammatica caduta del castello. La Moldava descrive il viaggio del fiume dalla sorgente alla città di Praga, alternando immagini sonore di danze contadine, rapide e burrascose e creature fantastiche, fino a concludersi con il tema del Vyserald, simbolicamente unito al corso del fiume. La Moldava è così un poema sinfonico del 1874 che, insieme ad altri cinque poemi, fa parte del ciclo sinfonico ‘Ma vlast’, ossia ‘La mia patria’ e la composizione nacque negli anni della malattia del compositore, quando, a causa di un grande problema uditivo, sorto improvvisamente, stava perdendo quasi completamente l’udito. La prima esecuzione del poema avvenne il 4 aprile 1875.

Seguirà la Sinfonia n. 9 in mi minore op.95 “Dal nuovo mondo” di Antonin Dvorak, composta durante il soggiorno del musicista negli Stati Uniti. Questo capolavoro intreccia l’ariosità dei grandi spazi americani con la nostalgia per la terra d’origine, incarnando lo spirito pionieristico di una giovane nazione. Tra i momenti più celebri figura il Largo, con il suo struggente tema affidato al corno inglese, che riflette una malinconia luminosa e spirituale, mentre il finale (Allegro con fuoco) si distingue per il suo eroico slancio , simbolo di energia e vitalità.

Il ritorno di Pinchas Steinberg sul podio del teatro Regio è atteso sempre con grande entusiasmo, ancor più dopo la valida interpretazione del Trittico Pucciniano che ha concluso la stagione 2024-2025. La sua profonda conoscenza del repertorio operistico e sinfonico lo rende uno dei più apprezzati direttori a livello internazionale.

La stagione dei Concerti proseguirà fino al 9 giugno 2025 con un cartellone che prevede otto appuntamenti dal 27 novembre 2024 al 9 giugno 2025. Quattro con l’Orchestra del Teatro Regio, cui si aggiungerà il Coro del Teatro per due serate, e quattro con la Filarmonica TRT.

Prossimo appuntamento sarà martedì 14 gennaio 2025, con il concerto dal titolo Armonia, che dirigerà James Conlon, tra i più importanti protagonisti della vita musicale internazionale, al suo debutto con l’Orchestra e Coro del Teatro Regio, quest’ultimo istruito da Ulisse Trabacchin. In programma due capolavori intrisi di umanità e speranza, lo Stabat Mater per soprano, Coro e orchestra di Francis Poulenc e la monumentale Sinfonia in re minore di Cesar Franck.

 

Mara Martellotta

Realtà e cinema in Iran, una sorprendente intersessualità in Tunisia

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A caccia di titoli indimenticabili

La parola che più si legge nelle pagine cittadine dei quotidiani torinesi e con le chiacchierate, con il passaparola e le agenzie di stampa – e non soltanto in casa nostra per cui la notizia è doppiamente bella e confortante -, è sold out. Alberghi con un pressoché en plein invidiabile, i ristoranti che sfornano pranzi e cene a gruppi che a fine giornata hanno voglia di riassumere e di discutere, sale e proiezioni a cui devi rinunciare, lamentando in cuor tuo una terza occasione per taluni titoli e la mancanza totale di una previsione rosea, più che rosa da parte dell’organizzazione. Ovvero la mancanza di una sala che recuperi al proprio interno la domanda di un pubblico variegato e credo proprio quest’anno accresciuto – leggeremo le cifre finali con attenzione -, esigente non soltanto di titoli (e quelli non mancano) ma altresì di appuntamenti, una di quelle sale torinesi che, quest’anno, forse per un mancato soddisfacimento della richiesta e dell’offerta, non si sono più prestate. Se la sala del Centrale, per le proiezioni stampa, non va incontro a problemi, non poca parte del pubblico ha già il muso lungo per aver dovuto rinunciare a questa o quella visione, per aver trovato il Romano (3 sale) e Massimo (in egual numero) già zeppe, nonostante i personali tentativi dell’ultimo minuto. I seguaci del concorso principali finiranno col sentirsi defraudati e dei sedici titoli qualcuno mancherà all’appello.

Per i cinefili onnivori è una gran gioia, glielo si legge negli occhi, titoloni scomparsi da tempo e adesso inseguiti – per la retrospettiva di Brando, per cui il direttore Giulio Base non sarà mai troppo lodato, boccone grosso e per molti organizzatori forse irraggiungibile, si va a rincorrere quei titoli da tempo più visti: volendo ripassare il versante drammatico e “da commedia” dell’attore, chi scrive queste note s’è andato, tra vari titoli, a vedere “Un tram che si chiama Desiderio” e “Bulli e pupe” ed è stata ancora una volta una festa – in ogni ora della giornata, per predisporre un’agenda copiosa. E altro ancora: “A casa abbiamo tutti un cassetto – faceva Base la sua bella confessione alle pagine della Rivista del Cinematografo – dove mettiamo cose preziose, importanti, che magari, però non sappiamo bene dove sistemare. Un cassetto dove c’è un po’ di tutto e ogni cosa ha un valore.” Leopardianamente, il direttore ha chiamato quel suo cassetto “Zibaldone”, ci trovi di tutto, da “Caccia a Ottobre Rosso” che è l’occasione per consegnare ad Alec Baldwain la Stella della Mole, o “Pasqualino Settebellezze” grottesco tutto firmato Lina Wertmuller, e allora è la volta del nostro Giannini che si guadagnò una candidatura all’Oscar, o “Un silence si bruyant” dove una bravissima e dolorosa Emmanuelle Béart racconta la violenza subita o “Prova d’orchestra”, ’70 minuti di cinema alto in cui il mago Fellini raccontava il presente e prevedeva il futuro. O “Il Vangelo secondo Matteo” (1964) – e nella presentazione t’aiuta un inarrestabile monsignor Davide Milani, che non smetteresti d’ascoltare, raccontandoti dell’interprete Enrique Irazoqui, capitato a Roma per cercare fondi per la causa antifranchista e scelto da Pasolini al primo sguardo, delle facce scovate tra i Sassi di Matera, vere e sanguigne e antiche, decisamente più vicino a noi dei tanti volti hollywoodiani che la immediatezza di un progetto voleva impiegare, del terrore di incorrere nella giustizia italiana, fresco il ricordo dei guai (vilipendio della religione) sostenuti da Bini e Pasolini due anni prima, ai tempi della “Ricotta”. La voce di Enrico Maria Salerno, la narrazione che segue esattamente quel Vangelo senza nulla aggiungere (“qui non esiste sceneggiatura”, ripeteva Milani), i costumi di Donati e il montaggio di Baragli, le musiche da Bach a Mozart, da Prokofiev alla Missa Luba, proveniente dal Congo, e lo sguardo cinematografico del regista, semplicemente grandioso in quella semplicità che espone scena dopo scena.

Venendo al concorso dei lungometraggi, rose e spine in quasi egual misura, arrivando a oggi. Con “The Last Act” guardiamo al cinema iraniano, il regista si chiama Paymon Shahbod alla sua opera prima, una storia che coinvolge la star del cinema Farzaneh chiamata a interpretare il ruolo di una donna alla ricerca della figlia scomparsa. Molte riprese lungo le strade assolate e tortuose dell’Iran, con la polizia che ti sorveglia e non poche volte ti chiede ragione di quel che stai facendo o cerca un pretesto per farti ritardare o interrompere. Farzaneh si mette in viaggio con il resto della troupe, dovrà girare la scena dell’incontro con la figlia: ma ecco che su quel medesimo autobus il cellulare squilla e le arriva la notizia che la sua vera figlia è scomparsa. Mentre il marito le intima di tornare a casa e di abbandonare tutto quanto, la donna decide di rimanere sul set dove è un continuo ripetere battute e arginare le indecisioni e i consigli sbagliati del regista. Ancora una volta vita e finzione hanno parecchi punti in comune, l’importante è renderli appieno davanti alla macchina da presa e con sempre il regista riesce a rendere chiarezza nel proprio racconto, a delimitarne le aree con sufficiente precisione. Decisamente di poco peso mi pare risulti “Ponyboi” che Esteban Arango dirige mentre River Gallo interpreta scrive e produce. Siamo nel New Jersey, durante la notte di San Valentino, quella dei festeggiamenti e degli amori, quando il protagonista – sembra un diligente impiegatuccio in una lavanderia ma spalanca ai quattro venti le proprie mansioni di “sex worker” – apprende che il padre, da cui ha staccato da circa una decina d’anni, sta morendo. La madre al telefono supplicherebbe una via di riconciliazione ma le strade da prendere quella notte sono altre. Per sprazzi, il passato si mescola in modo troppo convenzionale e ben atteso al presente, quella sua condizione di essere intersessuale continua a bussare alla porta: in più per gradire con gli affetti familiari decisamente deteriorati s’aggiunga un bell’affare di droga e borsate di bigliettoni che vanno in fumo e per sottrarsi al quale niente di meglio che abbandonare più che velocemente l’incantevole New Jersey. “Ponyboi” non è un ritrattino ultramoderno e sanguinoso su cui riflettere, ma un inseguirsi di sequenze già viste mille volte in qualche thriller inserito ina serie non proprio eccelsa.

Le cose vanno decisamente meglio con “L’aiguille” del tunisino Abdelhamid Bouchnak dove, dopo vari tentativi, un bambino verrà messo al mondo all’interno di una coppia, ora veramente decisa e appagata. Se è vero come è vero che quest’anno il TFF raccoglie nel concorso principale storie raccolte al tema della maternità, è pur vero che preziosi interessi sono rivolti alle scelte sessuali o a quella – sconvolgente, innegabile! – intersessualità che troviamo anche in questo film. Nasce “questo” essere umano, il vecchio nonno spinge ai consigli della guida religiosa mentre la nonna si cerca di tenerla all’oscura ma i tempi non possono certo essere lunghi. La cultura è quella musulmana e il padre incarna pienamente un presente maschilista che guarda ai giudizi, agli amici, al domani e che rifiuta del tutto quella nascita. Sarà la madre – la donna – a prendere la decisione di accogliere quell’essere in tutta la propria unicità: nell’ultimo fotogramma Nour, “un nome che va bene per tutti, per maschi e per femmine” – guarda in macchina prendendo lo spettatore a testimone della sua crescita e della sua indipendenza.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Pasolini e il protagonista Enrique Irozoqui durante le riprese a Matera del “Vangelo secondo Matteo” (foto di Domenico Notarangelo), scene tratte da “The Last Act” (Iran), “Ponyboi” (Usa) e “L’aiguille” (Tunisia/Francia).

RivestiTO: innovazione tecnologica e trasparenza per una moda circolare

È stata lanciata, in occasione del Circolar Monday, la sperimentazione per rendere sostenibile e trasparente la raccolta del tessile a Torino. Ogni anno i cittadini e le cittadine europee acquistano quasi 26 kg di prodotti tessili e ne buttano via circa 11.

Una volta dismessi, tuttavia, anche quando vengono smaltiti attraverso la raccolta differenziata, abiti e tessili post consumo sono spesso di bassa qualità e molto difficili da riciclare, rendendo complicato trovare per ciascun capo la giusta destinazione. La maggior parte viene così destinata in Sud America, dove soffocano la produzione artigianale locale e finiscono bruciati, dispersi nei mari o in discariche a cielo aperto. Una situazione che va affrontata, rendendo la raccolta differenziata del tessile nelle nostre città più sostenibile, utile e trasparente, riducendo la portata di questi rifiuti. La Città di Torino ha accolto questa sfida nel quadro di Clima Borough, un progetto finanziato da CINEA e dall’Unione Europea, all’interno della missione “Cento Climate Neutral and Smart Cities”, che coinvolge dodici città europee nella sperimentazione di soluzioni innovative, di pianificazione urbana per la transizione ecologica e digitale verso la neutralità climatica.

Ideato da Atelier Riforma, Mercato Circolare e Huulke, a Torino è nato il progetto RiVestiTO, presentato alla cittadinanza durante il Circular Days, il festival della circolarità di Greenpea lanciato lunedì 25 novembre in occasione del Circular Monday, il movimento internazionale che promuove pratiche di riuso e consumo responsabile. Il progetto si pone di rendere trasparente ed efficiente la raccolta dei prodotti tessili dismessi nella città di Torino, indirizzandoli verso le modalità di valorizzazione più idonee e sostenendo pratiche di riuso, incentivando un circolo virtuoso di economia circolare.

“In un mondo in cui le risorse sono limitate è assolutamente urgente mettere in atto strategie per sfruttare al meglio i prodotti tessili già esistenti, con pratiche virtuose di economia circolare – dichiarano Elena Ferrero e Nadia Lambiase, amministratrici di Atelier Riforma e Mercato Circolare – RiVestiTO è una sperimentazione ambiziosa, volta a portare un cambiamento sostanziale nell’attuale modalità di gestione dei tessuti usati, afflitta da sprechi, inquinamento, poca trasparenza verso i cittadini, e da una normativa con diverse zone grigie”.

Il progetto si distingue per l’utilizzo di strumenti tecnologici innovativi:

-Re 4 Circular – sviluppato da Atelier Riforma, un’applicazione che attraverso l’IA aiuta gli enti che raccolgono vestiti usati a classificarli e digitalizzarli per poi ridestinarli a professionisti e aziende che praticano il riutilizzo upcycling e il riciclo di tessili.

-App Mercato Circolare – mette in connessione utenti e realtà che pensano e operano secondo i principi dell’economia circolare, incentivando una rete virtuale in cui domanda e offerta si incontrano. Il progetto mapperà e individuerà le realtà del territorio che raccolgono indumenti e tessuti usati, a cui sarà fornito lo strumento tecnologico Re 4 Circular. La piattaforma di quest’ultimo è collegata a un Marketplace B2B che mette in contatto chi raccoglie il materiale tessile con le imprese, artigiani e artigiane disponibili a utilizzarlo e valorizzarlo. Un capo perfetto sarà destinato a negozi di vintage o seconda mano, uno con piccoli difetti, cosiccome tessuti di rimanenza di aziende tessili, potrà essere trasformato da artigiani, artigiane e sartorie attraverso l’upcycling. Uno molto danneggiato, ma idoneo al riciclo tessile, sarà destinato a ottenere nuovi filati e tessuti, mentre i materiali non recuperabili potranno essere indirizzati ad aziende specializzate nella produzione di prodotti isolanti per l’edilizia o altro. Tutto in completa trasparenza, tracciando ogni materiale.

 

Gian Giacomo Della Porta

La gentilezza digitale

Serena Fasano, delegata per il Piemonte e la Valle D’Aosta di UNA, Aziende per la Comunicazione Unite, e partner della agenzia Instant Love ci parla di educazione in rete.

Il 13 novembre scorso è stato il giorno della gentilezza, un tema di cui si parla molto con l’obiettivo di contrastare questo clima di discordia, ma anche di ingiurie e violenza verbale, facilmente riscontrabile sui social media o in televisione, che rappresenta lo specchio di un fenomeno proprio della mondo reale odierno.

Perchè si parla sempre di più di gentilezza, anche al mondo digitale?

Il tema della gentilezza si sta affacciando in maniera piu’ consistente all’interno del mondo della comunicazione, se ne parla maggiormente perchè ci si è resi conto che è necessario sempre di più educare e rendere consapevoli le persone di tutta una serie di regole e di condotte proprie della relazione, sia nel mondo reale che digitale. Il fine è di contrastare l’attuale approccio caratterizzato da una forte attitudine all’egoismo, all’individualità e soprattutto al conflitto, spesso spietato; è come se si fosse sviluppata nel tempo una grande angoscia che impedisce un confronto sano con gli altri, si pensa a difendere il proprio spazio, le proprie idee, anche con veemenza.

La gentilezza rappresenta ancora un valore?

Attualmente purtroppo modi garbati e buone maniere sono associati, spesso, alla debolezza, soprattutto nei confronti di noi donne. È necessario credere, invece, che un approccio cortese non corrisponde ad una mancanza di fermezza, non è fragilità, è un metodo che facilita le relazioni, il lavoro e lo scambio. Non è sempre spontaneo applicarla, a volte bisogna fare uno sforzo perchè è più facile usare toni duri e arrabbiarsi, ma impegnarsi ad essere cordiali e anche empatici è determinante, migliora noi stessi e l’ambiente circostante. Questo vale anche per il digitale dove i dialoghi aspri sono molto frequenti soprattutto sui social come Facebook, che ha avuto una evoluzione negativa: all’inizio era una magia, un luogo dove ritrovare persone e pubblicare belle immagini iconiche, in seguito si è trasformato in una piattaforma per polemizzare e discutere, è diventato una sorta di sfogatoio oltre ad un veicolo di fake news. Ora sta affrontando un nuovo passaggio legato alle creazione di community intorno ad interessi specifici: speriamo che questa possa essere un’evoluzione più pacata.

Qual è la strada da percorrere per attuare un cambio di rotta e ripristinare il principio del dialogo sano?

L’educazione digitale e la consapevolezza. Capire le dinamiche che sono dietro al mondo digitale, osservare con un occhio obiettivo il suo funzionamento e capirne le regole aiuterebbe ad utilizzarlo in maniera cosciente. La formazione è uno ausilio essenziale per acquisire gli strumenti per una corretta navigazione: usare toni e parole giusti, non rispondere alle provocazioni, non alimentare polemiche. Sono necessari codici comportamentali che si possono diffondere solo attraverso l’educazione, a cominciare dalle scuole. Le regole delle buone maniere devono avere il sopravvento sugli impulsi più bassi che sul web hanno terreno fertile, è essenziale un cambio culturale.

MARIA LA BARBERA

Francesco Salamano e la moda maschile: l’eleganza al tempo del Vintage

Oggi 26 novembre a Camera la presentazione del libro “Manuale di moda maschile vintage:” di Francesco Salamano con l’accompagnamento di Mario Calabresi.

Si definisce “torinese con la valigia”, ma Francesco Salamano è anche un esperto di comunicazione e docente universitario in istituti come IED e Marangoni dove insegna materie legate alla sua professione, dunque marketing e comunicazione ma anche legate alla moda e alla storia dei costumi. Io l’ho incontrato in qualità di saggista ed esperto di moda vintage maschile dal momento che martedi 26 novembre presenta presso Camera il suo libro “Manuale di moda maschile vintage: guida per avere uno stile perfetto”, edizioni Demetra.

Francesco come nasce la sua seconda anima, quella di esperto di moda.

 

Dal piacere e dall’interesse verso la moda, perché è sempre stata una mia passione sin da ragazzino.  Mi piacevano determinati capi, mi piaceva il vestito in una certa maniera, e negli anni si è sempre più sviluppata questa passione che mi ha portato a ricercare, approfondire, a capire, e poi il mio interesse si è spostato verso il vintage, perché nel vintage c’era anche tutta una parte legata al passato, alla memoria, al ricordo. E tutto ciò è confluito nel mio libro che non è un libro solo di moda, ma è un libro legato alla cultura pop, ai riferimenti culturali legati al concetto di vintage che io sintetizzo in tre parole: etico, estetico ed esclusivo. Etico, perché in qualche modo il vintage si oppone al fast fashion. Lo spreco aiuta a ridurre l’impatto estetico, poiché i capi vintage erano progettati per durare più a lungo, erano realizzati meglio, rifiniti con maggiore cura, e spesso anche più belli dal punto di vista estetico. È talmente vero che molte aziende stanno lavorando volontariamente sul concetto di archivi. Infine, esclusivo, ma non nel senso negativo del termine, bensì come qualcosa che si oppone alla massificazione e all’omologazione, perché ogni capo vintage è unico, irripetibile, e non può essere replicato.

C’era davvero bisogno di un libro sulla moda maschile? Mi consenta la provocazione: ma la moda da uomo è davvero creativa?

Questo libro non è rivolto solo agli uomini né si limita all’eleganza maschile, ma esplora la cultura pop in generale, toccando argomenti come cinema, letteratura e musica. Anche una donna che non sia interessata alla moda maschile potrebbe trovare interessanti leggere storie e curiosità su questi temi. E poi, la moda è una fusione di influenze, anche tra i generi. Molti capi maschili sono diventati femminili e la moda femminile ha attinto dalla tradizione maschile. Esempi noti includono Saint Laurent con lo smoking femminile, Coco Chanel con le giacche in tweed, e Armani con il suo tailleur. Hanno dato vita a una moda elegante che partiva dagli abiti sartoriali maschili. Quindi perché no. Certo, forse adesso che si parla anche di fluidità esasperata dove vedi un Mahmood che va sul palco con la gonna e ormai è normale, forse te lo aspetti di più un manuale di moda anche maschile.

Diciamo che il binomio vintage moda maschile mi ha fatto chiedere se davvero c’è così tanta creatività? A quanto pare sì.

Diciamo che per certi versi la moda maschile è anche più creativa di quella femminile. Mi spiego meglio con un altro esempio: il fishtail parka, quello con le code a pesce, è stato uno dei campi più usati anche dagli stilisti per la moda femminile, o il bomber, altra giacca militare, eppure sono diventati di uso comune anche per le donne,  quindi anche nel casual ci sono state delle contaminazioni molto forti. Ritornando al concetto di creatività, la moda maschile nasce in modo funzionale, da capi nati per la guerra o per il lavoro, uno per tutti il jeans, ma che poi hanno travalicato il loro settore di riferimento finendo in mondi completamente diversi. Questo è creativo e allo stesso tempo disruptive, se ci si pensa.

Quando parla di cultura pop, il primo nome che mi viene in mente è Elio Fiorucci, a cui è stata dedicate una mostra attualmente in corso a Milano.

 

Fiorucci è presente nel mio libro, nel capitolo dedicato al denim dove c’è anche una sua bellissima foto, perché intanto è stato il primo a creare una sorta di concept store. E poi perché è stato lo  stilista-artista pop per eccellenza, accanto a nomi quali Andy Warhol, Keith Haring. Infine per la genialità di uno stilista che è riuscito nell’impossibile, cioè vendere i jeans agli americani.

Dopo anni di loghi in bella vista, oggi, soprattutto su TikTok, la Gen z ha scoperto lo stile “old money” che richiama l’alta società dove eleganza significa sobrietà. Si tratta di uno stile d’altri tempi, che ricorda i Kennedy o gli Agnelli, fatta di capi di ottima fattura, senza loghi, mai sopra le righe. Come se lo spiega?

Ma intanto, corretto o sbagliato che sia, lo stile old money porta con sé un’idea di ricchezza non esibita, e non solo di ricchezza, anche di potere, di successo, perché old money indica coloro che non hanno fatto i soldi, ma che li hanno ereditati. Il concetto dell’old money è anche legato a un’idea di successo che non ha bisogno di dimostrare nulla, quindi quel minimalismo, ma che in realtà non è minimalismo, che sfocia nell’autorevolezza. È un lusso dichiarato senza bisogno di urlare.

Mi sono però persa il passaggio dal capo firmato con il brand ben visibile in modo che sai che quel capo è costoso, alla scelta di abiti o accessori apparentemente anonimi, fatti benissimo, ricercati, ma che se non lo sai, non ti rendi conto del valore che hanno.

Potremmo ragionare sul fatto che lo stile old money vive anche di riferimenti culturali, legati al passato, legati a personaggi, legati a un certo tipo di stile, a un certo tipo anche di accessori, marchi, orologi. Quindi capi ed elementi intrisi di storia che in qualche modo comunicano. La seconda spiegazione è che forse si passa dal bisogno della griffe per comunicare sé stessi alla voglia di comunicare sè stessi e basta. Non serve più un ambasciatore che comunica chi sei, indossi qualcosa che ti permette di comunicare la tua personalità e il tuo io senza intermediari.

Mi fa venire in mente la frase “Vesti male e noteranno il vestito, vesti bene e vedranno la donna” di Chanel, che chissà perché io ho sempre associato all’eleganza di  Armani.

Ti ringrazio del complimento, perché citi Armani, un mostro sacro della moda. Parliamo di uno stilista che ha fatto 122 film, cioè costumi per film, tra cui Intoccabili, American Gigolo a Bastardi Senza Gloria. E nell’Olimpo della moda ci metto anche Ralph Lauren perché mi trovo più nel mondo vintage maschile rispetto a quello di cui stiamo parlando. E in più perché Ralph Lauren ha avuto la capacità di contaminare mondi completamente differenti, dal country americano allo stile inglese, dal mondo dell’etnico allo stile italiano, e questo forse è più unico che raro.

Come si fanno a trovare pezzi vintage da aggiungere al proprio armadio? Da dove parto?

Intanto documentarsi aiuta perché aiuta a capire, a scegliere, perché almeno uno non sceglie solo il proprio stile, ma anche i propri riferimenti culturali e ciò in cui desidera riconoscersi. Poi, io credo in un vintage, passami l’aggettivo, democratico. Io vedo molto spesso influencer che mostrano un vintage molto poco accessibile, fatto per pochi, ma in realtà, partendo da un certo tipo di ricerca, anche un certo tipo di buon gusto, il vintage può essere estremamente accessibile. Il che non vuol dire, a rovescio, che visto che il vintage è estremamente di moda si debba giustificare quei mercatini dove si compra a kilo, dove paghi poco ma compri anche male. Poi se sei fortunato lo trovi anche un pezzo, è capitato anche a me. Tornando alla domanda, trovi il vintage nei mercatini, anche col divertimento e la voglia di scoprire e poi c’è il web che ti permette di cercare in tutto il mondo. Uno degli ultimi capi che ho preso, l’ho comprato da un venditore thailandese. Si tratta di una giacca double face anni ‘50 che appunto ho trovato in Thailandia.

E a Torino dove possiamo cercare?

C’è Piazza Benefica, ogni tanto c’è il mercato della Gran Madre, ma diciamo che io, forse anche per la tipologia di capi, che sono più internazionali, pesco molto all’estero, sia nei mercati delle città che visito, perché, come sempre, il viaggio è nell’accezione larga, non soltanto del viaggio stesso, ma di tutto quello che l’esperienza del viaggio ti porta. E quindi, anche i mercatini in giro nel mondo, per esempio in America, le vendite nei cortili, in certe scuole, sono estremamente affascinanti. Anche perché lì trovi veramente l’inaspettato.

Quali sono i pezzi must-have da uomo o da donna? Quali sono i capi da cercare per costruire il nostro archivio personale? 

Per l’uomo, secondo me, direi un giaccone militare, che può essere di tanti generi, dall’M65 classico, al parka, alla giacca da ponte della Marina Americana, puoi scegliere quello che preferisci ma sicuramente un giaccone militare è un capo che va su tutto. Ed è talmente vero che io oggi sono in abito formale e ho una giacca militare degli anni 50. Poi, direi un giubbotto in pelle, il chiodo che va bene sia per l’uomo che per la donna, il cardigan, che è un altro di quei capi pieni di storia, rassicurante e senza tempo. Pensa che nasce come capo maschile e militare, dal Conte di Cardigan, durante la guerra in Crimea, e diventa poi capo femminile con Coco Chanel, a proposito di femminilità e moda che si contamina. E ancora il jeans, sembra banale dirlo, ma quale capo più rivoluzionario e che ha cambiato maggiormente le nostre vite del jeans?

 

E da donna?

Come ho già detto il chiodo, e se parliamo di qualcosa di assolutamente trasversale direi un cappotto ampio da uomo. Cito il cappotto di cammello che mi fa pensare a Marlon Brando in Ultimo Tango a Parigi e che io trovo su una donna estremamente sexy, magari oversize.

 

Trovo insolita questa scelta. Mi sarei aspettata il little black dress, il tubino nero, per una donna.

 

Ma io uscirei un po’ dallo stereotipo della femminilità, come dire, che ti aspetti. In realtà la femminilità, come tu sai molto bene è un’attitudine, quindi è quello che indossi che fa la differenza. Ci sono uomini che riescono ad essere completamente ineleganti, pur essendo vestiti perfettamente, perché sono, passami il termine, finti. Allo stesso modo una donna può essere estremamente sexy in t-shirt e jeans, che sono due capi all’origine molto maschili, e non esserlo in tubino nero.

Se dovesse nominare un torinese elegante, a chi penserebbe? 

È difficile, molto difficile. E poi, come sempre, mi metteresti in difficoltà perché sai che i torinesi sono anche molto permalosi, per cui rischierei di offendere qualcuno. Sinceramente non farei nomi perché il gentleman non dovrebbe esserlo solo per l’estetica e l’educazione, ma anche per l’approccio che ha rispetto alla vita.

Questa è una risposta molto elegante e molto torinese.

(Salamano scoppia a ridere) Hai ragione! Lasciami però aggiungere che io non sono affatto giudicante. Non ho la pretesa che la gente si vesta come piace a me. Piuttosto mi infastidisco davanti all’ostentazione della ricchezza, dello status symbol perché è l’antitesi di ciò che vedo e comunico. Io ritengo ognuno debba esprimere la propria personalità e la propria attitude, altrimenti si rischia l’omologazione al contrario, la sterilizzazione culturale.

È un bel messaggio quello lasciato da Salamano che ci fa comprendere come lo stile è qualcosa che ci creiamo, pescando tra mode che travalicano i confini del tempo e dello spazio. Lui sembra girare con una valigia invisibile piena di ricordi e aneddoti, gli stessi che ha cercato di comprimere nel suo libro. E questo libro arriva come una bella strenna natalizia da regalare a chi ha già tutto ma che ogni volta che apre l’armadio esclama: non ho niente da mettermi.

Lori Barozzino

Angelina Jolie conquista Torino

La diva si è prestata con gentilezza all’assedio dei fan concedendo autografi ieri alla Cavallerizza. Angelina Jolie ha conquistato Torino in occasione della sua partecipazione al Torino Film Festival.

Tra giornalisti e fotografi è stata accolta dal direttore  del Tff Giulio Base dal presidente Enzo Ghigo e dal direttore Carlo Chatrian del Museo del Cinema.

Lo scrittore Alessandro Baricco le ha consegnato il premio Stella della Mole. Al Cinema Ideal  l’attrice ha presentato il suo film Without Blood, tratto dal romanzo dello stesso Baricco Senza sangue

Su Instagram del “Torinese” il video della Jolie  tra i fan torinesi. Niente selfie come da sua richiesta ma un bagno di folla e tanti autografi.

25 novembre, Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne: le iniziative a Torino

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La Città di Torino, costantemente impegnata nel promuovere e sostenere iniziative di prevenzione e contrasto alla violenza di genere, anche quest’anno aderisce alla “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, ricorrenza internazionale istituita nel 1999 dalle Nazioni Unite.

Per celebrare l’importante appuntamento del 25 novembre, l’amministrazione comunale, attraverso il Servizio Pari opportunità della Città e in collaborazione con le associazioni e gli enti aderenti al Coordinamento Contro la Violenza sulle Donne (CCVD), realizzerà alcune attività di informazione e sensibilizzazione.

“La libertà è in piazza. Contro la violenza di genere nello spazio pubblico” è il titolo del seminario dedicato ad approfondire il tema della diffusione delle molestie e della violenza contro le donne nello spazio pubblico, e di come la pianificazione urbana, unita ad iniziative e progetti mirati, possano contribuire a ridurre la paura delle donne nell’attraversare questi spazi. L’incontro si svolgerà lunedì 25 novembre, dalle ore 9.30 alle 12.30 nella Sala Conferenze del Museo Egizio, in via Maria Vittoria 3M. La partecipazione è gratuita, previa prenotazione tramite il portale di Eventbrite e fino ad esaurimento posti. A sostegno dell’evento è stata predisposta una campagna di comunicazione con manifesti e locandine elettroniche visibili sui mezzi di trasporto pubblico di superficie di GTT.

“La violenza contro le donne è un fenomeno profondo e diffuso, radicato nella cultura patriarcale, che trova nel femminicidio la sua forma più drammatica, ma si manifesta quotidianamente in atti e parole di abuso, sia dentro che fuori le mura domestiche – afferma Jacopo Rosatelli, assessore ai Diritti e alle Pari opportunità della Città di Torino -. Per contrastarlo, è necessario un impegno continuo, in cui istituzioni, movimenti femminili e femministi e servizi specializzati collaborano insieme. È fondamentale, quindi, il lavoro culturale, l’attenzione al dibattito pubblico e la creazione di un immaginario libero da stereotipi. In questa direzione va il lavoro dell’amministrazione, che ha già creato una rete di servizi per supportare le donne vittime di violenza e aiutarle a percorrere strade di autonomia, e che continuerà ad impegnarsi per rendere sempre più efficace e consapevole l’azione dei servizi comunali coinvolti. Ne è un esempio la formazione in corso su 450 dipendenti amministrativi neoassunti della Città, inerente proprio il benessere organizzativo e la violenza di genere”.

Nel pomeriggio del 25 novembre la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne vedrà poi un momento di celebrazione istituzionale nella Sala Rossa di Palazzo Civico, prima dell’inizio della consueta seduta del Consiglio Comunale.

A partire dalle 14.30 sarà il turno di un’altra iniziativa, anch’essa ospitata dal Museo Egizio, a cura del Comitato Unico di Garanzia (CUG) della Città di Torino e in collaborazione con la Rete Cittadina dei Comitati Unici di Garanzia e con la Divisione Cultura della Città, rivolta alla sensibilizzazione del personale del Museo stesso e a quello dei Comitati dei 15 enti appartenenti alla Rete.

Sempre il 25 novembre la Bottega InGenio, che dal 2001 fa da vetrina esponendo e raccontando le opere d’arte e d’ingegno realizzate da persone con fragilità nei laboratori di attività dei servizi gestiti dal Comune di Torino, ospiterà l’artista Grazia Inserillo. L’appuntamento vedrà la realizzazione simbolica di un arazzo in lana rossa e nera del diametro di circa un metro e mezzo, che sarà assemblato in modalità corale assieme a tutti i cittadini che con questo gesto vorranno dire “No” alla violenza sulle donne, e che sarà esposto per tutta la giornata nella vetrina della Bottega in via Montebello 28/b.

Il servizio Passepartout, che raccorda le iniziative a favore dei cittadini con disabilità fisico-motoria, ospiterà poi nel pomeriggio un aperitivo informativo. L’evento prevede interventi di esperti, testimonianze e performance teatrali e musicali. L’appuntamento è alle ore 18 in via San Marino 22.

La sera del 25 novembre, a chiudere la Giornata di celebrazione, sarà cura invece di Iren l’illuminazione della Mole Antonelliana, che si tingerà di arancione in adesione della Città di Torino alla campagna internazionale “Orange the World”, promossa dall’Onu contro il fenomeno della violenza di genere: un segnale per ribadire, attraverso il suo monumento simbolo, che Torino è presente in questa battaglia di diritti e giustizia.

A queste iniziative se ne aggiungono alcune che, già sperimentate negli anni passati, vengono riproposte per mantenere un’elevata visibilità e raggiungere quante più persone possibile. Tra queste l’adesione alla campagna “Posto Occupato”, che si realizzerà posizionando in luoghi ad alta frequentazione di pubblico un cartello su una sedia vacante per ricordare l’assenza di una donna vittima di femminicidio: è quanto avverrà, ad esempio, su una delle poltrone in ognuna delle sale di proiezione del Torino Film Festival, dove sarà tenuto anche un breve discorso sul tema e che quest’anno ha aderito alla Giornata Internazionale su impulso dell’Ufficio Pari Opportunità della Città di Torino.

Ricchissimo anche il calendario delle proposte delle associazioni aderenti al CCVD e non solo, che sul territorio organizzano momenti di approfondimento e confronto, raccolti in un unico opuscolo disponibile online e in continuo aggiornamento.

È tempo di scacchi sotto la Mole

 

di Giuseppe M. Ricci

 

È tempo di scacchi a Torino, dove tra il 26.11 e il 7.12 si svolgerà la più importante manifestazione dell’anno per l’Italia, il Campionato Assoluto 2024 (https://www.ciascacchi2024.it/).

Accade tuttavia che in questo mese di Novembre si avvicendino nella nostra Città, sempre più glamour, attrattiva e dunque amata, eventi di grande importanza e risalto come le ATP Finals e la 42a edizione del Torino Film Festival. Inutile dire che non c’è competizione… ma mettere insieme è meglio che dividere o contrapporre. E dunque, dopo l’abbinamento tra tennis e scacchi (https://www.ciascacchi2024.it/2024/11/14/tennis-e-scacchi-2024-strategie-a-confronto-nelle-atp-finals-e-nel-campionato-italiano-assoluto-di-torino/) ecco questa volta, a riprova di quanto gli scacchi siano trasversali, qualche appunto sul legame tra cinema e scacchi, sicuramente affascinante e ricco di sfumature.

Entrambi sono forme di espressione intellettuale e artistica, capaci di esplorare le profondità della mente umana e di raccontare (e, prima ancora, vivere nella realtà o sulla scacchiera) storie avvincenti di strategia e creatività.

Gli scacchi nel cinema

Gli scacchi hanno spesso trovato spazio nel cinema come metafora di sfide esistenziali, conflitti psicologici o battaglie morali e di riscatto, come nel film The Dark Horse (2014), ispirato alla vita di Genesis Wayne Potini, che lottando col suo bipolarismo aprì in Nuova Zelanda un circolo per i bambini disagiati col motto che “ogni giorno è un buon giorno per imparare”.

Ma la partita a scacchi per antonomasia e rimasta a tutti nella memoria è nel film Il settimo sigillo del Maestro Ingmar Bergman (1957), quando il cavaliere Antonius Block di ritorno dalle Crociate nelle sue varie peripezie si ritrova a giocare una partita a scacchi con la Morte, in una scena che è diventata iconica per la sua intensità simbolica.

Un altro bellissimo film è Sotto scacco (Searching for Bobby Fischer del 1993), basato sulla storia di un giovane prodigio degli scacchi, Joshua Waitzkin, dove si esplora la complessità del talento precoce e le pressioni di varia natura associate al successo, un tema che ritroviamo in molte altre storie anche di sport o di musica.

E poi, ovviamente, The Queen’s Gambit (2020), la serie televisiva che, grazie anche alla splendida interpretazione di Anya Taylor-Joy, ha determinato un nuovo “big-bang” per gli scacchi, quale non si ricordava dai tempi della sfida di Reykjavik tra Fisher e Spassky. La storia di Beth Harmon, la giovane scacchista che lotta contro dipendenze e convenzioni sociali negli anni ’60, ha infatti riportato gli scacchi al centro dell’attenzione globale, ispirando migliaia di nuovi adepti.

Per tutti la serie è nota come La regina degli scacchi, ma in effetti il titolo italiano è rubato ad un altro bel film del 2002 di Claudia Florio con Barbora Bobulova, che narra il dramma di una ragazza adottata tra ossessione per gli scacchi e ricerca della madre naturale.

Attori scacchisti

Molti attori e attrici sono stati appassionati di scacchi trovandovi una fonte di relax, stimolo mentale e ispirazione creativa. Tra tutti spicca la leggenda di Hollywood Humphrey Bogart, che aveva imposto la sequenza di una partita in “Casablanca” (1942 e v. https://unoscacchista.com/2017/09/21/maestro-humphrey-bogart/). Bogie (il nickname affibbiatogli da Spencer Tracy) frequentava l’Hollywood Chess Club ed era anche un forte giocatore. Si ricorda una sua patta con il GM Samuel Reshevsky, sia pure in simultanea, disponibile al link https://www.chess.com/blog/ThummimS/humphrey-bogart-and-chess. Qui sotto, l’attore con gli amori della sua vita…

Un altro grande appassionato è Woody Harrelson, noto per il suo talento istrionico e film come “Proposta indecente”, “Non è un paese per vecchi” dei fratelli Cohen, la serie di “Hunger Games”. Harrelson adora essere coinvolto in eventi scacchistici, inclusa l’inaugurazione di partite durante tornei internazionali.

Anche Rachel Weisz, vincitrice dell’Oscar per “The Constant Gardener” (2005), ha dichiarato di amare gli scacchi. La moglie di Daniel Craig ritiene – giustamente – il gioco degli scacchi come un esercizio mentale perfetto per stimolare la creatività.

Infine, chi direbbe che ad Arnold Schwarzenegger piace alternare la lotta a cazzotti con sfide mentali, ma non meno accese e accanite sulla scacchiera? Eppure, si giura che è stato visto giocare a scacchi con i colleghi sul set e spesso ha espresso la sua predilezione per gli scacchi che rifletterebbe il suo approccio strategico e per così dire muscolare alla carriera e alla vita.

Il fascino di una sfida senza tempo

Insomma, scacchi e cinema condividono un linguaggio universale, destinato a piacere senza pregiudizi di barriere culturali o sociali. Entrambi propongono un equilibrio tra disciplina e immaginazione, tra intuizione e logica, che ne rappresentano il fascino. Questa affinità spiega perché il gioco degli scacchi sia stato così spesso rappresentato nelle storie cinematografiche e perché molti attori vi trovino un passatempo gratificante.

Che si tratti di una partita simbolica tra la vita e la morte o di un torneo in cui si giocano i destini personali, gli scacchi continueranno a ispirare anche registi e attori, dimostrando che l’arte e il pensiero strategico possono convergere in modi straordinari.

E se non vi sentite abbastanza bravi? Beh, non dimenticate che anche Woody Allen (nei panni di Alvy Singer in “Io e Annie”) era stato escluso dalla squadra di scacchi per la sua statura…