Dal SAPPE – Polizia penitenziaria riceviamo e pubblichiamo
Si è vissuta ancora una giornata di “passione” nella Casa circondariale di Torino, periodicamente al centro delle cronache per i gravi episodi di violenza che accadono ‘tra le sbarre’. Su quanto è avvenuto nelle ultime ore riferisce Vicente Santilli, segretario regionale per il Piemonte del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria:“Sono stati momenti di tensione nel pomeriggio di ieri alla Casa Circondariale di Torino, quando intorno alle 14.00 un detenuto di nazionalità rumena, durante la permanenza nei cortili esterni, è riuscito ad arrampicarsi prima su un muro divisorio, poi sulle grate che fiancheggiano le pareti dei padiglioni detentivi raggiungendo il tetto del terzo piano del padiglione C. Immediatamente è scattato l’allarme che ha fatto intervenire il Vice Comandante ed anche i vigili del fuoco che, dopo una professionale e sensibile opera di persuasione, sono riusciti a convincere il detenuto a porre fine alle proprie intenzioni”.
Santilli spiega che “sono ancora in corso gli accertamenti sulle ragioni che hanno portato il soggetto a un tale gesto ma parrebbe che i motivi siano futili e legati all’accesso da parte sua a terapie farmacologiche. Abbiamo tuttavia anche appreso che si tratta di una persona entrata in carcere da appena un mese e con una pena da scontare di tre mesi per il reato di falsità ideologica. Come sindacato non possiamo esimerci dal domandarci se il carcere possa e debba essere l’unica risposta dello Stato al compimento di un reato di portata così irrisoria”.
Apprezzamento per la professionalità dimostrata dai poliziotti penitenziari di Torino arriva anche da Donato Capece, segretario generale del SAPPE, che si dichiara però “perplesso” per la presenza fisica in carcere di una persona con una pena così breve da scontare. Per il leader del primo Sindacato del Corpo, infatti, si rendono necessari alcuni interventi urgenti per fronteggiare la costante situazione di tensione che si vive nelle carceri italiane: “Si potrebbe ipotizzare un nuovo sistema penitenziario articolato su tre livelli: il primo, per i reati meno gravi con una pena detentiva non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale è l’istituto della “messa alla prova”; il secondo livello è quello che riguarda le pene detentive superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare. Il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario”, conclude. “Nell’ambito delle prospettive future occorre dunque che lo Stato, pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema, anche perché il sovraffollamento impedisce di fatto la separazione dei detenuti. E la Polizia penitenziaria, che riteniamo debba connotarsi sempre più come Polizia dell’esecuzione penale oltreché di prevenzione e di sicurezza per i compiti istituzionali ad essa affidati dall’ordinamento, è sicuramente quella propriamente deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative”.