ilTorinese

Stéphane Braunschweig tra realtà e sogno per la Grande Illusione di Donn’Anna Luna

La vita che ti diedi” sul palcoscenico del Carignano sino al 28 aprile

Luigi Pirandello scrisse “La vita che ti diedi” – la definì “tragedia” – traendola da tre delle sue numerose novelle: “I pensionati della memoria” (1914, “Fanno finta d’essere morti, dentro la cassa.

O forse veramente sono morti per sé. Ma non per me, vi prego di credere! Quando tutto per voi è finito, per me non è finito niente.”), “Colloqui coi personaggi” scritta nel ’15 all’indomani della morte della madre e “La camera in attesa” (1916), la madre e le sorelle di un soldato scomparso al fronte, che non hanno la certezza della sua morte, continuano a preparargli la camera in attesa del suo ritorno (“Voi lo sapete bene, ora, che la realtà non dipende dall’esserci o dal non esserci d’un corpo. Può esserci il corpo, ed esser morto per la realtà che voi gli davate. Quel che fa la vita, dunque, è la realtà che voi le date.” Una “tragedia” destinata alla Duse che tuttavia la rifiutò, per cui se ne impossessò Alda Borelli che la rappresentò nel febbraio del ’23 al Quirino di Roma.

Il rapporto madre-figlio, un personaggio, Fulvio, un ragazzo di cui si parla molto ma che non comparirà mai in scena, il suo ritorno nella casa dopo averla abbandonata per sette anni, per inseguire in terra di Francia un amore e una donna che là già aveva un marito e due figli e una vita chiusa in una unione infelice. Fulvio è tornato per morire, ma per Donn’Anna non è quell’ultimo giorno di vita ad averle strappato ogni lacrima, non è ha più di lacrime, le ha consumate il giorno in cui quel figlio se lo è visto tornare, cambiato, irriconoscibile, un altro da come era nei suoi ricordi. Quindi la madre stringerà quell’immagine, e quella realtà, che ha del figlio: “Ma sì che egli è vivo per me, vivo di tutta la vita che io gli ho sempre data: la mia, la mia; non la sua che io non so! …E come per sette anni gliel’ho data senza che lui ci fosse più, non posso forse seguitare a dargliela ancora, allo stesso modo?” Tre atti a svolgere da parte di una madre e a capovolgere da parte di chi le sta accanto un grumo centrale che non poche volte richiederebbe un po’ più di respiro (il testo e le sue rappresentazioni, davvero non molte, nel corso di un secolo – nella memoria una con la regia di Castri e una grandiosa Moriconi -, non ebbero mai il successo che Pirandello si sarebbe augurato), di alleggerire quello svolgimento a tratti ansimante, rotto, frastagliato: giù giù sino all’arrivo della donna amata e della madre di lei, l’una annichilita dinanzi alla notizia, finalmente svelata, della morte di Fulvio e lei costretta a confessare di aspettarne un bambino, l’altra decisa con estrema e pratica razionalità a riportarsela a casa. Un intreccio che Roberto Alonge, nella sua “Introduzione” al testo pubblicata da Mondadori nel 1992, definisce “tragedia astratta”, esplorandola oltre l’autore e analizzandola in quel “labirinto di specchi” in cui Fulvio è vittima, psicanaliticamente con la propria fuga dall’accentramento materno per ricadere in un innamoramento verso una donna che ricalca con esattezza “un doppio evidente della madre”. Quel figlio “accudito” dentro di sé verrà a scomparire, a morire davvero, si scioglierà la finzione di una vita ancora presente, Donn’Anna non potrà più vivere con la “propria” certezza e “come se” il figlio fosse ancora vivo: nell’ultimo attimo non potrà che disfare, in un ambiente che non ha più ragion d’essere e che è diventato come l’involucro rarefatto di un sogno, il letto in cui ha dormito Fulvio e in cui è stato deposto.

Materia più che pirandelliana, verrebbe da dire, magari con poco rispetto. Difficile, avvolta e riavvolta, una donna a cui non siamo forse oggi preparati e che in maniera granitica cerca di coinvolgerci nel proprio carico di sicurezza, nella necessità di illusione, quotidiana, forte, senza alcun ripensamento. Il regista Stéphane Braunschweig, direttore artistico dell’Odéon parigino e ospite della stagione del Teatro Stabile Torinese – Teatro Nazionale, già prolifico ricercatore per precedenti direzioni all’interno del territorio pirandelliano, direi che (in)seguendo la piana chiarezza delle parole dell’autore che scavalcano la complessità dello svolgimento, costruisce e offre sul palcoscenico del Carignano (repliche sino al 28 aprile) uno spettacolo di prim’ordine, concertando con estrema esattezza il percorso della Grande Illusione. E, facendosi carico dell’aspetto visivo, dà forma ad un ambiente realisticamente inteso, delimitato, suddiviso tra proscenio e interno, fatto degli oggetti di ogni giorno, di vita e di ricordi, sino a giungere a quella rarefazione finale – bellissima – di cui s’è detto.

Nel risultato positivo e affascinante della sua messa in scena, ha raccolto e guidato con occhio felicemente attento un terzetto d’attrici che sono veramente da ammirare. Daria Deflorian è la protagonista Donn’Anna Luna, raccolta in questa sua smisurata determinazione, delicata e agguerrita al tempo stesso, sul limite della follia ma pronta a squadernare anche con disarmante semplicità la lucidità del proprio pensiero; Federica Fracassi non è soltanto la sorella che umanamente la sorregge nella speranza di sviare quel pensiero ma pure, raddoppiandosi, dà buon spessore con asprezze e sguardi duri ad un’altra madre, quella arrivata da lontano, che per altre attrici sarebbe potuta essere un’apparizione di poco conto. E poi la giovane Cecilia Bertozzi, che è l’amata Lucia Maubel, incerta e spaurita, sbalordita, mette in campo le sue battute con maturità, con una sicurezza e una fierezza che non possono non imporla all’attenzione dello spettatore. Con loro Fulvio Pepe, Enrica Origo, Caterina Tieghi e Fabrizio Costella, al quale è dovuto anche il compito di una onirica apparizione. Successo incondizionato e parecchie chiamate alla replica a cui ho assistito.

Elio Rabbione

La foto del regista Stéphane Braunschweig è di Carole Bellaïche; le immagini dello spettacolo sono di Luigi De Palma.

Prima edizione di AMTS – Auto Moto Turin Show, un successo

Si conclude con successo la prima edizione di AMTS – Auto Moto Turin Show,l’evento, organizzato da GL events Italia e gemellato con l’omonimo show ungherese, dedicato agli appassionati del mondo delle due e quattro ruote, che ha animato la città per tre giorni di esposizione, spettacolo e approfondimento.

Sono stati 22.000 i visitatori che in tre giorni hanno affollato il Padiglione 3, l’Oval e le aree esterne di Lingotto Fiere.

Come avevamo promesso, GL events si è impegnata per portare a Torino un grande evento dedicato alla passione per le quattro ruote, che reinventa la vocazione automobilistica della città e ne fa vera e propria cultura” ha commentato Gabor Ganczer, Amministratore delegato GL events Italia. Siamo molto orgogliosi dei risultati e ci impegneremo per far crescere ancora di più l’evento, per farlo diventare un riferimento a livello nazionale.

 

Un evento trasversale

Un pubblico variegato quello che ha riempito gli spazi di Lingotto Fiere in occasione di AMTS. Un successo dovuto grazie anche all’ampia offerta: spazi espositivi, eventi culturali, show, esibizioni adrenaliniche ed esperienze in grado di avvicinare anche le nuove generazioni e le famiglie con bambini. L’area dedicata al tuning ha entusiasmato anche i giovanissimi; così come i modelli youngtimer, vettureche oggi sempre di più coinvolgono e appassionano le nuove generazioni.

Tutto esaurito per le attività dedicate ai più piccoli, come “Karting in Piazza”, un format originale ideato da Aci Sport per sensibilizzare bambini e bambine alla sicurezza stradale attraverso il gioco, o come l’area videogames, realizzata in collaborazione con Torino Comics, con simulatori di guida di ultima generazione.

Auto, che passione

L’area expo – mercato ha portato a Lingotto fiere alcune delle più prestigiose auto e moto da collezione, gli ultimi modelli e le innovazioni del settore, con focus sulle tendenze per i giovanissimi e le proposte green in campo automotive, con la possibilità di testare in loco le auto del momento. Tutto esaurito per i test drive dei veicoli elettrici Tesla e BYD da Auto Torino; sguardo al futuro anche per Biauto Group e Autoingros, che hanno deciso di presentare per la prima volta al grande pubblico alcune importanti novità: Biauto Group ha esposto la Nuova MINI Countryman, il modello più spazioso della nuova famiglia MINI; Autoingros ha scelto AMTS per il presentare la nuova Omoda 5, il crossover prodotto dal gruppo cinese Chery.

 

Collezionismo e automobilismo storico

Spazio alle auto storiche all’interno del Padiglione 3, con l’esposizione Born in Turin, dedicata alle iconiche auto nate sotto il cielo di Torino in otto decenni di innovazione e stile automobilistico, e grazie alla presenza di ASI.

Con grande entusiasmo abbiamo collaborato a questo nuovo evento che mette al centro la passione per il motorismo in tutti i suoi aspetti. Noi ci impegniamo per tenere viva la passione per il motorismo storico, che è anche una grande opportunità di promozione del turismo e dei territori con questa vocazione. Gli eventi come AMTS sono importanti perché riescono ad avvicinare anche i giovani a questa passione e cultura. Per questo confermiamo la nostra disponibilità per supportare l’evento anche per le prossime edizioni, ha commentato Alberto ScuroPresidente ASI.

Nell’area ricambi, curata con cura da Estrela Fiere, collezionisti e appassionati hanno trovato una vasta selezione di ricambi originali e pezzi unici.

Tuning: il contest Be bETTer

L’Oval è stato palcoscenico della quarta edizione del contest Be bETTer, che ha dato spazio ai professionisti del settore che desiderano mettere in gioco le loro qualità e le loro capacità d’inventiva e competenze, mostrando al pubblico come si possa creare un’auto modificata di altissimo livello. Hanno partecipato al contest otto aziende che si sono sfidate a colpi di creatività e abilità costruttiva. A valutare le auto in gara, una giuria internazionale di esperti del settore come Sven Shultz, Laszlo Szoke e Julien Boyer. Il contest è stato vinto dai veneti di Dickers Automotive Restomod con la loro Golf 1.

 

Al femminile

Al di là degli stereotipi, AMTS ha visto molte donne protagoniste delle attività su pista, tra gli stand e nel programma culturale. L’incontro DriveHER: Donne per l’Automotive, a cura di Associazione AIDA, ha proprio voluto affrontare il rapporto tra motori e donne. La pilota Federica Levy è stata una delle protagoniste dell’incontro Passione motori nei giovani; la giornalista e pilota Claudia Peroni ha moderato PASSIONE RALLY…e la favola continua! Guest starts Race for Glory, una tavola rotonda per raccontare il dietro le quinte delle gare, trasferire ricordi e far emergere il lato più umano e emozionale del motorsport.

La nostra giovane associazione lavora per la parità; ma ancora adesso il tema della passione delle donne per i motori è molto delicato. ha affermato Linda Villano, presidente e co-founder di AIDA Associazione Italiana Donne per l’Automotive. È stato molto importante esserci, e grazie a questo evento abbiamo avviato nuove collaborazioni e conosciuto realtà protagoniste del settore automotive con cui pensare dei progetti di inclusione e cultura.

Spettacoli e intrattenimento

Adrenalina e fiato sospeso per le esibizioni acrobatiche e le dimostrazioni mozzafiato che si sono susseguite all’interno dello Sparco Arena, la pista drift allestita nelle aree esterne: The Fast Family Extreme Show by No limit solutions, GTA Live, la parata di Hardcore Drivers, la D-Race Italian Drifting e le minimoto di Torino Bike Training Center hanno letteralmente ammaliato il pubblico di tutte le età. Negli spazi dell’Oval, lo spettacolo Lowrider Super Show ha portato sul palco veicoli lowrider, ballerini di talento, DJ e il grande ospite internazionale Luis da Silva, l’attore che ha interpretato Diogo in Fast X (2023) e Fast & Furious 5 (2011).

Il programma culturale

Per celebrare il mondo automotive a 360 gradi, AMTS ha organizzato un programma culturale e di approfondimento con alcuni grandi nomi del motorsport come Mauro Pregliasco, uno dei pionieri del rally italiano, Adartico Vudafieri, la regina del drift italiano Elena Zaniol, Gabriel Del Vuono, campione mondiale FIM MiniGP 2022, le campionesse di rally Antonella Mandelli e Tiziana Borghi, Riccardo Tonali e Michele Cinotto. Grande successo anche per la mostra CULT, il progetto trasversale di exhibit design a cura di GL events Italia che unisce cinema e automotive, cultura e tradizione, con i veicoli che hanno accompagnato nel successo alcuni film cultdella cultura pop & comics. Il progetto è stato presentato venerdì alla presenza dei partner Museo Nazionale del Cinema di Torino, il Museo dell’Automobile di Torino e Film Commission Torino Piemonte, insieme ad Andrea Farina, Chris Bangle, Stefania Caretta e Pietro Ruspa.

 

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Padre Dall’Oglio nelle foto di Ivo Saglietti a Deir Mar Musa

È semplicemente un abbraccio ma intenso e carico di entusiasmo e di amicizia quello tra padre Paolo Dall’Oglio e un musulmano del monastero. É la fotografia scelta come immagine simbolo della mostra “Ritorno a Deir Mar Musa. L’utopia di padre Paolo Dall’Oglio”, negli scatti del fotoreporter Ivo Saglietti allestita nella splendida cornice del Castello Reale di Govone, in provincia di Cuneo, al confine con l’astigiano, fino al 26 maggio, in collaborazione con l’Associazione Govone Residenza Sabauda, Govone Arte e il Centro di promozione Culturale Govone e il Castello. Una foto in cui, afferma la curatrice dell’esposizione Tiziana Bonomo, “c’è la sintesi di tutta la capacità fotografica di un reporter in grado di cogliere il senso profondo dei sentimenti umani”. Non solo ma è anche un’istantanea significativa per la presenza sullo sfondo di una bambina siriana sorridente che guarda Paolo e l’amico Ivo, forse il simbolo di una via di dialogo e di speranza in una regione tanto tormentata e investita da guerre e terrorismo, quel dialogo che il missionario italiano cercava di continuo, tra cristiani e musulmani, nel suo monastero in Siria, Deir Mar Musa. I due protagonisti della mostra, il sacerdote gesuita e il reporter, non ci sono più: Saglietti è morto cinque mesi fa mentre Dall’Oglio, molto impegnato nel dialogo interreligioso, fu rapito il 29 luglio 2013 in Siria e da allora non si è saputo più nulla, forse sequestrato da agenti del regime siriano o da miliziani jihadisti. La mostra vuole ricordarli entrambi e far sapere chi erano questi due uomini molto diversi per formazione ed esperienze sul campo ma animati da una profonda amicizia.
Ivo Saglietti, più volte ospite nel monastero dove abitava Dall’Oglio, ha immortalato con il suo obiettivo la vita quotidiana dei monaci, dello stesso gesuita e della gente comune in una terra devastata dai conflitti. Le foto esposte parlano del dialogo possibile tra le religioni nella comunità rifondata da Padre Paolo Dall’Oglio nell’antico monastero siriano Deir Mar Musa al-Abashi (Monastero di San Mosè l’Abissino) luogo frequentato e vissuto da cattolici e musulmani, incastonato tra le montagne siriane del Qalamun, a circa 80 chilometri a nord di Damasco. Padre Paolo approdò in Medio Oriente negli anni Settanta “per servire l’impegno della Chiesa nel mondo musulmano”, come scrisse egli stesso. Dall’amicizia profonda con padre Paolo, rifondatore della comunità monastica cattolico-siriaca “Al Khalil”, erede di una tradizione eremitica del VI secolo, sono nati i libri “Sotto la tenda di Abramo” (Mario Peliti, 2004), “Ritorno a Deir Mar Musa, l’utopia di padre Dall’Oglio (Emuse, 2023) e la mostra fotografica a Govone. “Le tue foto per noi sono un richiamo, un monito, un programma e un incoraggiamento”.
Così padre Dall’Oglio, scomparso in Siria undici anni fa, scriveva al reporter Ivo Saglietti che varie volte si recò al monastero Deir Mar Musa per continuare il suo lavoro di fotoreporter. Saglietti nasce in Francia ma trascorre la sua adolescenza ad Alba e nel 1975 inizia ad occuparsi di fotografia proprio a Torino diventando cineoperatore. Premio World Press Photo nel 1992 è diventato famoso per aver girato documentari in Medio Oriente, Africa, America Latina e Balcani. Inoltre ha documentato in giro per il mondo la diffusione di malattie infettive di grande impatto come la tubercolosi, la malaria e l’Aids. Rimase affascinato da questo antichissimo sito siriano da cui lo stesso padre Paolo restò incantato dopo avervi trascorso una decina di giorni durante un ritiro spirituale. Nella mostra sono esposti anche alcuni testi, in parte tratti dalle lettere tra il gesuita e il reporter.
“Mi auguro che anche gli studenti vengano a vedere questa mostra”, osserva la curatrice Bonomo nonché fondatrice di ArtPhotò, convinta che le nuove generazioni devono conoscere questi luoghi anche solo attraverso scatti fotografici per rendersi conto dell’importanza della convivenza tra fedi diverse in una terra martoriata dalle guerre. Il fotoreporter Ivo Saglietti è protagonista di due esposizioni in contemporanea, al Castello di Govone e nella Chiesa di San Domenico ad Alba. In entrambe le sedi la curatrice Bonomo ha selezionato insieme a Federico Montaldo dell’Archivio Saglietti e alla casa editrice Emuse una trentina di fotografie in bianco e nero esposte al pubblico fino al 26 maggio, da venerdì a domenica ore 10-12,30/15-18.
Filippo Re
nelle foto:
L’abbraccio tra il gesuita Paolo e un musulmano
Il fotoreporter Ivo Saglietti con padre Paolo Dall’Oglio
Scene di vita nel monastero siriano Deir Mar Musa

La pazienza, una virtù da riconquistare

Ci sembrava un’inclinazione superata, una dote fuori tempo e alquanto difficile da praticare, propria prevalentemente delle filosofie orientali e delle dottrine zen, una sorta di attitudine astratta e d’altri tempi incapace di soddisfare i ritmi e le richieste del “tutto e subito”. 

Ma proprio nel momento in cui questa disposizione alla tolleranza, all’attesa e all’accettazione del tempo e degli eventi ci sembrava superata e inadeguata, ne abbiamo dovuto recuperare l’uso e la confidenza ridandole un valore attuale e senza scadenza. Parliamo della pazienza, termine che deriva dal latino patire, di una propensione alla attesa, di una non reazione avventata agli stimoli, non di passività tuttavia, non di rassegnazione ma di un equilibrio neutrale in un momento di difficoltà in cui l’azione immediata non dà frutti né risultati soddisfacenti, confermando semmai una sensazione di inevitabile impotenza.

Nel periodo di chiusura, di sospensione temporale ha abbiamo vissuto,  di vita interrotta in cui non potevamo più muoverci liberamente, fare le cose di prima, marciare all’interno della nostra rassicurante routine, il virus, questo essere deforme e spaventoso, ci ha costretto a modulare anche le nostre reazioni, le nostre risposte emotive riportandoci sulla riva della pazienza appunto, della moderazione, della arrendevolezza.

Non è stato facile da gestire, non è stato semplice rallentare, aspettare, diluire e riorganizzare le nostre attività, abbiamo dovuto fare uso di qualità e abilità che pensavamo di non avere o di aver abbandonato definitivamente.

“La pazienza è amara, ma dolce è il suo frutto” diceva Jean-Jacques Rousseau, questo per capire che non è sempre comodo fermarsi a riflettere praticando la lentezza, ma il risultato di una attesa attiva può darci decisamente risultati migliori della fretta cattiva consigliera, di una reazione automatica  e falsamente efficiente. L’approccio odierno e la gestione della nostra vita, figli di una cultura occidentale che non prevede pause e raccoglimenti, ma che persegue il risultato e il rendimento attraverso la conduzione di esistenze multitasking a ritmi serrati e senza respiro, dovranno certamente essere rivisti; una nuova coscienza fatta di riconsiderazione delle priorità e del tempo a nostra disposizione è l’unico futuro possibile se non vogliamo nuovamente essere trascinati in una esistenza che era nostra solo parzialmente.

Questa rivalutazione della pazienza ci aiuterà a guardare ciò che ci circonda con un occhio diverso, più consapevole, ci impedirà di vivere e affrontare le cose con smoderata attività e nevrotica inquietudine; il bottone per risolvere tutto istantaneamente non sempre funziona, questa epidemia ne è stata la testimonianza, abbiamo dovuto cambiare strategia e   accettare di non sapere e ottenere tutto rapidamente, ci siamo dovuti fermare.

La pazienza sarà un mezzo autorevole e forte per non subire il tempo e le situazioni che ci impone la vita, una disposizione potente per non farsi trascinare, ma per scegliere di agire responsabilmente.

“Non c’è nulla di più forte di quei due combattenti là: tempo e pazienza.” diceva Lev Tolstoj

Maria La Barbera

Volpiano, chiusura notturna del passaggio a livello della stazione


Da lunedì 22 a mercoledì 24 aprile, per il protrarsi dei lavori

A causa del protrarsi dei lavori sulla linea ferroviaria, a Volpiano il passaggio a livello della stazione, tra via Brandizzo e corso Regina Margherita, viene chiuso al traffico veicolare e pedonale in orario notturno, dalle 22 alle 5, da lunedì 22 mercoledì 24 aprile.

“La Scintilla” racconta la Repubblica dell’Ossola

 

8.11.43 LA SCINTILLA

 

Proiezione del documentario

in occasione del 25 aprile – Festa della Liberazione

Regia di Marzio Bartolucci e sceneggiatura di Arianna Giannini

con le animazioni di Fabio Marascio

Lunedì 22 aprile 2024

ore 17:00

Palazzo Madama Torino – Sala Feste


Palazzo Madama
– Museo Civico d’Arte Antica presenta, in occasione della Festa della Liberazione, il documentario che racconta un episodio storico avvenuto l’8 novembre 1943 a Villadossola (VCO) dove ebbe luogo una delle primissime insurrezioni contro l’occupazione tedesca e la neocostituita Repubblica Sociale Italiana.

Grazie ad alcune testimonianze, immagini di repertorio e un’animazione in bianco e nero, il film racconta l’insurrezione dei partigiani affiancati da giovani e operai guidati dalla figura di Dante Zaretti, detto il “Barbarossa”. Il film è basato sul libro “8.11.43” di Carlo Squizzi ed è stato realizzato nel 2023 per l’80mo anniversario di ricorrenza dall’episodio storico.

Alla proiezione parteciperanno il regista Marzio Bartolucci, la sceneggiatrice Arianna Giannini e l’autore delle animazioni Fabio Marascio.

 

Palazzo Madama. Sala Feste

Ingresso libero / fino a esaurimento posti

Info: www.palazzomadamatorino.it ; madamadidattica@fondazionetorinomusei.

 

L’isola del libro

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RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

 

Elizabeth Strout “Lucy davanti al mare” -Einaudi- euro 19,00

 

L’esile scrittrice 68enne Elizabeth Strout, che vive tra New York e il Maine, è una delle autrici contemporanee più amate. Vincitrice del Premio Pulitzer nel 2009 con “Olive Kitteridge”, ha l’immensa capacità di raccontare la vita attraverso toni, pensieri e descrizioni appena sussurrati, che rendono il quotidiano teatro di un quadro molto più ampio. Tante pennellate lievi, ma potentissime.

Questo è il suo quarto romanzo dedicato a Lucy Barton, personaggio immaginario e suo alter ego. Scrittrice di successo, grande cuore materno nei confronti delle due figlie ormai adulte, due matrimoni alle spalle e la tendenza a qualche attacco di panico.

Dopo aver sposato e messo su famiglia con William, ha dovuto affrontare il divorzio. Poi la vita le ha messo sul cammino un secondo amore, l’amabile musicista David che però il destino le ha strappato troppo presto. Ora è una vedova pressoché inconsolabile.

A scompigliare ulteriormente le carte si mette il Covid. Siamo all’inizio della pandemia e William, che è uno scienziato (e reduce da un altro divorzio), capisce subito la portata drammatica del virus. Riesce a convincere Lucy a chiudersi insieme a lui in una casa nel Maine affacciata sull’Oceano. Nell’immaginaria Crosby in cui aveva ambientato “Olive Kitteridge” (che tra l’altro viene citata in più parti dell’ultimo romanzo).

Il romanzo è un po’ la cronistoria dello spaesamento dell’abitudinaria Lucy in una casa che non sente sua, alle prese con stati d’animo alterni, senza mai dimenticare da dove viene e la povertà traumatica della sua infanzia. Il suo tempo è scandito da rituali minimi: passeggiate, il progressivo riavvicinarsi a William, le notizie di cronaca. Ma anche i dispiaceri che stanno affrontando le figlie, inquiete e sfuggenti.

William fin dalle prime avvisaglie della pandemia ha spinto le figlie Chrissy e Becha, con i loro mariti, ad allontanarsi dai centri urbani per mettersi in salvo. Poi, una abortisce per la terza volta, si dispera, diventa scheletrica ed ha un amante. L’altra invece viene lasciata dal marito, pseudo poeta mediocre e geloso del successo letterario della suocera.

Teatro di tutto il romanzo è una tavolozza di colori della natura, tra mare in burrasca o calmo, cieli azzurri che virano in tempesta. Ma anche notizie di morte e pazienti intubati in lotta per sopravvivere.

 

 

Gaëlle Nohant “L’archivio dei destini” -Neri Pozza- euro 20,00

 

Dietro le pagine di questo libro ci sono oltre tre anni di lavoro in cui l’autrice ha svolto un’enorme indagine documentaristica, incontrato testimoni non solo in Polonia e Germania.

Fulcro delle sue ricerche sono gli Archivi Arolsen, noti anche come International Tracing Service, il più grande centro di documentazione e ricerca sulle persecuzioni naziste. E’ stato creato dagli Alleati alla fine della Seconda guerra mondiale, ed ha sguinzagliato dei detective col compito di indagare sui destini delle vittime del nazismo, su richiesta dei loro parenti. Tracce ovviamente difficili da seguire quando le camere a gas, i forni crematori e le fosse comuni hanno inghiottito famiglie intere.

 

I personaggi del libro sono quasi tutti di fantasia, ma le loro esperienze sono quelle vissute davvero da chi è stato travolto dal furore nazista. Tutto quanto viene narrato è basato sulla realtà storica. Tanto più che la Nohant si è avvalsa della collaborazione e dell’amicizia di persone come Nathalie Letierce-Liebig, che da 40 anni lavora alla Missione di Ricerca e Chiarimento dei Destini e si occupa della Missione Memoria Rubata.

 

A questa incredibile donna è ispirata la figura della protagonista del libro, Irene, per la quale il lavoro di ricerca svolto è una vocazione ed un impegno che pervade tutta l’esistenza. Il suo compito è restituire le migliaia di oggetti raccolti nel centro dopo la liberazione dei campi di sterminio. Cose materiali, per lo più di uso comune strappate alle vittime: fedi nuziali, foto, portafogli, orologi,…..

Tutti reperti di immenso valore simbolico, testimonianze silenziose, ma urlanti orrore e testamenti di vite falciate. Grazie a loro i defunti riacquistano il loro posto nel cuore delle famiglie.

Irene cerca in tutti i modi di rimettere insieme legami familiari interrotti dalla guerra, recupera poco a poco, con fatica, sensibilità e grande emozione, alcuni frammenti della quotidianità di chi è scomparso. Così facendo, le loro esistenze non restano limitate solo al tragico destino; ogni vita per breve e tremenda che sia è unica e preziosa.

Un libro magnifico e struggente che riunisce e riconcilia membri di famiglie attraverso generazioni. Mette anche il dito in piaghe dolorosissime come quelle dei bimbi ebrei strappati alle madri per essere dati in adozione a famiglie ariane. Molti di loro neanche ricorderanno più la lingua di origine, mentre i loro discendenti rintracciati da Irene saranno letteralmente scioccati di fronte ai segreti che la storia ha infilato nelle loro famiglie,

 

 

Serena Dandini “La vendetta delle muse” -HarperCollins- euro 18,00

 

Le muse raccontate da Serena Dandini sono state creature dotate di grande ingegno e talento, ma la storia ha steso un velo di indifferenza su di loro; ed ecco che l’autrice ha deciso di scrivere per rivendicarne la grandezza e un po’ anche per vendicarle.

La selezione è avvenuta in base alle preferenze dell’autrice che ha ricostruito un pantheon di figure femminili a lei particolarmente care, che i libri di storia non citano spesso. Grandi donne rimaste per lo più invisibili.

Alcune, come Colette, si sono vendicate da sole; mentre altre sono state considerate delle rovina famiglie, ragazze cattive. Tra queste ci sono Alma Mahler e la Gala di Dalì; ambiziose che hanno coltivato questa loro caratteristica contravvenendo alla regola secondo la quale le donne dovrebbero fare passi indietro per lasciare ampio spazio agli uomini.

Sono state capaci di trasformare in forza le loro debolezze, coraggiose nell’infrangere parecchi tabù, incluso quello di stare con uomini molto più giovani.

A determinare i loro percorsi è stata soprattutto l’ostinazione nell’inseguire i loro sogni. Una su tutte, la splendida Hedy Lamarr, prima donna a comparire nuda sugli schermi nel film “Estasi” nel 1933. Poi diventata l’attrice e la donna più bella del mondo; ma dalla sua aveva anche un quoziente intellettivo fuori dal comune.

Studiò un sistema radiocomandato a distanza che nel 1940 ancora non esisteva; meccanismo ultrasofisticato che consentiva alle frequenze radio di cambiare in continuazione ed ostacolare le intercettazioni del nemico. Un’arma che avrebbe potuto contrastare le aggressioni di Hitler e che è alla base di tutta la tecnologia odierna. Insieme al musicista George Antheil mise a punto un “Sistema di comunicazione segreto per missili radio controllati” che però restò inutilizzato fino al 1958.

 

Le radiofrequenze studiate da Hedy Lamarr troveranno poi applicazione nelle nuove tecnologie militari, mediche, ma anche nel Wi-Fi e nella telefonia mobile e in tanti altri dispositivi che usiamo oggi. Giusto per dire la grandezza di una donna.

 

 

Patricia Cornwell “Cause innaturali” -Mondadori- euro 22,50

Tutto inizia con il macabro ritrovamento dei resti orribilmente mutilati di due campeggiatori ritrovati in una zona selvaggia della Virginia settentrionale. Le vittime sono Huck e Brittany, che erano ricercati dai federali per il riciclaggio di denaro e terrorismo, dal momento che fiancheggiavano il gruppo filorusso “The Replubic.

Quello che gli investigatori trovano nell’accampamento semi segreto delle vittima fa pensare ad un violentissimo attacco a sorpresa computo da più assassini particolarmente spietati e sadici. A far luce sull’accaduto troviamo Kay Scarpetta e la nipote Lucy.

Settimo, premiate le classi della Ciclopatente

AL NUOVO PARCO BERLINGUER
Nel fine settimana  sono state premiate le classi che hanno partecipato al progetto Ciclopatente. L’evento si è tenuto nel nuovo parco Berlinguer di Settimo Torinese, che nell’occasione è stato presentato a chi ha partecipato, in attesa dell’apertura prevista a breve.

Sessantamila metri quadri di verde e 2000 alberi in più si aggiungono all’attuale “bosco in città”, completando un’area boscata a ridosso dell’abitato. Un’opera di grande importanza ambientale dove si cerca di conciliare le esigenze di un parco cittadino con le necessità della natura (ecco perchè, ad esempio, alcuni alberi morti vengono lasciati sul posto per favorire lo sviluppo di funghi, il ricovero di picchi e altri uccelli).

Nel parco, oltre agli alberi già piantumati, troviamo percorsi ciclabili, panchine e presto un piccolo laghetto che ospiterà piante acquatiche. «Un investimento sul futuro e sulla sostenibilità, per cui abbiamo ottenuto un finanziamento dal PNRR – interviene la sindaca @elena piastra – La scelta di inserire un bosco in un bando per la rigenerazione urbana rappresenta bene l’importanza che l’ambiente ricopre nella nostra idea di città sostenibile».

Sostenibilità che si rispecchia in altre azioni, per esempio la promozione della mobilità dolce. Negli ultimi 5 anni sono stati realizzati un chilometro di nuove piste ciclabili, un cicloposteggio, una ciclofficina. «Le azioni per favorire gli spostamenti in bici sono state varie, anche di tipo educativo e culturale – prosegue l’assessore all’ambiente Alessandro Raso – Una di queste è il progetto Ciclopatente, grazie al quale, in collaborazione con Polizia locale, Legambiente Metropolitano e Future Parade coinvolgiamo studenti e studentesse delle classi quarte in attività all’aperto dove promuoviamo l’utilizzo della bici e l’attenzione all’ambiente».

«Gli agenti della Polizia locale spiegano ai ragazzi come muoversi in sicurezza in bici – aggiunge l’assessora alla scuolaAlessandra Girard – Le associazioni li coinvolgono in attività e giochi che stimolano la loro attenzione ed educano al rispetto degli spazi comuni. È un’azione fondamentale per diffondere un modo di spostarsi e di vivere sostenibile, e per affrontare, seppure in piccolo, i temi della la sfida forse più impegnativa, quella dei cambiamenti climatici».

Il Distretto del Cibo si presenta a Cesana Torinese

Mercoledì 24 aprile

 

È un progetto ambizioso quello del Distretto del Cibo sull’area torinese delle Alpi Cozie e Graie. Già partito sul finire del 2020, quando la Regione Piemonte ha approvato un regolamento attuativo su proposta dell’Assessorato all’Agricoltura e al Cibo.

In questi anni i territori si sono mossi per individuare un’area omogenea su cui andare a costruire il Distretto del Cibo che comprenderà ben sei Unioni Montane: Unione Montana Comuni Olimpici della via Lattea, Unione Montana della Val Sangone, Unione Montana Alta Valle di Susa, Unione Montana Valle di Susa, Unione Montana Val Chisone e Germanasca e Unione Montana val Pellice con il supporto del Gal Escartons e Valli Valdesi.

La Regione Piemonte così definisce il Distretto del Cibo : “I Distretti del Cibo individuano sistemi produttivi locali, che si caratterizzano per una specifica identità storica e territoriale omogenea e integrano attività agricole e altre attività imprenditoriali, in coerenza con la tradizione dei luoghi di coltivazione. Obiettivo dei Distretti del Cibo è quello di favorire la valorizzazione delle produzioni agricole ed agroalimentari ed al tempo stesso il paesaggio rurale piemontese. In questo modo verrebbero favoriti più soggetti di un determinato territorio, dalla filiera produttiva all’offerta turistica e culturale locale.

I Distretti del Cibo devono garantire la sicurezza alimentare, diminuendo l’impatto ambientale delle produzioni, riducendo lo spreco alimentare e salvaguardando il territorio attraverso le attività agricole e agroalimentari.

Partecipano ai Distretti del Cibo enti pubblici, istituzioni, imprese la cui cooperazione può favorire ad esempio la promozione all’estero dei prodotto sul territorio e l’offerta turistica. Inoltre la collaborazione tra piccole e medie imprese agricole e alimentari è in grado di accrescere la competività delle imprese stesse attraverso la riduzione dei costi e l’innovazione.

Per far conoscere il Distretto del Cibo in via di costituzione sul territorio delle Alpi Graie e Cozie è stato indetto un doppio appuntamento in piazza Garambois 1 a Oulx presso l’Unione Montana Alta Valle Susa mercoledì 24 aprile dalle 16 alle 17.30 e dalle 18 alle 20 presso l’Unione Montana Comuni Olimpici Via Lattea a Cesana Torinese.

“Ospitiamo molto volentieri presso la nostra sala Formont – spiega il sindaco di Cesana Torinese Roberto Vaglio – questo incontro per far conoscere il nascente Distretto del Cibo che offrirà, una volta costituito, possibilità di accesso a bandi e finanziamenti sia a livello individuale sia collettivo. La creazione di un Distretto del Cibo sull’area territoriale delle Alpi Cozie e Graie ha un’importanza strategica non solo a livello di sviluppo sostenibile, ma anche per le opportunità che può aprire anche sul fronte turistico di rete e di filiera, di identità territoriale. Per la sua importanza strategica invito caldamente alla partecipazione sia per saperne di più sia per poter offrire spunti ulteriori che potranno eventualmente essere inseriti nel piano del distretto”.

Mara Martellotta