Sarà rimosso da qualsiasi incarico di nomina il professor Massimo Zucchetti. Lo ha deciso il Senato accademico del Politecnico di Torino per i post pubblicati sui social dal docente che inveiva contro il popolo ucraino. Sulla sconfitta degli ucraini agli Europei di calcio ha scritto: «Mi danno fastidio solo a vederli. Fra poco 22 in più da mandare al macello». Il docente del Poli di Torino aveva già fatto parlare di se’ per essersi incatenato ai cancelli dell’ateneo in segno di solidarietà con i collettivi Pro Palestina (nella foto le tende pro Pal nel cortile del Politecnico). A difendere il professore si schiera Rifondazione Comunista che in un comunicato intitolato “Solidarietà al compagno Zucchetti” scrive: “Il prof. Massimo Zucchetti, docente ordinario del Politecnico ed iscritto a Rifondazione Comunista, ha solidarizzato nei giorni scorsi con gli studenti e le studentesse che si mobilitano a sostegno del popolo palestinese incatenandosi all’ingresso del Politecnico: si e’ trattato, come lui stesso ha affermato, di un’azione di solidarietà non violenta, contro un massacro che dura da mesi. Da quel momento ogni sua frase viene volutamente fraintesa ed interpretata in senso negativo, attaccando così la figura di un intellettuale che si e’ da sempre impegnato nella difesa dei deboli e degli sfruttati. Respingiamo questo attacco, così come respingiamo i messaggi di stile minatorio di cui e’ oggetto in questi giorni. Come il prof. Zucchetti ha dichiarato a La Repubblica si tratta di un’operazione di sciacallaggio a orologeria”. Intanto il rettore Stefano Corgnati dovrà vagliare gli incarichi di nomina e procedere con la rimozione. Il Senato ha chiesto inoltre «di avviare le opportune istruttorie per gli eventuali procedimenti disciplinari». Il professore si è nel frattempo scusato per «l’uso improprio dei social». Ma il Senato ha giudicato le affermazioni “lesive dei valori che animano la comunità politecnica”.
Il riconoscimento è stato consegnato al Cfo Angelo Sidoti nell’ambito del ‘Cfo Summit 2024’
Si è tenuto a Milano il CFO Summit 2024, evento di settore che l’11 e il 12 Giugno scorsi ha visto riuniti insieme per una due giorni di dibattito, confronto e networking ben 2.000 ChiefFinancial Officer, 300 speaker e keynote internazionali e oltre 150 player del settore: ovvero, tutte le figure manageriali apicali che concorrono a garantire una corretta gestione d’impresa.
Un contesto di primo piano e assoluto prestigio che è valso il Business International Finance Award 2024 a ‘uBroker Spa’, multiutilities company torinese nata nel 2015 che, dalla fondazione a oggi, ha fornito e fornisce luce e gas a 283mila clienti – di cui ben 65mila godono di bollette luce e gas azzerate – per un totale di più di 4,3 mln di fatture emesse e oltre 45,1 mln di sconti in bolletta complessivamente erogati.
Il premio, conseguito dall’impresa fondata dagli imprenditori Cristiano Bilucaglia e Fabio Spallanzani, è stato conferito per gli elevati livelli di performance gestionale e finanziaria ottenuti dall’Area Amministrazione e Controllo nell’applicazione delle Best Practice AFC, Categoria Pianificazione Finanziaria e Gestione Tesoreria.
A esserne insignite, oltre a ‘uBroker’, anche aziende leader del settore energy quali ‘Edison’ ed ‘Enel’, “Fatto che ci rende ancor più orgogliosi del risultato raggiunto”, esordisce Angelo Sidoti, CFO di ‘uBroker Spa’ che ha ritirato personalmente al meeting la menzione.
“Il CFO Summit è, infatti, l’appuntamento annuale per i Direttori dell’area Amministrazione Finanza e Controllo di imprese sia italiane che estere. Quest’anno, insieme ai più importanti C-Level in Italia ed esperti internazionali, la giuria ha indagato come le Direzioni Finance siano riuscite a costruire un nuovo equilibrio strategico in grado di favorire il cambiamento sostenibile e innovativo richiesto dal mercato e dalla società. Tutto partendo dal ruolo pivotale del CFO tra Stakeholder, Board Management e le altre funzioni aziendali”, spiega il manager.
Nell’attuale contesto globale in continua evoluzione, infatti, prosegue Cristiano Bilucaglia, Presidente di ‘uBroker Spa’, “le imprese devono essere in grado di ridefinire i propri modelli di business. Oggi questa ridefinizione non può prescindere dall’innovazione tecnologica e dalla sostenibilità dei processi, dei prodotti e dei servizi. Due punti chiave, questi, per migliorare le performances, gli obiettivi e i risultati anche in termini di trasparenza, controllo, gestione e ottimizzazione delle risorse. Solo così, attraverso un’analisi puntuale dei dati a disposizione e all’attuazione continua di modifiche mirate e veloci alla struttura, è possibile calibrare al meglio la vita dell’impresa sul mercato in ogni singolo momento. È questa, per noi, l’energia del cambiamento, un’energia in grado di evolvere senza dimenticaremai la nostra etica d’impresa, la nostra mission e il rapporto di fiducia che abbiamo costruito con customers e consumers”.
Maggiori informazioni sul sito www.ubroker.it.
Vendita Paracchi: e i vincoli sociali?
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Un’ ispezione del ministro Valditara su 47 istituti paritari svela gravissime irregolarità che rivelano del marcio. Gli istituti paritari nacquero per iniziativa del ministro Luigi Berlinguer e non, come qualcuno potrebbe pensare, da qualche ministro Dc favorevole alla scuola privata, anche detta non statale e in parte cattolica. Fu un lunghissimo dibattito che divise il Paese: scuola pubblica e scuola non statale sovvenzionata, malgrado il divieto dell’ articolo 33 della Costituzione. Andò avanti decine di anni una polemica astiosa e in fondo inutile. Esistevano le scuole legalmente riconosciute e pareggiate, ma con meno obblighi e diritti in materia di conferimento a titoli di studio di valore legale perché gli scrutini avvenivano in presenza di commissari governativi. Berlinguer abolì questi controlli e creò le scuole paritarie in tutto e per tutto rispondenti ad una scuola pubblica. Ho una lunga esperienza in materia e mi resi conto con facilità che le scuole private erano molto distanti dalle scuole statali per docenti, attrezzature ed altro. Era anche in gioco la laicità dello Stato ma Berlinguer ci passò sopra, pur di giungere al suo compromesso storico “scolastico” che, tra il resto, non diede i risultati sperati perché le scuole paritarie, se si escludono quelle religiose, sono finite in pessime acque. La scuola statale, assopitasi la contestazione sessantottina, finì di prevalere e la scuola privata “laica” chiuse quasi i battenti. In effetti soprattutto al Sud la scuola paritaria ha continuato a vivere e prosperare, come si può vedere dalle ispezioni di Valditara diventando un esamificio che sforna titoli di studio in base a pagamenti a volte illeciti e senza i requisiti di legge da parte della scuola medesima e degli alunni. Siamo tornati indietro a quando dei miei compagni di scuola, bocciati alla scuola di Stato si rivolgevano a scuole del Sud per ottenere più facilmente il diploma. Diventa assai importante che il ministro Valditara abbia mandato degli ispettori in ben 47 strutture che si sono rivelate paritarie solo nel nome: docenti senza titoli di legge, aule insufficienti, strutture inesistenti, documenti in disordine. La scuola era in piena funzione quasi solo per gli esami con iscrizioni tardive di alunni provenienti da altre località. Il garantismo voluto da Berlinguer senza più controlli ha creato il mostro dell’affarismo scolastico (già ben individuabile a Torino negli anni 70 e 80) anche se le gerarchie regionali e provinciali del ministero avrebbero dovuto vigilare. Il rilassamento era già presente molti anni fa quando – faccio un esempio personale – venne fatta un’arrogante resistenza ad un commissario governativo in una importante scuola torinese cattolica alla richiesta della lettura dei fascicoli dei professori e in altra scuola, in presenza di un titolo non idoneo, non si provvide ad alcuna sostituzione. Ci furono anche funzionari infedeli dello Stato postisi in modo indecente al servizio della scuola non statale persino nella sostituzione in corsa di commissari di esami di maturità: una bolgia infernale superata dalla più grave delle riforme, la maturità con commissioni interne che ha perso ogni valore selettivo di Esame di Stato e di Maturità. Ma che si scoprano ancora oggi casi di scuole in cui vendano i titoli di studio è davvero disperante. Si tratta di un vaso di Pandora da squarciare totalmente. Torino non era indenne da certe anomalie vergognose, mai toccate dai sindacati confederali che si occupavano d’altro. C’è da sperare che il Ministro vada fino in fondo. Quella di oggi è una scuola malata, poco utile, arroccata nelle enclavi ideologiche, ma essa va difesa nella speranza che arrivi una nuova riforma Gentile.
Lo yoga come strumento per superare le barriere del corpo e – sopratutto – della mente e come mezzo per arrivare alla piena conoscenza di sé. E’ questo lo spirito che muove Patrizia Saccà- ex campionessa paralimpica e uno dei nomi più rilevanti del panorama torinese sportivo- come si evince dal suo ultimo libro “Il saluto alla Luna- Yoga a raggi liberi”– edito Laskmi editore. Il testo verrà presentatosabato 22 giugno alle ore 18.00 presso l’innovativa struttura “Green Pea” di Torino. La presentazione sarà previamente introdotta da una lezione dal vivo da parte dell’autrice che darà la possibilità di provare in maniera gratuita il suo metodo.
Patrizia Saccà è stata una campionessa paralimpica per 28 anni conquistando 18 titoli italiani, Bronzo alle Paralimpiadi di Barcellona ‘92 in team, Paralimpiadi di Pechino 2008 in team 4° posto oltre ad aver preso parte a 5 mondiali e 12 campionati Europei e averne vinti altrettanti.
Il libro è il suo secondo lavoro dopo la pubblicazione nel 2018 del “Saluto al Sole a Raggi Liberi” (dove inizia ad utilizzare il nome spirituale Toshini Davi) e dove già sperimentava e insegnava metodi alternativi per praticare l’antica disciplina orientale. L’atleta mette nuovamente a disposizione la sua capacità creativa e la lunga esperienza nel campo dando vita a nuovi metodi per praticare il suo metodo di yoga e “superare così le limitazioni fisiche e sperimentare l’unione di corpo-mente-spirito”.
Questo libro diventa, quindi, rappresentazione della particolare tecnica da cui prende origine il libro – il saluto alla luna appunto– e altri asana ovvero posizioni inventate dalla Saccà ed appositamente studiate per esser svolte in posizione seduta e/o in piedi. Nel libro, oltre a consigli pratici e metodi volti al migliore svolgimento della pratica, vi sono diversi approfondimenti dedicati alla cura e al rispetto del proprio corpo e della propria mente. Per questo il testo si pone come un strumento per “praticare” la disciplina a tutto tondo e tentare di sperimentare difficile connubio di raggiungimento dell’equilibro tra il mondo corporeo e quello spirituale.
Patrizia Saccà da anni, attraverso libri e lezione guidate, è alla guida di “Yoga a raggi liberi” grazie al quale porta avanti il suo metodo di insegnamento dello yoga che è divenuto per lei non solo perno centrale della sua attività professionale ma anche strumento di conoscenza della propria interiorità.
VALERIA ROMBOLA’
Torino, la protesta della polizia penitenziaria
“TRASFERITO IL COMANDANTE DI REPARTO, NESSUN DIRIGENTE CME SOSTITUTO. MA LA SITUAZIONE È UN CAOS IN TUTTO IL PIEMONTE”
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO- Protesta la Polizia Penitenziaria di Torino e del Piemonte. Motivo del contendete è la guida di molti Reparti del Corpo, presso Istituti e servizi della Regione, per la carenza di Dirigenti/Funzionari di Polizia Penitenziaria che interessa la regione. Spiega Vicente Santilli, segretario del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che valuta con preoccupazione la situazione in divenire nella Casa circondariale di Torino: “Il carcere di Torino è una struttura estremamente complessa, senza uguali rispetto alle altre del Distretto, di difficile gestione e che necessita esperienza e continuità nella linea di Comando, con quasi 1.600 detenuti presenti. Eppure, successivamente all’imminente trasferimento dell’attuale Comandante di sede, pare che l’Amministrazione ancora non abbia individuato un “navigato” sostituto che possa guidare i Baschi Azzurri all’assolvimento dei compiti istituzionali previsti. Addirittura, sembra che l’istituto di Torino sarà posto sotto il comando di un viceispettore. Ebbene, ammettendo pure che il designato ispettore sia particolarmente capace, noi, in tutta onestà, crediamo che non sia affatto una soluzione temporanea percorribile. Il penitenziario di Torino, oltre ad essere oggettivamente complesso, deve essere affidato ad un Dirigente di Polizia Penitenziaria esperto e che sul proprio curriculum lavorativo può già vantare il comando di altre e pregresse realtà”. Donato Capece, segretario generale del SAPPE, in una nota trasmessa ai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria proprio per stigmatizzare la situazione, rimarca che “nonostante tempo addietro fossimo stati rassicurati del fatto che tutti gli istituti penitenziari del Paese sarebbero stati posti sotto il comando di almeno un Funzionario/Dirigente di Polizia Penitenziaria, ad oggi, specie presso la regione Piemonte, quanto “promesso” ancora non ha trovato completa attuazione. A noi, infatti, risulta che vi sono istituti ancora privi di Comandanti titolari, ove, per pochi giorni a settimana, vengono inviati in missione Dirigenti/Funzionari in forza in altri penitenziari che, alle volte, sono chiamati a gestire la delicata e complessa Area Sicurezza di addirittura tre penitenziari in contemporanea! In altri istituti, invece, in aperta deroga a quanto previsto dalle leggi vigenti, il comando di sede è affidato a appartenenti al ruolo degli ispettori e, in alcuni casi, finanche a coloro i quali sono in possesso della sola qualifica di vice ispettore”. Da qui la richiesta del SAPPE ai vertici ministeriali, “onde evitare che prima o poi possano accadere eventi irreparabili, di dare corso ad una celere procedura per individuare il Dirigente di Polizia Penitenziaria al quale affidare la guida del complesso carcere di Torino e monitorare la situazione in atto nelle varie carceri del Piemonte.
Graffiti. Il pugilato casalese metà ‘900
Gli anni ’50 riportarono alla ribalta uno sport nobile e popolare dimenticato a causa del secondo conflitto mondiale, la Boxe.

HOT PARADE: Grillo – Orban – Bellucci
Hot parade
Leggi la rubrica su “L’identità” ⤵️
https://www.lidentita.it/hot-parade-265/
Campagna Amica Torino organizza la seconda edizione della “Cena in giallo” che si svolgerà venerdì 21 giugno a partire dalle ore 19,00 al Parco della Tesoriera a Torino, nell’ambito dell’Evergreen Fest.
Il dress code della cena è una maglietta, un paio di pantaloni, un cappello, insomma un capo di abbigliamento giallo.
La cena in giallo è ideata per portare dentro le serate estive torinesi la cultura del cibo a Km Zero di origine contadina, direttamente dal produttore-agricoltore.
Il costo è di 16 euro.
Ecco il menù:
Pasta con pesto di zucchine e nocciole; hamburger di carne piemontese con fetta di toma e insalatine di stagione oppure Parmigiana fredda con fetta di toma e insalatine di stagione (e pane).
Tutti coloro che indosseranno un capo d’abbigliamento giallo riceveranno un omaggio.
Prenotazioni: https://evergreenfest.it/prenotazioni-cena/
torino.coldiretti.it
“La scuola non va”, lo cantavano i Lunapop nel 1999. E certe mattine viene voglia di cantarlo anche a me.
Alle prime ore del giorno c’è ancora la nebbia, percorro così, ovattata nell’atmosfera fumosa, il tragitto che mi separa da scuola, parcheggio la macchina, mi dirigo verso il caffè delle 7:45 – obbligatorio per sopravvivere alla mattinata lavorativa- ed eccoli già lì, “vivaci” e “frizzanti”, come li descriviamo nei verbali, si avvicinano saltellando e mi ingurgitano di affermazioni e dubbi: “Il cartoncino era per oggi?”, “Ho dimenticato la cartellina”, “Ha scritto i compiti su Argo?”, “Oggi c’è Arte o teoria?”.
Meravigliosi e terribili, come si fa a non affezionarsi?
Ecco, forse non è chiaro a tutti, ma la scuola esiste per loro, per gli studenti.
La scuola è lì per tutti i “Giammaria” di Filippo Caccamo, per i “Giovannino” di Rousseau e per i “Gianni” e i “Pierino” di Don Milani.
Credo fermamente nel mestiere del docente ed è per tale motivo che sento di discostarmi da tante situazioni e decisioni che ultimamente stanno tramutando il sistema scolastico in un ludico parcheggio privo di significato, i docenti in clown multimediali e gli studenti in amebe viziate.
In questa società liquida (Z. Bauman), fluida e spettacolarizzata (riprendendo la teoria di Guy Debord), in cui il politicaly correct ha il sopravvento sulle coscienze e in cui l’egoismo e l’egocentrismo vengono scambiati –ad hoc- per libertà individuale e indipendenza, mi sento di andare controcorrente e prendere delle posizioni ferme, lo faccio per i miei alunni, perché non voglio che diventino come quegli adulti che mangiano fissando il cellulare anziché la persona che hanno di fronte, affinché non siano educati in un mondo che preferisce l’indisponenza, al fine di renderli quella “cosa bella” di cui parlava Menandro (IV sec. a. C.).
Per far sì che ciò avvenga, come molti altri colleghi docenti, mi interrogo sulle direzioni da intraprendere per rattoppare questa scuola che al momento “non va”; riflessione dopo riflessione, lettura dopo lettura, mi è (ri)capitato tra le mani “Lettera ad una professoressa” di Don Milani.
Si tratta di uno dei testi che più mi ha colpito e su cui ho più ponderato, un libro –a parer mio- obbligatorio per chi vuole intraprendere questa professione, al di là del giudizio personale.
Dopo un’accurata rilettura, che mi ha confermato l’opinione più che positiva che già avevo a riguardo, mi domando: è davvero possibile considerare attuale un testo scritto negli anni Sessanta?
“Lettera ad una professoressa” rimane una testimonianza tutt’altro che banale o di semplice definizione, pubblicato nel 1967 da una non proprio famosa casa editrice fiorentina, si presenta come un autentico “livre de chevet” di una generazione, una sorta di “vademecum” per gli insegnanti democratici o una sorta di “Libretto rosso” sessantottino.
Lo scritto è “un classico” della letteratura scolastica e, data la particolarità delle affermazioni asserite, ha fin da subito diviso i lettori in due parti, chi grossomodo concorda con le riflessioni apportate dai ragazzi di Barbiana e chi invece preferisce un approccio diverso e si discosta, in entrambi i casi il libro segna uno snodo centrale nelle grandi battaglie avvenute per riformare il sistema educativo. Tuttavia è bene puntualizzare che, se da una parte esso denuncia apertamente e per la prima volta le falle di quell’apparato burocratico, dall’altra le parole degli studenti di Don Milani comportano anche l’inizio della fine dell’autorità degli insegnanti, dello stare in disparte dei genitori e – secondo alcuni- della voglia di studiare dei fanciulli.
Di certo un’opera non politicaly correct.
L’ho anticipato, mi riprometto di prendere posizione, pur non ritenendo concretizzabili tutti i punti esplicati nel testo e pur tenendo in chiara considerazione la differenza legata al periodo storico in cui il testo viene redatto, mi possono ritenere una “donmilaniana” convinta.
Lavoro a scuola da qualche anno ormai, mi trovo a diretto contatto con gli studenti – e talvolta con mamme e papà-, sto assistendo ai cambiamenti generazionali e ogni giorno mi rendo conto di quanto sia necessario un cambio di rotta.
In sostanza credo che potrebbe giovare maggiormente all’attuale sistema scolastico una rilettura di gruppo di “Lettera ad una professoressa” anziché il solo focalizzarsi sull’uso di ChatGPT.
Cosa ricercare allora in un libro scritto tempo addietro e in un contesto tanto differente dal nostro?
I princìpi, la risposta è questa.
Se me lo consentite, cari lettori, vorrei spiegarmi meglio, prendendo in esame alcuni punti che ritengo salienti e utili e tralasciando per forza di cose la totalità del testo che, pur non essendo particolarmente lungo, non può essere commentato “in toto” in questa sede.
Si parta con le ovvietà: la società, i bisogni e le necessità degli anni Sessanta non sono le medesime che sentiamo ora. Si pensi prima di tutto al problema dell’obbligo d’istruzione, che si estende oggi fino ai sedici anni d’età (Legge 296 del 2006), oppure si prendano in considerazione le accortezze e le norme che assicurano agli studenti con difficoltà (intellettive o socio-culturali) di frequentare uno specifico percorso scolastico al pari degli altri compagni, inoltre mi sento di poter abolire la dicitura “scuola classista”, poiché, per quanto permangano talune differenze tra periferia, centro o prima cintura, ogni struttura scolastica offre ad oggi un servizio eguale per tutti.
Non è vero dunque che “non va mai bene niente”, le istituzioni collaborano sempre più con il territorio, si assicura una formazione continua agli insegnanti e cresce costantemente l’attenzione verso il fenomeno del bullismo o del cyber-bullismo. L’offerta formativa è più che migliorata nel tempo, l’idea di istruzione ha preso le distanze dal tanto temuto “nozionismo” e le molteplici attività rendono un po’ più appetibile il frequentare le lezioni anche da parte dei più svogliati.
Non è nemmeno vero che “non ci sono più i ragazzi di una volta”. I giovani sono sempre gli stessi, sono semplicemente “figli del nostro tempo”, e nonostante li consideriamo più fragili o ineducati di una volta, non è di certo colpa loro, ma di chi gli sta attorno.
Osserviamo ora da vicino le tematiche su cui ancora oggi possiamo –e dovremmo- interrogarci.
Iniziamo dalla problematica dei “programmi”, queste benedette indicazioni nazionali a cui siamo obbligati a fare riferimento: dite la verità, cari colleghi, sono o non sono un’angoscia?
I ragazzi di Barbiana sostengono che ciò che viene insegnato a scuola sia puro nozionismo enciclopedico e che le informazioni impartite dai docenti riguardino argomentazioni che non hanno riscontro alcuno nell’attualità della vita al di fuori della classe, un sapere così elargito non porta dunque alla formazione di cittadini consapevoli.
I giovani di Don Milani – e questo è un merito che nessuno gli può togliere- non si limitano a criticare ma avanzano delle risoluzioni alle lacune che vedono nel sistema scolastico.
Essi suggeriscono di rimpiazzare i programmi con una continua ricerca critica del sapere all’ interno di un percorso multidisciplinare costruito strada facendo, in questo modo gli alunni acquisiscono gli strumenti necessari per partecipare attivamente alla vita collettiva.
Mai stata così d’accordo: è necessario partire dall’attualità per poi collegarci al passato, stupire con l’immediatezza del contemporaneo e spiegarlo andando a ritroso, alla ricerca nella storia delle cause che hanno portato al nostro presente. Un sogno ad occhi aperti, pensate come sarebbe bello leggere in classe articoli di giornale, riviste specializzate, ascoltare interviste di personaggi pubblici, spiegare le notizie dei telegiornali o commentare insieme gli ultimi “scoop” –inerenti ovviamente alla materia d’insegnamento.-
Certo c’è il sogno e poi la dura realtà: gli studenti di oggi conoscono poco o nulla del loro presente, quasi non leggono, non vedono i telegiornali e apprendono informazioni –semplificate e parziali- tramite i social.
Sarebbe quindi opportuno convincerli che “Tick-Tock” non basta per ritenersi “informati sui fatti”, che non sempre gli influencer conoscono l’argomento di cui desiderano trattare e infine che no, dieci minuti non sono sufficienti per apprendere alcuna argomentazione.
Non sono brava come i ragazzi di Barbiana, non ho una vera e propria soluzione a tale problema, mi limito ad avere un’opinione. Forse il problema è il tempo, forse aveva ragione –ancora una volta- Don Milani a dire che noi insegnanti dovremmo “lavorare di più”, magari se i ragazzi rimanessero a scuola per più ore avremmo la possibilità costruire le nostre unità didattiche in altra maniera e potremmo permetterci una maggiore attenzione nei riguardi dell’attualità. Inoltre i fanciulli starebbero più tempo insieme e meno “vis-à-vis” con il proprio smartphone.
Proseguiamo: i voti. Quante ne abbiamo sentite sui voti quest’anno? Voti sì, voti no, sostituirli con i giudizi, non scrivere niente se non frasi incoraggianti sui compiti, e poi tutti quei casi di giovani studenti caduti in disperazione per un “4”, insomma un capitolo tutt’altro che chiuso.
A Barbiana il voto non è visto di buon occhio, per diverse motivazioni, prima fra tutte perché “è ingiusto fare parti uguali tra disuguali”, in secondo luogo monopolizza l’attenzione e l’interesse degli studenti, facendoli studiare solo per la valutazione, ponendoli in una situazione di ansia e competizione, infine il voto dato non è uno strumento di lavoro e non aiuta gli studenti a migliorare.
Resta difficile immaginare una scuola senza voto, anche se ce ne sono. Personalmente concordo con le motivazioni apportate dai ragazzi di Don Milani, eppure sono una sostenitrice dell’utilizzo dei voti, l’appunto che mi sento di fare tuttavia riguarda una delucidazione necessaria per gli studenti – e i genitori a casa- , il numero che scrivo sul compito è una valutazione circoscritta a “quel” compito in “quel” determinato momento, è solo una valutazione della preparazione “al momento” dello svolgimento della verifica, esso non ha nulla a che fare con la personalità o la totalità del ragazzo, non è un giudizio sulla persona ma solo sul livello di conoscenza che l’alunno aveva in quel determinato momento. Che sia chiaro: i voti cambiano, in meglio o in peggio, e servono per imparare ad essere autocritici verso noi stessi, sono strumenti utili per imparare a migliorare, non solo per quel che concerne i contenuti ma sopratutto per lavorare sull’autostima.
E poi, li bocciamo o no, questi incolti e illetterati studenti dell’ultimo banco?
Ovviamente a Barbiana la bocciatura non è contemplata, al contrario si propone “il tempo pieno”, si assicurano in questo modo più tempo e più mezzi per dare a tutti gli studenti, anche quelli che partono sfavoriti, la possibilità di avere successo scolastico.
Come non essere d’accordo?
Anche qui però ci si scontra con la realtà dei fatti: come convincere i ragazzi di oggi che a scuola si viene per questione di dignità personale, per poter essere sempre in grado di decidere con la propria testa cosa fare e cosa no, anche andando contro la norma comune (se necessario)?
La bocciatura diviene uno spauracchio obbligato di fronte alle classi attuali, ormai composte da individui che non hanno la percezione dell’importanza della cultura e della conoscenza. Concordo con Don Milani, è necessario educare alla dignità e diseducare alle mode, che sono l’antitesi della capacità critica, e condivido che per fare ciò non dobbiamo mettere i giovani sotto una campana di vetro ma dobbiamo aiutarli a divenire liberi pensatori. Questa è la teoria, la pratica poi è tutt’altra cosa.
Ultimo punto: gli alunni. I ragazzi che ci troviamo a fronteggiare oggi non hanno nulla a che vedere con quelli che frequentavano Barbiana, questo purtroppo è vero. Gli studenti di Don Milani hanno ben chiara la propria battaglia, essi alzano la voce perché sanno – come Lucio che possiede 36 mucche – che “la scuola sarà sempre meglio della merda.” I giovani fiorentini si battono per una scuola libera, democratica e popolare, conoscono le fatiche del lavoro e la rassegnazione, hanno ben presente cosa significa avere paura di non poter cambiare la propria posizione sociale o le proprie abitudini di vita, di conseguenza sono giovani coraggiosi, che non temono di esporsi per ottenere quegli stessi diritti scritti nella Costituzione.
I nostri ragazzi non sono così “fortunati”, sono sempre più soli ed isolati, non fanno tardi al pomeriggio o alla sera, non temono le note dei professori, non affrontano individualmente i problemi che non sanno risolvere. Non conoscono i limiti né il brivido che si prova nel superarli, non distinguono il merito perché gli abbiamo insegnato che tutto gli è dovuto.
A furia di “volerli aiutare” li abbiamo resi interdipendenti dagli adulti di riferimento, eppure è il momento di renderci conto che non possiamo salvarli dal crescere.
Forse a scuola da Don Milani dovremmo tornarci un po’ tutti, lui ci incoraggerebbe a prenderci qualche responsabilità in più, forse ci direbbe di fare dei passi indietro e di osservare i nostri “piccoli” mentre si rialzano da soli con le ginocchia sbucciate. Ce lo insegnerebbe con qualche scappellotto sul collo, ma questi sono i rischi che corre chi si ostina a non voler imparare.
ALESSIA CAGNOTTO