ilTorinese

Fondi per studenti con plusdotazione e a rischio ritiro sociale

”Grazie alle risorse destinate dall’Assessore all’Istruzione e Merito Elena Chiorino, sono stati assegnati contributi per 105 mila euro a 5 scuole sede di CTS (Centri Territoriali di Supporto) per interventi psicopedagogici a favore degli studenti con plusdotazione cognitiva e degli studenti a rischio di ritiro sociale.Le scuole sede di CTS coinvolte potranno così realizzare due tipologie di interventi, rivolti a due target diversi: progetti per supportare lo sviluppo cognitivo ed emotivo degli studenti ad alto potenziale cognitivo (plusdotazioni) e progetti per prevenire e contrastare il ritiro sociale degli studenti.“Aiutiamo gli studenti in difficoltà a ritrovare fiducia in loro stessi e a superare i traumi che spesso provocano l’isolamento dal resto della classe e da tutti i contesti relazionali. Ritengo sia fondamentale alimentare le capacità dei più bravi e sostenere i più fragili grazie a percorsi personalizzati. La scuola deve tornare ad essere un ascensore sociale che non lascia indietro nessuno: investiamo sul futuro dei nostri ragazzi e sulla crescita degli adulti di domani” dichiara l’Assessore regionale Elena Chiorino.
LE RISORSE
Il contributo complessivo per entrambe le tipologie di progetti ammonta a 105 mila euro, di cui 70 mila ripartiti tra 5 scuole per progettazioni a favore di studenti con plusdotazioni cognitive; 35 mila euro sono destinati alle stesse scuole per progetti a favore di studenti a rischio di ritiro sociale
LE SCUOLE BENEFICIARIE
I finanziamenti per i progetti a favore di studenti con plusdotazione cognitiva saranno destinati all’Istituto superiore Gobetti Marchesini Arduino (CTS di Torino) che riceverà 30 mila euro; 10 mila euro andranno a ciascuna delle altre 4 scuole sede di CTS: Istituto Comprensivo Grandis di Cuneo, ITIS Cobianchi del Vco, Istituto Superiore Sella di Biella, Istituto Professionale Statale Pastore di Vercelli.Per i progetti destinati a studenti con rischio di ritiro sociale, le stesse scuole riceveranno le risorse così distribuite 15 mila euro alla scuola sede di CTS di Torino, mentre ciascuna delle altre 4 scuole sede di CTS riceverà 5 mila euro.I progetti dovranno essere realizzati nell’arco dell’anno scolastico 2023-2024.

I teatri torinesi: Teatro Carignano

Torino e i suoi teatri

1 Storia del Teatro: il mondo antico
2 Storia del Teatro: il Medioevo e i teatri itineranti
3 Storia del Teatro: dal Rinascimento ai giorni nostri
4 I teatri torinesi: Teatro Gobetti
5 I teatri torinesi: Teatro Carignano
6 I teatri torinesi: Teatro Colosseo
7 I teatri torinesi: Teatro Alfieri
8 I teatri torinesi: Teatro Macario
9 Il fascino dell’Opera lirica
10 Il Teatro Regio.

 

5 I teatri torinesi: Teatro Carignano

Torino malinconica, Torino miscela di barocco e liberty, Torino che hai permesso che superassero l’altitudine della tua Mole, Torino che ti abbigli con l’eleganza del centro, ti ingioielli con la supponenza della Crocetta, Torino che porti memoria del tuo cuore proletario, pompato dagli stantuffi dell’industria FIAT, Torino che mentre ti lasci attraversare, mi fai respirare la sempiterna spocchia giovanile dei Murazzi. Nella piccola metropoli, risulta difficile non camminare con occhi attenti tra i palazzi, i quali, nei propri dettagli, nascondono sempre peculiari meraviglie, stucchi decorati, apotropaici guardiani di soglia, piercing inaspettati o grandiosi murales, che rendono memorabili anche gli angoli più anonimi.
Tra i diversi luoghi che rapiscono l’attenzione, durante gli ansiosi viavai dei turisti, ma anche nelle quiete passeggiate degli stessi torinesi, vi è certamente il Teatro Carignano, uno degli edifici simbolo della città, il cui nome completo è Teatro dei Principi Carignano.
La struttura diviene proprietà comunale già nel corso dell’Ottocento; lo stabile nasce come teatro della commedia, specificità che lo contrappone fin da subito al vicino e assai noto Teatro Regio, destinato invece a ospitare l’Opera lirica. La storia del Carignano si presenta antica, un’alternanza di ristrutturazioni e nomi altisonanti che si susseguono, un po’ sul palcoscenico, come Niccolò Paganini, Eleonora Duse, Vittorio Gassman, Dario Fo, un po’ dietro le quinte, come Pirandello, Pepe o Ronconi, un po’ al di fuori delle mura, come Guarini, Benedetto Alfieri o Giovanni Battista Borra. Vanto del Carignano è l’essere unico esempio di struttura teatrale settecentesca in Torino ancora in uso e che ancora preserva – nonostante i numerosi rifacimenti – le sue caratteristiche originarie. L’edificio viene costruito per volere dei Principi di Carignano intorno al primo decennio del Settecento; esso è inizialmente un piccolo “teatro di famiglia”, luogo esclusivo, in cui i soli spettatori delle rappresentazioni sono i membri stessi della nobile casata.

La nascita del palazzo si inscrive nel più ampio progetto di trasformazione ed espansione che investe Torino a partire dal Cinquecento, pianificazione spinta dal desiderio-necessità della casa Savoia di attribuire al capoluogo l’aspetto degno di una capitale moderna. La regalità urbanistica deve infatti rispecchiare l’importanza della casata Sabauda e soprattutto dei suoi componenti, come ad esempio il caso dell’ascesa al trono di Vittorio Amedeo II (1684) e la sua successiva designazione a re di Sicilia. Non per niente di lì a poco, protagonista indiscusso della direzione dei cantieri torinesi sarà il celebre Filippo Juvarra (1678-1736), regio architetto legato ai Savoia, il quale apre la struttura dei palazzi e della vie cittadine a un respiro urbanistico inedito.
Nel 1710 il principe Vittorio Amedeo di Savoia fa adattare a teatro il salone chiamato “Trincotto Rosso”, un edificio utilizzato per il gioco della pallacorda, e ordina la costruzione di vari palchetti: è il Carignano in nuce. La prima edificazione si basa sul progetto seicentesco di Guarino Guarini, il quale predilige l’utilizzo del legno per la struttura, così da favorirne l’acustica.
Nel 1727 la struttura passa alla Società dei Cavalieri, lo spazio si apre alla prosa, al canto e ai balletti. Non trascorrono però molti anni prima che lo stabile perda l’originaria bellezza e sfiori la fatiscenza; Luigi Vittorio di Carignano convoca allora il regio architetto Benedetto Alfieri (1699-1767), e gli ordina di ricostruire il teatro dalle fondamenta, in modo da ottenere una sorta di Teatro Regio in miniatura.

Siamo intorno agli anni Cinquanta del Settecento quando iniziano i lavori; l’architetto, che si era già precedentemente occupato dell’edificio dedicato all’Opera, dirige così il cantiere del palazzo, che questa volta è eretto in muratura. Alfieri, zio di Vittorio e allievo prediletto di Juvarra, fa realizzare ottantaquattro logge e tre ranghi di panche in platea, lumi a candela e stucchi lameggiati in oro; la decorazione del soffitto è affidata a Gaetano Perego e Mattia Franceschini, del sipario invece si occupa Bernardino Galliari.
(Una nota prima di proseguire: non di Benedetto Alfieri, ma di Vittorio Alfieri è il busto posto nel 1903 dai Torinesi sul muro a fianco dell’ingresso del teatro. Il grande poeta astigiano proprio al Carignano ha debuttato con la sua prima tragedia, il “Filippo”, nel giugno del 1775). Il teatro viene inaugurato nel 1753, il giorno di Pasqua, per l’occasione riecheggia in scena, tra il legno del palco e il velluto dei tendaggi, la commedia goldoniana “La calamita dei cuori”, dramma giocoso, dedicato alle “nobilissime dame veneziane”, con musica di Baldassarre Gallupi.

Altri documenti attribuiscono la parte strutturale che fa da avancorpo al teatro all’architetto e disegnatore Giovanni Battista Borra (1713-1786), il quale propone per tale zona l’utilizzo di un ordine monumentale e solenne, con testate laterali che incorniciano l’ingresso centrale. Sul finire del Settecento un incendio divampa nel teatro, questa volta è l’architetto Giovanni Battista Feroggio (1723-1797) a coordinare i lavori per la ricostruzione; egli si basa sul precedente progetto alfieriano e dota l’esterno della struttura di un ampio porticato – tipico dei teatri settecenteschi – e di tredici finestre al piano nobile. Sono invece gli abili fratelli Pozzo a occuparsi dell’aspetto della nuova sala a ferro di cavallo, mentre è nuovamente Bernardino Galliari il responsabile dell’abbellimento del soffitto e del sipario. Nel 1870 lo stabile diviene proprietà del Comune di Torino e rivisto dall’architetto Carrera, il quale chiude il porticato con un ammezzato per la realizzazione di uffici e trasforma il quarto ordine di palchi in galleria; è durante questi rifacimenti che viene ricavata la celebre sala sottorranea, prima adibita a birreria e poi – a partire dal 1903 – a sala cinematografica, una delle prime della città. Tra i lavori che interessano il teatro durante gli anni dell’Ottocento, è certamente degna di nota la decorazione del soffitto della platea, raffigurante il “Trionfo di Bacco”, eseguita nel 1845, dal pittore Francesco Gonin (1808-1889). È opportuno ricordare che durante la Restaurazione (1821-1855) il Carignano è sede ufficiale della Compagnia Reale Sarda, costituita sul modello della Comédie Française e considerata la più illustre antenata degli attuali Teatri Stabili.

La stagione del Novecento vede il Carignano come sede di svariate prime rappresentazioni, tra cui “Il matrimonio di Casanova” di Renato Simoni (1910), “Il ferro” di Gabriele D’Annunzio (1914) e “Il piacere dell’onestà” (1917) di un Luigi Pirandello ancora pressochè sconosciuto. Agli inizi degli anni Venti frequentano sovente lo stabile Antonio Gramsci e Piero Gobetti, in veste di cronisti teatrali.Lo storioco edificio, tra le sue numerose vicissitudini, si trova anche ad affrontare diverse calamità, tra cui il bombardamento della notte dell’8 novembre 1942 e quello dell’anno successivo, che distrugge non solo tutti e cinque i piani del teatro, ma interessa anche via Roma, via Cesare Battisti e via Principe Amedeo.
Nel 1945 – quando il valore della cultura e dell’arte erano ben evidenti a tutti – il Comune accorda al Direttore del Teatro Vincenzo Linguiti e al custode dello stabile un riconoscimento in denaro per il servizio prestato durante i bombardamenti.

Facendo un sostanziale balzo in avanti, arriviamo agli anni Settanta del Novecento, quando il capoluogo piemontese affida definitivamente la struttura al Teatro Stabile di Torino, che ne diviene una delle sue sedi permanenti. Dal 1961 infatti, lo storico teatro ospita i maggiori spettacoli realizzati dall’ente pubblico.
Attualmente l’edificio presenta più linguaggi architettonici: all’esterno vige il rigore settecentesco, all’interno trionfa l’Ottocento, con il suo passionale romanticismo. Gli ultimi lavori di restauro risalgono agli anni Duemila, questi interventi hanno portato al recupero degli ingressi originari e dell’antica “birraria” sotterranea voluta da Carlo Alberto, ora adibita a foyer. Nel 2007 lo stabile è sede del conferimento del premio Nobel a Harold Pinter, in una delle sue ultime uscite pubbliche, quando riceve il Premio Europa.
Il teatro riapre ufficialmente al pubblico nel 2009, dopo un anno e mezzo di ulteriori interventi, con la rappresentazione di “Zio Vanja” di Anton Čechov, per la regia di Gabriele Vacis.
Tra le numerosissime personalità che hanno avuto a che fare con il teatro, mi piace ancora ricordare Eduardo De Filippo, Mariangela Melato, Paolo Poli, Filippo Timi, Gabriele Lavia o Carlo Cecchi. Attualmente, grazie alla lenta ripresa che sta investendo quasi tutti i settori, il teatro riconferma la sua posizione di primaria importanza nella cultura cittadina, presentando un cartellone ricco di spettacoli di grande rilievo.Capite, cari lettori, dopo aver letto di queste storie, di cui la vicenda del nobile teatro Carignano è solo una delle tante, che è obbligo di tutti collaborare affinché tali realtà continuino a vivere, nonostante le numerose ed estenuanti avversità che si possono verificare, così come continua ad essere evidente in questo interminabile periodo pandemico.
Ricordiamocelo bene, è solo nell’arte e nel teatro che la bellezza non invecchia, la risata non diviene malinconia e le lacrime colmano sempre il cuore.

Alessia Cagnotto

Ruffino (Azione): “Scelta sbagliata aumento tariffe Monte Bianco”

L’aumento delle tariffe per il passaggio del tunnel del Monte Bianco è una scelta sbagliata, nel merito e nella tempistica. La Commissione intergovernativa avrebbe potuto utilmente concentrare le proprie energie nella progettazione della seconda canna del tunnel. L’aumento delle tariffe, 50 euro per le auto e 200 euro per i mezzi pesanti, a decorrere dal primo gennaio viene annunciato in contemporanea con gli inevitabili disagi dovuti al rifacimento di alcuni chilometri del tunnel. Due paesi confinanti e impegnati per l’unità europea non potevano fare scelta più infelice. Così l’on. Daniela Ruffino (Azione).

“Ivo Saglietti. Lo sguardo nomade”. Al Museo del Risorgimento la prima retrospettiva del grande fotografo

“Nomade” e ribelle, una vita a raccontare gli ultimi del mondo

Fino al 28 gennaio 2024

… Quando si dice … il destino! E nel destino Ivo Saglietti ci credeva. Eccome, se ci credeva! “Ho aperto gli occhi – scriveva – nella luce del Mediterraneo, a Tolone, nel sud  della Francia, dove, se lo guardi a lungo, il sole diventa un cerchio nero. Credo che il primo sguardo determini anche un destino: quasi sicuramente è grazie a questa luce che sono diventato fotografo”. E di “destino” gli parlava anche l’amico scrittore Paolo Rumiz“Amico mio, alla fotografia hai sempre chiesto qualcosa che va molto oltre gli effetti speciali, qualcosa  che si chiama destino”. Già, il destino. Ognuno di noi ha il suo, si dice. Ed è un susseguirsi di eventi che ti accompagnano, senza vie d’uscita, per tutta la vita. E a volta ti giocano anche brutti scherzi che sarebbe bene non accadessero. In forme inaccettabili. Crudeli. Come quella, per un artista, di trasformare l’omaggio di una mostra a lui dedicata nella sua prima “retrospettiva”. La prima mostra del “dopo”. E’ il caso proprio di Ivo Saglietti (Tolone, 1948 – Genova, 2023), scomparso il 2 dicembre scorso, a poco più di una settimana dall’avvio della personale a lui dedicata nella “Manica” della Camera Italiana al “Museo Nazionale del Risorgimento” di Torino.

Personale divenuta dunque (per destino!) “mini-retrospettiva” volta ad omaggiare, fino a domenica 28 gennaio prossimo“la storia professionale dell’artista entrata a titolo definitivo nel Pantheon che raccoglie i grandi fotoreporter del nostro Paese”. Parole accorate, queste di Michele Ruggiero, presidente de “La Porta di Vetro” (impegnata dal 2013 in importanti attività di social engagement) promotrice della mostra – è ormai la quarta – realizzata con la curatela di Tiziana Bonomo (“ArtPhotò”), in collaborazione con il “Consiglio Regionale del Piemonte”, il “Comitato Diritti Umani e Civili” e “Intesa San Paolo”. 53 sono gli scatti esposti, tutti in bianco e nero (cifra linguistica ideale per esaltare i contrasti formali e quell’arsura di luce che impregna a fondo ogni immagine), quasi tutti di piccolo formato all’interno dei passepartout e incorniciati di nero, come la grande “scuola francese” (da Saglietti intensamente amata) ha sempre insegnato.

In parete troviamo un saggio, che va dagli anni ’80 al 2018, di un’importante carriera professionale ((ben tre i “World Press Photo Award” vinti, oltre ad altri numerosi e prestigiosi riconoscimenti) che si srotola per oltre quarant’anni, dall’inizio delle rivolte in Centro America – Cile e Perù – ad Haiti e ancora dal vicino Oriente al “Mar Musa” in Siria, dove Ivo incontra padre Paolo Dall’Oglio con cui stringe un sodalizio importante ed una complicità di idee sfociata in alcune mirabili foto presenti in mostra (“Padre Dall’Oglio sale nella luce verso la montagna”) e nel libro (negli anni ne ha realizzati otto) “Sotto la tenda di Abramo” (Peliti Editore), prima del rapimento nel 2013 del gesuita italiano mai più ricomparso. Si tratta di lavori in assignement come quelli per il “New York Times Magazine”, “Time”, “Der Spiegel”, “Newsweek” e collaborazioni con prestigiose agenzie di fotogiornalismo come “Sipa Press”, “Stern” e “Zeitenspiegel”. Ma ad Ivo non piaceva il lavoro “mordi e fuggi” sottoposto ai ritmi frenetici della cronaca. Da “cavallo solitario” e di gran razza, amava – l’immancabile Leica sempre a portata di scatto – la “lentezza”. Diceva: “La lentezza è un fondamento della fotografia …  Quando arrivo sul luogo del mio lavoro, il primo giorno raramente estraggo la macchina fotografica. Avanzo torno indietro, passeggio, giro intorno, osservo, prendo appunti. Tutto con grande lentezza, lasciandomi penetrare dalle sensazioni, cercando di entrare in sintonia con i luoghi e con le persone”. Mirabili, in questo senso, la foto dei “Braceros” a Cuba o quella dell’infermiera che bacia sulla fronte, sempre a Cuba, un bambino vittima del disastro di Chernobyl o ancora a Srebrenica l’immagine delle due donne vestite di bianco, con il velo sul capo, chinate in preghiera sopra le bare dei propri cari, premio “World Press Photo” 2010. Cristallizzazioni di sofferenze e dolori e tragedie indicibili. Vuote però di rabbia, di urla sguaiate, di esibizionismi rancorosi.

La fotografia, secondo Saglietti, non ha nulla da “dimostrare”, ma tanto da “mostrare”. Scrive Tiziana Bonomo:  “Neri intensi, ombre lunghe, colpi di luce muovono le magie che Saglietti usa per commuoverci. In lui sono inseparabili amore, disperazione e speranza”. E coraggio. Tanto. Quel coraggio “che non si  esprime soltanto – conclude Michele Ruggiero – nella ricerca di un bianco e nero che vuole snidare l’indifferenza dalle nostre coscienze, ma nell’amore che esprime per gli ultimi, che sono anche i più deboli”.

Gianni Milani

 

“Ivo Saglietti. Lo sguardo nomade”

Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, piazza Carlo Alberto 8, Torino; tel. 011/5621147 o www.museorisorgimentotorino.it

Fino al 28 gennaio 2024

Orari: dal mart. alla dom. 10/18

Nelle foto: “Braceros il giorno della paga”, Repubblica Domenicana, 1993; “Padre Dall’Oglio sale nella luce verso la montagna”, Mar Musa – Siria, 2002; “La città dei bambini”, Cuba, 1993; “Due donne piangono dopo aver trovato le bare dei propri cari”, Srebrenica-Potočari (Bosnia ed Erzegovina), 2009

Minaccia di tagliare a pezzi la moglie: arrestato

La moglie di un 49enne di Biella  si è rivolta alle forze dell’ordine per denunciare  diversi maltrattamenti, fisici e psicologici, che subiva ogni giorno  dal marito. Quest’ultimo era spesso ubriaco e minacciava e picchiava la moglie anche in presenza del figlio di dieci anni. Oltre ad augurare la morte alla donna, avrebbe  persino minacciato di tagliarla a pezzi. L’uomo è stato arrestato.

NOTIZIE DAL PIEMONTE

Giachino: “Gli auguri più belli da un operaio del cantiere Tav”

Caro Direttore,
Siccome è pubblico perché è una risposta scritta sulla mia pagina FB Giachino Bartolomeo, Ti allego uno degli auguri più belli e emozionanti di questo 2023.
Vincenzo ha lavorato per anni nel cantiere di Chiomonte poi causa i ritardi del cantiere lato Italia e’ andato a lavorare nel cantiere lato Francia dove chi lavora non viene fatto oggetto di sputi, pietre etc. Un altro gesto che mi ha riempito il cuore mi è capitato in una trattoria della Valle dove al termine del pranzo chiedo il conto e la cameriera mi dice “il conto è stato offerto da un operaio che lavora al cantiere della TAV”.

Mino Giachino
SITAV SILAVORO

È una Juve Allegriana! Juventus-Roma 1-0

 

Rabiot
18esima e penultima giornata del girone d’andata di serie A

Da quando il campionato italiano dà alla vittoria i 3 punti,stagione 1994/95
Allegri è l’allenatore che ha vinto più volte per 1-0,ben 76 contro le 75 volte di Ancelotti.
Un dato statistico che fa capire quale è la concretezza della Juve.La
squadra di Allegri chiude il 2023 con un successo prezioso sulla Roma e si riavvicina all’Inter portandosi a -2 dalla capolista nerazzurra.Il primo tempo è stato molto equilibrato.Il giallorosso Cristante colpisce il palo con un gran tiro dalla distanza.La Juve ci prova con Vlahovic e Kostic però è Dybala a sfiorare il gol. A inizio ripresa la gara viene sbloccata da Rabiot,abile ad inserirsi in area giallorossa e concludere a rete l’azione.La squadra di Mourinho prova fino alla fine ad agguantare il pari ma non ci riesce,Lukaku per ben due volte viene fermato dalla difesa bianconera dove ha giganteggiato l’ex granata Bremer. Vincono i bianconeri che non mollano la rincorsa contro l’Inter per poter contrastare i nerazzurri fino all’ultima giornata nella lotta per lo scudetto.

Enzo Grassano

Il “Natale” di Eduardo, un capolavoro di risate anche oggi

Sino al 7 gennaio sul palcoscenico del teatro Alfieri

Dici Eduardo e dici “Natale in casa Cupiello”. L’autore e la “sua” commedia. Dici il groppo in gola, dici il divertimento, dici la risata come pure il dramma di una famiglia che si sta sgretolando, sotto l’occhio non più troppo vigile di quel padre che crede di avere tutti e ogni cosa in pugno ma che al contrario, ora, inciampa in una moglie, Concetta, che dentro quell’aria devota che ha stampata in faccia trova gli spiragli della derisione, in un figlio, Tommaso, fannullone, mariuolo sempre teso a rovistare nelle tasche e nella “robba” altrui, bamboccione ante litteram, pienamente contestatore (“nun me piace ‘o presepio”), in una figlia, Ninuccia, che piomba in casa, la vigilia della festa, a sbandierarti, senza un po’ di pudore, che ha tutta l’intenzione di lasciare quell’uomo ricco che le hanno dato per marito, con la sua fabbrica di bottoni, e di fuggirsene con il bel Vittorio per godersi tutta la vita sua. Una valanga che cala scena dopo scena, sempre più pesante, mentre il capofamiglia si rifugia in quel presepe che va a fatica costruendo, mentre il caso e la disattenzione di qualcuno sono lì pronti a distruggerlo.

Un capolavoro di sentimenti, ormai bacati e tutti sghembi, datato 1931, nato come atto unico che poi, negli anni successivi, in più occasioni, Eduardo ampliò sino a renderlo come oggi lo vediamo. E continuiamo ad ammirare. Vincenzo Salemme – che lo porta a Torino, al teatro Alfieri, sino al 7 gennaio, con una numerosa quanto variopinta compagnia – è nato, era la fine degli anni Settanta, alla scuola del grande autore napoletano, gli si avvicinò un giorno a Cinecittà mentre erano in corso le riprese televisive della commedia. “Aveva sulle spalle lo scialle color vinaccia pallido, un camicione da notte e i mutandoni che finivano dentro i calzettoni di lana”: quello era, per sempre, Luca Cupiello. Una scuola che ha dato i suoi frutti ma che poteva anche avviluppare del tutto, sostituirsi, non lasciare un respiro: invece il Luca di Salemme vive di vita propria, mostra i segni concreti di questo autunno del patriarca, il carattere sbiadito, è quanto di più personale ci si possa aspettare, segue certo la vecchia strada ma attualizzandola la ringiovanisce con convinzione, con spirito inesplorato, con estro decisamente maturo. L’attore accresce in quel personaggio la sbadataggine mentale, i chiaroscuri della vita, tutta la cecità che si porta appresso, il tragico e il tragicomico che lo seguono ad ogni battuta: ne firma la sconfitta, propria e di quella atmosfera natalizia costruita ora dopo ora. Mentre le tragedie si compiono, Luca crede che sia ancora tempo di comparire in scena con le candeline accese e con i mantelli e le corone dei re magi, come se tutto continuasse a essere un gioco.

Nella commedia “più bella, più amara, più divertente, più sentimentale, più intensa, più malinconica, più festosa, più struggente della storia” Salemme ha riversato tutto lo spirito di Eduardo, il suo desiderio di rovistare, anche a costo di ferirsi, all’interno di tanti nuclei familiari, come tutta l’allegria possibile: ne sono prova l’inizio della tournée fatta di tutti esauriti e il debutto a Torino, fitto di risate e applausi ritmati a scena aperta da un pubblico letteralmente e piacevolmente coinvolto. Un successo: di un interprete e regista, di una compagnia tutta in cui ha avuto un proprio giusto spazio la Concetta di Teresa Del Vecchio: l’attrice è stata chiamata da Salemme soltanto il giorno prima del debutto torinese, soltanto un unico giorno di prove per un ruolo che la vede sempre in scena, chiamata a sostituire la collega che sino a quel momento aveva ricoperto il ruolo, impossibilitata per un serio problema di salute che l’aveva costretta al ricovero in ospedale. Sostituzione eccellente, con la messa a fuoco di un carattere pieno di concretezza e di realismo, del pragmatismo vissuto tra le quattro mura, ma pure delle difficoltà, dei segreti tenuti per sé, delle quotidianità da portare come un grosso peso. Una bella prova, di grande sicurezza, anch’essa rimarcata dagli applausi finali del pubblico che riempiva la sala come di rado s’è visto.

Elio Rabbione

Ultimo saluto al fondatore della storica gastronomia Baudracco di Torino

I funerali di Maurilio Baudracco, 81 anni, fondatore della storica gastronomia Baudracco si terranno martedì 2 gennaio nella chiesa di San Carlo in piazza San Carlo a Torino. Come scrivono le pagine torinesi di Repubblica, il patron del celebre negozio attivo dal 1969 sotto i portici di corso Vittorio Emanuele, a due passi da Porta Nuova, è morto nella notte tra il 28 e il 29 dicembre nel reparto di Pneumologia dell’ospedale Mauriziano. La gastronomia è da sempre punto di riferimento per i torinesi che amano i cibi di qualità.

L’anno che non è stato, l’anno che sarà 

IL PUNTASPILLI di Luca Martina 

 

Anche questo 2023 sta arrivando ai titoli di coda e, ancora una volta, ci troviamo a riflettere su quello che a inizio anno si pensava fosse destinato ad avvenire e che invece non è successo.

I mercati finanziari, si sa, si muovono sulla base delle aspettative degli investitori. Sono questi ultimi, infatti, che, comprando e vendendo azioni e obbligazioni provocano i loro rialzi (quando ci sono più compratori disposti ad acquistare ad un certo prezzo rispetto a coloro che se ne vogliono disfare) o ribassi (il fenomeno opposto: una maggioranza di investitori che vuole sbarazzarsi dei propri titoli rispetto a coloro che sono pronti ad acquistarli).

Accade così che più elevato è il pessimismo che regna e maggiore è la probabilità che i prezzi alla fine salgano (chi doveva vendere l’ha già fatto e basta poco per fare ripartire gli acquisti).

Il 2023 è stato, da questo punto di vista, davvero paradigmatico: vediamo in rapida successione quali pericoli minacciavano la crescita economica e l’andamento delle quotazioni lo scorso gennaio o nei primi mesi dell’anno.

Il rischio più ampiamente dibattuto 12 mesi fa era quello di una recessione: il mix venefico di elevata inflazione e tassi d’interesse in salita giustificavano i peggiori timori degli analisti.

Alla prova dei fatti, l’unico Paese di una certa rilevanza a registrare una crescita negativa del PIL sarà quest’anno la Germania (con il -0,1%). Tra i pochi a chiudere l’anno in recessione merita una menzione anche la Svezia, con un -0,7%, frutto di un forte rallentamento del settore immobiliare (dopo molti anni di crescita i prezzi delle case scandinave sono, infatti, scesi quest’anno dell’11%).

Gli Stati Uniti chiuderanno invece l’anno con una crescita vicina al 2,5% e in forte accelerazione (il terzo trimestre è stata del 5,9%).

Insomma, il binomio tassi/inflazione ha provocato danni soprattutto nel nostro continente, anche a causa del perdurare dell’incertezza legata alla guerra russo-ucraina, mentre oltreoceano la locomotiva a stelle e strisce ha continuato a viaggiare, aiutata dai forti aiuti che il governo aveva distribuito alle famiglie negli anni passati (ed ancora completamente utilizzati) per fronteggiare il rallentamento provocato dalla pandemia.

Nel complesso, dunque, la tanto temuta recessione globale non c’è stata e i mercati hanno tremato solo quando, questa estate, sembrava che le banche centrali fossero determinate a mantenere i tassi (dai quali dipendono gli interessi sui prestiti e sui mutui di imprese e famiglie) alti per molto tempo: questo era, in effetti, un altro dei timori che aleggiavano da parecchio tempo.

Non a caso il 2022 era stato l’Annus horribilis per i mercati obbligazionari, funestati dall’aumento dei tassi e timorosi che, dopo un lungo periodo di costante discesa, gli anni a seguire avrebbero riservato niente di meglio di una loro stabilizzazione, con il rischio non indifferente di un’ulteriore salita.

Com’è noto, infatti, i prezzi dei titoli di stato scendono quando i tassi richiesti dagli investitori per la loro sottoscrizione salgono al di sopra delle cedole offerte degli stessi…

Le dichiarazioni più distese dei signori della moneta, con il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, in testa, degli ultimi mesi hanno invece rimesso le cose a posto e i listini in carreggiata per chiudere l’anno in forte recupero (dopo le perdite del 2022).

Un altro spettro si è aggirato, poi, per il mondo finanziario quest’anno: quello di una crisi bancaria.

A marzo, negli Stati Uniti, erano fallite, in rapida successione, tre banche regionali facendo così temere il peggio per l’intero settore.

La Silicon Valley Bank, in particolare, è stato il peggior fallimento della storia bancaria americana e negli stessi giorni il collasso di uno dei pilastri del sistema bancario elvetico, Credit Suisse, sembrava fosse solo l’inizio di un periodo molto complicato, spesso le crisi economiche sono innescate o esasperate da quelle bancarie (ne avevo parlato qui: https://www.pannunziomagazine.it/uno-due-tre-stella-di-luca-martina/ ).

In realtà dopo la nevicata non c’è stata nessuna valanga: le banche hanno sofferto di una pessima performance borsistica ma non si sono registrati ulteriori dissesti e il pericolo è stato rapidamente messo alle spalle.

Anche il perdurare del conflitto alle porte dell’unione europea e l’inizio di una nuova guerra in Medio Oriente non hanno turbato più di tanto la crescita economica e l’andamento dei mercati.

Il cinismo degli investitori guarda sempre e solo agli effetti economici e se pandemia e invasione dell’Ucraina avevano, nel 2020-22, creato colli di bottiglia nei rifornimenti energetici e nel commercio internazionale, con salite vertiginose dei prezzi delle materie prime, la situazione si è ora normalizzata (si sono aperte nuove rotte, con nuovi fornitori) e neanche i tragici eventi israelo-palestinesi hanno cambiato la situazione (il prezzo del greggio rimane sui livelli pre-conflitto).

Quello che appare chiaro è che, dunque, quest’anno non si sono materializzati i disastri annunciati ed economie e mercati ne hanno, alla fine, beneficiato.

Rimane ora da capire cosa avverrà nel 2024.

L’inflazione continuerà probabilmente a scendere ed i tassi d’interesse di mercato stanno iniziando a incorporare queste aspettative.

Occorrerà vedere se il rallentamento economico inizierà a materializzarsi, in particolare negli Stati Uniti, dato che gli aumenti dei tassi tendono a riflettersi sulla crescita 18-24 mesi dopo il loro inizio (avvenuto a partire da marzo del 2022 e dunque forse ci siamo…).

Il 2024 sarà anche un anno elettorale: saranno chiamati ad esprimersi ben 76 Paesi, il 50% della popolazione mondiale e ben l’80% dei Paesi industrializzati e tra questi l’India e gli Stati Uniti.

Le elezioni possono avere l’effetto di produrre incertezze legate al potenziale subentro di un diverso partito/presidente rispetto a quello in carica ma anche spingere chi è attualmente al comando a fare tutto quanto in loro potere per arrivare alle elezioni con la migliore situazione economica possibile (per guadagnare più consensi).

Come sempre, poi, non mancheranno gli eventi, al momento non prevedibili, che renderanno l’anno in arrivo molto interessante.

Non possiamo, allora, che predisporci a vivere il nuovo anno con grande circospezione ma anche senza lasciarci spaventare troppo: a scommettere sulla fine del mondo, in fondo, non ci ha mai guadagnato nessuno!

 

Buon anno a tutti!