ilTorinese

Metro, bus, monopattini e taxi insieme. Partnership tra Gtt, Bird e Wetaxi

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Metro, bus, monopattini e taxi, insieme, per consentire a chi si sposta in città di raggiungere più agevolmente la propria destinazione. E’ l’obiettivo della partnership sottoscritta tra GTT, l’azienda di trasporto pubblico torinese, Bird, leader mondiale nella mobilità elettrica in sharing e Wetaxi, startup torinese leader nel settore taxi e mobilità integrata.

A seconda delle diverse necessità sarà così possibile trovare il mezzo giusto per recarsi al lavoro o nel proprio tempo libero usufruendo di volta in volta dell’opzione migliore per muoversi combinando i trasporti pubblici con i mezzi di micro mobilità e i taxi. Un’opzione di trasporto conveniente e accessibile per tutti, anche per chi non possiede un’auto.

Questa maggiore flessibilità che avrà ripercussioni positive anche sull’ambiente, l’utilizzo di monopattini elettrici e biciclette contribuiscono infatti alla riduzione dell’utilizzo dell’auto privata con minori emissioni, e sulla sicurezza consentendo di poter organizzare, anche in orario notturno quando la rete di trasporto pubblico è meno capillare rispetto agli orari diurni, il ‘primo e ultimo miglio’, ovvero il percorso che si compie a piedi tra la fermata del bus e la destinazione finale o viceversa.

Per la nuova collaborazione, GTT, Bird e Wetaxi offrono agli abbonati mensili GTT un bonus: acquistando sull’e-commerce GTT un abbonamento mensile (Under 26, Formula U e Formula 3), si potrà ottenere un codice promozionale di 5 euro da utilizzare direttamente sulle app Bird e Wetaxi per i loro servizi.

“Una mobilità – commenta l’assessore Chiara Foglietta – che consente di integrare linee di forza del trasporto pubblico locale con mezzi di trasporto alternativi e sostenibili significa non solo semplificare la vita degli utenti, ma anche ridurre l’impatto ambientale, e promuovere una mobilità urbana più efficiente e efficace.”

“Unendo le forze – aggiunge Serena Lancione, Amministratore Delegato di GTT – abbiamo l’opportunità di integrare le nostre infrastrutture di trasporto pubblico con le soluzioni di micro mobilità e di mobilità sostenibile integrata, offrendo ai nostri clienti un’esperienza di viaggio più fluida, sicura ed eco-friendly”.

TORINO CLICK

Tutti i colori della Casa Bianca

IL PUNTASPILLI  di Luca Martina

 

A poco più di due mesi dalle elezioni del 5 novembre la lotta per la presidenza americana appare più incerta che mai.

A ravvivare l’interesse e a modificare l’esito dei sondaggi, tra fine giugno ed il mese successivo, ne sono successe davvero di tutti i colori.

Il vantaggio accumulato da Trump sino al disastroso (per Biden) dibattito del 27 giugno ed all’attentato del 10 luglio è stato totalmente riassorbito dai “dem” dopo il ritiro dalla corsa, il 21 luglio, del presidente in carica a favore della sua vice Kamala Harris.

Nelle ultime settimane, poi, si sono delineati meglio i programmi dei due candidati e la data chiave, da segnarsi sul calendario, è il 10 settembre, quando si affronteranno in un faccia a faccia, organizzato dalla rete televisiva ABC, che potrebbe rivelarsi decisivo.

A giugno, negli studi della CNN, i due contendenti, The Donald e Biden, avevano dedicato le loro energie a sottolineare i (presunti) successi e fallimenti delle loro esperienze presidenziali (*), ignorando l’argomento che più interessa gli elettori: i loro progetti per il Paese.

La situazione a settembre sarà molto probabilmente diversa: la giovane candidata democratica vorrà senza dubbio concentrarsi sul futuro e Trump non avrà più facile gioco, come avveniva con Biden, dimostrandosi energico e deciso ed attaccando su questo campo il suo avversario.

L’incontro dovrebbe, quindi, essere l’occasione per verificare la sostanza dei programmi elettorali e la capacità degli aspiranti presidenti di renderli convincenti agli occhi degli elettori.

Gli americani incerti sono ancora molti e non bisogna lasciarsi ingannare dalla crescita costante, dalla sua entrata in campo, della popolarità di Kamala.

La Harris ha beneficiato del sospiro di sollievo di una fetta dell’elettorato di sinistra, che aveva ormai perso fiducia nelle capacità di reggere un altro mandato da parte dell’attuale presidente, e dello spostamento, al suo interno, a suo favore di una quota dei consensi di Robert F. Kennedy Junior (e degli altri candidati democratici “minori”).

Il nipote di JFK è un altro esempio della “fluidità” che serpeggia nello scenario politico statunitense (anche Trump non è certo il classico candidato del “Grand Old Party”, i repubblicani…).

Democratico, come gli altri quattro Kennedy che hanno corso per la presidenza, ha una visione completamente diversa (e contrastante) rispetto a quella di Joe & Kamala: liberale, conservatore e sostenitore di teorie complottiste, ha deciso nei giorni scorsi di ritirare la sua candidatura (ormai senza speranza di successo) e di dare il suo appoggio a Trump!

Rimane tutto da capire quanti dei sostenitori di Robert Junior (stimati tra il 4 ed il 12%) decideranno di seguire il suo consiglio…

Lo scenario è reso ancora più complicato dal meccanismo delle presidenziali, creato alla fine del 1700, che assegna ai 50 Stati più uno, il District of Columbia, un numero predefinito di voti.

In tutto si tratta di 538 voti che corrispondono ad altrettanti rappresentanti (i “grandi elettori”) che hanno ‘promesso’ di sostenere il candidato al quale sono collegati.

Per ottenere la presidenza, occorre perciò ottenere 270 voti elettorali, corrispondenti ai grandi elettori eletti in ogni collegio (dove chi ottiene la maggioranza si aggiudica tutti i voti).

Storicamente, una larga parte degli Stati ha già un orientamento ben chiaro e l’esito finale si gioca sui cosiddetti “swing States”, gli Stati che fanno la differenza e il cui esito rimarrà in bilico sino alla fine.

In questa tornata molto dipenderà da ciò che avverrà in Nevada, Michigan, Wisconsin, Arizona, Pennsylvania e Georgia, per un totale di 77 voti.

Alcuni commentatori aggiungono all’elenco degli incerti anche il North Carolina che, sebbene nei sondaggi sia ora attribuito ai repubblicani, ha una quota enorme (ben il 37%) di elettori che non manifestano alcuna preferenza e per questo è ancora ampiamente contendibile.

Questo fa salire il numero totale dei voti ancora sul tavolo a 93.

Non ci deve sorprendere, quindi, che gli sforzi dei due contendenti si concentrino in faticosi “tour de force” ed incontri proprio in questi sette Stati.

Come accennato all’inizio, il quadro incomincia a delinearsi e possiamo cercare di comprenderne colori e sfumature attraverso una breve disamina degli aspetti salienti che emergono dai due schieramenti.

Iniziamo, per ragioni di cavalleria, da Kamala Harris che mette al centro l’aumento delle tasse, sulle società e sui redditi più elevati, la riduzione dell’inflazione, la regolamentazione dei rapporti e del commercio con la Cina ed una politica energetica che punta ad un’accelerazione della decarbonizzazione.

Nel 2017 Trump aveva introdotto una riduzione temporanea (scadrà a fine 2025) delle aliquote fiscali che non verrà rinnovata dai democratici riportando la tassazione al 28%, dal 21 attuale, per gli utili delle società ed al 39,6%, dal 37 attuale, per i redditi superiori ai 400.000 dollari (mantenendo, invece, quelle sui redditi inferiori).

Ad essere impattate dalle maggiori imposte sui redditi sarebbe una quota molto piccola, il 3% circa, delle famiglie americane ma il peso economico (in termini di imposte raccolte) sarebbe molto più che proporzionale e contribuirebbe a coprire parte dei maggiori costi previsti dagli altri punti del programma presidenziale (tra i quali figura anche la detassazione delle mance, fonte di reddito significativa, in particolare nel settore alberghiero e della ristorazione).

Nel programma dei candidati non poteva certo mancare una menzione all’inflazione, che rimane, in assoluto, la maggiore preoccupazione degli americani. (**)

Sebbene i dati siano da qualche tempo estremamente confortanti, l’aumento dei prezzi al consumo è tornato molto vicino al 2% desiderato dalla autorità monetarie, la salita degli ultimi due anni dei prezzi degli alimentari, dei farmaci e delle abitazioni sono impossibili da dimenticare ed una loro riduzione consentirebbe di recuperare, almeno in parte, il potere d’acquisto perso.

La proposta democratica prevede di calmierare i prezzi dei beni alimentari, attraverso dei controlli attuati da una nuova agenzia governativa, proibendo ai produttori il loro “ingiusto arricchimento” (attuato ampiamente anche attraverso l’utilizzo indiscriminato della “shrinkflation”, la diminuzione delle quantità di prodotto nelle confezioni, difficile da percepire a prima vista, mantenendo invariati i prezzi).

Per quanto riguarda i medicinali, il programma di Kamala si basa su una maggiore trasparenza dell’operato degli enti (i Pharmacy Benefit Managers) che si occupano del loro acquisto (contrattando i prezzi migliori) a livello centralizzato per gli ospedali ed i loro pazienti.

A questo si sommerebbe un’azione più incisiva, antitrust, per evitare un’eccessiva concentrazione di potere nelle imprese dei singoli settori, che, se non contenuta, si traduce in una maggiore capacità di imporre più facilmente incrementi dei prezzi.

Sul fronte internazionale, il programma democratico punta il dito sulla necessità di proteggere gli Stati Uniti dalla crescente ingerenza cinese, proibendo l’esportazione di tecnologie strategiche, sulla conferma del supporto all’Ucraina e sulla pacifica convivenza, in due Stati indipendenti, di Israele e Palestina.

Dal punto di vista energetico si andrebbe, infine, a rinnovare e potenziare le misure tese ad accelerare l’adozione (a partire dagli enti pubblici) di veicoli elettrici e di fonti rinnovabili.

Per venire a Trump, i suoi cavalli di battaglia saranno, similmente alle passate candidature, la lotta all’immigrazione illegale, i dazi sulle importazioni (elevandoli, applicando il criterio della reciprocità, ai livelli applicati alle esportazioni USA) e il contenimento della Cina (anche attraverso l’imposizione di una tariffa straordinaria del 60% sulle importazioni).

Un altro tema caro a The Donald è quello della deregolamentazione che consentirebbe, tra le altre cose, di ottenere con maggiore facilità l’approvazione della messa in commercio di nuovi farmaci, di effettuare nuove esplorazioni per l’estrazione di gas naturale e petrolio, di portare a termine operazioni di fusione e acquisizione (l’esatto opposto della politica antitrust caldeggiata dalla Harris) e di sviluppare la produzione di elettricità sfruttando una pluralità di fonti diverse quali il carbone, il nucleare e l’idroelettrico.

Con Trump scomparirebbero, poi, gli sgravi fiscali e gli aiuti finanziari a favore dell’adozione dei veicoli elettrici ed ibridi e verrebbe incentivato un drastico aumento della produzione di farmaci sul territorio americano, per contrastare le forti importazioni provenienti da Cina ed India e calmierarne i prezzi.

Sul fronte internazionale, oltre al contrasto, condiviso da Kamala, alla Cina l’ex presidente promette di porre fine al conflitto russo ucraino (propugnando l’accettazione di un accordo che sancisca i nuovi confini, con il Donbass all’interno della Russia) e di appoggiare l’azione di Israele (pur auspicando una fine rapida dell’azione militare in Libano e Palestina).

Proprio l’eco degli eventi in Russia ed in Medio Oriente è destinato a giocare un ruolo importante: la presenza ucraina in Russia (Kiev controlla 1.300 km quadrati nella regione di Kursk) e l’attacco israeliano alle basi di hezbollah in Libano potrebbero contribuire a spostare l’ago della bilancia dell’elettorato.

Sul fronte interno, al contrario, la situazione economica sta fornendo segnali tutto sommato tranquillizzanti.

La frenata dell’inflazione ha reso pressoché certa l’inversione della politica monetaria e le prossime mosse della banca centrale produrranno una riduzione dei tassi d’interesse che gravano sulle famiglie e sulle imprese statunitensi.

L’economia sta certamente rallentando ma, non essendo alle viste nessuna recessione, si tratterebbe dello scenario “riccioli d’oro” (***), il più apprezzato dagli investitori e dagli elettori.

Insomma, la partita rimane quantomai aperta e per sapere se la Casa Bianca si tingerà metaforicamente di rosso-Trump (non è solo il colore della sua cravatta ma anche quello del suo partito) o di blu-Harris dovremo attendere ancora un po’ di tempo: la lunga estate calda continua…

(*)  https://iltorinese.it/2024/07/02/washington-abbiamo-un-problema/

(**) https://iltorinese.it/2024/06/04/domande-complicate-e-semplici-risposte-elezioni-pessimismo-e-inflazione/

(***) https://iltorinese.it/2023/01/18/conigli-orsi-e-riccioli-doro/

Giardino Madre Teresa, iniziata la riparazione dei danni causati dai vandali

 

Così come preannunciato, ieri sono stati avviati i lavori di riparazione dei danni inflitti dai vandali alle attrezzature del Giardino Madre Teresa di Calcutta, area verde situata tra corso Vercelli e corso Giulio Cesare.

In particolare è stata riparata la fontanella del giardino, che ora è nuovamente funzionante: l’area circostante è stata liberata rimuovendo la rete arancione, mentre i tecnici provvederanno a ripristinare la pavimentazione in gomma antishock danneggiata nei pressi dell’area giochi.

Tutte le attrezzature ludiche del giardino sono accessibili e fruibili, così come sono perfettamente funzionanti i nuovi giochi d’acqua, particolarmente apprezzati e utilizzati dai bambini e dai ragazzi in queste calde giornate estive.

Il Giardino Madre Teresa di Calcutta è stato da pochi mesi rimesso a nuovo grazie a finanziamenti del programma REACT EU PON Metro.

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L’ultimo romanzo di Cesare Pavese

Il 27 agosto del 1950, Cesare Pavese si toglieva la vita nella stanza 346 dell’hotel Roma in piazza Carlo Felice, di fronte alla stazione di Porta Nuova a Torino. Il suo ultimo romanzo La luna e i falò, uno dei capolavori della letteratura del ‘900 e libro di formazione per intere generazioni, rappresentò per più versi il viaggio dello scrittore alla ricerca di se stesso e delle proprie origini. Fu il suo testamento letterario, composto in meno di due mesi, tra il 18 settembre e il 9 novembre del 1949, e dato alle stampe nell’aprile del 1950. Pavese scrisse in proposito: “È il libro che mi portavo dentro da più tempo e che ho più goduto a scrivere. Tanto che credo che per un pezzo – forse sempre – non farò più altro. Non conviene tentare troppo gli dèì”. E non solo gli dei, se Pavese scelse di terminare la propria esistenza “nella stanza d’un albergo nei pressi della stazione; volendo morire nella città che gli apparteneva come un forestiero”, come scrisse Natalia Ginzburg. Sul comodino della stanza era posata una copia dei Dialoghi con Leucò su cui lo scrittore aveva lasciato una raccomandazione: “Non fate troppi pettegolezzi”.
Un epitaffio che invitava il mondo a rispettare la sua scelta di andarsene prematuramente e di farlo in silenzio, in punta dei piedi, con quel riserbo tutto piemontese che ha sempre contraddistinto la sua vita. Settantaquattro anni dopo la sua scomparsa i messaggi e i valori che le pagine dei romanzi e dei racconti di Pavese ci trasmettono continuano a essere attuali nella loro straordinaria semplicità e immediatezza, a partire da quello del profondo legame con la terra dove si nasce, quel legame che non si spezza mai e che ciascuno di noi porta dentro di sé perché “avere un paese vuol dire non essere soli sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Perché avere un paese, avere delle radici, un luogo al quale aggrappare i propri pensieri, nel quale rifugiarsi anche nei momenti più difficili come quello che abbiamo vissuto, come quello che stiamo vivendo, significa sapere di appartenere a una comunità con la quale potremo continuare a lottare. Cesare Pavese ha amato molto il Piemonte, le Langhe, le grosse colline nelle quali ambientò i suoi romanzi più belli, trasportando il lettore tra borghi e vigneti, falò e sentieri, tra la sua gente. La lapide posta sulla tomba che custodisce i resti mortali del poeta, trasferiti dal cimitero monumentale di Torino al camposanto di Santo Stefano Belbo nel settembre del 2002, riporta queste parole “Ho dato poesia agli uomini”, una frase struggente che testimonia la forza e l’immortalità dell’arte.

Marco Travaglini

Studenti torinesi: Giovanni Giolitti giobertino

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Torino e la Scuola

“Educare”, la lezione che ci siamo dimenticati
Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi
Le riforme e la scuola: strade parallele
Il metodo Montessori: la rivoluzione raccontata dalla Rai
Studenti torinesi: Piero Angela all’Alfieri
Studenti torinesi: Primo Levi al D’Azeglio
Studenti torinesi: Giovanni Giolitti giobertino
Studenti torinesi: Cesare Pavese al Cavour
UniTo: quando interrogavano Calvino
Anche gli artisti studiano: l’equipollenza Albertina

 

7  Studenti torinesi: Giovanni Giolitti giobertino

C’era una volta una ragazzina che aveva capito che cosa le sarebbe piaciuto fare da grande. Un giorno la piccola tornò da scuola e disse ai genitori: “io voglio andare al liceo artistico!”, ma i due adulti presero la sua affermazione come una barzelletta, si misero a ridere e replicarono: “tanto tu andrai al classico”. Una storia breve, triste e autobiografica.
Difficile, se non impossibile, per me è scrivere questo articolo mantenendomi “narratore esterno”, senza raccontare della mia personale esperienza “giobertina” e senza ricordare gli aneddoti di quegli anni che, come mi è già capitato di dire, si vuole che passino in fretta mentre li si vive e li si rimpiange quando poi sono trascorsi.

Del “mio” Gioberti (ho conseguito la maturità classica nel 2009) ricordo le aule prive di LIM, odorose di gessetto da lavagna, rammento le pareti smunte, sulle tinte dell’ocra, i banchi rettangolari dotati di sottobanco, ossia quegli spazi perennemente ricolmi di fogli piegati, di carta delle merendine, di bigliettini dimenticati che mamma mia se fossero caduti all’improvviso! E poi l’armadio di classe, strabordante dei libri che non sempre riportavamo a casa e i grandi finestroni che si affacciavano sul cortile quadrato, che dall’alto mi ricordava quello di una prigione e ancora i lunghi corridoi e i caffè presi sul suono della campanella. “E”, “e”, “e” tante congiunzioni per un’infinità di momenti che non so se posso descrivere così apertamente.
Ma continuiamo con la storia della ragazzina inascoltata. La sventurata non rispose alla replica di mamma e papà, perché a tredici anni non è facile né essere presi sul serio, né rendersi conto di quanto sia importante la scelta della scuola superiore. L’ignara ragazzina obiettò che almeno voleva scegliere in quale liceo classico si sarebbe iscritta e, dopo qualche litigata, riuscì ad avere la meglio almeno su questo punto. Dopo un’attenta analisi di mercato l’inconsapevole tredicenne si convinse che il Gioberti sarebbe stata la sua opzione definitiva: scuola “politicizzata”, di fronte all’Università e le leggende che lo definivano “il più leggero tra i classici”, in cui si facevano autogestioni e manifestazioni a non finire. Così alla domanda: “Allora hai scelto il Gioberti?”, “la sventurata rispose”, e disse “si”.

Il liceo Gioberti è una delle più antiche istituzioni scolastiche presenti a Torino, la storia della scuola si intreccia non solo con quella del capoluogo piemontese ma anche con le trasformazioni politiche, sociali e legislative del Regno d’Italia. L’istituto nasce grazie alla politica sull’istruzione pubblica che prevede l’apertura di Ginnasi e Licei “governativi” o “regi”.
Per essere più precisi è utile ricordare la Legge Casati, che, nel 1859, codifica l’educazione umanistica in due successivi e distinti corsi di studi: il Ginnasio, corso inferiore della durata di cinque anni, detto di “Grammatica”, ed il Liceo, ossia un corso superiore triennale detto di “Filosofia”. Il 4 marzo 1865, sotto il Ministero Lamarmora, viene pubblicato il Regio Decreto n°229, con tale documento vengono istituiti i primi sessantotto licei classici del Regno d’Italia e ad ognuno di essi è assegnato il nome di un grande personaggio italiano. Tra questi sessantotto istituti compaiono il Liceo Cavour e il Liceo Gioberti, la cui denominazione celebra due eminenti protagonisti della nostra storia.

Le cose non accadono mai per caso: lo “spaventoso” Liceo Cavour nasce (almeno come titolazione) in contemporanea al Liceo Gioberti, un po’ come i “Sith” di Guerre Stellari che sono sempre in due.  La nascita dei Licei di Stato risponde al desiderio di favorire una convergenza di intellettuali intorno al nuovo Regno italiano; a sostegno di tale intento è anche istituita una “Festa Letteraria” da tenersi annualmente ogni 17 di marzo in tutti i Licei del Regno, con il nome di “Solennità Commemorativa degli illustri Scrittori e Pensatori Italiani.”
Una festa antica, forse col tempo caduta in disuso, almeno, da che ne so io, il 17 marzo noi “giobertini” non abbiamo mai festeggiato nulla, anzi, non ricordo che le feste fossero ammesse a scuola: comportano inutile dispersione d’energia e sottraggono tempo utile ai compiti in classe!

È opportuno precisare che le due istituzioni scolastiche prese in esame in realtà esistono già anche prima del 1865, ma sono conosciute con un altro nome. Il Liceo Gioberti è in origine il Regio Collegio di San Francesco da Paola, con sede nel complesso conventuale dei Frati Minimi, edificato a partire dal 1627 in Contrada Po, grazie alle ingenti donazioni di Maria Cristina di Borbone-Francia, (moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia), e diretto a partire dal 1821 dai Gesuiti. Il Cavour, invece, in origine conosciuto come Collegio dei Nobili, è un’istituzione risalente al XVI secolo un tempo situato presso il convento del Carmine. Tra i licei, secondo quanto riportato nei documenti storici, il Gioberti è sempre stato l’istituto più frequentato. Chissà se tale moltitudine di scolari ha commesso un “errore di valutazione” simile a quello iniziale della ragazzina? E chissà quanti ignari studenti ancora si lasceranno ingannare dalle malelingue, iscrivendosi ad una scuola che per anni -proprio quelli in cui l’ho frequentata io- è stata considerata pari al Liceo Cavour, emblema assoluto della severità e del rigore?
Vorrei altresì ricordare, prima di proseguire con la storia della nostra fanciulla, che nel 1969, proprio il Liceo Gioberti, è stato sede della prima “Commissione Fabbriche” mai costituita in una scuola superiore italiana, anche citata nel film “Vento dell’est” di Jean-Luc Godard.

Torniamo a noi. La ragazza ben presto si rese conto che quella scuola non le calzava proprio a pennello, ma era anche evidente che non le sarebbe stato permesso cambiare corso di studi, quindi era meglio rimboccarsi le maniche e tapparsi il naso. “Tyche” venne in soccorso della studentessa e la inserì nel miglior gruppo classe che avrebbe mai avuto anche in futuro. I compagni erano proprio quelli “giusti” per affrontare quell’avventura. Con il tempo l’amicizia e la complicità limarono gli sforzi dello studio e le risate sommesse – mai durante l’ora di greco- resero la prova sopportabile. Ma voi che siete lettori curiosi vorrete sapere qualche dettaglio in più. Da narratore onnisciente posso dirvi che c’era un’insegnate temutissima, che si mostrò per la primissima volta a noi studenti durante un intervallo, asserendo che già tutti dovevano sapere chi fosse e che il giorno dopo si sarebbero corretti i compiti delle vacanze. Va da sé che in quelle ore di lezione a stento si respirava. Vi era poi un’altra docente, tanto preparata ma non sempre precisa, che alla lavagna era solita scrivere “parola importante” anziché il termine o il nome che sarebbe stato meglio ricordare. Vi posso dire che alla spocchia del primo anno corrisposero altre interrogazioni svoltesi in clima più disteso, addirittura mangiando caramelle e “chupa-chups” oppure versioni così commentate: “bella storia ma non è quella che c’è scritta qui”.

Vi posso raccontare di un “maiale volante” appeso al soffitto, comprato grazie ad una colletta di classe proprio come “mascotte” porta fortuna. E quanto ci sarebbe ancora da dire. Quanti pianti fece la mattina la ragazzina mentre andava a scuola, quante notti passò a studiare per poi prendere talvolta solo delle misere sufficienze, quante sconfitte ma anche quante vittorie. E quante rinunce: inconciliabile con l’intensità dello studio la scuola di danza, che ha dovuto lasciare proprio quando stava imparando a ballare sulle punte. Le scarpette rosa rimasero un ricordo riposto in solaio.

Ma noi abbiamo anche un altro discorso da portare avanti, quello degli storici studenti torinesi: tra i tanti coraggiosi che affrontarono i temibili professori del Gioberti (allora Ginnasio San Francesco da Paola di Torino) ci fu niente meno che Giovanni Giolitti (1842-1928), il grande politico italiano, più volte Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nel 1901, Vittorio Emanuele III affida l’incarico di formare il governo a Giuseppe Zanardelli, uno dei principali esponenti della Sinistra; nel 1903 Zanardelli, dopo aver concesso un’amnistia ai condannati politici e aver ristabilito una libertà di associazione, seppur limitata, si ritira dall’incarico a causa di una malattia. Nello stesso anno viene chiamato a capo del governo Giovanni Giolitti, ministro dell’interno; egli tiene la carica per quasi dieci anni, periodo comunemente definito “età giolittiana”. Giolitti, liberale ed esponente della Sinistra Costituzionale, si preoccupa di unire gli interessi dei proletari con quelli dei borghesi e degli operai, a tal proposito si dimostra abilissimo nel riuscire a trovare un neutrale equilibrio tra le varie forze in gioco, infatti da una parte favorisce l’industria e dall’altra promuove la legislazione sociale. Giolitti sostiene che lo Stato deve essere “super partes” rispetto agli interessi delle varie fazioni. Non a caso si può definire la parentesi giolittiana democratica e liberale.  L’intelligente perizia politica, nonché la dirittura morale, dello statista è testimoniata anche dall’ampio spazio che egli concede alla libertà di sciopero e dal modo in cui riesce a mantenere l’ordine pubblico durante le varie manifestazioni, in modo perentorio e vigilato, ma sempre evitando repressioni violente.

Nel corso del decennio dell’”età giolittiana”, egli perfeziona la legislazione in favore dei lavoratori più anziani e degli invalidi, emana nuove norme sul lavoro per le donne e per i lavoratori giovanissimi, inoltre estende l’obbligo dell’istruzione elementare fino al dodicesimo anno d’età. Giolitti favorisce poi l’attuazione di migliori retribuzioni stipendiarie, accrescendo così le possibilità di acquisto delle classi lavoratrici. Da ricordare anche gli interventi nel campo sanitario, come la distribuzione gratuita del chinino contro la malaria, e l’intenso programma di lavori pubblici, che comporta la nazionalizzazione della rete ferroviaria. Uno dei provvedimenti più importanti del governo Giolitti è l’estensione del diritto di voto: secondo la nuova legge del 1912 vengono ammessi al voto tutti i cittadini di sesso maschile purché abbiano compiuto 21 anni, se in grado di leggere e scrivere e con servizio militare svolto, o 30 anni, se analfabeti e non chiamati sotto le armi. Il numero degli elettori sale così da tre milioni e mezzo a otto milioni e mezzo su un totale di 36 milioni di persone.

Mi sento di poter dire che forse un po’ dell’integrità d’animo di Giolitti derivò sicuramente dai suoi studi liceali, anche se non fu proprio uno scolaro modello, come racconta egli stesso.
Ho voluto un po’ ironizzare in questo articolo che più di altri sento “mio”, ma ora siamo seri: la formazione che ho ricevuto è senza dubbio impareggiabile, quegli anni di duro lavoro, di sforzi e di rinunce e di crescita intellettuale mi hanno aiutato ad affrontare le prove successive e mi hanno effettivamente dato quella “formazione classica che apre tutte le porte”.
Com’è finita la storia della ragazzina? Beh ora la fanciulla (è ormai chiaro che sto parlando di me) è cresciuta, ha realizzato il suo sogno di frequentare l’Accademia di Belle Arti e ricorda un po’ in filigrana i bei momenti passati, quelli che l’hanno aiutata a superare le difficoltà che all’epoca sembravano così insormontabili. La ragazza ancora pensa a quel laboratorio liceale pomeridiano che l’ha portata a fare teatro di strada a Mentone e che in un qualche modo l’ha supportata nella scelta del percorso universitario. Pensa alla cara insegnante di educazione fisica che dirigeva il corso, che spesso sul palco la prendeva in braccio e la faceva volare come “Il Gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach. Il “mio” Gioberti è sempre lì, in centro, con le pareti tappezzate di manifesti politici rattrappiti dall’umidità, e ora ammetto che l’unico modo che ho trovato per superare i miei traumi adolescenziali è stato quello di intraprendere, a mia volta, la bella carriera di insegnante.

Alessia Cagnotto

L’arte circense al TODAYS Festival con la FLIC Scuola di Circo

27, 28 e 29 agosto @ Bunker, Piazza Foroni e Mercato di Falchera Vecchia

Eventi a ingresso libero

La FLIC Scuola di Circo di Torino è pronta a portare l’arte circense attraverso performance e spettacoli all’interno del TODAYS FESTIVAL.

Tra gli appuntamenti tre serate con l’Aperitivo Oscillante al Bunker, con gli artisti Costanza Bernotti, Ivan Morales Luiz e Federica Pini Sandrelli che stupiranno con le loro performance uniche e creative sul vertiginoso trapezio ballant guidati dalla voce narrante di Marcgehrita Caveziel e prima di dj-set, l’artista Silvia Martini che vive in un mondo fatto di 35 hula hoop, giocoleria frizzante ed equilibrismi esilaranti con Giorgio Bertolotti.

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TODAYS è il Festival in scena a Torino dal 23 agosto al 2 settembre 2024 con una serie di eventi e attività diffusi nella Circoscrizione 6 della Città. È un progetto della Città di Torino, in collaborazione con la Fondazione per la Cultura Torino, in partnership con Iren, con il sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo e Fondazione CRT, realizzato da Fondazione Reverse.

La FLIC Scuola di Circo è pronta a portare l’arte circense all’interno degli eventi Off di questo grande festival, dal 27 al 29 agosto al Bunker in Piazza Foroni e al Mercato di Falchera Vecchia.

Dopo il grande successo di OSCILLANTE, festival europeo dedicato alle discipline circensi “ballant” che la FLIC ha organizzato dal 28 al 30 giugno, per il TODAYS Festival, in tutte e tre le serate dalle ore 18:00 alle ore 20:00 nell’Area Bunker di via Niccolò Paganini, è in programma l’Aperitivo Oscillante, eventi con gli artisti Costanza Bernotti, Ivan Morales Luiz e Federica Pini Sandrelli che stupiranno con le loro performance uniche e creative sul vertiginoso trapezio ballant.

Ogni spettacolo viene introdotto da una voce narrante e accompagnato da un dj set, offrendo al pubblico un’esperienza coinvolgente dall’inizio alla fine. L’Aperitivo Oscillante è una fusione di arte circense e musica, arricchita dalla presenza di un cocktail bar. È l’occasione perfetta per rilassarsi e lasciarsi incantare dalle esibizioni artistiche aeree. Qui, il cielo non è il limite, ma solo l’inizio di un viaggio nella meraviglia.

Il 27 agosto al Mercato di Piazza Foroni e il 28 agosto al Mercato di Falchera Vecchia (via degli Abeti), alle ore 11:00 sarà la volta di “Happy Hoop” di Silvia Martini: un attaccapanni ed un baule rosso accompagnano l’artista in un mondo fatto di 35 hula hoop volteggianti ed acrobazie temerarie. Uno spettacolo che unisce all’alto livello tecnico nelle discipline circensi dell’hula hoop, del clown e del verticalismo, una teatralità delicata e allo stesso tempo provocatoria dove il gioco della seduzione coinvolge il pubblico a ritmo di mambo e rock&roll.

Giorgio Bertolotti infine divertirà il pubblico con “Unicycle Dream Man” il 28 agosto alle ore 12:00 al Mercato di Falchera Vecchia e il 29 agosto alle ore 11:00 al mercato di Piazza Foroni (Piazzetta Cerignola).

Rendere la piazza un luogo di scambio, un luogo vivo, dove poter condividere con il pubblico complice e a volte attore protagonista, un momento spensierato e giocoso, sono le fondamenta di questo spettacolo sorprendente e imprevedibile. L’ironia tagliente e la semplicità con cui Giorgio si relaziona con il pubblico, sono il filo conduttore di uno show dove si susseguono momenti di giocoleria frizzante, evoluzioni tecniche su un monociclo gigante e per finale uno strampalato spogliarello in equilibrio su una ruota che lascerà il pubblico a bocca aperta.

 

La FLIC Scuola di Circo è stata fondata nel 2002 dalla Reale Società Ginnastica di Torino, la più antica società ginnica italiana nata nel 1844, ed è una delle scuole più rinomate a livello internazionale nel settore del circo contemporaneo. La sua filosofia di alta tecnica circense e una pedagogia artistica innovativa hanno accompagnato più di 800 studenti di oltre 40 paesi diversi in 22 anni. È membro effettivo della FEDEC (Federazione Europea delle Scuole Professionali di Circo).

 

 

 

Merlo: Futuro della montagna, una questione centrale per la Regione 

“Sì, la difesa, la valorizzazione e la infrastrutturazione dei territori montani restano una delle
questioni politiche centrali della Regione Piemonte a guida Alberto Cirio. E proprio partendo dal
crescente turismo estivo nelle montagne piemontesi di questi mesi arriva la conferma che è
sempre più indispensabile rafforzare una politica e un progetto specifici per il futuro dei territori
montani. Prospettiva che passa non solo attraverso l’attivazione dei servizi essenziali per le
persone e le comunità locali ma anche, e soprattutto, con una specifica ed efficace politica di
sgravi fiscali, di aiuti per le pubbliche amministrazioni e di incentivi concreti per restare in questi
territori. E il problema, come ovvio, non riguarda soltanto il cosiddetto comparto della neve e il
suo relativo indotto ma, semmai, l’intero mosaico della montagna.
Per fortuna, il programma politico ed amministrativo della coalizione che ha vinto le recenti
elezioni regionali già prevede una forte e specifica attenzione al futuro della montagna. E dove
non esistono, e questo è un ulteriore elemento positivo, partiti che predicano la ‘decrescita felice’
da un lato o un fondamentalismo ed estremismo ambientalista dall’altro. Semmai, serve un
progetto amministrativo, e politico, che solo partiti responsabili e che puntano allo sviluppo e ad
una reale promozione del territorio, possono garantire”.

Giorgio Merlo, Dirigente nazionale Tempi Nuovi Popolari uniti, Assessore Pragelato. Già Sindaco.

Morto in casa per un malore l’erede degli storici biscotti “Krumiri”

È stato trovato morto in casa a Casale Monferrato probabilmente per un malore Nicola Molghea, 58 anni, figlio di Anna Maria Portinaro e Carlo Molghea, titolari della celebre pasticceria Rossi eredi Portinaro che detiene dalla fine dell’800 la ricetta”segreta” dei veri Krumiri di Casale. I famosi biscotti hanno la forma arcuata in omaggio ai baffi di re Vittorio Emanuele II. Molghea lascia i genitori e un fratello.

Il fotovoltaico cresce in Piemonte

 

Lombardia, Veneto, Lazio e Piemonte sono le regioni d’Italia che si sono distinte per maggior numero di installazioni.

 Il settore fotovoltaico continua la sua crescita in tutta Italia. Nell’ottava edizione del Barometro del Fotovoltaico di Elmec Solar – l’azienda di Brunello che si occupa di installare e manutenere impianti fotovoltaici residenziali e industriali – emergono risultati che superano le aspettative. A marzo 2024 sono oltre 1 milione e mezzo, più precisamente 1.684.316, gli impianti installati in tutto il Paese, 360.198 in più dell’anno scorso, pari a un incremento del 27%.

A un’analisi più dettagliata emerge che le città sul podio per il maggior numero di impianti installati si confermano essere Roma, Brescia e Padova, ma non solo. L’incremento di nuovi impianti a Roma è stato di +15.435, quintuplicando (+485 %) il risultato dell’anno precedente; lo stesso vale per Brescia (12552 impianti, +325% sul 2023) e Padova (11363 impianti, +365% sul 2023), che hanno quadruplicato gli impianti installati l’anno precedente.

“I risultati ottenuti nell’ultimo anno dimostrano che l’Italia sta facendo notevoli progressi nella transizione energetica, in particolare nell’adozione del fotovoltaico. Gli italiani hanno capito che, anche senza il bonus del 110%, l’energia solare è un investimento che offre significativi risparmi economici e garantisce indipendenza dalla variabilità dei prezzi dell’energia elettrica. Questa consapevolezza è evidente dal fatto che in tutte le regioni l’adozione del fotovoltaico non è stata una semplice moda degli ultimi due anni, ma una scelta consapevole e ponderata per privati e aziende”afferma Alessandro Villa, amministratore delegato di Elmec Solar e membro del consiglio di Italia Solare e di Confindustria Varese.

Secondo la rielaborazione da parte di Elmec Solar dei dati pubblicati da Italia Solare, le 10 province d’Italia più “virtuose” sono rispettivamente: Roma con +15435 nuovi impianti; Brescia con +12552; Padova con +11363 nuovi impianti; Milano con +9534 nuovi impianti; Torino con +9451 nuovi impianti; Bergamo con +8587 nuovi impianti; Udine con +8511 nuovi impianti; Bari con +8038 nuovi impianti; Verona con +7889 nuovi impianti e Venezia con +7886 nuovi impianti.
Complessivamente, al netto del maggior numero di installazioni realizzate nei primi tre mesi del 2024, la provincia d’Italia che conta più impianti solari a marzo 2024 è Roma (66322) seguita rispettivamente da Brescia (58531), Padova (52531), Treviso (48730), Torino (44169), Vicenza (42910), Milano (39905), Venezia (39505), Bergamo (39412) e Verona (37706).

Interessante notare che, ponderano il numero di impianti per numero di abitanti, la provincia di Treviso rileva addirittura la presenza di un impianto ogni due persone (0,580), seguita dalla provincia di Cuneo (0,448) e da quella di Pordenone (0,407).

Di seguito la classifica delle 10 province italiane che hanno installato il maggior numero di impianti fotovoltaici nei primi tre mesi del 2024.

CLASSIFICA PROVINCIA Incremento da dicembre 2023 a marzo 2024 Numero totale di impianti a marzo 2024
1 Roma + 15435 66322
2 Brescia + 12552 58531
3 Padova + 11363 52531
4 Milano + 9534 39905
5 Torino + 9451 44169
6 Bergamo + 8587 39421
7 Udine + 8511 33918
8 Bari + 8038 30693
9 Verona + 7889 37706
10 Venezia + 7886 39505