Jean Renoir è stato uno dei più importanti registi della storia del cinema e ha realizzato, dal 1924 al 1971, quasi quaranta film. Il Museo del Cinema presenterà un’ampia selezione delle sue opere, dal primo muto La fille de l’eau al tardo Il teatrino di Jean Renoir, passando per capolavori assoluti come Nana (1926)
In occasione della mostra dedicata a Pierre Auguste Renoir, in programma a Torino dal prossimo 23 ottobre, il Museo Nazionale del Cinema proporrà, dal 7 al 31 gennaio 2014 al Cinema Massimo e in collaborazione con l’Alliance Française di Torino, un omaggio al celebre regista Jean Renoir, secondogenito del pittore.
Jean Renoir è stato uno dei più importanti registi della storia del cinema e ha realizzato, dal 1924 al 1971, quasi quaranta film. Il Museo presenterà un’ampia selezione delle sue opere, dal primo muto La fille de l’eau al tardo Il teatrino di Jean Renoir, passando per capolavori assoluti come Nana (1926), La Chienne (1931), Madame Bovary (1933), Une partie de campagne (1936), La Bete humaine (1938), La règle du jeu (1939) e molti altri. Il recente restauro di La Grande illusion (1937) verrà invece proposto a marzo nell’ambito del progetto “Il Cinema Ritrovato… al cinema” curato dalla Cineteca di Bologna. L’omaggio a Renoir sarà realizzato con la collaborazione delle principali cineteche francesi.
Inoltre, per tutta la durata della mostra Renoir alla GAM (dal 23 ottobre 2013 al 23 febbraio 2014), presentando al Museo Nazionale del Cinema il biglietto della mostra Renoir si ha diritto all’acquisto di un biglietto ridotto per il museo (7 euro anziché 9 euro) e viceversa presentando alla mostra di Renoir alla GAM il biglietto del Museo Nazionale del Cinema si ha diritto all’acquisto del biglietto ridotto per la mostra (9 euro anziché 12 euro).
Facciamo subito chiarezza sul titolo della mostra. In giapponese il termine onna significa “donne” e per onnagata, termine in uso dal Seicento, si intendevano, sempre nel “Paese del Sol Levante”, “attori maschi” travestiti con indumenti e sembianze femminili. Il titolo, dunque, dato alla nuova rotazione di kakemono (dipinti o calligrafie giapponesi su seta, cotone o carta a forma di preziosi e fragili rotoli da appendere in verticale) proposta, fino al 17 aprile del prossimo anno, dal MAO di Torino, chiarisce subito l’obiettivo di un evento espositivo teso ad invitare il visitatore a esplorare la varietà dell’universo femminile giapponese: dalle divinità alle dame di corte, dalle danzatrici alle popolane fino agli onnagata e senza dimenticare la simbologia di fiori e uccelli correlati alla femminilità. Discorso alquanto complesso. Fino al VI secolo circa, la società giapponese era infatti una società che manteneva ancora elementi di tipo tribale e una forte impronta matriarcale: grazie anche allo shintoismo, che attribuiva grande considerazione alle donne per la loro capacità di generare la vita, in Giappone non mancavano sacerdotesse, regine e dee. Con l’arrivo del buddhismo e del confucianesimo le cose cambiarono drasticamente: la donna perse gradualmente il suo ruolo sociale e fu obbligata all’obbedienza all’uomo, padre, fratello o marito. Eppure, nonostante il ruolo di subordinazione a cui le si volle relegare, le donne, in particolare quelle appartenenti all’aristocrazia o alla corte imperiale, continuarono a godere di stima, rispetto e anche di una parziale libertà, soprattutto in ambito amoroso. Ed è proprio, sottolineano al MAO, “grazie all’amore, ai diari e ai carteggi fra amanti, che nacque la letteratura giapponese: se i contratti e i documenti ufficiali erano appannaggio maschile, le opere letterarie presero vita dall’ingegno femminile”. Attorno all’anno Mille, videro la luce opere che hanno attraversato i secoli e dettato le regole della letteratura nipponica, fra cui i celeberrimi “Genji Monogatari” e “Makura no Soshi”, le “Note del guanciale”. Per non dire del teatro. All’epoca della sua fondazione da parte di Izumo no Okuni, una ballerina itinerante, il teatro tradizionale kabuki era una forma d’arte esclusivamente femminile. Gli spettacoli riscuotevano enorme successo presso tutte le classi sociali e cominciarono ad essere emulati persino nei bordelli, tanto che lo shogun (i dittatori militari che governarono il Giappone fra il 1192 ed il 1868) decise di vietarli. Per questa ragione, attorno al 1630, le onna, termine giapponese – come detto – per “donne”, furono rimpiazzate in scena da ragazzi, gli onnagata (letteralmente “a forma di donna”), uomini travestiti con abiti femminili e, da quel momento, il teatro fu considerato un luogo disdicevole, non adatto alle donne.

