
Si appostava al bancomat per truffare le anziane
La Polizia di Stato di Torino ha arrestato un cittadino francese per il reato di furto pluriaggravato ai danni di una anziana signora e denunciato in stato di libertà il complice trovato in possesso di 950 euro in denaro contante.
I due malviventi, dopo aver scelto accuratamente la loro vittima, con la scusa di un malfunzionamento del bancomat, distraevano la stessa e continuavano con l’operazione di prelievo. Prima che le banconote uscissero, uno dei due faceva cambiare la postazione alla donna e il complice si impossessava del denaro. Il bottino aveva fruttato 1500 euro.
Le indagini dei poliziotti del commissariato San secondo sono partite da diverse denunce di furti consumati nell’area bancomat di un’agenzia di un istituto bancario ubicata in una via del centro. I furti si verificavano al mattino nelle giornate prefestive quando l’istituto di credito era chiuso.
Grazie ai servizi mirati gli investigatori sono riusciti a individuare due cittadini francesi, residenti a Marsiglia, che sostavano senza un apparente motivo nei pressi dell’area bancomat. Uno dei due compariva in un video, acquisito dai poliziotti, relativo a un furto avvenuto a fine giugno a danno di un’anziana signora.
Gli agenti, in seguito alla perquisizione, hanno trovato addosso all’uomo diverso denaro contante e lo stesso portafoglio che compariva nel video.
Il grande balzo granata verso la salvezza
I Granata vincono sul Genoa 3-0 allo Stadio Olimpico Grande Torino
Il Toro compie così un grande balzo avanti nella corsa verso la salvezza. La prima rete dopo 32′ con Bremer, poi il raddoppio al 31′ della ripresa con Lukic,
Terzo gol quello di Belotti al 45′ st. Il Torino ora è in classifica a +8 sul Lecce, che si trova terz’ultimo.
Un sospiro di sollievo per il presidente Urbano Cairo dopo gli striscioni Striscioni con pesanti frasi di contestazione al Torino appesi nei giorni scorsi all’esterno dello stadio Filadelfia, alla vigilia della partita contro il Genoa. Tra le scritte apparse: “Non meritate questa maglia”, “Basta, Cairo vattene”, “Il Toro la leggenda, voi la vergogna”.
La polizia sequestra mezzo quintale di droga
L’auto appariva carica come se fossero tornati dalle vacanze, al suo interno, però, c’erano quasi 50 kg di droga tra hashish e marijuana.
A seguito di indagini scaturite dall’attività di controllo del territorio, personale della Squadra Mobile, negli ultimi giorni aveva individuato in via Cuneo due cittadini albanesi dediti allo smercio di sostanza stupefacente del tipo marijuana: H.D., nato il 09.11.1999 in Albania e V.E., nato il 14.01.2000 in Albania.
Gli stessi risultavano essere i fornitori di alcuni “pusher” che a loro volta servivano la movida torinese di “Piazza Santa Giulia”.
Nel tardo pomeriggio di ieri, il personale notava sopraggiungere uno dei due sospettati a bordo di una FIAT Panda nera con la quale, dopo che il complice le apriva velocemente il portone carraio, entrava all’interno del cortile di via Cuneo. Dai movimenti appariva evidente che sulla Panda fosse celata della sostanza stupefacente.
Dopo aver provveduto a bloccare entrambi i soggetti, si accertava che sul veicolo erano occultati numerosi involucri incellofanati, contenenti principalmente marijuana, per un peso totale di circa 44 chilogrammi. In un ulteriore involucro, avvolto ad arte con del nastro da pacchi, erano contenuti 5 chilogrammi e mezzo di hashish “griffato” con un marchio di abbigliamento.
La perquisizione effettuata all’interno dell’abitazione in loro uso permetteva di rinvenire ulteriori 6 chilogrammi di marijuana, celati in una valigia, nonché numerosi telefoni cellulari.
I due, che venivano tratti in arresto per il reato di detenzione di sostanza stupefacente, vantano precedenti di polizia specifici. Stante la nazionalità degli arrestati, si presume che lo stupefacente possa essere stato importato dall’Albania per mezzo di natanti.
I prezzi al kg della droga variano dagli 800 ai 1.500 euro per la marijuana e dai 1.500 ai 2.000 euro per l’hashish. Il valore complessivo di acquisto della droga sequestrata si aggira dunque intorno agli 85.000 euro all’ingrosso. Entrambe le sostanze in questione vengono solitamente vendute sulle piazze di spaccio a 10 euro al grammo. La vendita della droga avrebbe pertanto potuto fruttare 550.000 euro.
Nel rapporto di Carovana delle Alpi. 10 sono Piemontesi e Valdostane
Assegnate 19 Bandiere Verdi che premiano pratiche innovative ed esperienze di qualità ambientale e culturale. 12 le Bandiere Nere che segnalano le lacerazioni dell’arco alpino. Delle 31 bandiere nazionali, 10 sono piemontesi e valdostane: sei verdi e quattro nere.
Una piattaforma per trovare manodopera agricola in modo rapido e trasparente contro la piaga del caporalato, un gregge di capre giardiniere, classi elementari di robotica, percorsi lenti adottati come stile di vita da intere comunità e accoglienza diffusa contro lo spopolamento di valli e borghi fantasma. Ma anche nuove speculazioni sui fondi della Politica agricola comunitaria (PAC) per il sostegno alla pastorizia in montagna, discariche di rifiuti speciali realizzate vicino a parchi naturali e modifiche peggiorative di leggi sulla caccia a scapito di specie in declino o minacciate a livello globale. Sono alcune delle realtà premiate, da un lato, dalle Bandiere Verdi e segnalate, dall’altro dalle Bandiere Nere 2020, raccontate nel nuovo rapporto di Carovana delle Alpi di Legambiente, che anche quest’anno ha assegnato i suoi vessilli ad attività imprenditoriali, associazioni, comunità, consorzi, Comuni e Regioni dell’arco alpino distintisi in positivo e in negativo in tema di sostenibilità. Non più semplici frammenti di montagna, ma tasselli di un mosaico ben più ampio e variegato che, di anno in anno, si arricchisce di esperienze da cui ripartire o, al contrario, da cui affrancarsi nella ricerca di un equilibrio-uomo ambiente mai percepito così tanto fondamentale come in questo particolare momento storico.
Ben 19 le Bandiere Verdi che hanno premiato pratiche innovative ed esperienze di qualità ambientale e culturale dei territori, due in più rispetto allo scorso anno; 12 (quattro in più rispetto al 2019) le Bandiere Nere che segnalano le lacerazioni del tessuto alpino, caratterizzate spesso da scelte anacronistiche dietro cui si celano controversi interessi economici o modelli lontani da quell’idea di sviluppo sostenibile chiave imprescindibile per immaginare il futuro. Nel complesso, le bandiere sono così distribuite: una Verde in Liguria; cinque Verdi e tre Nere in Piemonte; una Verde e una Nera in Valle d’Aosta; quattro Verdi e due Nere in Lombardia; due Verdi e due Nere in Trentino Alto Adige; due Verdi in Veneto; quattro Verdi e quattro Nere in Friuli Venezia Giulia.
“Negli ultimi cinquant’anni ci siamo allontanati troppo dalla materialità degli ecosistemi, così come dal bisogno di bellezza e di ritmi che ci sono propri. Difficile non accorgersene dopo l’esperienza del Coronavirus – osserva Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente – Eppure, proprio una maggiore attenzione agli equilibri naturali ridurrebbe il rischio di fenomeni come il dissesto idrogeologico o la possibilità di contrarre epidemie, e mitigherebbe gli impatti dei cambiamenti climatici, che sulle Alpi mostrano i loro effetti più drammatici ed evidenti. Il variegato paesaggio delle nostre montagne, dalle foreste ai pascoli ai terreni coltivati, ben si presta a una ricerca dell’equilibrio uomo-ambiente oggi più che mai avvertito come fondamentale: l’arco alpino ci offre straordinarie opportunità ed esempi di gestione virtuosa, recupero e valorizzazione dell’esistente da cogliere e praticare al più presto”.
“Come da tradizione, anche per il 2020 abbiamo individuato diverse buone pratiche di una montagna in cambiamento, stigmatizzando situazioni che continuano ad allarmare per i danni arrecati all’ambiente e allo sviluppo di territori che meriterebbero una gestione più in linea con le peculiarità dei luoghi, in un’ottica sostenibile dal punto di vista ambientale, socio-culturale, economico – spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – Purtroppo dobbiamo rilevare che, accanto alle Verdi, anche le Bandiere Nere quest’anno sono in crescita, esempio di inefficienze, trascuratezza e sciatterie nelle scelte politiche, ma anche d’incapacità nel produrre visioni al passo coi tempi. Al contrario, il nostro vessillo green premia uno spaccato di territorio dinamico, dal significato ancor più pregnante in questo periodo: realtà che puntano su innovazione, riduzione delle emissioni CO2, condivisione di spazi e idee, meritevoli per la grinta mostrata nell’affrontare situazioni non facili e per la volontà di esprimere visioni aperte e ottimistiche”.
Le Bandiere Verdi 2020 in Piemonte e Valle d’Aosta
Tra le buone pratiche insignite della Bandiera Verde, ci sono la prima piattaforma per trovare manodopera agricola in modo rapido e trasparente, parte del progetto Humus Job dell’associazione MiCò e Banda Valle Grana (CN), che mira a combattere caporalato e lavoro grigio; e anche, l’esperienza di didattica innovativa della scuola elementare di Valle Monterosso Grana (CN) che ha fatto del legame col territorio e dell’utilizzo della robotica in classe un volano per invertire lo spopolamento di un’intera valle.
Vessillo green anche per il Comune di Pomaretto (TO), per l’eroico recupero dei vigneti di Ramiè e dei terrazzamenti per la coltivazione delle viti, tramite fondi derivanti da una quota delle bollette dell’acqua potabile; per l’Associazione Movimento Lento di Roppolo (TO), che propone il viaggio lento come stile di vita e lo sviluppo di una rete di percorsi a piedi e in bici, in Italia e all’estero, e consta anche di una Scuola e di una Casa del Movimento Lento, rifugio per viandanti lungo la via Francigena e il Cammino di Oropa; per l’ecomuseo del Cusio e del Mottarone in rappresentanza della Comunità del Cusio (VB), impegnata, attraverso il Contratto di lago, nel ripristino delle migliori condizioni possibili del lago d’Orta e nella valorizzazione storica e culturale dei “luoghi del lago”.
Premiate poi le Giunte regionali valdostane in carica dal 2014 a oggi per la realizzazione del percorso escursionistico sostenibile “Cammino Balteo”, sentiero ricco di emergenze storico-architettoniche che attraversa 48 comuni nell’ambito del progetto strategico “Bassa Via della Valle d’Aosta.
Bandiere Nere 2020 in Piemonte e Valle d’Aosta. C’è poi “l’altro versante della montagna”, quello meno virtuoso, segnalato con le Bandiere Nere, come quella assegnata quest’anno alle Giunte regionali della Valle d’Aosta e amministrazioni comunali di Issogne e Champdepraz in carica negli anni 2014-2019 per avere autorizzato la realizzazione di una discarica per “rifiuti speciali non pericolosi” a due passi dal Parco Naturale del Mont Avic, naturale scrigno di ambienti protetti e biodiversità montana, con ambienti selvaggi, zone umide, laghi d’incomparabile bellezza;.
Due le Bandiere Nere assegnate alla Regione Piemonte: una a Regione Piemonte – Assessorato Agricoltura per avere sostenuto e approvato modifiche peggiorative alla legge regionale sulla caccia, favorendo un’esigua minoranza di cacciatori, a scapito di cittadini, ambiente e diverse specie in declino o “minacciate a livello globale”; una a Regione Piemonte – Assessorato ai Trasporti, per la non intenzione di riattivare il servizio ferroviario sulla linea Pinerolo-Torre Pellice, nonostante il ripristino sia sostenibile e la Regione abbia già impiegato le somme necessarie al riavvio. Infine bandiera nera al Comune di Verbania (VB) per aver avvallato il progetto di trasformazione della piana alluvionale di Fondotoce, limitrofa alla Riserva Naturale Speciale di Fondotoce, con la costruzione di impianti ludico-sportivi e aree parcheggio: un pesante intervento strutturale finalizzato al turismo di massa in un crocevia di aree protette.
“Il lavoro fatto dai circoli, veri presidi sul territorio – dichiara Giorgio Prino, Presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta – dalle associazioni di prossimità e dal gruppo di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, è stato un lavoro di identificazione e selezione di alcune delle esperienze e delle azioni che ben descrivessero le nostre Regioni, gli ambiti virtuosi e le fragilità, un lavoro che ha rafforzato competenze e connessioni. Siamo felici di rappresentare un ambientalismo sano, che sa sottolineare con forza le buone pratiche ma anche denunciare gli errori e talvolta gli orrori. E se nelle prime si specchia una voglia di riconversione degli stili vita, a vantaggio di una maggior consapevolezza del nostro ruolo all’interno e a servizio dell’ecosistema; i secondi, ancora una volta, sottolineano come l’aggressione al naturale e le scelte miopi e in antitesi con gli obiettivi che ci dobbiamo porre, in primo luogo la lotta ai cambiamenti climatici e la realizzazione di una società resiliente, siano ancora fortemente radicate nei nostri decisori politici”.
Il rapporto completo è disponibile su www.legambiente.it
“Imprese vincenti” valorizza le pmi
Partirà dopo l’estate il roadshow digitale di “Imprese Vincenti”, il programma di Intesa Sanpaolo per la valorizzazione delle PMI lanciato nel 2019 e che ha già accompagnato 120 aziende in percorsi di valorizzazione e crescita.
Per la seconda edizione sono state raccolte oltre 4.000 autocandidature di aziende, raddoppiando i numeri dello scorso anno: un segnale che testimonia la volontà di molte imprese di puntare sulle proprie capacità distintive per intraprendere un percorso di crescita nonostante le complessità del contesto.
La seconda edizione di ‘Imprese Vincenti’ punta anche a dare evidenza ai segnali di reazione e di volontà di ripartenza di buona parte del tessuto imprenditoriale italiano, attraverso la testimonianza diretta degli imprenditori che parteciperanno ad un roadshow digitale tra settembre e novembre. Spiega Stefano Barrese, Responsabile Divisione Banca dei Territori Intesa Sanpaolo: «Per noi tutte le imprese che si stanno impegnando nella ripartenza sono comunque vincenti, dobbiamo accompagnarle verso il rilancio e la crescita. Il virus ci sta mostrando che chi ha impostato correttamente la propria strategia imprenditoriale riesce a reagire e a ripartire».
Undici le tappe che si focalizzeranno sulle storie delle imprese e dei territori: Torino, Cuneo, Milano, Bergamo, Brescia, Padova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Bari, a cui si aggiunge anche una tappa dedicata alle imprese del Terzo settore, in un confronto tra mondo profit e non profit nella logica di sostenibilità e della piena valorizzazione dell’impatto sul territorio di tutte le tipologie di impresa.
Il Centro Norauto di Torino, città test, ospita uno spazio di 60 mq interamente dedicato alla vendita e post vendita del segmento due ruote e non solo: dall’installazione alla manutenzione, alla riparazione e alla prova di prodotti, accessori e ricambi per la mobilità sostenibile
Norauto, Gruppo leader in Europa per la vendita e installazione di accessori e ricambi auto, è da sempre impegnata nel rispetto per l’ambiente e lo dimostrano le politiche e le strategie commerciali per la sostenibilità ambientale adottate negli anni. L’ultima iniziativa in ambito green di Norauto è l’introduzione di articoli e prodotti che appartengono alla categoria mobilità alternativa e sostenibile – non solo bici a pedalata assistita e monopattini elettrici, ma anche segway, overboard e molto altro – con le nuove proposte per muoversi in stile green, safe & healthy per incentivare l’utilizzo dove possibile di mezzi sostitutivi dell’auto e dei mezzi pubblici, con chiari vantaggi non solo per l’ambiente, ma anche per i fruitori ed il loro benessere psicofisico.
È in questo contesto che a Torino, città test d’Italia, è stato creato il primo Norauto Mobility Lab, un’area di 60 metri quadrati allestita nel Centro Norauto di via Monginevro 162 interamente dedicata alla vendita, alla riparazione, all’installazione e alla prova di articoli a due ruote, oltre a una nuova gamma di accessori per viaggiare in totale comodità (come le barre da tetto, i portabici posteriore o da traino) e in generale per tutte le esigenze (tra gli altri i box da tetto di diverse capacità).
Il settore della mobilità sostenibile sta registrando per Norauto un trend di vendite (sia in negozio che online) molto positivo con il 130% in più rispetto allo scorso anno. L’apertura del Norauto Mobility Lab intende colmare un gap che i consumatori segnalano da tempo: troppo spesso infatti, acquistato un veicolo elettrico da un rivenditore non è possibile rivolgersi allo stesso per farlo riparare o per trovare i ricambi in caso di danneggiamento o rottura di alcune parti. Ora invece il nuovo spazio di Norauto va incontro all’acquirente grazie a tecnici specializzati nella manutenzione dei mezzi a due ruote e a un’ampia gamma di accessori e ricambi specifici.
Tra i servizi offerti nel Norauto Mobility Lab segnaliamo in particolare: verifica stato e pressione delle gomme, sostituzione e ingrasso delle catene, controllo e regolazione del cambio, dei freni, dello sterzo, delle luci e di tutti i serraggi, montaggio di copertoni, delle camere d’aria e delle spazzole del freno, installazione e sostituzione cavi e guaine. Inoltre sarà presente in vendita per la prima volta anche il noto brand Bottecchia, le cui biciclette da oltre un secolo conquistano il grande pubblico di tutto il mondo con il loro design e con le innovazioni tecnologiche.
“Democratizzare l’utilizzo della bici elettrica, rendendola accessibile al maggior numero di persone, per una mobilità sempre più sostenibile è diventato ormai uno dei plus di Norauto Italia, che da qualche anno punta molto su strategie commerciali volte a incentivare i consumatori a muoversi con il mezzo di trasporto green più adatto alle loro esigenze, attraverso prezzi di vendita molto competitivi e oggi anche con la garanzia dell’assistenza e dei ricambi per tutti. La scelta di partire da Torino per sperimentare questo nuovo format non è casuale, ma ha un significato di fondo, perché Torino è la città che ha investito di più sulla mobilità sostenibile, con la realizzazione di decine di chilometri di piste ciclabili, bike lane e controviali condivisi, ma anche ciclo-stazioni, stalli di sosta con archetti per le biciclette private e i monopattini”.
Jean-Luc Dony Amministratore Delegato di Norauto Italia.
Il Norauto Mobility Lab è solo l’ultima di tante politiche e iniziative che hanno la sostenibilità ambientale come denominatore comune: tra le altre ricordiamo per esempio il corretto trattamento e smaltimento dei materiali pericolosi ed inquinanti (come pneumatici, oli esausti, batterie e gas refrigeranti), l’applicazione di best practice quotidiane (come l’utilizzo di energia rinnovabile e abolizione della plastica), la circolazione della merce su mezzi di trasporti eco sostenibili, grazie all’uso del bio-metano come combustibile (un gas naturale e rinnovabile che porta vantaggi ambientali diretti quali la riduzione del 95% le emissioni di CO2) e l’eliminazione dei volantini promozionali in formato cartaceo sostituiti dalle versioni digitali per limitare al massimo lo spreco della carta e dei toner delle fotocopiatrici.
Cerimonia finale al Castello di Perno, nelle Langhe. Sabato 18 luglio, Monforte d’Alba (Cuneo)
Il luogo riflette la magica, intatta suggestione delle dolci e generose colline di Langa. Di origine medievale e trasformato fra Sette e Ottocento in dimora residenziale – passata nel ‘95 dall’editore Giulio Einaudi, che ne fece la sede gemella dello “Struzzo” di via Biancamano a Torino, alla famiglia svizzera Menziger e dal 2012 acquisito da Gregorio Gitti, docente universitario politico e noto avvocato bresciano, per farne centro di vinificazione ad altissimo livello ma soprattutto prestigiosa “Casa della Cultura” – sarà il Castello di Perno, nel cuore delle Langhe, Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco, ad ospitare sabato prossimo, alle ore 18, la cerimonia di premiazione della prima edizione del “Premio Biennale Mario Lattes per la Traduzione”.
Dedicato, per questa sua prima uscita, alla “Letteratura in lingua araba tradotta in italiano”, il Premio è promosso dalla “Fondazione Bottari Lattes”, presieduta da Caterina Bottari Lattes, con la fattiva collaborazione dell’“Associazione Culturale Castello di Perno”, del Comune di Monforte d’Alba, insieme al contributo di Fondazione CRC e Banca d’Alba e al patrocinio di Mibact, dell’Unione di Comuni “Colline di Langa e del Barolo” e di “S. Lattes & C. Editori”. Cinque le finaliste. Una cinquina “in rosa”. Sabato prossimo si conoscerà il nome di chi fra loro salirà il gradino più alto del podio. A contenderselo: Maria Avino, traduttrice di “Morire è un mestiere difficile” del siriano Khaled Khalifa (Bompiani, 2019); Samuela Pagani, traduttrice di “Corriere di notte” della libanese Hoda Barakat (La nave di Teseo, 2019); Nadia Rocchetti, con il “Viaggio contro il tempo” della libanese Emily Nasrallah (Jouvence, 2018); Monica Ruocco, con “Il suonatore di nuvole” dell’iracheno Ali Bader (Argo, 2017) e Barbara Teresi, con “Una piccola morte” del saudita Mohamed Hasan Alwan (E/o, 2019).
La cerimonia di premiazione (i posti sono al momento esauriti) sarà trasmessa anche in diretta streaming sui canali Facebook e YouTube della Fondazione Bottari Lattes e sarà condotta dalla giornalista e saggista Paola Caridi, studiosa di Medio Oriente e Nord Africa. Vedrà inoltre la partecipazione dei giurati del Premio: Anna Battaglia, Melita Cataldi, Mario Marchetti, Antonietta Pastore, Fabrizio Pennacchietti (membri della Giuria stabile) e Isabella Camera d’Afflitto, Manuela E.B. Giolfo, Claudia Maria Tresso (membri della Giuria specialistica).
Nell’occasione, l’orientalista Fabrizio Pennacchietti terrà anche una lectio magistralis su “L’Arabo letterario moderno può dirsi una lingua ‘europea’?”, per spiegare come “l’Arabo, un tempo lingua letteraria di una cultura a lungo medievale, basata sulla religione, è oggi sempre più integrato nella cultura dominante a livello mondiale”.
g. m.
Per info: tel. 011/19771755 – 0173/789282 o www.fondazionebottarilattes.it / segreteria@fondazionebottarilattes.it
Torino e i suoi musei. L’egizio
Torino e i suoi musei
Con questa serie di articoli vorrei prendere in esame alcuni musei torinesi, approfondirne le caratteristiche e “viverne” i contenuti attraverso le testimonianze culturali di cui essi stessi sono portatori. Quello che vorrei proporre sono delle passeggiate museali attraverso le sale dei “luoghi delle Muse”, dove l’arte e la storia si raccontano al pubblico attraverso un rapporto diretto con il visitatore, il quale può a sua volta stare al gioco e perdersi in un’atmosfera di conoscenza e di piacere. (ac)
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1 Museo Egizio
2 Palazzo Reale-Galleria Sabauda
3 Palazzo Madama
4 Storia di Torino-Museo Antichità
5 Museo del Cinema (Mole Antonelliana)
6 GAM
7 Castello di Rivoli
8 MAO
9 Museo Lomboso- antropologia criminale
10 Museo della Juventus
1. Museo Egizio
La prima volta che mi hanno portato al Museo Egizio ho pianto. Più avanti vi dirò perché. Quando frequentavo i primi anni delle elementari, come la maggior parte dei bambini, avevo una stereotipata curiosità nei confronti di quel popolo antico e strano, all’epoca per me nient’altro che un “purpurrì” di piramidi e bislacchi esseri zoomorfi. Naturalmente poi, nel corso del tempo, tante altre furono le visite all’Egizio che ho fatto con sempre maggior consapevolezza e desiderio di conoscenza. Il Museo è situato in Via Accademia delle Scienze 6, dove sorge il “Collegio dei Nobili”, edificio realizzato su progetto di Michelangelo Garove a partire dal 1679 e, in seguito, modificato e ampliato, nella seconda metà dell’Ottocento, grazie agli interventi di Giuseppe Maria Talucci e Alessandro Mazzucchetti. Si tratta del più antico Museo dedicato alla civiltà dell’antico Egitto, tappa obbligata per turisti e torinesi.
Il Museo, fondato nel 1824, nel 1832 apre al pubblico. Proprio nel 1824 re Carlo Felice acquisì la prima raccolta di Bernardino Drovetti, esperto collezionista che era solito scegliere con criterio illuminato gli oggetti e le opere da acquistare. Egli infatti era interessato in egual maniera ai ritrovamenti più opulenti e a quelli ritenuti di minor valore, eppure essenziali per documentare la storia della civiltà che tanto lo appassionava.
Nel corso del tempo si sono susseguite svariate modifiche espositive, dovute anche all’aumentare dei reperti, sia grazie a scambi con altri musei, sia ad acquisti e concessioni di privati.
Anni essenziali per la crescita della collezione furono quelli tra il 1903 e il 1907, periodo in cui prima Ernesto Schiapparelli, poi Giulio Farina, portarono avanti importanti scavi archeologici in Egitto, da cui ricavarono ben trentamila reperti da trasportare a Torino. Altri lavori vennero eseguiti nel 1908 e nel 1924, per mancanza di spazio lo stesso Schiapparelli ristrutturò la zona espositiva che oggi porta il suo nome. Tra le molte modifiche che si susseguirono tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta, particolarmente significativa risulta l’opera di ricomposizione del tempietto rupestre di Ellesiya donato dal governo Egiziano: la struttura fu tagliata in sessantasei blocchi e inaugurata nel 1970. In occasione dei Giochi Olimpici Invernali di Torino, nel 2006, lo statuario è stato riallestito dallo scenografo Dante Ferretti.
Oggi non sono in grado di descrivere a memoria l’allestimento degli anni Novanta, quello che ho visto da piccola, durante una gita con la classe delle elementari, eppure mi è rimasto il ricordo di quella fanciullesca sensazione di stupore, novità e straniamento che avevano suscitato in me tutte quelle teche, così numerose da parere ammassate l’una sull’altra, lucide come può essere il vetro antico, ognuna chiusa a proteggere il proprio contenuto come cubici ventri materni. Ricordo con affetto quella giornata, con le maestre e la guida del Museo intente a mostrare a me e ai miei compagni quella moltitudine di “cose” lì contenute, mentre io ero concentrata a cercare quegli strani ibridi che capeggiavano nei libri illustrati. Avevo come la sensazione che tutto andasse troppo a rilento ma dopo un po’ di sbuffi e tanta pazienza, la guida ci mostrò finalmente qualcosa di davvero interessante: un’enorme stanzone contenente colossali statue dal corpo di donna e dalla testa di gatto. Si trattava della dea Sekhmet, pericolosa figlia del Sole, a cui erano dedicate innumerevoli raffigurazioni. Le statue della dea sono presenti anche nell’attuale allestimento, situate nella Galleria dei Re, poeticamente illuminate da una studiata, calda e scenografica luce mirata. Le sculture tutt’ora esposte appartengono ad un’unica serie, scoperta al tempio di Mut a Karnak (Tebe est), forse inizialmente collocate nel «tempio di milioni di anni» nel sito di Kom el-Hettan, dove erano installate lungo le pareti del grande cortile. Si pensa che in totale fossero presenti nel tempio ben 365 statue: ogni giorno una particolare statua della dea, distinta da appellativi specifici, doveva essere invocata per supplicare la divinità sterminatrice di mantenere in vita il monarca regnante e liberarlo dalle febbri, dall’arsura e dalle forze avverse.
Ma torniamo a noi, la gita scolastica si concluse con un lieto fine, ero riuscita a vedere i miei “mostrini” ed ero quindi soddisfatta di aver lenito la mia curiosità bambinesca. Come mai questa passione per le bizzarre creature che dovrebbero intimorire? La risposta ha a che fare con l’incipit del discorso. Avevo circa tre anni quando mio padre mi portò per la primissima volta al Museo Egizio e proprio in quell’occasione accade “il fattaccio”. La memoria si confonde con i racconti posteriori, ma leggenda vuole che i fatti siano andati così: in mezzo ad una sala ricolma di teche, c’ero io, piccola e maneggevole, in braccio a mio padre, lui guardava gli oggetti alle pareti e io in direzione opposta, con il capo reclino sulla sua spalla. E lì, in mezzo a quel vetroso labirinto a metà tra Lewis Carroll e il giardino dell’Overlook Hotel, pronunciò una frase che in famiglia è ormai un “cult”: “Che belli questi papiri”. Sì, perché non si era accorto che proprio alle sue spalle, e quindi nella direzione del mio sguardo, c’erano dei corpi accartocciati e rattrappiti, in cui le unghie e i capelli avevano continuato a crescere come in un sortilegio di cui nessuno mi aveva mai parlato. Probabilmente mi sentii osservata da quelle orbite vuote sgraziatamente sbendate e ebbi come l’impressione che tutti quei mostri inscatolati stessero ridacchiando della mia paura. Non c’era altro da fare che scoppiare in un pianto disperato. E così finì la mia prima visita al Museo Egizio di Torino.
L’unico modo per sconfiggere le proprie paure è quello di affrontarle, ma spesso accade che i timori si trasformino prima in curiosità incolmabili e poi in passioni. Durante le superiori tornai più volte “sul luogo del delitto”, ormai instancabile ammiratrice di quello che di certo è il popolo antico più magico e misterioso al mondo. L’aspetto che più mi affascinava in quegli anni -e forse tutt’ora- era la grande importanza che gli Egizi riservano al culto dei morti. Essi infatti credono nell’Aldilà e ritengono che nelle tombe prosegua in eterno la vita del defunto, per questo motivo le decorano con pitture in ricordo delle attività quotidiane e le corredano di monili, vasellame e oggetti di uso comune.
Nell’allestimento attuale, questo particolare aspetto cultuale è ben esplicato dai reperti delle tombe degli Ignoti e di Iti e Neferu. La prima venne ritrovata intatta a Gebelein nel 1911 e, grazie ai dettagliati appunti di Virginio Rosa, è stato possibile ricostruire pedestremente la disposizione degli oggetti nella ricostruzione all’interno del Museo. La seconda è un esempio emblematico di sepoltura dedicata a personaggi di alto rango, in cui particolarmente impattanti risultano le pitture parietali, raffiguranti i temi tipici del repertorio decorativo delle cappelle funerarie dell’Antico Regno: le ricchezze offerte al defunto e le persone coinvolte nella preparazione e, nella camera centrale, scene rituali d’offerta, per perpetuare la vita del defunto nell’Aldilà.
L’ultimo riallestimento museale risale al 2015, i lavori hanno riguardato l’intero percorso, articolato su cinque piani espositivi e radicalmente modificato per una più ampia godibilità degli spazi.
Non è passato così tanto tempo dalla mia ultima e recente visita al Museo Egizio e devo dire che personalmente un po’ tutte quelle teche e quelle mummie sbendate mi mancano.
L’aspetto attuale è però davvero straordinario, un chiaro esempio di museo moderno, tecnologicamente avanzato per catturare l’attenzione dei più giovani e assicurare un’esperienza immersiva e totalizzante degli spazi anche ai più grandi. Di certo non si può riassumere la grandiosità del Museo Egizio in un breve articolo come questo, né tantomeno pretendere di spiegare una civiltà che si sé sviluppata per circa quaranta secoli (dall’epoca preistorica sino al fiorire dell’arte copta nel V-VI sec. d.C.) ma a posso permettermi di condividere con voi lettori ciò che più mi ha colpito della mia ultima “passeggiata” museale. In primis, uno dei sarcofagi di Mereru, in cui è presente, oltre ai tipici occhi “udjat”, un “orologio stellare diagonale”, ossia una tabella che indica l’ora di culminazione durante la notte di 36 stelle dette «decani» con il variare dei mesi e delle stagioni.
Vi segnalo gli “ostraka”, (schegge di calcare illustrate con scene inusuali, libere dai canoni tradizionali) e le statuette delle divinità protettrici della famiglia (come Renenutet, Bess o Tuaret), scoperte nel villaggio di Deir El-Medina; nello stesso sito archeologico è stato ritrovato un papiro amministrativo di Amennakht (vissuto durante il regno di Ramesse III), in cui sono riportate le notizie riguardanti il primo sciopero della storia: gli operai del villaggio protestarono perché non ricevettero le dovute razioni alimentari, pagamento per il loro lavoro. Triste ed interessante testimonianza dell’eternità dell’ingiustizia che aleggia in questo mondo.
Affascinanti e mistici sono i papiri srotolati sulle pareti: lo sguardo si perde tra i caratteri pittografici, le composizioni armoniose, le figure che seguono i canoni dell’arte egizia che rimane invariata nei secoli e diventa inconfondibile nell’immaginario delle persone. Vengono chiamati “libri dei morti” i papiri con testi magici e illustrazioni collocati nelle tombe per aiutare i defunti a superare i pericoli dell’oltretomba e raggiungere la vita eterna. Esistevano più di duecento capitoli riguardanti tali tematiche ma nessun libro li conteneva tutti, infatti dal repertorio ciascuno sceglieva le formule a lui più appropriate, (Libro dei Morti di Kha).Mi è dispiaciuto non rivedere, per giusti motivi di restauro, il celebre “papiro erotico”. Si tratta di una parodia sociale, un particolare documento destinato a una classe agiata che trovava piacere nella rappresentazione della trasgressione.
In effetti l’elenco dei reperti che hanno ri-catturato la mia attenzione rischia di diventare eccessivamente lungo e tedioso ed è quindi bene che mi fermi e lasci scoprire a voi le altre meraviglie che non ho citato. Prima di concludere trovo obbligatorio spendere due parole su quello che è “il fiore all’occhiello” del Museo: la Galleria dei Re. L’enorme sala espositiva si trova alla fine del percorso, immensa e fiocamente illuminata, dove le imponenti statue emergono dalla penombra e ipnotizzano con la loro mistica bellezza i visitatori. Tra queste spicca l’effige di Ramesse II, uno dei faraoni più noti di tutta la storia dell’antico Egitto. Raffigurato seduto sul trono, è rappresentato con gli elementi canonici del potere, il volto sorridente e i lobi delle orecchie forati – dettaglio ripreso dall’arte Amarniana- ai lati delle sue gambe sono rappresentati la moglie e il figlio, in scala ridotta, a simboleggiare la continuità dinastica.
Quando il percorso finisce e si ritorna “a riveder le stelle” si ritorna anche alla vita “normale”, a correre frettolosi tra i sanpietrini e le architetture barocche e liberty che non abbiamo quasi mai il tempo di goderci. Eppure per me, ad ogni visita qualcosa cambia, un dubbio lenito ed una curiosità nuova da scoprire la prossima volta, e forse è questo il trucco: provare a non diventare mai “troppo grandi” da non avere tempo per essere curiosi.E comunque quando mi chiedono come mai mi piacciono i mostri e le storie horror e le leggende inquietanti io torno bambina e mi ricordo di quel simpatico trauma che non ho ancora voglia di superare.
Alessia Cagnotto