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A Chieri l’unificazione delle due IPAB operanti sul territorio

 

Le due storiche IPAB sono ubicate a una distanza di meno di 200 metri, sono operanti nel campo sociale ed hanno fini identici, infatti, entrambe svolgono attività di assistenza residenziale rivolta ad anziani e/o disabili autosufficienti, parzialmente autosufficienti e non autosufficienti, pertanto rientrano nella situazione prevista dalla legge regionale n. 12/2017, che prevede la possibilità della fusione delle IPAB aventi sede legale nel medesimo distretto e medesimi fini socio assistenziali.

Commentano Alessandro SICCHIERO e il vice Sindaco Roberto QUATTROCOLO: «La Casa di Riposo Giovanni XXIII di trova da tempo in una situazione di grave difficoltà generata dall’assenza di entrate e da debiti, praticamente priva di personale, non più in grado di assicurare una corretta attività amministrativa, tanto che le relative incombenze sono svolte da volontari e l’attività assistenziale è stata affidata in concessione ad una cooperativa.  L’incorporazione della Giovanni XXIII nella Casa di Riposo Orfanelle permette di scongiurare il fallimento e le relative conseguenze negative sull’utenza e sul patrimonio immobiliare. Ma, soprattutto, è una soluzione che guarda al futuro, mettendo questo nuovo ente in grado di affrontare l’evoluzione e i cambiamenti che caratterizzeranno inevitabilmente l’assistenza agli anziani negli anni a venire. Allo scadere della concessione, si avranno effetti benefici e si rafforzeranno le rispettive attività delle due RSA, assicurando una gestione più qualificata ed un potenziamento dei servizi socio sanitari a favore degli anziani e delle persone fragili. Con questa operazione di unificazione delle due IPAB viene data una nuova prospettiva all’eredità delle due più antiche istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza del nostro territorio, che per secoli hanno potuto operare grazie ai lasciti e alle donazioni della cittadinanza».

 

La Casa di Riposo Giovanni XXIII ha sede in via Cottolengo ed è uno dei più antichi istituti di beneficenza di Chieri, nasce come Casa dell’Elemosina all’inizio del Trecento, per poi trasformarsi nel 1718 in Congregazione Ospizio di carità. Nel 1975 assume la denominazione di IPAB Casa di Riposo Giovanni XXIII. L’attività socio assistenziale di RSA per 70 posti letto è stata affidata in concessione alla cooperativa Valdocco.

La Casa di Riposo Orfanelle venne fondata nel 1638 come Orfanotrofio Femminile, trasformandosi nel 1961 in Casa di Riposo. Dopo  la  ristrutturazione  dei locali della sede storica e di Casa Maggio e con la recente  edificazione della nuova di Via Tana 7, garantisce ospitalità e assistenza ad anziani autosufficienti e non autosufficienti per 94 posti letto di RSA, 16 posti letto di RAA, 10 posti  per  Centro Diurno Integrato per declino cognitivo ed ulteriori 34 posti negli appartamentini della Residenza di Via Palazzo di Città 16.

Il presepio vivente di San Francesco, il primo della storia

Città e paesi accendono la magia del presepe vivente. Accanto al presepio originale che riscalda e illumina le nostre case è sempre più consolidata la tradizione del presepe vivente con decine e anche centinaia di figuranti che danno vita ad una processione lungo le vie dei borghi e a una vera rappresentazione della Natività. I paesi sono coinvolti in modo intenso, le scenografie e i costumi sono realizzati dai residenti e vengono ricostruiti i luoghi e i personaggi della Terra Santa di duemila anni fa, con i pastori, i soldati romani, il mercato e le botteghe artigiane. In modo molto più semplice di come avviene oggi ma non per questo meno suggestivo fu la preparazione del primo presepio vivente della storia, 800 anni fa, in un paesino del Lazio, a Greccio, in provincia di Rieti, pensato, voluto e preparato con le sue mani nientemeno che da Francesco d’Assisi. Era il 1223, dopo un viaggio in Terra Santa Francesco d’Assisi rimase molto impressionato dalla rappresentazione del Natale nei luoghi sacri del cristianesimo e il borgo di Greccio, a 700 metri di altezza, gli ricordava Betlemme. A quel punto sorse in lui il desiderio di rievocare la nascita di Gesù e di farlo in mezzo alla natura, con una grotta, la mangiatoia, il bue e l’asinello. Il 24 dicembre 1223, a mezzanotte in punto, si animarono i personaggi del primo presepe vivente della storia e da quel giorno Greccio divenne un paese famoso in tutto il mondo e ogni anno, a Natale, si rivive la stessa atmosfera di ottocento anni fa. Il presepe di Greccio è la tredicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di San Francesco della Basilica Superiore di Assisi, attribuiti a Giotto, dipinta alla fine del Duecento.            Filippo Re
nella foto  il Presepe vivente di Greccio, autore Giotto

La Befana dei Pompieri fa felici i bimbi del Regina Margherita

La Befana ha deciso, anticipando il tour che annualmente effettua, di fare visita venerdì 3 gennaio ai piccoli ricoverati dell’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino.
L’iniziativa è organizzata dall’Associazione Nazionale Vigili del Fuoco del Corpo Nazionale e dall’UNICEF Torino, in collaborazione con il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Torino.
La “Befana dei Pompieri” porterà regali e libri ai piccoli pazienti mentre i maghi del Bosco delle Meraviglie, essi stessi Vigili del Fuoco, li intratterranno con divertenti giochi di prestigio.
L’UNICEF Italia, donando ai piccoli ricoverati il Regalo Sospeso, una valigetta piena di giochi e attività realizzata da Clementoni e il Gioco dell’Oca sui “Diritti fondamentali dell’Infanzia e dell’adolescenza”, vuole festeggiare il cinquantenario dalla sua costituzione in Italia, cinquant’anni dedicati a promuovere e realizzare i diritti dei bambini in Italia e nel mondo.
“Siamo felici che in questa bella iniziativa rientri anche quella del ‘Regalo sospeso”, un progetto grazie al quale in questi anni sono stati raggiunti circa 7.000 bambini ospiti presso strutture ospedaliere e in case famiglie in Italia. Attraverso il “Regalo sospeso” aiutiamo anche tanti bambini in difficoltà nel mondo, in fuga da guerra e conflitti e/o coloro che vivono in condizioni di povertà.”  ha dichiarato Antonio Sgroi Presidente del Comitato provinciale di Torino per l’UNICEF.
“La Befana dei Pompieri, dai primi anni del dopo guerra e fino agli anni ’90, era una tradizione dei Vigili del Fuoco di Torino e di diverse città d’Italia ed i pompieri distribuivano, nelle piazze, caramelle e doni in occasione della festa dell’Epifania – ha ricordato Carlo Andrione Presidente provinciale dell’Associazione Nazionale Vigili del Fuoco del Corpo Nazionale – Oggi non sarebbe più possibile ma lo spirito di solidarietà che anima i Vigili del Fuoco, Ambasciatori UNICEF, è rimasto immutato”

Quella “grande arte” che, in Italia, sdoganò il “Contemporaneo”

Dalla “Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea” di Roma ai “Musei Reali” di Torino, oltre 70 opere della prima avanguardia

Fino al 2 marzo 2025

Anni ’50 – ’70. Signori miei, che anni quegli anni! Per il Paese (a maniche in su per la benefica ricostruzione post-bellica che avrebbe portato agli anni del boom economico ma anche alle inquietanti avvisaglie dei terribili “anni di piombo”), un ventennio di sovvertimenti burrascosi e totali. Nel bene e nel male. Che non mancarono di travolgere anche il mondo dell’arte, trasformatosi in un vero e proprio “movimento artistico tellurico”, portato avanti da un gruppone solido e coraggioso di “protagonisti germinali, oggi identificati come gli interpreti internazionali dell’allora contemporaneità”.

A sottolinearlo è Luca Massimo Barbero, curatore con Renata Cristina Mazzantini (direttrice della “GNAM-Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea” di Roma) dell’inedita rassegna “1950-1970. La Grande Arte Italiana” ospitata, fino a domenica 2 marzo, nelle “Sale Chiablese” dei “Musei Reali” di Torino. 79 le opere esposte, provenienti dalla “GNAM” e riunite, per la prima volta, al di fuori del “Museo” di appartenenza, in una mostra prodotta dai torinesi “Musei Reali” e da “Arthemisia”, nonché fortemente voluta e resa possibile da Mario Turetta, “Capo Dipartimento per la Attività Culturali” del “Ministero della Cultura” e direttore delegato dei “Musei Reali” di Torino. 21, gli artisti rappresentati in un iter che coinvolge 12 Sale“La mostra vuole porre – afferma la direttrice della ‘GNAM’ Renata Cristina Mazzantini – l’attenzione sul ruolo da protagonista che la Galleria romana rivestì nella costituzione del patrimonio artistico italiano moderno e contemporaneo, grazie soprattutto al rapporto attivo che, nei suoi tre decenni al vertice della Galleria, la soprintendente Palma Bucarelli seppe intrecciare con gli artisti più significativi e innovativi di quella così alta stagione”. Stagione irripetibile. Annunciata in rassegna da due opere che subito ti avvertono delle dirompenti visionarie “bizzarrie” che ti aspettano nel lungo percorso espositivo: un astratto-materico “Rilievo con bulloni” del ’58-’59 del parmigiano Ettore Colla e “L’arco di Ulisse” del ’68 realizzato dal pugliese Pino Pascali (con lana d’acciaio su struttura in legno), cui si deve anche quel rosso fuoco “Primo piano labbra” del ’64, sarcastico rimando all’aggressività massmediale di certa pubblicità rivolta al pubblico femminile di allora.

In entrambe le opere, colpiscono l’invenzione e la capacità di trasformare il ludico esercizio manuale in opere di indubbia matrice artistica. Varcato l’ingresso, ecco i lavori di Giuseppe Capogrossi, fra cui la grande “Superficie 207” con quel caratteristico “segno” (“pettine” o “forchetta” per i critici) che il romano Capogrossi seppe elaborare e trasformare in tutte le maniere possibili. E, a seguire, un focus su quegli anni ’50, in cui l’arte amava palesarsi nell’utilizzo di materiali non convenzionali, da quelli di riciclo (sacchi di juta, plastiche, catrami o metalli) firma inconfondibile di  Alberto Burri, fino al gesto estremo della “lacerazione dei manifesti pubblicitari” del calabrese Mimmo Rotella, che in mostra firma anche una “realista” silhouette nera del presidente Kennedy, di spalle, al telefono. Sala monografica, a seguire, per il friulano Afro Basaldella e il suo, meno irruento e vagamente memore dell’immagine, “lirismo astratto”, cui s’oppongono le fluttuanti e vivide (verticali o orizzontali) fasce di colore di Piero Dorazio, così come i celebri “Concetti Spaziali” (concretizzazione del suo “Manifesto Blanco”) di Lucio Fontana. Fra le donne, meritano uno spazio speciale la romana Giosetta Fioroni fortemente ispirata (non meno di Sergio Lombardo e Tano Festa) alla “nuova mitologia” creata dai “nuovi media” (tv, cinema e rotocalchi) e la siciliana Carla Accardi, artista dal segno “auto generativo” e figura fra le più rappresentative dell’“Arte Povera”.

E che dire della maestosa imprevedibile “Superficie lunare” di Giulio Turcato o del “Poetry Reading Tour” in cui Gastone Novelli riesce a fondere pittura e scrittura e segni, in un’azione (molto diversa da quella simile in partenza di Toti Scialoja) di bizzarro collante fra realtà e immaginazione. Un altro inedito confronto si sviluppa, infine, fra un intenso monocromo nero di Franco Angeli ed alcuni importanti “Achrome” di Piero Manzoni, fra le più rivoluzionarie figure dell’arte italiana. A conclusione, le sale dedicate all’iconico quadro specchiante del ’68 di Michelangelo Pistoletto, insieme alle celebri “Cancellature” di Emilio Isgrò, all’“Incidente D662” di Mario Schifano e all’ironico (fin dal titolo) e dissacrante “Bachi da setola” del già citato Pino Pascali. Fra le Sale si cammina e si osserva incuriositi. Dentro la consapevolezza di non incontrare limiti all’ingegno dei “nuovi” (in allora) artisti.

Gianni Milani

“1950-1970. La Grande Arte Italiana”

Sale Chiablese-Musei Reali, piazzetta Reale, Torino; tel. 011/1848711 o www.museireali.beniculturali.it

Fino al 2 marzo

Orari: Da mart. a dom. 10/19. Lunedì chiuso

Nelle foto: Pino Pascali “Primo piano labbra”, tela smaltata tensionata su struttura lignea con camere d’aria, 1964; Giuseppe Capogrossi “Superficie 207”, olio su tela, 1957; Lucio Fontana “Concetto spaziale. Teatrino”, idropittura su tela con buchi e legno laccato, 1965; Mimmo Rotella: “Senza titolo”, Décollage, 1962

Rifllessioni su Babbo Natale

Nonno, come mai sul 25 Dicembre c’è scritto solo Natale e non il nome intero, Babbo Natale?”

La domanda di mio nipote mi ha lasciato di stucco…

Il 25 Dicembre è la festa principale per tutti i bambini, che la attendono con ansia soprattutto per un motivo: ricevono regali dai genitori, dagli zii, dai nonni; e la cerimonia dell’apertura dei pacchio dono sotto l’albero è uno dei momenti magici dell’anno…

Che tensione nei giorni precedenti, che timore di non meritare giochi, bambole, scatole multicolore perché non si è stati abbastanza buoni durante l’anno…

Che gioia scartare la carta e scoprire, oh sorpresa, proprio quello che sognavano e che avevano chiesto in letterine accorate…

Che felicità passare ore liete a giocare con i fratelli, i cugini, gli amici mentre i “grandi” intrecciano conversazioni e programmano l’ormai prossima festa di Capodanno…

Per i piccoli da decenni i regali sono portati da Babbo Natale, un personaggio inesistente creato dalla Coca Cola per reclamizzare la sua nota bibita gassata.

 

Nel 1931 Coca‑Cola commissionò all’illustratore Haddon Sundblom il compito di disegnare Babbo Natale per le pubblicità natalizie. Queste raffigurazioni hanno cambiato il modo in cui Babbo Natale veniva rappresentato: il primo Babbo Natale infatti era verde e si legava alla tradizione nordica di Odino, che immaginava il personaggio che regalava dolciumi. La sua origine peraltro può essere ascritta ancor più indietro nel tempo, legata ad un personaggio realmente esistito nel IV secolo a.C, e cioè il vescovo Nicola di Mira, che ancora sopravvive nei paesi nordici con il nome di Santa Klaus..

Potenza del marketing: in pochi decenni un’immagine pubblicitaria ha cancellato non solo secoli di tradizioni radicate, ma (e questo è l’aspetto più triste nella domanda del mio nipotino) la vera essenza del 25 Dicembre, che non è la festa di Natale Babbo, ma è la festa che ricorda la nascita di Gesù!

Nei calendari più attenti e precisi, il 25 Dicembre è infatti descritto come “Natale N.S.G.C.”, sigla misteriosissima per tutti i nipotini e per la stragrande maggioranza degli adulti, che, per esteso, significa “Natale di Nostro Signore Gesù Cristo”.

Natale è un aggettivo, non un nome! Indica il giorno “natale” (cioè della nascita) del Redentore.

Una festa intrinsecamente religiosa, staccata da ogni contenuto gaudente legato a regali, feste, cenoni, pacchi dono.

Una festa che dovrebbe far riflettere sui contenuti spirituali, sull’importanza di staccarsi dai valori materiali e meditare sui valori spirituali; altro che regali, trenini, tablet, bambole, cellulari…

E la cosa più triste è che (riflettete!) passate poche ore o pochi giorni i rutilanti giocattoli giaceranno in un angolo, dimenticati ed inutili, perché il tempo corre in maniera sempre più veloce, bruciando anche le cose più belle e desiderate e lasciando un triste, amaro vuoto nell’anima.

GIANLUIGI DE MARCHI

 

Tornano i cattolici professionisti?

LO SCENARIO POLITICO  di Giorgio Merlo

È un vecchio vizio che era addirittura già presente nella lunga e feconda esperienza della
Democrazia Cristiana. Parliamo, cioè, dei cosiddetti cattolici professionisti o, come li chiamava
con una punta di sarcasmo l’indimenticabile Carlo Donat-Cattin, “ i cattolici doc”. Si tratta, cioè,
di quei cattolici impegnati in politica che semplicemente si ritengono più cattolici degli altri in virtù
di una coerenza, di una dirittura morale e di una lungimiranza politica e culturale che erano e
restano tutte da dimostrare. Perchè, com’è evidente, in politica tutto è opinabile anche se non
tutto è lecito e permesso.

Ma, per entrare nel merito di questa categoria, si tratta appunto di una deriva, e di una
degenerazione, che non si è affatto esaurita anche nella stagione contemporanea. Neanche con
l’avvento della cosiddetta seconda repubblica. Anzi, si è ulteriormente accentuata. Ora, con la Dc
era francamente difficile sottolineare le ragioni di questa diversità, anche se gli esempi sono
talmente evidenti che non si possono nascondere. Basti pensare allo stile e al comportamento
concreti di Oscar Luigi Scalfaro e di altri cattolici, come gli intellettuali che parteciparono alla
famosa ‘Assemblea degli esterni’ della Dc nel 1981 che aveva come obiettivo prioritario ed
esclusivo quello di rinnovare e di rifondare la Dc stessa, per rendersene contro. Ma si tratta di una
deriva che si è affinata e perfezionata proprio in questi ultimi anni. E l’ultimo esempio, per
concentrarsi sull’attualità, riguarda proprio la “non discesa in campo” – almeno così pare di capire
ma è sempre comunque molto difficile decifrare il comportamento di alcuni cattolici – dell’ex
Direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini.

È bastato, cioè, che un personaggio del genere con un curriculum noto e collaudato e benedetto
da esponenti autorevoli come il sempreverde Romano Prodi e da altri segmenti dell’universo
cattolico italiano, per arrivare alla conclusione che Ruffini è ufficialmente il vero cattolico che
scende in campo e che, di conseguenza, può essere il punto di riferimento dell’area cattolica
italiana. A prescindere, come ovvio e scontato, dai consensi reali che, secondo costoro, è una
variabile del tutto indipendente rispetto alla cosiddetta e presunta autorevolezza del nuovo
protagonista.

Ora, senza nulla togliere – come ovvio – al profilo e alla personalità politica e culturale di Ruffini,
quello che non si può non rilevare è che, purtroppo, persiste questa vulgata secondo la quale ci
sono dei cattolici più cattolici degli altri. In virtù di misteriose motivazioni che non sono mai
trasparenti ed oggettive ma che sono il frutto di considerazioni che la cultura del “politicamente
corretto” legittima e certifica. Pertanto, sin quando i Ruffini di turno non scenderanno in campo
dovremmo di nuovo prendere amaramente atto che i cattolici nella politica o sono irrilevanti o
sono ininfluenti o, peggio ancora, non sono affatto credibili e nè, tantomeno, capaci di incidere
attraverso la loro azione concreta nella cittadella politica italiana.

Ecco perchè, alla luce di questa strana e singolare anomalia che resiste malgrado la Dc abbia
chiuso i battenti da oltre 30 anni, forse è anche arrivato il momento per affermare con umiltà ma
con forza che non esistono “cattolici di serie A e cattolici di serie B” e che, soprattutto, va
archiviata definitivamente ed irreversibilmente la curiosa tesi che solo alcuni sono più degni e più
titolati di altri a rappresentare ciò che resta dell’area cattolica nella politica italiana. E lo dico per
rispetto dei cattolici, di tutti i cattolici che hanno una spiccata vocazione alla politica e all’impegno
pubblico. E com’è altrettanto ovvio, nel pieno rispetto del pluralismo delle scelte politiche ed
elettorali dei cattolici italiani. Ma il tutto, comunque sia, deve avvenire senza ridicole primogeniture
e grottesche auto investiture politico, culturali ed etiche.

Torna il pattinaggio su ghiaccio naturale a Sauze d’Oulx

Un’idea fortemente voluta dall’Assessore al Turismo Davide Allemand che esprime tutta la sua soddisfazione: “Sono anni che ragioniamo sul pattinaggio su ghiaccio, ma per motivi vari non eravamo mai riusciti a dare corso ai buoni propositi. Quest’estate, non appena si è insediata la nuova Amministrazione Comunale e mi sono state conferite le deleghe al Turismo, mi sono prontamente attivato affinché non passasse un altro inverno senza il ghiaccio. Siamo così riusciti a trovare le risorse, ma soprattutto siamo riusciti a trovare la collocazione idonea per questa pista che è di dimensioni importanti, vale a dire di 160mq. Per noi era strategico collocarla al Parco Giochi “Vincent Hawkins” perché è centrale rispetto al paese e perché qui anche d’inverno si concentrano le famiglie. Proprio alla vigilia di Natale il pattinaggio ha aperto i battenti ed è stato preso d’assalto. Vedere la pista piena conferma che l’idea del pattinaggio era vincente. Ci crediamo ciecamente perché vuole essere un’offerta in più che il nostro Comune offre ai turisti, ma anche ai nostri bambini e ragazzi del paese. È poi un’attrattiva per l’apres ski che piace e serve a socializzare e a godersi appieno la vacanza qui da noi a Sauze”.

La pista di pattinaggio su ghiaccio naturale è aperta tutti i giorni dalle 15 alle 22 sino al 2 febbraio 2025. I costi sono di 8 euro per mezz’ora, con possibilità di continuare le pattinate con un euro ogni 15 minuti supplementari. Il costo dell’”orso” (ovvero il supporto che accompagna i non provetti pattinatori) è invece di cinque euro. Ovviamente vi è la possibilità di affittare i pattini direttamente in loco.

Sauze torna così a pattinare come già faceva in passato. L’Assessore Davide Allemand riprende così la tradizione del pattinaggio: “Sauze d’Oulx nel tempo ha sempre avuto uno stretto rapporto con il pattinaggio su ghiaccio. Già una trentina di anni or sono c’era una pista sotto piazzale Miramonti, poi c’è stata l’esperienza del ghiaccio al laghetto di Grand Villard e in ultimo il pattinaggio era già stato collocato presso il parco giochi. Ma parlo di una decina di anni or sono. Quindi c’è tutta una generazione di sauzini e di turisti che non ha vissuto quegli anni. Con il nuovo impianto in funzione andiamo così a offrire qualcosa di nuovo a loro e torniamo ad offrire anche un servizio a chi saliva a Sauze d’Oulx anche per pattinare”.

Addio al giornalista Ormezzano, grande firma dello sport

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E’ morto Gian Paolo Ormezzano, figura celebre del giornalismo sportivo italiano. L’ex direttore editoriale di Tuttosport è deceduto a  Torino a 89 anni. Storico tifoso del Toro, Ormezzano ha scritto per anni su  La Stampa e sul Guerin Sportivo. Ha seguito i più grandi eventi sportivi dagli anni 60 ad oggi.  E’ stato opinionista sportivo in tv e ha anche avuto una parentesi politica come consigliere comunale di sinistra a Torino. Una firma di quelle del giornalismo di una volta, di come non ce ne sono e non ce ne saranno più.

Al Palazzo delle Feste di Bardonecchia in mostra quadri e opere di cioccolato

Si intitola “Tracce di gusto” la mostra allestita al Palazzo delle Feste di Bardonecchia, nell’ambito della Stagione Scena 1312 Arte.

Esposti quadri e sculture di cioccolato per illustrare l’attività pasticcera della famiglia Ugetti, da 70 anni presente sul territorio di Bardonecchia. Un percorso iniziato nel 1954 con l’arrivo a Bardonecchia di Teresio e Luciana Ugetti e l’apertura della prima pasticceria in via Medail, proseguito con l’attività del figlio Franco con la moglie Marina e che, ora, con l’arrivo della terza generazione, con Davide ed Andrea Ugetti, continua.

Tra le opere anche riferimenti alla storia di Bardonecchia, come la riproduzione del traforo del Frejus, una scultura di 28 chili, la cui realizzazione ha richiesto un tempo di 60 ore.

Un video racconta, invece, la storia della famiglia Ugetti, le sue creazioni, il suo impegno “sul piacere di fare dolci” ed il suo legame con Bardonecchia.

“Questa esposizione – raccontano Franco, Andrea e Davide Ugetti – nasce dall’idea e dal desiderio di guardarsi indietro e vedere le orme lasciate sul nostro sentiero lungo questi 70 anni”.