ilTorinese

“Questa è pittura”… perdersi nella totale libertà del colore

Il “Forte di Bard” presenta una grande retrospettiva dedicata ad Emilio Vedova fra i nomi più prestigiosi dell’ Arte Informale

Fino al 2 giugno 2025

Bard (Aosta)

Il colore, soprattutto. Il colore su tutto. A imprigionare forme, a dettare le regole irregolari di una dialettica fra gesto, segno e materia che coinvolge lo stesso pittore, diventando prova di forza, corsa a tutto campo, senza limiti né confini fra l’artista stesso e l’opera, concepita come bersaglio (pur sempre calibrato nella sapienza del complessivo rapporto compositivo) di violente emozioni e di impreviste improbabili fantasie. Il colore. La materia. Magma incandescente che avvolge lo stesso pittore. Che si fa colore. Si fa materia. Nel corpo e nell’anima. C’è tutto questo, la potenza del gesto e del segno della pittura di Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006), al centro della retrospettiva “Questa è pittura” allestita nelle “Sale delle Cannoniere” al valdostano “Forte di Bard”fino a lunedì 2 giugno del prossimo anno.

Promossa dall’“Associazione Forte di Bard”, in collaborazione con “24 Ore Cultura” e “Fondazione Emilio e Annabianca Vedova” (istituita dall’artista con la moglie nel 1998 e attiva dal 2006), la mostra è curata da Gabriella Belli e  “vuole presentare – precisa la stessa Belli – l’opera di Vedova nella sua valenza pittorica, sfuggendo da ogni tentazione di lettura dettagliatamente storica o socio-politica, per indirizzare lo sguardo verso l’eccellenza della sua pittura, che sempre stupisce per la folgorazione del colore e la vitalità della sua materia, espressione tra le più alte dell’Informale europeo”.

Emilio Vedova, per molti “il fratello italiano di Jackson Pollock”, è stato uno degli artisti d’avanguardia più influenti del ‘900. Libero, dissidente, curioso e ribelle (fervente antifascista, partigiano a Roma e sulle colline piemontesi, nonché fra i firmatari nel ‘46 del manifesto “Oltre Guernica” e fra i fondatori del “Fronte Nuovo delle Arti”) ha tradotto nelle sue opere il suo impegno civile. Un intreccio per certi aspetti indissolubile che restituisce il profilo di un artista di altissimo talento e nello stesso tempo dotato di una rara capacità d’essere dentro il “farsi della storia”.

In mostra (che approda in Vallée a quasi cinquant’anni dall’esposizione “Emilio Vedova. Grafica e Didattica” presentata nel ’75 alla “Tour Fromage”, sotto la curatela di Zeno Birolli e dello stesso Vedova) troviamo esposti, 31 grandi dipinti e 22 opere su carta dell’artista veneziano, in maggioranza provenienti dalla “Fondazione Emilio e Annabianca Vedova”. L’odierna retrospettiva “vuole aggiungere – replica Gabriella Belli – un tassello alla conoscenza dell’artista, attraverso un itinerario di approfondimento del suo lavoro diviso in otto tappe, che corrispondono a momenti in cui lo sforzo creativo si dibatte attorno a questioni esistenziali”. La sequenza non è strettamente cronologica, ma va invece a rimarcare, attraverso le sue opere, quei “periodi/episodi” della vita artistica di Vedova strettamente dedicata al mestiere e alla ricerca pittorica, lasciando in ombra il suo pur sempre forte impegno civile e “la sua ben nota, carismatica voce di protesta davanti alle tragedie della storia e agli eventi di cronaca quotidiana”“Questa è pittura”, solo e intimamente pittura, recita bene, dunque, il titolo della rassegna, partendo dagli esordi dell’avventura artistica del pittore : “La nascita di un pittore. I Maestri”, la lezione trasmessa a Vedova dai grandi pittori di quel passato veneziano, alla sua quotidiana portata di mano e di vista, scritto dai vari TintorettoVeronese e Tiepolo, ammirati per poi sfuggirli (ma mai dimenticarli) abbracciando (“Cercare una via”) l’emergente “geometria astratta” di cui troviamo significativi esempi in mostra. Nella terza tappa “Astrazione per sempre”, già si fa luce il passaggio dalle strette “velleità geometriche” al desiderio di una pittura per vocazione “gravida di gesto e materia”, che s’alimenta nell’invenzione dei suoi “Plurimi” (quarta tappa), nuove forme dipinte, legni carichi di materia pittorica e assemblate con cerniere, “inquietanti costruzioni tridimensionali” che “deflagrando dalla parete, invadono lo spazio”. E l’iter prosegue nel continuo “lasciar libero il  segno” fino alle opere più strettamente connesse al suo personale “tragico esistenziale” sublimato in quella esemplare “Vertigine Piranesi” (settima tappa) che pare rievocare le “Carceri” (invenzione di luoghi “insieme inferi e architettonici”) del suo conterraneo, fra gli iniziatori dell’immaginario gotico, Giambattista Piranesi“Circolare infinito” è il titolo dato, infine, all’ottava tappa, con i tre grandi “Tondi”, disallineati al centro della Sala, che gridano tutta “l’irriverenza inquieta e geniale di un artista che ha sempre sfidato sé stesso”. E il mondo intero.

Gianni Milani

“Questa è pittura”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 2 giugno

Orari: mart. e ven. 10/18; sab. dom. e festivi 10/19; lunedì chiuso

 

Nelle foto: Emilio Vedova “Al lavoro su ‘Non Dove’”, 1988 (Ph. Aurelio Amendola): “Poemetto della sera”, olio su tela, 1946; “Plurimo – A”, acrilici, pastello su elementi di legno, 1962; “Ciclo”, tecnica mista su tela, 1962

“Arte e Carità”: oltre 120 opere in mostra a “Casa Francotto” di Busca

Dal patrimonio artistico delle “Confraternite” ai capolavori moderni e contemporanei

Dal 16 novembre al 9 febbraio 2025

Busca (Cuneo)

Sono oltre 120 le opere esposte, a firma di circa sessanta artisti operanti in un arco temporale che abbraccia più di sei secoli di storia dell’arte. Eccellente il luogo espositivo, gli eclettici spazi di “Casa Francotto”, nel centro storico di Busca (Cuneo), che da sabato 16 novembre a domenica 9 febbraio 2025, ospiteranno la mostra “Arte e Carità. Dal patrimonio delle Confraternite ai capolavori moderni e contemporanei”. Particolarmente ricco e suggestivo, il percorso espositivo appare suddiviso in due parti, dal “globale” al “locale”.

Una sezione è infatti dedicata a grandi artisti del passato, della modernità e della contemporaneità, con una settantina di opere che vanno (si citano solo alcuni nomi) dal Bellini al Correggio su su fino a Picasso, Fontana, Martini, Manzù, Cassinari e Mastroianni, accompagnate, nella seconda sezione, ai capolavori – depositari di settecento anni di storia con inediti di straordinaria bellezza – custoditi dalla due “Confraternite” cittadine, la “Bianca” (dal colore degli abiti degli iscritti) e la “Rossa” (dei “Battuti Rossi”), la “SS. Annunziata” e la “SS. Trinità”. Ad unire idealmente e operativamente tutte le opere in esposizione il loro attenersi scrupolosamente al binomio “Arte e Carità”. Curata da Cinzia Tesio, Rino Tacchella, Bruno Raspini e Dario Lorenzati, la rassegna è organizzata dal “Comune” e dall’“Ospedale Civico” (1698) di Busca. A completarne l’allestimento, curato da Maurizio Colombo, pannelli, documenti storici, codici “QR CODE” e tre “video”, uno dei quali dedicato al dottor Ernesto Francotto (1883 – 1968) che, alla sua morte, lasciò tutti i suoi beni, tra cui la casa natale, alla Città di Busca che ne fece un prezioso spazio espositivo nel rispetto della memoria del benefattore, il quale coltivò, accanto alla sua professione di medico condotto, l’arte della pittura, della poesia e della musica.

 

“La rassegna – spiegano i curatori – vuole approfondire il tema della carità, grazie al linguaggio universale dell’arte, stimolando una riattivazione della circolarità che la storia ci ha insegnato, senza tendere ad un ritorno al passato ma sfidando il futuro”. E, su questa linea, prosegue Luca Gosso, ex sindaco di Busca, già presidente per i “Serivizi Socio-Assistenziali” delle Valli Grana e Maira, oggi giornalista e attento divulgatore degli eventi di “Casa Francotto”: “Ritrovarsi di fronte a un crocifisso di Lucio Fontana o alle sculture di Giacomo Manzù, così come al presepe di Emanuele Luzzati e alla straordinaria ‘Via Crucis’ di Mario Tallone o all’ ‘Albero della carità’ di Mario Gosso, ci fa vivere emozioni forti facendoci pensare al desiderio di farsi prossimo, come diceva il Cardinale Carlo Maria Martini, alla ricerca di una speranza, di un nuovo umanesimo e di una sostenibilità che vuole rimettere al centro l’uomo e coniugare l’arte, la cultura e la carità”. Grandi nomi. Per una mostra che pienamente riesce a coniugare nel gesto estetico, il “fare arte” e la spirituale ricchezza del professare “Carità”. Ha ragione Gosso, “straordinaria” la “Via Crucis”del semplice grande scultore del ferro di Paesana, scomparso tre anni fa, Mario Tallone.

 

In essa la forza della materia si piega al sussulto di emozioni che si fanno “carnale spiritualità”. Come le non poche “Madonne con Bambino”, dalla terrena “Maternità” di Pablo Picasso(“Mother and Child”) olio su cartoncino del ’21 a quella in bronzo del ’20 di Leonardo Bistolfi  fino alla “Ceramica incisa e smaltata” di Ugo Nespolo e alla “Madonna di Loreto” di Umberto Mastroianni, eredi delle più antiche “Maternità” di Antonio Allegri il “Correggio” (“il portatore più moderno e ardito degli ideali del Rinascimento” ) e del veneziano Giovanni Bellini, dove si ritrova quella particolare capacità del Maestro (e dell’allora pittura veneta) di stabilire una particolare, simbolica relazione tra i protagonisti e lo sfondo paesistico.

E accanto alle “Maternità”, ecco l’inconfondibile iconografico “Cardinale seduto” in bronzo (1990) di Giacomo Manzù, l’informale “Cristo” in terracotta di Lucio Fontana, la fiabesca “Natività” di Emanuele Luzzati, la “Deposizione” in terracotta (1926) di Arturo Martini via via per arrivare (e il percorso continua ancora a lungo) al delicato, luminoso “Piccolo altare barocco”, in pastelli a cera su carta di Enrico Paulucci e al nervoso “Studio per Crocifissione” del ’93 di Giorgio Ramella. Una grande mostra, per ricordare l’infinita grandezza e bellezza della “Carità”.

Gianni Milani

“Arte e Carità”

Casa Francotto, piazza Regina Margherita, Busca (Cuneo); tel.371/5420603 o www.casafrancotto.it

Fino al 9 febbraio 2025

Orari: ven. 15,30/1830, sab. 10/12 e 15,30/18,30, dom. 10/12 e 14,30/18,30

Nelle foto: Pablo Picasso “Mother and Child”, olio su cartoncino, 1921; Mario Tallone “Via Crucis – Stazione 4”; Giovanni Bellini “Madonna con Bambino”, ca. 1510; Giorgio Ramella “Studio per Crocifissione”, 1993

Il mistero del Triangolo delle Bermuda, 5 dicembre 1945

ACCADDE OGGI

Forti tempeste, errori nella navigazione, problemi tecnici, addirittura forze paranormali o extraterrestri presenti in quella zona colpita da violenti e improvvisi uragani che sconvolgono mare e cielo e poi si disperdono rapidamente. Si è detto di tutto, lasciando spazio, anche troppo, all’immaginazione e fantasticando sulle possibili cause di quella tragedia. E se ne parla ancora, ogni anno, il giorno dell’anniversario. Sta di fatto che cinque aerei con 14 aviatori della Marina degli Stati Uniti scompaiono nel famoso Triangolo delle Bermuda, nell’Oceano Atlantico, durante un’esercitazione e non vengono mai più ritrovati. È passato quasi un secolo, era il 5 dicembre 1945. Come è potuto accadere? I racconti emersi in questi decenni sono tra i più svariati e alcuni anche molto strampalati. Si parla di onde gigantesche che emergono all’improvviso dagli abissi proiettando in aria le barche con una forza impressionante ma si narra anche di eruzioni di metano dalle profondità in grado di alterare la densità dell’acqua rendendo impossibile la navigazione. O perfino di attacchi di mostri marini e di calamari giganti che inghiottono i velivoli. Più realisticamente potrebbe invece trattarsi di un errore umano o di un difetto nella progettazione. È vero inoltre che nell’area specifica si trovano alcune delle fosse sottomarine più profonde al mondo e i relitti potrebbero trovarsi a molti chilometri dalla superficie dell’oceano. Il fondale marino si trova infatti a 6000-8000 metri sotto il livello del mare. Per le imbarcazioni il rischio di naufragio c’è sempre stato ma come è possibile far sparire anche gli aerei?
Le ipotesi sulle cause della scomparsa di aeroplani e navi nel Triangolo delle Bermuda sono molte ma cosa abbia causato queste sparizioni resta un mistero. Quasi 80 anni fa cinque aerei americani, conosciuti come Volo 19, decollarono dalla loro base in Florida per un normale addestramento e scomparvero inspiegabilmente nel Triangolo delle Bermuda. Né i velivoli né l’equipaggio furono mai più ritrovati. Quel giorno nacque la leggenda su cui si discute ancora oggi. Il Triangolo delle Bermuda è un’area oceanica di un milione di chilometri quadrati compresa tra Miami, l’arcipelago delle Bermuda e l’isola di Porto Rico. C’è da dire che si tratta di una zona dove spesso il meteo desta allarme e le condizioni del tempo sono pessime perché la corrente del Golfo crea vaste masse d’aria calda che generano onde alte parecchi metri e vere e proprie tempeste e bisogna aggiungere che molte di queste sparizioni misteriose sono avvenute in un periodo in cui le operazioni di salvataggio erano antiquate e poco efficaci. Sulla carta geografica quel triangolo è diventato il “triangolo maledetto”, un mistero che continua tra leggenda e realtà e che ha ispirato film, romanzi e serie televisive a non finire. All’interno di questo braccio di mare nel Novecento numerosi aerei e navi sono scomparsi senza lasciare traccia. Non è però un fenomeno solo novecentesco: gli storici ricordano che proprio in quest’area già Cristoforo Colombo annotò sul suo diario di bordo “strani e insoliti fenomeni” durante la navigazione.
I piloti degli aerei in volo sull’oceano potevano affidarsi esclusivamente alla bussola ma pare che quel giorno le bussole non funzionassero bene e le condizioni del tempo stavano peggiorando. Tanto è vero che il tenente istruttore Charles Taylor, a capo della missione, si perse un’ora dopo il decollo. Tragedia nella tragedia, anche uno degli idrovolanti di soccorso scomparve insieme ai 13 membri dell’equipaggio. Fu un disastro, relitti e corpi non furono mai trovati. Si trattò di un errore di valutazione del pilota secondo la Marina americana ma in seguito il verdetto fu cambiato in “cause sconosciute”. La Guardia Costiera ha comunque sempre fatto presente che il problema più grande in quell’area sono gli uragani con onde alte diversi metri. Le tempeste tra i Caraibi e l’Atlantico sono improvvise e possono dar vita a trombe d’acqua con effetti tragici per piloti e marinai. La sorte della Squadriglia 19 resta uno dei più grandi enigmi nella storia dell’aviazione.     Filippo Re

Piano Aria, discussione in Regione

Aggiornamento del Piano regionale di qualità dell’aria: il Consiglio regionale, dopo la presentazione del provvedimento dell’assessore all’Ambiente Matteo Marnati, ha svolto ieri la discussione generale e sono stati presentanti i primi emendamenti, a firma dei consiglieri Unia (M5s) e Conticelli (Pd). I lavori su questa delibera proseguiranno nella prossima seduta di Consiglio.
Marnati ha introdotto la proposta di deliberazione di Giunta: “Questo aggiornamento del Piano – ha detto – costituisce l’occasione per inserire misure innovative e formulare indicazioni normative per attivare le misure necessarie che ci consentano di rientrare nei valori limite, come richiesto dalla Corte di Giustizia Europea per gli inquinanti che ad oggi superano i limiti”.
L’assessore ha presentato la situazione attuale, in vista della programmazione del Piano per il periodo 2025-2030: “Come anno base è stato preso il 2023 che, dai dati forniti da Arpa Piemonte, è stato l’anno migliore in assoluto per quanto riguarda la diminuzione della concentrazione delle polveri sottili nell’aria. Tutti i capoluoghi di provincia rientrano nei parametri previsti dai limiti di legge: 35 giornate di sforamento all’anno, tranne Torino, che segna un importante miglioramento. Su 32 centraline di rilevamento presenti sul territorio piemontese, nel 2021 le centraline che avevano superato i 35 giorni di sforamento delle polveri sottili nell’aria erano state 13; nel 2022 12 e nel 2023, con una riduzione di circa l’84%, il superamento si è registrato solo in 2 centraline. L’aggiornamento del Piano – ha concluso l’assessore – prevede un insieme di azioni per il rientro nei limiti della qualità dell’aria nel 2025 e per migliorare in modo consistente in vista del 2030”.

Durante il dibattito generale sono intervenuti numerosi consiglieri di opposizione.
I consiglieri del Pd intervenuti: Nadia Conticelli, Gianna Pentenero, Mauro Calderoni, Simona Paonessa, Emanuela Verzella, Fabio Isnardi, Alberto Avetta, Mimmo Rossi, Daniele Valle, Monica Canalis, hanno sottolineato la notevole complessità del Piano e l’assenza di coraggio nell’affrontare il cambiamento climatico, la mancanza di dati sull’impatto delle misure dei Piani degli anni precedenti, la necessità di azioni concrete che rendano i trasporti pubblici preferibili rispetto all’uso dell’auto privata, le misure in campo zootecnico e agricolo. Al termine della discussione la presidente del gruppo Pd Pentenero ha chiesto che il provvedimento ritornasse in Commissione per approfondimenti. La richiesta è stata respinta dall’Aula.
Alice Ravinale (Avs) ha affermato: “nel 2021 l’Agenzia europea per l’ambiente ha certificato 4635 morti premature dovute all’inquinamento, abbiamo avuto una procedura di infrazione dalla UE e adesso pretendiamo addirittura le deroghe. In questo Piano inoltre le azioni impopolari vengono affidate ai Comuni, alle imprese e ai privati”.
Per il Movimento 5 Stelle sono intervenuti Alberto Unia, Sarah Disabato, Pasquale Coluccio che hanno messo in risalto come da anni si tengono tavoli sulla qualità dell’aria anche nei piccoli Comuni fuori dalla grande città perché l’aria non ha confini e i provvedimenti devono essere presi su larga scala. Hanno parlato dei problemi del traffico, della mobilità sostenibile, delle energie rinnovabili, delle emissioni di ammoniaca in campo zootecnico e dei necessari aiuti alle imprese. “Ci vogliono risorse economiche ingenti per portare a compimento la transizione ecologica”, hanno concluso.

Il consigliere Roberto Ravello (Fdi) ha invece sottolineato: “Noi rivendichiamo con orgoglio l’approccio scientifico utilizzato nella predisposizione dell’aggiornamento al Piano regionale per la qualità dell’aria. Una recente direttiva europea ha evidenziato le particolari caratteristiche del nostro bacino padano, aprendo alla possibilità di deroghe fino al 2040, per il rispetto dei nuovi e più stringenti parametri. Si tratta di un’opportunità da cogliere senza indugi”.

Ufficio Stampa Crp

Il Presepe Mondiale di Anja Längst

Informazione promozionale

L’artista bavarese Anja Längst partecipa alla manifestazione dei Presepi a Bardonecchia con il suo “Presepe Mondiale – Dal mistero della Natività al volo degli Angeli”, in mostra presso il suo spazio espositivo “Anja’s Atelier”

 

All’interno della manifestazione diffusa dal titolo “Bardonecchia paese dei Presepi”, che si svolgerà dal 7 dicembre 2024 al 26 gennaio 2025, in cui cento Presepi illumineranno le frazioni di Rochemolles, Millaures, Le Gleise, Les Arnauds e Melezet, oltre che Borgo Vecchio, inaugura la mostra “Il Presepe Mondiale- Dal mistero della Natività al volo degli Angeli” dell’artista bavarese Anja Längst. La mostra sarà visitabile per tutto il periodo della manifestazione e inaugurerà presso l’Anja’s Atelier, in piazza Europa 18 interno cortile, a Bardonecchia. L’orario di visita sarà tutti i giorni dalle 15 alle 19.

L’esposizione, proposta già nel 2003 a Torino nell’atrio della Stazione di Porta Nuova, nell’ambito della quarta edizione di “Piazza dei Presepi”, si rinnova a Bardonecchia mantenendo lo stile e i contenuti cari all’artista.

Oltre a un piccolo presepe in cartapesta, una capanna origami, due presepi in terracotta non dell’artista, un piccolo presepe dipinto con colori acrilici e lo sfondo di un altro Presepe realizzato con una foglia d’oro, l’esposizione vede protagonista un Presepe di maggiori dimensioni alto circa 1,50 metri e largo 2,30 metri, realizzato in legno compensato, dipinto con colori acrilici e che riporta disegni a inchiostro di china e figure in materiale plastico. Il colore rappresentativo dell’opera è il blu, simbolo cromatico che nell’artista richiama sentimenti di pace, di silenzio, di spiritualità, armonia, fiducia e mistero infinito. Inoltre il blu rappresenta il colore delle sue origini, essendo nativa della Baviera, nei pressi del lago Tegernsee.

Il colore blu, nell’ambito della cromoterapia, è una tinta che ha il potere di rallentare il battito cardiaco e di abbassare la pressione ottenendo un rilassamento di tutto il corpo. I simboli all’interno dell’opera sono molteplici e si sovrappongono in un’idea di amore e pace tra gli uomini.

La sfera disegnata che rappresenta il mondo vuole essere il simbolo della convivenza pacifica, oppure la Natività, che rappresenta la possibilità di salvezza per tutta l’umanità, e ancora il veliero che, disegnato in cielo, sembra affrontare il suo mare, l’universo, il desiderio e la sfida di tutti coloro che si lasciano alle spalle il passato alla ricerca di un nuovo inizio.

La mostra di Anja prosegue il percorso che l’artista ha iniziato trent’anni fa, finalizzato ad unire arte e artigianato con quel senso di humour, serenità e un tocco di serietà che sono la cifra stilistica dell’artista bavarese. Dal 1993 Anja ha spalancato le porte del suo Atelier prima in via Des Geneys, vicino alla parrocchia di Sant’Ippolito, a Bardonecchia, e da qui si è spostata al quartiere multietnico di San Salvario, a Torino, in via Belfiore 18. Tanti i bambini, i ragazzi e gli adulti che hanno varcato la soglia del suo inspiratorio per imparare a dipingere e decorare.

Dal 2002 al 2023 ha partecipato anche suo marito Benny Naselli, caricaturista e ritrattista. Dal 2010 si stabilisce nella centrale piazza Europa, a Bardonecchia, e di tanto in tanto si sposta a Torino e nel mondo per esporre le sue opere e i suoi “omini” realizzati su carta e tela.

Anja tiene, presso il suo Atelier, lezioni di pittura su appuntamento.

Per ulteriori informazioni: 349 1256344

 

Mara Martellotta

Lo Stradivari di Ferràndez sul podio dell’OSN Rai insieme al direttore Andrés Orozco – Estrada

Giovedì 5 dicembre, alle 20.30, all’Auditorium RAI Arturo Toscanini, si terrà il concerto che vedrà protagonista Pablo Ferràndez, uni dei violoncellisti definito da Le Figaro “il nuovo genio del violoncello”. Suona il preziosissimo Stradivari “Archinto” del 1689, prestato da un Maestro della Stretton Society. Pablo Ferràndez torna a suonare con l’OSN Rai, giovedì 5 dicembre, in un concerto che sarà trasmesso in diretta su Radio 3 e in live streaming sul portale di Rai Cultura. In replica venerdì 6 dicembre alle ore 20. Per il suo ritorno con l’OSN Rai, con la quale aveva debuttato giovanissimo nel 2017, propone il Concerto per violoncello n.2 in si minore op.104 di Antonin Dvořák, pagina fra le più note del compositore boemo, scritta intorno al 1895, verso la fine del suo soggiorno americano. Capolavoro della letteratura violoncellistica, è amato dai grandi solisti per l’esuberante virtuosismo e l’immediata presa emotiva dei temi di ascendenza folklorica tra Vecchio e Nuovo mondo. La sua prima esecuzione fu a Londra nel 1896, con lo stesso Dvořák sul podio e Leo Stern come solista.

Sul podio dell’Orchestra Rai è chiamato il direttore principale Andrès Orozco-Estrada. Nato a Medellin, in Colombia, nel 1977, ha debuttato con l’OSN nel maggio 2022, e nell’ottobre 2023 ha iniziato la sua collaborazione come direttore principale. Nella seconda parte della serata Orozco-Estrada propone il poema sinfonico di Richard Strauss “Tod und verklärung” (morte e trasfigurazione), che illustra i temi dell’agonia umana e della salvezza ultraterrena, muovendosi tra l’esasperazione materialistica di stampo decadente e l’eterna aspirazione romantica.

La scena finale dell’opera, il canto di Isolde sul corpo di Tristano, cerca la soluzione al conflitto tra amore e morte nella trascendenza, nel passaggio a una forma altra, diversa da quella umana, di concepire quel desiderio di vita che costituisce la fonte inesauribile dell’eros. Mahler e Strauss concepiscono il proprio mondo in sintonia con la cultura del loro tempo, in cui le voci moderne sono Shopenhauer, Wagner e Nietzsche. “Morte e trasfigurazione” op.24 è un breve poema per grande orchestra di Richard Strauss, che iniziò a comporre nella tarda estate del 1888, e completò il 18 novembre 1889, dedicandola all’amico Friedrich Rosch.

In chiusura un’altra pagina di Strauss, ma all’insegna del divertimento, il poema sinfonico “Till Eulenspiegels lustige Streiche” ( I tiri burloni di Till Eulenspiegel), definito dallo stesso autore molto allegro e spavaldo. Fu composto tra il 1894 e il 1895, ha avuto la prima assoluta a Colonia il 5 novembre 1895 sotto la direzione di Franz Wüllner. Racconta gli scherzi e le avventure di un personaggio di fantasia molto popolare in Germania, Till Eulenspiegel. I due temi che rappresentano Till sono interpretati dal corno e dal clarinetto; il tema del primo è una melodia che procede cadenzata fino al suo culmine, per poi ricadere e terminare in tre note lunghe e forti, decrescenti in scala. Il tema del clarinetto è più complesso, come a suggerire un burlone intento a preparare i suoi scherzi.

Biglietteria: biglietteria.osn@rai.it e online sul sito dell’OSN Rai

 

Mara Martellotta

 

Titolare di caf si faceva pagare per i permessi di soggiorno

La titolare di un Caf nel Cuneese si sarebbe fatta pagare per i permessi di soggiorno. È stata scoperta dalla Squadra mobile della Questura di Cuneo. La donna, ora ai domiciliari,  è indagata per favoreggiamento all’immigrazione clandestina. I documenti illeciti che avrebbe rilasciato a decine di immigrati, a fronte di somme superiori di alcune migliaia di euro,  consentivano loro la permanenza temporanea in Italia.

Sarajevo, una sera alla casa del dispetto

Una sera Goran volle a tutti i costi portarmi a cena all’Inat Kuca. Diceva che non si poteva immaginare quant’è bella e accogliente Sarajevo senza passare almeno una serata bevendo birra Sarajevsko e scoprendo le delizie della cucina bosniaca. Quindi, cosa poteva offrire di meglio la città di quel ristorante che i sarajevesi considerano una vera e propria istituzione? L’atmosfera di questa costruzione in stile turco affacciata sulla Miljacka con un superbo dehors sul fiume, è sempre speciale. Il menù propone piatti tipici della tradizione bosniaca, non facili da trovare negli altri ristoranti del centro della città. Anche a tavola Sarajevo esprime quel suo carattere orgogliosamente meticcio, multiculturale nonostante tutto, influenzato tanto dalle tradizioni ottomane e balcaniche quanto da quelle mitteleuropee e mediterranee. Del resto non può essere diversamente per una città il cui nome trae origine dal turco antico “saraj”, cioè il palazzo ma anche luogo d’incontro e scambio. Se spesso ci sedevamo davanti a un chiosco della Bascarsija, rimpinzandoci di birra, Ćevápčići e burek, secondo il tradizionale rito del fast food balcanico, quella sera cenammo su tavoli di legno antico, con tovaglie ricamate e una infinità di proposte interessanti a base di zuppe, carni, verdure e legumi. Intendiamoci: a me è sempre piaciuto pranzare nel locale spartano di Zeljko o nei chioschi affollati e vocianti delle vie attorno al bazar. Vado matto per i Ćevápčići, quelle deliziose polpette un poco allungate di carne di agnello arricchita di spezie e cipolla e cucinate sulla brace. E il burek? Quella specie di torta salata dalla sfoglia sottile ripiena di carne (o verdure e formaggio, nella versione vegetariana) e cotta  ricoprendola interamente con le braci ardenti, è gustosissima. All’Inat Kuca, volendo, ci sono gli stessi cibi della cucina povera bosniaca. Ero tentato di restare sul già sperimentato ma Goran insisteva perché assaggiassi il bosanski lonac (“bosnian pot” sul menù in inglese, ovvero pentola bosniaca),piatto molto saporito che consiste di verdure assortire, carne, pomodoro e spezie, fatte cuocere a lungo in casseruola. E poi una particolarissima pita fatta di sottilissima pasta fillo arrotolata ripiena di carne o verdure.

 

Preparata dentro a dei grandi tegami rotondi chiusi con un coperchio e infilati sotto una coltre di brace ardente. Ci venne servita caldissima con kíselo mlijèko , lo yogurt casalingo, spalmato sullo stesso piatto. Goran non si tirava mai indietro quando sedeva a tavola. Si divorò anche un piatto di súdžukice, gustosa salsiccia arrostita sempre sulla pietra. Per giustificarsi mi disse che si trattava di una mala pórcija, la porzione piccola (tanto per darvi un’idea erano tre salsicce) e non una ben più robusta e impegnativa vèlika pórcija, cioè la porzione grande da cinque salsicce. Che dovevo dirgli? Salute, Goran. E complimenti per il tuo stomaco di ferro. Io ero sazio e non riuscivo  a mandar giù più niente. Lo convinsi a rinunciare (anche se dall’espressione del suo volto direi che lo fece a malincuore) ai dolci. Terminammo con una bella tazza di bósanska kafail caffè bosniaco non filtrato,  preparato e servito nelle caffettiere in rame e un giro di rákija, la grappa nazionale  ( in ragione del distillato di frutta fermentata cambia il nome e quella era la dúnjevača, uno straordinario e profumato liquore di mela cotogna. Goran raccontò la storia dell’originale nome di quella casa che da tempo ospitava il ristorante. Mi disse che attorno al XIX secolo si trovava sulla riva opposta del fiume quando ne venne disposto l’abbattimento da parte delle autorità austroungariche per fare posto alla biblioteca nazionale, l’imponente Vijećnica. Il proprietario non intendeva ragioni e, pressato dalle autorità dell’Impero viennese, si intestardì fino a sfidarle, pretendendo che la abitazione venisse trasferita, pietra su pietra, dall’altro lato del fiume. Pensava che la cosa fosse impossibile e invece il suo capriccio venne esaudito in poco tempo e nel breve di due anni venne costruito al suo posto l’imponente edificio. Così oggi l’Inat Kuca, la casa del Dispetto, sorge sulla sponda opposta della Miljacka proprio di fronte all’imponente mole della biblioteca che, dopo il rogo provocato dalle granate dei nazionalisti serbi il 25 agosto del 1992, è stata ristrutturata e oggi ospita il municipio. Pagato l’onestissimo conto, uscimmo e ci incamminammo verso la Bascarsija, alzando lo sguardo sui minareti che parevano voler fare il solletico a un cielo notturno ricamato da milioni di stelle. C’era in giro ancora parecchia gente per le vie attorno alla moschea del Bey , la Begova Dzamija, uno dei più notevoli monumenti turchi in Europa. Era un buon segno, a riprova che l’anima della città, nonostante il dolore e le rovine di quel fine secolo di conflitti e violenze, era viva.

Marco Travaglini

Padel Open Palavillage, chiusa la seconda edizione

Si è conclusa domenica 1° dicembre la seconda edizione dell’Open Palavillage, il torneo dedicato ai giocatori di padel agonisti tesserati dalla quarta alla prima fascia.

1 settimana  dal 24 novembre al 1° dicembre – 174 partecipanti, 100 partite disputate, 11.000 € di montepremi e un grande pubblico per il torneo evento di Palavillage che ha richiamato presso la struttura di Grugliasco (Torino) centinaia di appassionati e curiosi per assistere alle partite.

A trionfare per l’open maschile Santino Giuliani e Fabian Oviedo; per l’open femminile primo gradino del podio per Alba Izquierdo e Marta Porras.

Dei 174 atleti partecipanti, 15 sono i giocatori stranieri e 11 le presenze di prima categoria italiana. Ben 25 giocatori sono invece allievi della scuola padel di Palavillage, tra i quali si è distinto con il miglior risultato Lorenzo Romano – tra i primi iscritti della scuola e oggi maestro accreditato FITP e membro dello staff di Palavillage – uscito sconfitto ai quarti di finale perdendo al terzo set contro i vincitori del torneo.

 

L’Open Palavillage è stato realizzato grazie al contribuito dei main sponsor AMC Dezzani e Busiceti e grazie alla collaborazione di Ceresa Mori, EcoMec Impianti, EcoMan e Gino Auto.

Un successo importante reso possibile anche grazie al contributo tecnico dello studio Fisio&Funzione e della Dottoressa Armeni, che hanno assistito gli atleti pre, durante e post gara.

 

Palavillage

Viale Lucio Battisti 10, Grugliasco (TO)

Telefono: 011 1947 5700 | www.palavillage.com