ilTorinese

L’Avvocato dimenticato

FRECCIATE  Tutta Italia celebra il centenario di Gianni Agnelli. Solo il Piemonte e la sua Torino si sono dimenticati di ricordare l’Avvocato con la scusa della pandemia?

L’arciere

Insultano i vigili su Facebook. Ma non è reato

Avevano scritto su Facebook “gli spaccherei la faccia”, farei “una spedizione punitiva sotto casa” contro gli agenti della polizia municipale è “eticamente censurabile” ma non si tratta di reato.

Archiviata infatti per questo motivo l’ inchiesta contro 73 persone che avevano lasciato messaggi di questo tenore a commento del  post di un avvocato che si  dichiarava vittima di una presunta ingiustizia da parte dei civich torinesi.

La  richiesta della procura è stata accettata dal gip che ne ha accolto integralmente le considerazioni chiudendo il caso.

Un francobollo per il centenario di Gianni Agnelli

Oggi 12 marzo 2021 viene emesso dal Ministero dello Sviluppo Economico un francobollo commemorativo di Gianni Agnelli nel centenario della nascita, relativo al valore della tariffa B pari a 1,10€.

       Tiratura: trecentomila esemplari.

       Foglio da quarantacinque esemplari

Il francobollo è stampato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A., in rotocalcografia, su carta bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente.

Bozzetto a cura del Centro Filatelico della Direzione Operativa dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A.

La vignetta riproduce, sullo sfondo dello Stabilimento Fiat Mirafiori, un ritratto di Giovanni Agnelli affiancato dalla sua firma autografa.

Completano il francobollo la leggenda “GIOVANNI AGNELLI”, le date “1921-2003”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.

L’annullo primo giorno di emissione sarà disponibile presso lo Spazio Filatelia di Roma e presso lo Spazio Filatelia di Torino.

Il francobollo e i prodotti filatelici correlati, cartoline, tessere e bollettini illustrativi saranno disponibili presso gli Uffici Postali con sportello filatelico, gli “Spazio Filatelia” di Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma, Roma 1, Torino, Trieste, Venezia, Verona e sul sito poste.it.

Vi ringrazio se vorrete pubblicare

Torino tra architettura e pittura. Pietro Fenoglio

Torino tra architettura e pittura

1 Guarino Guarini (1624-1683)
2 Filippo Juvarra (1678-1736)
3 Alessandro Antonelli (1798-1888)
4 Pietro Fenoglio (1865-1927)
5 Giacomo Balla (1871-1958)
6 Felice Casorati (1883-1963)
7 I Sei di Torino
8 Alighiero Boetti (1940-1994)
9 Giuseppe Penone (1947-)
10 Mario Merz (1925-2003)
4) Pietro Fenoglio (1865-1927)

 

I tempi cambiano, così come le mode, i gusti e le abitudini: non troppo tempo fa scrivevamo messaggi lunghi quanto papiri tascabili, ora non abbiamo più voglia di usare i pollici opponibili e ci scambiamo “vocali” ricolmi di silenzi e domande senza risposta; gli “immigrati digitali” continuano a pubblicare su “Facebook” i ricordi degli anni più magri della loro vita, mentre i “digital natives” parlano una lingua tutta loro tra “Instagram” e “Tick-Tock”, va da sé che il divario generazionale risulta a mio avviso incolmabile.

È incredibile quanto ci si metta poco ad abituarsi, ad accettare che ormai tutto debba essere veloce, che dobbiamo essere tutti “smart”. E se non siamo in grado di utilizzare le mille piattaforme digitali che ci vengono quotidianamente proposte per fare la spesa, cucinare, seguire le lezioni scolastiche e nel contempo fare “pilates” è colpa nostra, siamo noi che non sappiamo adattarci a questo “guazzabuglio moderno”. Mi solleva tuttavia pensare che Darwin non ha affermato che a sopravvivere sia il più intelligente. Ho anche notato che non abbiamo più pazienza, non siamo più abituati ad aspettare né a mantenere l’attenzione fissa su qualcosa per più di pochi minuti – ad essere generosi- . I film, per esempio, non ci piacciono più, preferiamo storie dilatate, che si protraggono per stagioni e stagioni così che possiamo seguire gli avvenimenti narrati mentre svolgiamo le diverse attività imposte dalla routine quotidiana. A tal proposito, con le numerosissime piattaforme di cui disponiamo abbiamo l’imbarazzo della scelta: una vastità di opzioni da risultare spiazzante. Io stessa impiego diverso tempo prima di decidere che cosa guardare, uno dei criteri che seguo è cercare di capire il periodo in cui è ambientata la vicenda, poiché, per me, i costumi, le scenografie e le ambientazioni risultano importanti quanto la trama. Attualmente mi sono fatta coinvolgere da una produzione spagnola ambientata in uno dei momenti storici che preferisco – artisticamente parlando – ossia gli anni Venti.
Sono gli anni che precedono la Grande Guerra e l’industrializzazione investe tutti i campi della produzione, i miglioramenti ottenuti in campo tecnico e scientifico diffondono grande ottimismo e in generale si evidenzia un periodo economicamente florido, soprattutto per la classe borghese. Parliamo in ogni caso di un tempo assai complesso, e non dobbiamo commettere l’errore di non ricordare le profonde contraddizioni di carattere sociale che vedono la classe operaia sopravvivere a stento, affrontando giornalmente indicibili condizioni di disagio, mentre, dall’altra parte, la ricca borghesia gode di una particolare agiatezza. È il periodo storico, culturale, artistico della “Belle Époque”.

Non voglio di certo proporvi qui e ora una riflessione sull’ingiusto divario economico-sociale che accompagna la storia, tra “chi ha troppo” e “chi non ha niente”; piuttosto il mio ruolo, quale docente di arte, è quello di parlare di quadri, sculture, decorazioni e di quanto al mondo c’è di bello e degno di nota. Non dimentichiamo che l’arte non è altro che la prova tangibile e inconfutabile di ciò che è stato, l’arte è una testimone silenziosa ma ineluttabile degli eventi trascorsi, ed è intrinsecamente veritiera e portatrice di pensieri, ragionamenti, confronti. Sarà per questo che il suo insegnamento è relegato a due sole ore settimanali? Ma torniamo al filo conduttore del nostro discorso, a quegli anni Venti in cui, poco più in là dei luoghi desolati “dove il sole del buon Dio non da’ i suoi raggi”, (De André), si stagliano netti quartieri ricchi di palazzi, teatri dell’opera, caffè “alla moda” e molti altri centri di ritrovo mondano.
In tale ricco contesto si diffonde “L’Art Nouveau”, vera e propria espressione del gusto della società moderna; si tratta di un linguaggio caratterizzato da uno spiccato amore per la decorazione raffinata ed elegante, che supera le distinzioni fra arte, artigianato e produzione industriale e che, in particolar modo, invade tutti gli ambiti della comunicazione visiva.
L’“Arte Nuova” osserva la natura, il mondo vegetale e ripropone, stilizzandole, le aggraziate forme di foglie e fiori. L’elemento dominante è la linea, morbida, libera e sinuosa, attraverso l’impiego di essa gli artisti esprimono idea di movimento, vitalità ed energia. L’aspetto più caratteristico è la linea “a colpo di frusta”, duttile ed elastica come la cordicella schioccata dal fantino.
In architettura i motivi decorativi si snodano sulle facciate degli edifici, le vetrate colorate presentano motivi stilizzati floreali e vegetali, gli interni sono decorati con arabeschi che adornano le pareti, le cornici delle porte e le ringhiere delle scale. Importante sottolineare come l’ “architetto” diventi un “progettista globale”, a cui è affidata la cura dell’intero edificio, dalla struttura progettuale ai più piccoli dettagli delle serrature.

In pittura la linea si unisce al colore piatto, spesso impreziosito dall’uso dell’oro, un esempio per tutti è dato dai dipinti di Gustav Klimt, (1862-1918), uno dei massimi esponenti dell’ “Art Nouveau”. Assai rilevante è anche il settore della grafica, non solo per quel che riguarda le raffinatissime illustrazioni dei libri, ma anche per la vasta produzione di manifesti atti a pubblicizzare prodotti commerciali, esposizioni d’arte e spettacoli di vario genere. Come non pensare, a tal proposito, all’illustre Alphonse Mucha (1860- 1939)?
Tuttavia, il vero trionfo dell’ “Art Nouveau” è nel settore delle arti applicate : manufatti di gran pregio, gioielli, mobili, oggetti d’uso comune, carte da parati, e qualsivoglia prodotto realizzato in serie. L’“Art Nouveau” influenza le arti figurative nella loro totalità, dall’architettura, alle decorazioni di interni, dalla lavorazione dei tessuti, fino all’arte funeraria; essa assume nomi diversi, ma dal significato affine, a seconda dei luoghi in cui si manifesta: “Style Guimard”, “Style 1900”, “Scuola di Nancy” in Francia; “Stile Liberty”, dal nome dei magazzini inglesi di Arthur Lasemby, “Liberty” o “Stile Floreale” in Italia; “Modern Style” in Gran Bretagna; “Jugendstil” (“Stile giovane”) in Germania; “Nieuwe Kunst” nei Paesi Bassi; “Styl Mlodej Polski” (“Stile di Giovane Polonia”) in Polonia; “Style Sapin” in Svizzera; “Sezessionist” (Stile di Secessione”) in Austria; “Modern” in Russia; “Arte Modernista o “Modernismo” in Spagna.
Non occorre però andare chissà dove per poter godere di quest’arte meravigliosamente “frivola” ed elegante, basta fare una passeggiata – appena ce ne sarà nuovamente l’occasione – dalle parti di Corso Francia, dove sorge “La Fleur” (1902), considerata dagli esperti il più significativo esempio di stile “Liberty” in Italia. La struttura è stata progettata in ogni più piccolo particolare da Pietro Fenoglio per la sua famiglia; la palazzina si erge in Corso Francia, angolo Via Principi d’Acaja, e trae ispirazione dall’Art Nouveau belga e francese.
La costruzione si articola su due corpi di fabbrica disposti ad “elle”, raccordati, nella parte angolare, da una straordinaria torre – bovindo più alta di un piano, in corrispondenza del soggiorno interno. Manifesto estetico di Fenoglio, l’edificio – tre piani fuori terra, più il piano mansardato – riflette l’estro creativo dell’architetto, che riesce a coniugare la rassicurante imponenza della parte muraria e le sue articolazioni funzionali, con la plasticità tipicamente “Art Nouveau”, che ne permea l’esito complessivo. Meravigliosa, e di fortissimo impatto scenico, è la torre angolare, che vede convergere verso di sé le due ali della costruzione e su cui spicca il bovindo con i grandi vetri colorati che si aprono a sinuosi e animosi intrecci in ferro battuto. Un’edicola di coronamento sovrasta l’elegante terrazzino che sporge sopra le spettacolari vetrate. Sulle facciate, infissi dalle linee tondeggianti, intrecci di alghe: un ricchissimo apparato ornamentale, che risponde a pieno all’autentico “Liberty”. Gli stilemi fitomorfi trovano completa realizzazione, in particolare negli elementi del rosone superiore e nel modulo angolare. Altrettanto affascinanti per la loro eleganza sono l’androne e il corpo scala a pianta esagonale. Si rimane davvero estasiati di fronte a quelle scale così belle, eleganti, raffinate, uniche. Straordinarie anche le porte in legno di noce, le vetrate, i mancorrenti, e le maniglie d’ottone che ripropongono l’intreccio di germogli di fiori.

La palazzina, mai abitata dalla famiglia Fenoglio, viene venduta, due anni dopo l’ultimazione, a Giorgio La Fleur, imprenditore del settore automobilistico, il quale ha voluto aggiungere il proprio nome all’immobile, come testimonia una targa apposta nel settore angolare della struttura, e lì è rimasto ad abitare fino alla morte. Dopo un lungo periodo di decadenza, la palazzina è stata frazionata e ceduta a privati che negli anni Novanta si sono occupati del suo restauro conservativo.
Va da sé che questa non è l’unica costruzione “Liberty” torinese, al contrario, ve ne sono molte altre soprattutto nel quartiere “Cit Turin”, ma di certo “La Fleur” è la più conosciuta e la più importante del territorio.

Mi preme ricordare inoltre che Torino, nei primissimi anni del secolo scorso, assume il ruolo di polo di riferimento per il “Liberty” italiano grazie all’ “Esposizione Internazionale di Arte Decorativa Moderna” del 1902. Tale avvenimento risulta di grandissimo successo, e numerosi sono gli architetti che offrono il proprio contributo, tuttavia – e pare quasi scontato dirlo – il protagonista indiscusso di questa stagione è Pietro Fenoglio, il geniale ingegnere-architetto torinese, che sceglie come abitazione la palazzina di Corso Galileo Ferraris, 55. Personalità artistica di estremo rilievo, da subito orienta il suo campo d’interesse nell’edilizia residenziale e nell’architettura industriale, Pietro Fenoglio contribuisce in modo particolare a rimodellare Torino secondo il gusto “Liberty”. Nasce a Torino nel 1865, da una famiglia di costruttori edili, frequenta poi la Regia Scuola di Applicazione per ingegneri, sempre nella città subalpina; appena dopo la laurea, conseguita nel 1889, inizia un’intensa attività lavorativa, raggiungendo ottimi risultati in ambito architettonico. Partecipa, nel 1902, all’ “Organizzazione internazionale di Arte Decorativa Moderna” di Torino e in quest’occasione approfondisce la conoscenza dello stile “Liberty”, riuscendo poi a concretizzare quanto appreso nei numerosi interventi edilizi di carattere residenziale, ancora oggi visibili nel nostro capoluogo. La sua attività di progettista si estende anche al campo dell’architettura industriale, come testimoniano la Conceria Fiorio (1900 – Via Durandi, 11) o la Manifattura Gilardini (1904 – Lungo Dora Firenze, 19). Nel 1912, Pietro entra a far parte del Consiglio di Amministrazione della Banca Commerciale Italiana ed è tra i promotori della Società Idroelettrica Piemonte. Colto da morte improvvisa, Pietro Fenoglio muore il 22 agosto 1927, a soli 62 anni, nella grande casa di famiglia a Corio Canavese.
Molto ci sarebbe ancora da dire ma vi ho rubato fin troppo tempo e chissà quante sono le cose che dovete ancora assolutamente fare. Anche io sono oberata da faccende da ultimare, chiederò allora -come sottofondo lieve- alle mie protagoniste televisive agghindate anni Venti, di tenermi compagnia; d’altronde, se non ci si abitua, un po’ di frivolezza non ha mai fatto male a nessuno.

Alessia Cagnotto

L’indice di contagio Rt a 1,41 spinge Torino e il Piemonte nella zona rossa

Il Piemonte si avvicina sempre più alla  zona rossa. Infatti l’Istituto Superiore di Sanità, in attesa del pre report che deve essere reso noto, ha comunicato alla Regione il dato dell’Rt, salito a 1,41.

Lo annuncia  il governatore Alberto Cirio, ricordando che una regione entra in zona rossa quando l’indice del contagio  Rt  supera l’1,25.

Il quadro generale  è “in peggioramento” in tutto il Paese. Il Piemonte,  come diverse altre regioni, registra in base ai dati dell’ultimo report settimanale del Ministero della Salute  un quadro da  zona rossa. L’incidenza è di 279 casi ogni 100 mila abitanti, con l’aumento dei  focolai e della percentuale di tamponi positivi. Oltre i limiti anche l’occupazione di posti letto  di terapia intensiva, il 36% in crescita rispetto al 29% della settimana precedente e oltre la soglia limite del 30% e  di posti letto ordinari:42% in crescita rispetto al 37% della settimana precedente e oltre la soglia limite del 40%.

La trappola dei ricordi

Se la memoria ti porta per antichi passi

Ci sono cascato ancora una volta. Tanto, lo so bene, sono sempre loro a vincere. Sì, proprio loro, i ricordi. Quei dannati, benedetti ricordi che anche oggi mi hanno portato qui. Via Madama Cristina, al civico 34, a Torino. Febbraio 2021. E’ l’ultimo sabato di zona gialla in città. Da lunedì primo marzo, si diventa arancioni. Mio Dio, quando finirà questo terribile incubo della pandemia? Ci penso un attimo, solo un attimo, e subito ricomincia il gioco perverso (forse ridicolo) di  sempre.

Di ogni volta che vengo qui. E mi capita non di rado, in questi anni che hanno superato di gran lunga quelli della prima e della seconda  giovinezza. Dovrei già essermi stufato, eppure eccomi ancora qui. Come calamitato da forze invisibili e misteriose. Ancora una volta ad assecondare l’amara dolcezza dei ricordi. O meglio, la trappola dei ricordi, in un rapido emozionante flashback che mi porta indietro di oltre sessant’anni. Ed eccolo. E’ sempredannatamente teneramente lui. Lui che sul marciapiedi di fronte mi appare nell’innocente freschezza dei suoi 7 – 8 anni. Siamo a metà anni Cinquanta del secolo scorso. Il traffico delle auto sulla via scompare all’improvviso, quasi del tutto. Pantaloni corti, maglietta a righe e a maniche corte, una timida frangetta sulla fronte. Una palla a rombi bianco-neri fra le mani.

Eccolo, ancora una volta. Ma cribbio! Come fa a esserci sempre, quando  io passo da queste parti? E io, fesso che sono, mi fermo e lo osservo, parlandogli con gli occhi. Questa volta, per giunta, dietro la mascherina FFP2, come in un bel sognoche torna e ritorna e che comincia il suo percorso fra mente, cuore e rocambolesche giravolte di emozioni.Sempre uguale, sembra non essersi mai spostato di lì, il ragazzino. Ne ricordo bene il sorriso, la timidezza, la scrupolosa  attenzione a non scendere sulla strada e a non “dare retta agli sconosciuti”, come sempre gli raccomanda la mamma. Seduto su uno dei due paracarri in pietra posti a proteggere a fine ‘800 le carrozze dei signorotti che da lì entravano per accedere nel cortile alle scuderie e che stanno alla base di quell’immenso, pesante portone con decori stampati probabilmente in ghisa (mi suggerirà poi l’amico-fraterno, architetto e pittore Pippuzzo Leocata) in stile fine Liberty – inizi Déco (mi suggerirà sempre il buon Pippuzzo), mi sta osservando fisso. Abbozza un sorriso e un accenno di saluto con la mano. Sì, sono ancora qui. Contento?Ancora una volta hai vinto. Mannaggia, ‘sta trappola dei ricordi! Ridi, ridi pure, mentre aspetti il papà che con il tram (forse l’1) arriva proprio lì, davanti a quel portone che sembra racchiudere gli spazi di un bunker, al termine del suo turno di lavoro alle carrozzerie di Mirafiori.

Poco distante, alla tua destra, oltre la Caffetteria dell’Ateneo– anch’essa ferma lì nel tempo e dove al giovedì sera s’andava a vedere in Tv il “Lascia o raddoppia?” del Mike nazionale attraversato quel tratto del corso Marconi ( ch’é oggi isola pedonale) c’è la tua scuola.Sembri indicarmela. La storica elementare “Rayneri”, oggi Istituto Comprensivo “Manzoni”. Come se non lo sapessi! Guarda che in quella scuola ci sono andato anch’io, per cinque anni. Tu ed io. Gli stessi che oggi si fissano sornioni, sogghignando. Io over 70, tu sessant’anni abbondanti in meno. Io e te. La  stessa persona. Mi giro e mi ritrovo specchiato nella vetrinascintillante di un nuovissimo post-millenial negozio di elettronica e pc (no, allora non c’era, figuriamoci!) e mi vien da ridere. Vecchio rinco – mi dico – che ti trovi sempre più spesso a rincorrere il subdolo richiamo dei ricordi. Come Ulisse con le Sirene. Solo che lui furbo (certamente più di te) riuscì a resistere al loro maliardo canto. Tanto che le leggendarie creature figlie del dio Acheloo e di Melpomene, indispettite, si uccisero gettandosi a mare. Tu invece no! E mentre mi perdo in queste folli elucubrazioni, ecco che  dal portone della “Rayneri”, quello riservato ai maschietti (l’altro era solo per le femminucce) mi pare di vedere uscire due grandi maestri, il tondetto, dal sabaudo stile cavouriano, Mela e il burbero ma dolcissimo Persenda che ci avviò ai piaceridella Musica. Io (tu) imparai a suonare –parolona grossa – niente meno che l’ocarina, comprata forse nell’antica cartoleria di via Madama ancora lì a due passi, poco distante dal vecchio palazzo dove abitava il tuo (mio) amico del cuore, il bravo e buono La Marca. Ritorno su di te. Ti sbracci. Saluti. Lanci la palla al papà che, in uno sferragliare di ruote Atm poco cambiato nel corso deltempo, è appena sceso dal tram e corre ad abbracciarti.Ultimo flash, ultima scontata sequenza, l’aprirsi del megagalattico portone, un saluto al vecchio bonario e simpatico portinaio che fu “ragazzo del 99” e via su per il lungo tragitto delle scale. Fino al quinto piano. Anche oggi è andata. Sono certo che ci rivedremo. Patrizia, la donna che mi sopporta e supporta da quarant’anni, haintanto scattato con lo smartphone (no, non chiedermi cos’é…allora non c’era) alcune foto e le sta inviando via whatsapp (no, lascia stare, anche questo non c’era) alle mie adorate Enina e Bea. Certo, mi piacerebbe anche poterle inviare alla mia mamma  e al mio papà. Ma dove oggi stanno loro questi  social non sono ancora arrivati.Lì penso siano arrivati solo i social dell’anima, quelli sì. E a portarli in alto è proprio il soffio lieve dei ricordi. Ne sono sicuro. Proprio quella balorda ma magnifica trappola dei ricordi!

Gianni Milani

 

Belotti è guarito dal covid Nella Juve si ferma Demiral

Domenica 14 marzo 27esima giornata
Torino-Inter ore 15
Cagliari-Juventus ore 18

Qui Toro: Finalmente Andrea Belotti!!è  guarito dal Coronavirus il capitano del Torino è risultato negativo al tampone dopo oltre due settimane di malattia. Ora sosterrà le visite mediche, una volta ottenuta la nuova idoneità potrà riaggregarsi al gruppo, già da domani. Insieme allo staff medico del club e al tecnico Nicola, si valuterà se portarlo in panchina per la sfida di domenica contro l’Inter.Mancano ancora all’appello Singo e N’Kolou.Ricordiamo che anche Rincon salterà l’Inter per squalifica.Tutti a disposizione gli altri 21 giocatori componenti della rosa.In particolare stato di forma l’attaccante Sanabria ed il centrocampista Mandragora,veri colpi di mercato a gennaio.

Qui Juve:un po’ di problemi per i bianconeri:il difensore centrale Merih Demiral si è dovuto fermare per un infortunio muscolare che, molto probabilmente, lo terrà fuori per circa tre settimane.Dybala non è ancora recuperabile appieno ed andrà solo in panchina,in quanto gli manca ancora un po’ di forma e soprattutto il ritmo partita.A disposizione il resto del gruppo che pare aver assorbito bene l’ennesima esclusione dalla Champions League,primo grande obiettivo della stagione.Preoccupa l’involuzione di Ronaldo,poco partecipativo nel gioco e nervoso sia in campo che fuori: ultimamente non gli riesce bene neanche saltare l’uomo che lo marca.Va recuperato assieme ai “senatori Bonucci Chiellini e Buffon” che tanto potranno ancora dare sia in campionato che nella finale di Coppa Italia contro l’Atalanta a maggio.In particolare  stato di grazia e forma l’attaccante esterno Chiesa,sia in fase realizzativa che come cursore a tutto campo sulle fasce laterali.

Vincenzo Grassano

Annunciate le foto finaliste di World Press Photo

La mostra tornerà a fine aprile a Palazzo Madama per l’edizione numero 65

World Press Photo presenta le foto finaliste della 65ª edizione del concorso e dà appuntamento a fine aprile a Torino quando la mostra, per l’edizione 2021, tornerà a Palazzo Madama. Sono state annunciate poco fa le potenziali vincitrici del World Press Photo 2021 (www.worldpressphoto.org/collection/photocontest/2021), divise nelle otto sezioni: Contemporary Issues, Environment, General News, Long-TermProjects, Nature, Portraits, Sports, Spot News.

Come ogni anno, tra le foto selezionate, sarà premiata anche la World Press Photo of the Year 2021 e la World Press Photo Story of the Year 2021. Queste, insieme alle prime tre classificate per categoria, andranno poi a comporre la mostra World Press Photo Exhibition 2021 che sarà ospitata, per il secondo anno consecutivo, a Palazzo Madama e in altre cento città, in 45 paesi del mondo.

La mostra approderà a Torino a fine aprile, situazione pandemica permettendo, per il quinto anno consecutivo, grazie all’impegno di Cime, partner della World Press Photo Foundation di Amsterdam,  e della Fondazione Torino Musei.

Ogni anno migliaia di fotoreporter delle maggiori testate editoriali internazionali, come National Geographic, BBC, CNN, Le Monde, ElPais, si contendono il titolo nelle  diverse categorie del concorso di fotogiornalismo. Nel gennaio 2021, la valutazione del concorso World Press Photo 2021 è avvenuta, per la prima volta nella sua storia, online, con sette giurie specializzate presiedute da NayanTara Gurung Kakshapati e Muyi Xiao che hanno selezionato le migliori immagini e storie in ciascuna delle otto categorie del concorso.

Quest’anno, 4.315 fotografi da 130 paesi hanno presentato 74.470 immagini.

Tra i finalisti di quest’anno ci sono ben tre italiani: Lorenzo Tugnoli (categoria: World Press Photo of the year – Spot news stories), Antonio Faccilongo (Story of the year – Long term project) e Gabriele Galimberti (Portraits stories).

Il nome dei vincitori saranno annunciati il prossimo 15 aprile. Da oggi all’inaugurazione della mostra, verranno presentate le foto finaliste sulla pagina Facebook e sul profilo Instagram di World Press Photo Torino.

La Resistenza, Pansa e Colombini

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni 

In seguito al mio articolo “ Anche Colombini però’ … “ sono stato fatto oggetto di attacchi feroci che mi hanno fatto passare per un fascistoide e un ignorante.  Dopo aver letto il libro  ”Anche i partigiani però …” di Chiara Colombini avevo ritenuto di dover difendere le ragioni di Giampaolo Pansa dalla critica frontale che il libro ribadisce e dettaglia, riprendendo quelle già avanzate da D’Orsi e De Luna

Ho dovuto ricordare di essere stato amico di tanti resistenti, da Bonfantini a Fusi , da Mauri a Valiani e far presente a chi mi citava Fusi come se io non sapessi della sua esistenza , che il curatore dell’ultima edizione di “Fiori rossi al Martinetto “ sono stato io. Ho curato anche “Partigiani penne nere” di Mauri , ma quest’ultimo libro mi è sembrato del tutto sconosciuto al mio interlocutore . Hanno criticato il mio articolo lettori di chiare ed inequivocabili simpatie paleo -comuniste. Forse io stesso nell’articolo ho usato qualche aggettivo di troppo e mi sono lasciato trascinare dalla polemica . Di questo chiedo scusa, ma la necessità di difendere Pansa per me rappresenta un dovere morale perché io l’ho sempre stimato perché egli ha colmato l’omertà degli storici che mai avevano scritto del “sangue dei vinti “. Cercare di confutare Pansa perché i suoi libri sono privi di note mi è sempre sembrato un atto di disonestà intellettuale perché Il giornalista si è dovuto basare su fonti orali che ha raccolto con infinita pazienza e scrupolo, come dimostra il suo archivio.

Stasera ho ascoltato su Facebook con interesse ed attenzione la presentazione del libro della Colombini da parte dell’autrice . Devo e voglio riconoscere che mi è sembrata una studiosa equilibrata e intelligente, anche se troppo radicata su posizioni difficilmente condivisibili.Ha fatto un discorso complessivo interessante sulla violenza e sulla guerra civile che non posso non condividere . Il conduttore , dirigente dell’Anpi in Toscana , e gli interlocutori hanno tenuto il discorso su certi binari prestabiliti e gli attacchi a Pansa sono stati contenuti anche se ripetitivi.

Io che pure mi sono trovato ad essere ospite a parlare all’Istoreto in alcune circostanze , non conoscevo se non superficialmente la Colombini per alcune letture che avevo fatto . Mi è sembrata una persona con cui mi piacerebbe discutere perché ascoltandola ho capito che non appartiene a quegli ambienti intolleranti che io considero espressione di un fascismo rosso incompatibile con le regole della democrazia e del pluralismo. Detto questo, andrebbe chiarito il perché non ha parlato di fatti incontestabili di criminalità commessi da partigiani comunisti prima e dopo il 25 aprile , restando invece sulle generali. Parlare di “ ruba galline “ appare, in verità, un po’ riduttivo . Ci sono episodi che non si possono solo contestualizzare e magari finire di giustificare , ma vanno anche condannati senza incertezze .

Un personaggio come Francesco Moranino, condannato all’ergastolo con sentenza definitiva per sette omicidi di partigiani non comunisti, non può essere difeso perché è indifendibile . Anche piazzale Loreto e’ un episodio indifendibile . Non fu solo responsabilità della folla inferocita , come dice la Colombini,  ma anche di chi consenti’ quell’atto che trasgredisce ogni regola più elementare di umanità . Condannarlo a posteriori non è lecito moralmente mi disse una volta con coraggio autocritico Leo Valiani. Inoltre, se e’ vero che i comunisti hanno dato un contributo decisivo alla Resistenza,  non si può non riconoscere il loro tentativo, pienamente riuscito, di monopolizzarla. Se l’Anpi si spaccò e nacque la Fvil , non è solo a causa della guerra fredda. L’Anpi in particolare in questi ultimi anni,  da quando non è più diretta da partigiani , e’ un’organizzazione che fa politica di parte spesso in modo faziosissimo .

Sono d’accordo con Colombini che la storia e’ complessa ,ma allora il manicheismo ideologico e’ incompatibile con essa, come disse Raimondo Luraghi storico e partigiano che mi onoro ‘ della sua amicizia.  Condannare l’amnistia di Togliatti, ad esempio, dimenticando di dire che copriva anche reati commessi da partigiani e non solo da fascisti, mi sembra sbagliato . Togliatti fece una scelta che andava oltre la guerra civile che semmai può essere criticata perché diede involontariamente spazio all’interno del PCI a chi fu protagonista dei delitti del Triangolo della morte.

Non voglio tediare il lettore con altri esempi . Aggiungo un fatto che mi ha colpito : a precisa domanda di un partecipante se Gianni Oliva fosse uno storico credibile la Colombini non ha risposto.  E qui ritorna il discorso che mi ha portato ad accomunare Eric Gobetti alla Colombini . Forse non si perdona ad Oliva di aver squarciato il velo del silenzio sulle foibe . A distanza di oltre 75 anni bisogna storicizzare e storicizzare significa andare oltre le convinzioni politiche.  Dico un’eresia per cui verrò di nuovo messo sul rogo , ma la dico lo stesso : e’ possibile una storia del fascismo non pregiudizialmente antifascista ? De Felice aveva aperto degli spiragli di rigore storiografico che non hanno avuto eredi . E questo non è colpa della Colombini che legittimamente esprime le sue idee in modo garbato, come ho potuto constatare di persona ieri sera.

Stellantis presenterà un business plan all’avanguardia

Il nuovo piano di Stellantis sarà presentato nel Capital Markets Day in programma  alla fine del 2021 o all’inizio del 2022. E’ stato reso noto alla presentazione dei conti 2020 di Fca e Psa.

L’ad del gruppo Carlos Tavares, ha detto durante la conference call con gli analisti finanziari: “Si lavora duramente al nuovo piano industriale con il contributo di tutti,  giovani ed esperti. Non si tratterà di un piano difensivo, bensì di  un business plan all’avanguardia e disruptive per il mercato”