ilTorinese

Furti seriali ad anziani: individuata banda specializzata in sostituzioni di bancomat

Lo scorso 11 dicembre, a Padova, i carabinieri della Stazione Torino Borgo San Salvario, in collaborazione con i colleghi competenti territorialmente, hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP di Torino su richiesta della locale Procura della Repubblica – Gruppo Criminalità Organizzata, Comune e Sicurezza Urbana – a un cittadino romeno di 34 anni, attualmente detenuto per altra causa. L’uomo è ritenuto responsabile, in concorso con altri tre connazionali, due uomini e una donna, di dodici diversi episodi, avvenuti tra giugno e settembre 2020 in Torino, di furti di carte di credito e bancomat, sottratti ad anziani mentre prelevano agli sportelli delle loro banche. Anche gli altri componenti del gruppo sono stati identificati e sono anch’essi destinatari del provvedimento restrittivo. In particolare, due complici, un uomo e una donna, sono in carcere in Romania per altra causa, mentre il quarto componente della banda è stato identificato ed è ricercato.

Le indagini

Il 19 giugno scorso un signore di 69 anni ha denunciato alla Stazione Carabinieri Torino Borgo San Salvario il furto e l’utilizzo indebito del suo bancomat. L’anziano ha raccontato che si era recato poco prima alla sua banca per effettuare un prelievo allo sportello e poi di essersi accorto del furto, che verosimilmente era avvenuto mentre prelevava. La vittima ha raccontato di aver subito un prelievo fraudolento di 1.400 euro, consegnando ai militari dell’Arma una carta bancomat uguale per modello e colore alla sua, ma intestata ad un’altra persona, che si era ritrovato nel portafoglio dopo il prelievo e che è risultata a sua volta rubata.

Partendo da questo episodio le indagini hanno permesso di individuare la banda criminale grazie all’analisi di centinaia di ore di filmati e registrazioni delle telecamere di sicurezza delle banche e ai controlli sul territorio svolti dai carabinieri.

In particolare, è stato possibile ricostruire il modus operandi del gruppo criminale. Un uomo della bandasimulava di attendere in fila per compiere un’operazione allo sportello ATM e captava il codice segreto dell’anziana vittima che stava prelevando. La complice, dopo aver gettato a terra una banconota, attiraval’attenzione della vittima indicando educatamente la banconota facendole credere che le fosse caduta. Mentre il malcapitato si voltava chinandosi per raccoglierla, l’uomo, con la massima destrezza, sostituiva la tessera bancomat ancora nella feritoia con un’altra, molto simile in quanto rilasciata dallo stesso istituto di credito e già oggetto di precedente furto attuato con la medesima tecnica. Con questa strategia la banda è riuscita a derubare almeno 12 anziani.

Quei piccoli grandi doni di Santa Lucia

“La trappola dei ricordi”

Butto un occhio al calendario. Mi capita, a volte, mentre faccio colazione di mattina in cucinino. Più che la data che spesso dimentico (uno dei tanti regali dell’età), ciò che m’interessa è sapere qual è la Santa  o il Santo del giorno, per non bucare qualche “buon onomastico” alle amiche o agli amici o ai parenti più cari. Oggi è martedì 14 dicembre: San Venanzio. San Venanzio Fortunato. No, non conosco nessuno che porti il nome del Santo trevigiano eletto – leggo – nel 599 d. C. Vescovo di Poitiers, lì scomparso nel 607. Pericolo scampato. Non fosse che l’occhio mi fa un balzo sopra il 14. Ieri era lunedì 13 dicembre: Santa Lucia. No, anche di Lucie non mi ricorda presenze significative la mia segreta mnemonica “agenda amicale”. Eppure. Eppure. Cribbiolina! Ecco acchiapparmi, ancora una volta e senza pietà, la tenera ma anche un po’ fastidiosa “trappola dei ricordi”. Mi immobilizzo. Come potevo scordarmene? Santa Lucia, proprio Lei, la mia amata e tanto attesa dispensatrice di giochi pre-natalizi in tempi di una dolce infanzia dall’eco lontana. Un ricordo lo merita, eccome! Capitava una camionata d’anni fa. Si era a Pontenure, gran bel paesotto a un tiro di schioppo da Piacenza, dove ho abitato con mamma Giulia fino all’età di sette anni, in attesa di raggiungere papà Renzo, emigrato (come tanti, in quegli anni) a Torino, assunto come operaio alle Carrozzerie di Mirafiori, alla Fiàt. Sì, proprio con quell’à “accentata” che era dizione frequente per i molti emigrati dal Sud, che per la stessa ragione del babbo si erano trasferiti, valigie valigione e famiglie scaglionate al seguito, sotto la Mole.

Ebbene, proprio oggi 14 dicembre, se potessi per magia invertire (ma di tanto) la ruota del tempo, mi ritroverei bambino, felicissimo, nella cucina della piccola casa di Pontenure, in fondo al lungo cortile dove abitavano anche zia Ida, zio Natale e i cugini, l’Emma e l’Enrico, a giocare con i tanto attesi doni (doni? Andiamoci piano: un dono, un gioco, povero ma per me magnifico, una fetta di panettone, un mandarino o un’arancia) portati nella notte, fra il 12 e il 13 dicembre, dalla buona Santa Lucia. Il Piacentino è, infatti, una delle non poche province italiane in cui ancora oggi – credo – si pratica il culto di Santa Lucia, risalente pare al XIV secolo, quando i nobili veneziani, nel giorno dedicato alla Santa (siracusana e martire cristiana sotto la persecuzione dell’imperatore Diocleziano) erano soliti fare doni ai bambini. I doni che precedevano quelli un po’ più importanti (ma appena un po’) della notte di Natale. Noi bambini scrivevamo una letterina alla Santa – protettrice della “vista” per il nome che richiama la “lux” o luce latina – elencando con molta parsimonia i regali che avremmo voluto ricevere, mentre le mamme erano solite lasciare del cibo (arance, biscotti, caffè, mezzo bicchiere di vino rosso) per rifocillare e ingraziarsi la Santa, che viaggiava dalla sua Sicilia fino al Trentino a cavallo di un asinello, anche lui ripagato con un po’ di fieno o farina gialla. Alla mattina del 13 dicembre, noi bambini si trovava un piatto con gli avanzi lasciati dalla Santa (furtivamente smangiucchiati dalla mamma), ma arricchito di caramelle, monete di cioccolato e qualche mini-dono, lasciato lì in anticipo rispetto a quelli che ci avrebbe portato il più generoso Babbo Natale.

Ricordo confusamente un trenino (forse neanche elettrico), una macchinina di legno, qualche soldatino in terracotta, cow-boys o “giubbe” blu da mettere in guerra con i “grigi” della secessione americana. Mai i terribili (ingiusto sgarbo della Storia) Indiani Sioux. Pochi, piccoli ma grandi doni. Ci giocavo per giorni interi. Altroché playstation o tablet o altre (per allora) inimmaginabili futuristiche diavolerie! Per tutto il giorno di Santa Lucia – per detto popolare ancora oggi “il giorno più corto che ci sia” – non li mollavo un attimo. Me li portavo perfino sotto le coperte. Forse per paura che Santa Lucia venisse a riprenderseli. Ricordo di aver trascinato, un 13 dicembre di non so quale anno, una macchinina di legno legata ad una corda fino alla piazza del paese. Ciau Giani – mi apostrofò in stretto piacentino la signora dell’edicola mentre distribuiva copie della gloriosa “Libertà” – ist’an l’è sté bréve eh cun te Santa Lusia! E io con un sorriso ridicolmente tronfio: Cun me Santa Lusia l’è seimper bréva. Era quasi sera. Per mano alla mamma feci tutto il giro della piazza trascinandomi dietro orgoglioso la mia macchinina di legno. Fino al giorno di Natale, non l’avrei abbandonata un solo secondo. Faceva un gran freddo. E tirava un forte vento. Gelido come l’amara-dolce “trappola dei ricordi”. E come il caffè che questa mattina ho qui davanti, abbandonato a mezz’aria. Ormai imbevibile.

Gianni Milani 

Dannati mercati

IL PUNTASPILLI  di Luca Martina  

Il 2021 va volgendo ormai alla fine e così anche le celebrazioni dell’anno dantesco, in occasione dei 700 anni dalla morte del poeta.  

Seguo professionalmente i mercati finanziari da quasi trent’anni ed ho avuto modo di assistere a molti “peccati” (sanzionabili dell’inferno o di una pausa in purgatorio) ma anche a qualche comportamento virtuoso (meritevole del paradiso) e, proprio in occasione di questa ricorrenza “poetica”, mi sono chiesto come ne avrebbe scritto Dante nella sua Commedia.  

L’introduzione avrebbe potuto, utilizzando immodestamente la metrica dell’Alighieri, essere così:  

 

“Ahi come il poeta raccontar mi tocca

Con le ossa ancor dolenti

Parole dure fuor di mia bocca

 

Ai poveri investitor: infelici genti

Non per voler ottenebrare

Le loro ben confuse menti

 

Ma per provarle a rischiarare

Con un verso incatenato

Mi son fatto impelagare

 

Nella selva oscura del mercato

A narrar senza pudor li fatti

Che i borselli han devastato

 

Lasciandoci, sfiniti dalla pugna, al suol disfatti.”

All’ Inferno, poi, Dante incontrerebbe oggi gli Speculatori e gli Avidi, puniti, immagino, nella quarta bolgia dell’ottavo cerchio, insieme agli indovini, fraudolenti in quanto ebbero la folle pretesa di antivedere il futuro che in quanto tale è noto solo a Dio.  

Sono coloro che investono cercando e creando le opportunità più redditizie con una condotta senza scrupoli e senza rispetto degli interessi altrui.  

Trattano gli investimenti, insomma, come se fosse un gioco di azzardo (zara: dall’arabo az-zahr = dado).  

In questo modo danneggiano sé stessi e gli altri perdendo denaro e facendolo perdere.  

Corrono, certi della propria buona sorte, lungo un apparentemente facile cammino in discesa, sempre intenti a raccogliere e a accumulare trofei (come gatti a caccia di topi).  

Non sanno che tutte le esagerazioni sono nocive e possono portare alla morte.  

Pensano solo alla bisca e si prendono gioco del volere di Dio.  

Non guardano la strada che stanno percorrendo ed alla fine precipitano, perdendo tutto quanto avevano raccolto.  

E la bestia (termine utilizzato da Dante come massimo insulto nei confronti degli umani) impara così la lezione: è più semplice accumulare che conservare.  

 

 

“A perdicollo correan disfatti,

Speculatori, avidi per conquistar trofei e riempir la giara,

La masnada sciolta, come a buscar li topi i gatti

 

Lungo la ripida china raccogliean monete, cosa più cara

Senza badar a tutto ciò che, esagerando, ammazza

Misura e cognizione assenti, ripetendo il gioco de la zara

 

Attenti solo alla fatal biscazza

Facendosi gabbo del divin volere

Finita la strada, dolente, nell’ orrido stramazza.

 

E la lezion alfin la bestia apprende: peggio gli averi accumular che mantenere.”

 

 

 

Proseguendo la scalata, guidato da Virgilio, nel Purgatorio Dante farebbe la conoscenza dei risparmiatori che si disinteressano colpevolmente della gestione del proprio denaro.    

Costoro affidano i patrimoni a truffatori e disonesti (l’allusione dei versi al  Guasco si riferisce agli ecclesiastici francesi conterranei di Clemente V, scandalosamente favoreggiati dal papa, che avevano fama di gente avida e malfida).   

Proprio come chi affida le chiavi della propria cantina ad un ubriaco.  

Possono solo sperare che li salvino le preghiere dei figli che sono rimasti, soli, a rispondere dei loro debiti e delle loro cattive scelte di investimento.  

 

“Virgilio mi indicò, di fronte, la montagna,

Donde come pecorelle al pasco,

Pasturavan, biascicando lamentosa lagna,

 

Gli stolti che han lasciato al Guasco,

Distratti e senza discernimenti,

Sì come chi affida agli ebbri della cantina il fiasco,

 

Il proprio denaro, a disonesti e incompetenti,

E dalla infelice progenie divien la redenzione.

Quei che sopportan il fardello tristi e scontenti.

 

Infin la pena arriverà, lentamente, a consunzione.”

 

Arrivato al Paradiso ecco che il Poeta incontra, tra gli Spiriti pazienti nel  VII Cielo (quello di Saturno), gli Investitori Pazienti.  

Essi si muovono in modo ordinato, le loro borse sono assicurate alla cintura e chiuse con la ceralacca in quanto il loro denaro è investito senza fretta e si tratta di investimenti stabili nel tempo: non ci sono continue entrate ed uscite (per operazioni speculative).  

Costoro non perdono mai la calma e meritano il Paradiso in quanto il loro obiettivo è quello di preservare, con il proprio, anche il bene del nostro pianeta datoci in custodia da Dio e lo fanno dal mattino a quando il giorno si spezza e diventa notte.  

Essi sono intenti a seminare bene il denaro nei modi che piacciono al Creatore rendendolo così fruttifero e fertile come il giardino dell’Eden.  

Dante, ammirato, vorrebbe lui stesso dare a questi il suo denaro da gestire.  

Solo così i beni affidati alla fortuna, che altro non è che una delle intelligenze angeliche e ha il compito di governare e amministrare i beni del mondo in accordo con la volontà imperscrutabile di Dio, possono preservarsi e seguire il cammino da Lui voluto e dettato.  

 

 

“Schiere ordinate di anime pazienti

Cinte di cuoio e d’osso sigillate borse a ceralacca

Gli occhi all’orizzonte fisi e attenti

 

Di chi non difetta calma quando altrui l’attacca

Accesi d’amor per lo bel pianeta

Dal mattino all’ora che il dì si fiacca

 

Ben seminando sì lucida e sì tonda moneta

Nel Suo fertile giardino

Fiducioso e ammirato vorria loro prestar la sua, il poeta

 

I ben che son commessi a la fortuna seguan lo divin cammino.”

 

 

Spero che i lettori mi vorranno perdonare per avere voluto scherzare con il più importante ed amato dei nostri poeti.  

 

D’altronde, come scriveva Jules Renard: “Siamo sulla Terra per ridere. Non potremo più farlo in purgatorio o all’inferno. E in paradiso, beh, in paradiso sarebbe davvero sconveniente.”  

Malamovida, Ambrogio incontra i residenti di Vanchiglia

“Ieri ho incontrato i residenti di Vanchiglia, durante il sit-in organizzato sotto il Comune, e ho ribadito piena vicinanza e solidarietà. Fratelli d’Italia denuncia da tempo gli effetti negativi della mala movida ed è tempo che l’amministrazione si assuma le proprie responsabilità. Non bastano i tavoli tra assessori e le task-force: chiediamo provvedimenti concreti e strutturali che riescano a conciliare il diritto alla salute dei cittadini e le esigenze lavorative degli esercenti della zona, posto che, spesso e volentieri, gli schiamazzi e il degrado provengono da Santa Giulia, punto di ritrovo di spacciatori e delinquenti lasciati – troppo spesso – in tranquillità”.

Paola Ambrogio

Un dono per i pazienti del Regina Margherita e di Casa UGI

In occasione del 75°Anniversario di fondazione, l’Unicef provinciale di Torino, in collaborazione col Museo del Risparmio, confeziona una versione educativa de “Il gioco dell’Oca” e offre il laboratorio didattico “Io no che non ci casco” sviluppato dal Museo del Risparmio con la collaborazione degli esperti della Direzione Cybersecurity di Intesa Sanpaolo.

 

Quella dell’UNICEF è una storia di infanzie negate e ritrovate, di bambini curati e protetti, di bambini salvati. È la storia di quanti risultati si possono ottenere quando si collabora tra governi, individui e comunità e si investe per tutelare i diritti dei più piccoli e vulnerabili.

Nato l’11 dicembre 1946 per aiutare i bambini europei al termine della Seconda guerra mondiale, oggi il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia opera a 360° per la sopravvivenza, la protezione e lo sviluppo dei bambini e degli adolescenti di tutto il mondo, nei paesi in via di sviluppo e in quelli industrializzati. L’Italia è stata tra i paesi europei che ha maggiormente beneficiato degli aiuti dell’UNICEF nell’immediato dopoguerra anche per i diritti: “Il diritto di essere ascoltati”, “Il diritto ad essere protetti”, “il diritto alla vita” ,“il diritto alla salute”, “il diritto allo studio” e “diritto al gioco”.

 

Il Comitato provinciale Unicef di Torino, dopo questo periodo di pandemia prosegue con maggiore determinazione nella promozione della Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, nelle Scuole, presso l’Ospedale Regina Margherita e Casa UGI, promuovendo la conoscenza dei diritti, riscrivendoli sui sentieri illustrati del famoso gioco da tavola. Nasce il Gioco dell’oca con un tabellone segnato dai Diritti fondamentali dell’Infanzia e dell’adolescenza, che piccoli e grandi, giocando potranno “attraversare”, leggere e ricordare.

 

Quale strumento migliore per avvicinare i bambini ad un tema importante se non l’iconico gioco da tavola “Il gioco dell’oca” ristampato in una edizione speciale grazie al sostegno del Museo del Risparmio.

 

In abbinamento, viene offerta gratuitamente l’opportunità di seguire il laboratorio didattico online “Io no che non casco!”, sviluppato dal Museo del Risparmio con la collaborazione degli esperti della Direzione Cybersecurity di Intesa Sanpaolo. Il laboratorio consente di insegnare ai bambini, attraverso divertenti sfide condotte a gruppi, come navigare in Internet tutelando i propri dati personali ed effettuare i primi acquisti online in sicurezza.

Sono tre gli Istituti Scolastici individuati sul territorio con l’aiuto dell’Ufficio Scolastico Regionale che hanno beneficiato per primi dell’iniziativa.

 “Attraverso l’Unicef – dichiara il presidente Antonio Sgroi – lanciamo questa nuova idea, volta a tenere alta l’attenzione sulle problematiche infantili e a insegnare ai bambini, ricordandoli anche agli adulti che con loro giocheranno, i diritti fondamentali dell’Infanzia. La formula rimane quella di “imparare giocando”, tra un lancio di dadi e spostamenti di casella in casella. Ci rende felici sapere che numerose copie del gioco allieteranno i piccoli pazienti del Regina Margherita e di Casa UGI”.

 

“Supportiamo con entusiasmo l’UNICEF Provinciale – afferma Giovanna Paladino, Direttore e Curatore del Museo del Risparmio – perché si tratta di un’iniziativa che aiuta i bambini ad apprendere divertendosi in un momento non semplice della loro vita. Essendo nativi digitali la nostra offerta aggiuntiva di un laboratorio, sul corretto uso dei media e sulla protezione dei dati personali, completa il set informativo utile per diventare cittadini attivi e consapevoli”.

Un vecchio copione (a tratti imbarazzante) affidato al vecchio Clint

Sugli schermi “Cry Macho”, forse il canto del cigno di Clint Eastwood

PIANETA CINEMA

a cura di Elio Rabbione

Il vecchio Mike, che per una vita ha allevato cavalli ed è stato un campione di rodeo, ha attraversato un periodo buio per la morte della moglie e del figlio in un incidente, è caduto nel labirinto dell’alcolismo e alimenta un caratteraccio di solitario e di uomo che ricaccia il mondo intero. Questa la centralità di “Cry Macho”, vecchio copione che gira sui tavoli di Hollywood sin dall’inizio degli anni Settanta, quando Richard Nash propose una sua sceneggiatura sempre rifiutata. Ma il soggetto era allettante, l’immagine di burbero, il vecchio West, le praterie e il road movie, ci provò anche il mitico Burt Lancaster ad appassionarsi alla storia e Roy Scheider iniziò persino a girare un film che venne interrotto dopo poche settimane. Col procedere del nuovo millennio il 91enne Clint Eastwood ha deciso di riprendere in mano lo script, lo ha prodotto interpretato e diretto, affidandosi per una bella revisione a Nick Schenk con cui già aveva collaborato per “Gran Torino” nel 2008 e per “Il corriere” dieci anni dopo.

Il road movie è rimasto e con lui le buone intenzioni. Quando il capo incarica Mike di riportare in Texas dal Messico il figlio Rafael che una madre snaturata tiene pressoché prigioniero in una grande casa, ben guardato da un gruppetto di scagnozzi dalla pistola facile, ecco che il vecchietto parte, costruendo giorno dopo giorno un rapporto con il ragazzino sempre più paterno. L’incedere dell’uomo non è certo più quello di un tempo, i movimenti sono un tantino arrugginiti, gli agguati dei malandrini che li inseguono sono debellati più dal caso che dal freddo ragionamento e se si aggiunge una nota romantica con una vedovella in area dei cinquanta c’è da chiedersi se sia vero e proprio innamoramento o piuttosto anelito intenerito ad uno status di badante. Mentre, inutile dirlo, il “macho” di un tempo è del tutto svanito, con la consapevolezza che il luogo comune della “virilità” è ormai un ricordo: tanto che, con un pizzico d’ironia che non guasta, il macho del titolo non è il protagonista ma un arzillo galletto da combattimento che il ragazzino si porta appresso da quando se ne è uscito da casa sua. Il culmine del traballante e imbarazzante copione nelle scene che guardano al finale, con sguardi e danze leggere che mirano agli anni gloriosi dei “Ponti di Madison County”: ma lì si era nel 1995 e spirava un’aria anagraficamente più esatta.

Il vecchio Clint ce la mette tutta a rendersi credibile ma è un po’ dura credergli e reggergli il gioco, per ogni spettatore. Certi momenti sono frettolosi, altri girati come piccoli quadretti in ossequio alla nuova famiglia che potrebbe formarsi, si tenta d’approfondire i rapporti ma tutto rimane sul bordo e l’avventura non ha nulla di nuovo e denuncia appieno quel che di visto e rivisto porta con sé. La regia s’è resa fiacca, ti verrebbe da dire svogliata: e ti ritrovi a ripensare con rammarico, davanti a quello che potrebbe essere il canto del cigno, non certo all’antico Callaghan ma a tutti quei toni crepuscolari, saggi e meditativi, costruiti con una narrazione limpida e lineare che ci hanno fatto amare una delle figure di maggior spicco del cinema d’oltreoceano.

Attesa Taxi, 15 minuti al telefono: era caduta la linea

L’assessore Paolo Chiavarino ha risposto ad una richiesta di comunicazioni da parte del consigliere Giuseppe Iannò Torino Bellissima), in merito ad un disservizio a lui accaduto da parte della Centrale operativa taxi, in data 27 novembre, legato ad un tempo di attesa di quindici minuti, senza ottenimento di risposta.

L’assessore ha sottolineato come la Città sia tenuta a disciplinare gli orari del servizio taxi e ad assicurare equilibrio tra domanda ed offerta del servizio pubblico, ma non abbia competenza in merito alle modalità di gestione delle centrali radio taxi che sono organismi cooperativi non titolari di autorizzazioni comunali.

L’assessore ha spiegato che si è comunque richiesto alla centrale operativa di verificare l’accaduto.

Il presidente della Centrale taxi che ha spiegato che “banalmente possa essere caduta la linea gestita attraverso il sistema Voip”, esprimendo dispiacere per quanto successo e rivolgendo scuse al consigliere e all’Amministrazione comunale.

Ecobonus? Così com’è, all’accessibilità serve a poco

Le spese per interventi quali l’installazione ex novo di ascensori, invece di essere considerate a parte, vanno a fare cumulo con gli altri lavori ai fini del tetto massimo di 96mila euro fissato dalla normativa. I tempi per una modifica ci sarebbero e ci auguriamo che il Parlamento possa apportare le necessarie migliorie. Presenterò un Ordine del Giorno per chiedere alla Giunta di sostenere in tutte le sedi l’introduzione di un monte-spesa a parte per gli interventi di abbattimento di barriere architettoniche.



Ecobonus e Sismabonus grandi occasioni: ma lo sono davvero da tutti i punti di vista? Non per l’accessibilità del nostro patrimonio edilizio. Le detrazioni per le spese per l’eliminazione delle barriere architettoniche, infatti, vanno a fare cumulo sia con quelle per gli interventi di recupero strutturale sia per quelle relative al Sismabonus. Unico resta anche il tetto di spesa di 96mila euro.

Questo criterio – esplicitamente confermato dall’Agenzia delle Entrate con riferimenti all’Articolo 12-bis del Tuir (DPR 917/1986) e alle Circolari 7/E/2021 – di fatto sancisce una drastica riduzione, rispetto alle possibilità teoriche, della possibilità per le persone con disabilità di eliminare le barriere architettoniche negli stabili presso i quali risiedono.

Un esempio tra i vari possibili: se un cittadino alle prese con la ristrutturazione del proprio stabile intendesse procedere all’installazione ex novo di un ascensore per garantire piena accessibilità alla struttura, dovrebbe sapere che questa spesa sarà cumulata, ai fini del tetto da 96mila euro, con gli altri lavori. Temiamo che l’occasione per rendere accessibili migliaia di edifici vada sprecata.

La partita non è, tuttavia, ancora chiusa e siamo fiduciosi sul fatto che il Parlamento possa ancora intervenire. Faccio miei gli appelli di chi sta scrivendo al Ministero per le Disabilità e presenterò un Ordine del Giorno in Consiglio Regionale del Piemonte per chiedere, sul tema, un impegno esplicito in tutte le sedi opportune, con l’auspicabile voto favorevole dei colleghi Consiglieri a Palazzo Lascaris, da parte della Giunta Cirio.

Silvio Magliano – Presidente Gruppo Consiliare Moderati, Consiglio Regionale del Piemonte.

Su Google Arts & Culture oltre 150 opere del Museo del Risorgimento

Disponibili su Google Arts & Culture oltre 150 opere, immagini Street View delle 30 sale che compongono il percorso di visita e le Storie che permettono di conoscere i tesori del Museo.

Il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino entra a far parte di Google Arts & Culture, la piattaforma tecnologica sviluppata da Google per esplorare i tesori, le storie e il patrimonio di conoscenza di oltre 2.000 istituzioni culturali di 80 paesi nel mondo. In linea con la missione di Google di rendere l’informazione più accessibile, la missione di Google Arts & Culture è rendere la cultura mondiale accessibile a chiunque, ovunque. Con Google Arts & Culture si possono scoprire l’arte, la storia e le meraviglie culturali di tutto il mondo e da oggi anche del Museo Nazionale del Risorgimento.

Il visitatore potrà immergersi nella Collezione Digitale con oltre 150 opere, esplorare tutte le 30 sale che compongono il percorso di visita del Museo attraverso le immagini Street View e scoprirne i tesori nelle Storie.

 

La Collezione Digitale

La prima fase dei lavori ha portato alla digitalizzazione di oltre 150 opere tra le più significative della ricchissima collezione esposta nel Museo. Di queste 20 possono essere esplorate nei minimi dettagli grazie alla tecnologia Google Art Camera.

Tra le più importanti già online, i Cimeli del Re Vittorio Emanuele II, i dipinti Garibaldi a Marsala di Gerolamo Induno, La prima bandiera italiana portata a Firenze di Francesco Altamura e i grandi quadri che raccontano l’epica del Risorgimento. E poi ancora le fotografie che compongono l’album della Contessa di Castiglione, la copia miniata dello Statuto Albertino e il busto di Giuseppe Mazzini.

 

La visita virtuale con Street View

Utilizzando la tecnologia di Google Street View è possibile effettuare un tour virtuale a 360 gradi dell’intero percorso di visita del Museo: trenta sale che in ordine cronologico raccontano le tappe che hanno portato all’Unità nazionale, in Italia, ma anche in quegli altri Paesi europei che sempre nell’Ottocento hanno combattuto per la propria libertà ed indipendenza. Su tutte ricordiamo le due aule parlamentari autentiche ivi esistenti: la Camera dei deputati del Parlamento Subalpino, l’unica in Europa tra quelle nate dalle costituzioni del 1848 ad essere sopravvissuta integra, monumento nazionale dal 1898, e la grandiosa aula destinata alla Camera dei Deputati del Regno d’Italia, con le volte affrescate da Francesco Gonin, costruita tra il 1864 e il 1871.

 

Le Storie

Per approfondire alcuni contenuti e far meglio conoscere il patrimonio museale sono state realizzate anche sei Storie. Di particolare rilievo quella che permette di esplorare dall’interno la Camera dei deputati del Parlamento Subalpino e quella dedicata al dipinto Inaugurazione del Parlamento a Palazzo Madama il 2 aprile 1860, del pittore olandese Pierre Henri Théodore Tetar Van Elven

 

Da oggi, grazie a Google Arts & Culture lo straordinario patrimonio del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano diventa ancora di più patrimonio di tutti.