È morto a soli a 54 anni, Stefano Bongiovanni, dal 2018 responsabile dell’Ufficio di Stato Civile e delle Politiche Giovanili del Comune di Cuneo. Sembra abbia accusato un malore, dovuto ai suoi problemi di cuore. Aveva iniziato a lavorare in Municipio nel 2009 come responsabile del settore Socio Educativo. La morte ha causato profondo cordoglio nell’amministrazione cuneese dove era molto stimato. Lascia la moglie e un figlio. Non si conosce al momento la data dei funerali.
Era unico nella sua tenerezza
Una notizia che ha sicuramente profondamente rattristato e colto di sorpresa il mondo del teatro torinese e non solo è stata quella della scomparsa dell’attore e regista Eugenio Allegri a seguito di un malore improvviso, alla sola età di 66 anni.
Nato a Collegno e diplomatosi nel 1979 alla Scuola Galante Garrone di Bologna, Eugenio Allegri è stato attore e regista di riconosciuto talento e ha lavorato, tra gli altri, con artisti del calibro di Leo De Bernardinis, Dario Fo, Gabriele Vacis, Vittorio Franceschi e Leo Muscato. Il suo volto e la sua voce rimangono indissolubilmente legati all’interpretazione di “Novecento” di Alessandro Baricco, che ha portato in scena per oltre vent’anni sui palcoscenici italiani e europei.
Ma Eugenio Allegri non è soltanto legato al personaggio di Novecento, ma è anche stato noto come Zio Vanja nell’omonimo dramma di Anton Cechov, su direzione di Gabriele Vacis. E fu proprio Gabriele Vacis a sceglierlo anche per l’interpretazione dei Rustughi di Carlo Goldoni. Ha anche segnato profondamente l’esperienza del Teatro Settimo, interpretando il padre Capuleti di Romeo e Giulietta fino a quello di Fulgenzio di Goldoni e, oltre al personaggio di Novecento, anche quello di Cyrano, segnandone profondamente l’esperienza del teatro Settimo.
Il 2016 fu l’anno in cui Eugenio Allegri accettò la sfida di Dario Fo, per dirigere il giovane Matthias Martelli in una nuova apprezzata versione de “Il mistero buffo”, prodotta dal teatro Stabile di Torino. Nel 2017 fu tra gli interpreti principali anche dell’adattamento teatrale de “Il nome della rosa” di Umberto Eco, su direzione di Leo Muscato.
Nel corso della sua brillante carriera è stato riconosciuto unanimamente come l’erede della commedia dell’arte, che ha saputo sapientemente tramandare alle nuove generazioni, attraverso seminari, laboratori e entrando a far parte del corpo docente della Scuola per attori del Teatro Stabile di Torino.
Ma Eugenio Allegri non è stato soltanto legato alla città di Torino. È stato direttore artistico del Teatro Fonderia Leopolda a Follonica, la cui amministrazione comunale ricorda come un uomo gentile e pacato, capace, da sempre, di mettere a disposizione con generosità il suo grande talento e la sua professionalità. A Follonica ha contribuito all’affermazione del teatro Fonderia , facendolo rinascere.
“Un talento straordinario, professionista appassionato e acclamato – lo ricordano il Presidente del Teatro Stabile Lamberto Vallarino Gancia e il direttore Filippo Fonsatti”.
La sua è stata una carriera lunga e fortunata, attraverso la quale è stato capace di esportare all’estero il nome del teatro Stabile, conquistando un pubblico internazionale, da Londra a Pechino e Shangai.
Eugenio Allegri è stato, sicuramente, l’erede di un modo di recitare che aveva in sé caratteristiche derivanti da tanti film di Chaplin, quando questi interpretava Charlot e si ritrovava al centro dell’attenzione per qualche accidente. La sua qualità peculiare era la grazia, che gli ha permesso di amare i clown e la commedia dell’arte, di saperli fare apprezzare al pubblico anche più giovane, è stato un maestro e esperto attore di teatro, che univa al carisma dei grandi personaggi la tenerezza di un personaggio, il suo, capace davvero di renderlo unico.
MARA MARTELLOTTA
Il basket visto da vicino
Diciamolo pure con serena tristezza: la Reale Mutua non ha gioco né testa. Perde con avversari di caratura “discutibile” e subisce parziali inquietanti di quasi 30 punti di differenza… da 34 a 23 per noi a 38 a 52 per gli altri ( grazie al mio amico e tifoso Marco per avermelo segnalati) e nel finale subiscono un 12 – 0 per perdere la partita!
Non è colpa dei giocatori, o meglio, se non segnano non si vince, ovvio, ma è tutto l’anno che Torino improvvisa le partite. Se i giocatori hanno guizzi buoni si vince, altrimenti è ovvio che vada sempre a finire così.
Stasera bene ha giocato De Vico con anche 5 su 7 da tre, e a tratti Alibegovic e Landi, ma in maniera discontinua.
Trey Davies gioca con la paura di sbagliare e infatti sbaglia, perché sa che il coach immagina Oboe come un novello Magic Johnson e quindi teme a ragion veduta urla e cambio. Ripeto: perché prendere Trey Davies, giocatore tutto estro e fantasia quando il coach richiede la fantasia di un muro grigio?
Davon Scott effettua solo una super giocata ad inizio partita e poi letteralmente sparisce dal campo. Il perché? Inspiegabile, almeno al momento… .
Pagani e Toscano giocano facendo ciò che possono ma non può essere richiesto loro di salvare la patria… .
Questa non è Torino, o almeno, questa è la più triste Torino del basket della storia recente. Siamo con una guida altamente inesperta, e si vede, con una società che al momento è ancora non adeguata alle richieste di una città che ha Torino e Juventus come antagonisti troppo elevati. Torino non è una cittadina in cui tutto è esaltazione e bellezza; è una grande città in cui anche chi vince fatica a trovare pubblico… , figuriamoci perdendo giocando male. Si potrà vedere qualcosa di meglio? Prossima partita lunedì. Intanto siamo sotto 1-0… . Chi vivrà vedrà… ma chi vive sperando … .
Paolo Michieletto
Toro seduto! Torino-Napoli 0-1
36esima giornata serie A
Fabian Ruiz(N)
È tornato il Toro seduto di 1 mese fa,confuso e con l’idea che,raggiunta la salvezza si può pensare alla vacanze!
Non è questo il pensiero di una squadra cresciuta tanto quest’anno sotto tutti i punti di vista grazie,soprattutto,allo straordinario lavoro del tecnico granata Juric e del suo staff.Oggi un passo indietro dal punto di vista della prestazione e dell’intensità specie nell’aggredire gli avversari uno contro uno.
Ha vinto di misura il Napoli che vola a +4 sulla Juventus e blinda il terzo posto a due gare dalla fine.Grande merito a Fabian Ruiz che, al 73′, ruba palla a Pobega, si invola verso l’area granata e trafigge Berisha con un gran gol. In precedenza, Insigne si era fatto parare un calcio di rigore dal portiere albanese. Invece si ferma a quota sei gare la striscia positiva del Torino.
I granata rimangono,comunque,decimi in classifica a quota 47 punti, meno cinque dal Verona,nono in classifica,che ha però una gara in meno.
Sabato prossimo VeronaTorino e poi l’ultima gara della stagione in casa contro la Roma: obiettivo comune fare il massimo dei punti per poi preparare al meglio la prossima stagione.
Enzo Grassano
A cura di lineaitaliapiemonte.it
L’ordinazione, in questo pomeriggio di sabato 7 maggio, sul sagrato della cattedrale di San Giovanni Battista. Ad anticiparla un breve benvenuto del Sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, a nome di tutte le autorità civili della Città. A seguire, domenica 8, l’ingresso ufficiale nella diocesi di Susa, nella Cattedrale di San Giusto. Il motto che campeggia sullo stemma del nuovo Arcivescovo di Torino, tratto dalla lettera di Paolo ai Galati: “Cristo ha dato se stesso per me”
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Un trentenne ha cercato di suicidarsi gettandosi sotto a un treno. Fortunatamente due agenti di polizia lo hanno rincorso e bloccato prima che compisse il drammatico gesto. E’ successo a Novara dove gli agenti della Polfer sono intervenuti, sul terzo binario della stazione, quando l’uomo era già sulle rotaie. Una volta salvato, il giovane, che era in stato confusionale, ha spiegato le ragioni del suo tentativo di suicidio.
NOTIZIE DAL PIEMONTE
CITTÀ, POLITECNICO, UNIVERSITÀ E ESCP BUSINESS SCHOOL INSIEME
Firmato un Protocollo d’Intesa per delineare le strategie e supportare le politiche locali sulla decarbonizzazione
Come tutti possiamo toccare con mano in questo periodo di crisi energetica, l’energia rappresenta oggi un bene essenziale per la sopravvivenza delle nostre economie e per la qualità della nostra vita. D’altra parte, non è più praticabile uno sviluppo energetico che prescinda dai criteri dettati dalla transizione ecologica. Dovrà necessariamente realizzarsi, quindi, una transizione energetica verso la decarbonizzazione, con il passaggio da un sistema basato sulle fonti fossili a uno fondato sulle fonti rinnovabili.
Per la Città di Torino si tratta di una sfida da cogliere, considerato che nel 2019 gas e prodotti petroliferi hanno rappresentato il 56.4% del consumo energetico finale dei settori municipale, terziario, residenziale, dell’illuminazione pubblica e dei trasporti in città, come testimonia il terzo rapporto di monitoraggio (2021) di TAPE – Turin Action Plan for Energy.
Il Protocollo d’Intesa presentato oggi all’Energy Center del Politecnico tra la Città di Torino – rappresentata dal Sindaco Stefano Lo Russo, il Politecnico e l’Università degli Studi di Torino, rappresentati rispettivamente dai Rettori Guido Saracco e Stefano Geuna ed ESCP Business School – il cui Presidente Francesco Profumo era collegato on line – vuole contribuire a una pianificazione energetica integrata e multi-dimensionale per Torino, che consenta il raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica.
I soggetti firmatari convengono sulla necessità di fare sistema sulla frontiera della ricerca e del supporto al processo di decisione politica attraverso lo sviluppo di metodologie e strumenti innovativi e condivisi e collaborando, ciascuno nell’ambito della propria missione, per guidare il processo di transizione energetica urbano.
A tal fine verranno definite, attraverso una strategia condivisa coordinata dal Laboratorio Energy Security Transition EST@energycenter, le aree funzionali in cui è necessario operare e delineare le strutture, gli strumenti e le azioni per implementare e seguire operativamente questi obiettivi, unitamente all’indicazione dei costi operativi, per individuare un approccio inter-disciplinare che interagisca con le altre transizioni, ovvero quella digitale e informatica, la transizione socio-culturale e quella economico-produttiva.
L’ambizione è quella di creare un vero e proprio “modello Torino” di supporto science-based al processo di decisione politica per l’energia, sviluppando “tecnologie” (gestione dati, modellazione fruibile e interrogabile, cataloghi di azioni/policy) per la Città e riproducibili in altri contesti nazionali e internazionali.
Il processo mira a creare competenze condivise, costruire una visione comune, definire una strategia operativa e sviluppare strumenti di supporto, allo scopo di implementare azioni concrete e misurabili e di accompagnare la Città lungo le traiettorie delle transizioni, con riferimento a energia e sostenibilità.
Tra gli obiettivi specifici dell’accordo, quindi, ci saranno: l’acquisizione dei dati per mappare costantemente il sistema energetico della città; la creazione di modelli, alimentati dai dati in grado di offrire una stima scientifica e quantitativa dei possibili impatti di scelte alternative; lo sviluppo di strumenti integrati e innovativi (database, piattaforme web interattive, decision theatre) a supporto del decisore e la creazione di un processo partecipativo e un dialogo diretto e costruttivo tra Amministrazione e popolazione attorno ai temi dell’energia e della sostenibilità.
Il Rettore del Politecnico di Torino Guido Saracco ha commentato: “Il Politecnico ha aderito con entusiasmo alla chiamata della Città, perché il nostro sistema è estremamente complesso e per affrontarlo è necessario fare “massa critica”, mettere a sistema le nostre competenze a servizio dei decisori politici e fare in modo che le loro scelte siano indirizzate al meglio. I nostri Atenei a Torino collaborano da tempo sui temi della sostenibilità, per affrontare in modo sinergico le sfide del nostro tempo: lo abbiamo già fatto per il Governo italiano, e ora siamo più che disponibili a supportare la Città di Torino”.
No al bipolarismo selvaggio
L’attuale bipolarismo non può essere la prospettiva della politica italiana.
Veniamo da una stagione contrassegnata da un bipolarismo che ha un solo ed esclusivo obiettivo: la sostanziale distruzione e delegittimazione dell’avversario/nemico. Una distruzione non solo politica ma soprattutto morale. Non a caso, soprattutto nel campo della sinistra, la coalizione del centro destra viene spesso e volutamente confusa ed interpretata come una sorta di coalizione sovversiva, illiberale e con una difficoltà a rinnegare un passato oscuro ed autoritario. Un ritornello ormai ridicolo e stantio che però, puntualmente, riemerge alla vigilia di ogni consultazione elettorale con l’altrettanto puntuale accompagnamento e sostegno dello stuolo di giornalisti e conduttori al servizio della “causa”. Un dèjà vu persin troppo collaudato per essere ulteriormente descritto ed approfondito. Sull’altro versante la solita solfa sul “ritorno della sinistra comunista” che, con l’avallo del populismo grillino, si presta ancor più a questa interpretazione. Ma anche questo è un tasto ormai noioso e ripetitivo che non offre alcunchè di costruttivo e di politicamente rilevante.
Insomma, si tratta di un impianto politico che non regge più alle sfide importanti ed inedite della politica contemporanea. Perchè è una risposta politica sbagliata e non più corrispondente alle dinamiche e alle attese della società italiana. Soprattutto dopo la pandemia sanitaria e quella sociale in pieno svolgimento e le ricadute pesantissime che ci saranno con la guerra russo/ ucraina. Una situazione che non può più tollerare pregiudiziali ideologiche, contrasti dello scorso secolo e contrapposizioni frontali attorno a tematiche e temi ormai del tutto archiviati e già consegnati agli archivi. Sarebbe curioso, al riguardo, assistere dopo le vacanze natalizie – e puntualmente alla vigilia delle prossime elezioni generali – all’eterno duello tra gli intramontabili “post fascisti” e i tardo “ex comunisti”.
Ecco perchè è giunto il momento di voltare pagina. Certo, molto se non tutto dipende dal futuro sistema elettorale. Ma anche su questo versante – e anche alla luce della deriva trasformistica ed opportunistica di questa legislatura caratterizzata dalla presenza dei populisti – occorre essere chiari perchè le regole si possono sempre aggirare. Come, ripeto, ci hanno confermato le vicende politiche di questi ultimi quattro anni che dovevano “rivoluzionare” la politica italiana archiviando definitivamente il passato e tutto ciò che lo aveva contraddistinto. Tutti sappiamo, invece, com’è finita questa cosiddetta e ridicola “rivoluzione” politica. Un sistematico e scientifico rinnegamento di tutto ciò che era stato solennemente promesso e giurato nelle piazze italiane. Ma, al di là di questa sceneggiata che, purtroppo, ha convinto ed affascinato quasi la metà di chi si era recato al voto nel marzo del 2108, forse è giunto il momento anche per cambiare il sistema elettorale prendendo atto che questo bipolarismo è ormai fuori luogo e fuori tempo e che, di conseguenza, l’unico elemento che può smuovere le acque – oltrechè essere utile e forse anche indispensabile – è il ritorno di un sistema proporzionale. Un sistema, cioè, che permetta a tutte le forze politiche di valorizzare la propria ricetta di governo da un lato e che, dall’altro, faccia decollare una coalizione che non è più imprigionata da regole astruse e coercitive estranee ed esterne a ogni riferimento politico, culturale e minimamente programmatico. Un sistema, detto in altri termini, che restituisca alla politica il suo ruolo, la sua funzione e la sua “mission” al di là dei populismi, dei sovranismi e del “nulla della politica” per dirla con l’indimenticabile Mino Martinazzoli.
Ed è proprio in questo contesto che si impone la presenza di un “centro” politico, riformista, democratico e liberale. Un partito e un progetto politico di “centro” che metta definitivamente in discussione quel “bipolarismo selvaggio” e ormai finto che resta all’origine del crisi della politica contemporanea, della scarsa credibilità dei partiti e dello stesso fallimento dell’azione di governo. Al punto che è stato necessario ricorrere ai “tecnocrati”, e quindi alla sostanziale sospensione della politica, per poter dare un governo degno di cronaca al nostro paese. Una situazione, comunque sia, che non può essere definita normale anche perchè, prima o poi, la politica deve riprendere il ruolo che le spetta. Cioè contribuire al governo del paese attraverso il ruolo e la funzione dei suoi attori principali, ovvero i partiti.
Per questi semplici motivi è giunto il momento di liquidare definitivamente ed irreversibilmente questo “bipolarismo selvaggio”. Con la precisa consapevolezza che siamo anche alla vigilia di una nuova fase della politica italiana. Che non va più affrontata con strumenti e metodologie vecchie, desuete e ormai inservibili.
Giorgio Merlo
Addio allo storico libraio Nanni Fogola
La libreria Fogola di piazza Carlo Felice, a Torino è stata punto di riferimento per generazioni intere di appassionati di libri. Chiuse nel 2014 dopo circa un secolo di attività. Nanni Fogola, che la gestiva con il fratello Mimmo era malato da tempo. E’ deceduto ieri a 81 anni. Lascia la figlia Alessandra e i due nipoti Edoardo e Federico.
Nell’area che un tempo ospitava a Torino la SNOS, la Società Nazionale Officine di Savigliano, una delle più antiche realtà dell’industria metallurgica piemontese ora c’è un centro commerciale, ci sono palestre e ampi spazi.
Dove oggi i clienti e i curiosi passeggiano, affollano negozi, guidano i carrelli della spesa e s’incolonnano davanti alle casse generazioni di operai si affannarono davanti ai macchinari per la costruzione di materiale rotabile, la realizzazione di macchinari elettrici, costruzioni impiantistiche e carpenteria metallica. Nel 1881, un solo anno dopo la fondazione, l’azienda assorbì la torinese Società Anonima Italiana Ausiliare di strade ferrate, tramvie e lavori pubblici, ereditandone sia gli immobili che le maestranze. Da quel momento in poi la SNOS affiancò alla tradizionale produzione di materiale rotabile quella di macchinari elettrici e altre attività che le consentirono una rapida crescita e a un incremento della manodopera che trent’anni dopo sfiorava le mille unità. Durante la prima guerra mondiale l’azienda modificò le proprie strategie produttive dedicandosi alla costruzione di materiale bellico. Terminato il conflitto il Regio governo affidò alle Officine di Savigliano la costruzione di locomotori e, negli anni successivi, la realizzazione di opere infrastrutturali e impianti idroelettrici. All’alba del secondo conflitto mondiale, la SNOS fu nuovamente chiamata a sostenere lo sforzo bellico con le produzioni di guerra ma vide anche una parte importante dei suoi lavoratori, composti da 300 impiegati e 1300 operai, attivi nella resistenza antifascista. Come ricordano le memorie raccolte all’Istituto storico della Resistenza torinese le mine tedesche e gli scontri insurrezionali danneggiarono i reparti, che ripresero comunque l’attività già nel maggio 1945. Tra molte difficoltà e vicissitudini, controllata negli anni dalla Fiat e della Cogne, la SNOS ripartì all’insegna delle radio Savigliano, del trattore Ciclope e della locomotiva E444. A partire dagli anni ‘60 l’azienda cedette alla Fiat il comparto ferroviario, abbandonando le lavorazioni edilizie e quelle dei grandi complessi meccanici. A metà degli anni ’70 venne acquisita dalla General Electric e trent’anni dopo, nel 2005, con una manodopera ormai ridotta ad una ottantina di dipendenti, chiuse definitivamente i battenti. Resta solo la storia, la memoria di una classe operaia capace di pensare e produrre, di fare “i barbis alle musche”, i baffi alle mosche. Una storia che Gianni Alasia, indimenticato sindacalista e dirigente politico della sinistra subalpina, scomparso a Torino il primo luglio del 2015 a 88 anni, raccontò in più lavori e in un libro importante dedicato all’esperienza del Consiglio di gestione di quella storica azienda, intitolato “Chi e cos’erano i Consigli di gestione? La SNOS di Torino e Savigliano: una concreta esperienza di fabbrica (1949-1952)”. Era una realtà che conosceva bene perché Alasia, dopo aver partecipato giovanissimo alla Resistenza nelle formazioni partigiane Matteotti, prendendo parte alla liberazione di Torino con il nome di battaglia “Astro”, venne assunto nel dopoguerra presso le Officine Savigliano come impiegato, entrando a far parte del Consiglio di gestione, partecipando a lotte importanti per migliorare le condizioni di lavoro che si conclusero con una sconfitta. Nel 1951 Gianni Alasia fu tra i licenziati. Con lui c’era Bruno Fernex, anch’esso ex partigiano e quadro sindacale, in seguito con Bruno Trentin nella segreteria nazionale della FIOM. Questo testo di Alasia non solo rappresenta una testimonianza importante ma è uno strumento di grande utilità per ricostruire una interessante vicenda che vide misurarsi i lavoratori di quella realtà con le politiche partecipative e di controllo sul ciclo produttivo. Ovviamente, a oltre settant’anni di distanza quella formula non è ovviamente riproponibile (lo rimarcava lo stesso autore commentando il suo libro, edito nel 2006) ma è interessante l’approccio ormai storicizzato di quell’esperienza che vide i lavoratori misurarsi sul tema del governo della produzione, dello sforzo di intervenire sui temi delle politiche legate all’economia anticipando argomenti che nei decenni successivi sono entrati a far parte a pieno diritto dell’orizzonte dell’iniziativa contrattuale del sindacato. In quelle pagine si ritrovato una parte della storia di una classe operaia matura, capace di offrire un punto di vista proprio sull’organizzazione del lavoro e della produzione. La battaglia della SNOS fu su quel versante piuttosto emblematica, nonostante l’esito infausto e doloroso. La frase di Gramsci con cui chiude il suo diario il segretario del Consiglio dì gestione della SNOS ne riassume la consapevolezza e l’orgoglio: “Non c’è vergogna nella sconfitta degli operai”. Quelle di Alasia sono pagine che restituiscono lo spirito del tempo, il tratto di forte solidarismo e coscienza di classe, rammentando senza enfasi ma con forte dignità la grande nobiltà dei valori che animarono quell’esperienza. Un filo d’acciaio che non si può spezzare e che aiuta, sotto il profilo storico e sociale, a tener conto di cosa abbia significato per l’economia, la società e la politica di Torino e del Piemonte quell’esperienza e tante altre che furono per molti versi simili.
Marco Travaglini