ilTorinese

Chiuso locale per violazioni della normativa Covid

Un accurato controllo straordinario del territorio, effettuato giovedì pomeriggio nell’area di competenza del Comm.to San Secondo da personale della Polizia di Stato, con ausilio di operatori del Reparto Prevenzione Crimine Piemonte, delle unità cinofile e della Polizia Municipale di Torino, ha condotto all’arresto di due giovanissimi cittadini italiani. I due, di 22 e 23 anni, spacciavano insieme all’interno dei giardini pubblici di via San Marino 119. Sul posto, gli agenti sequestravano al ventiduenne 27 grammi di hashish; mentre a casa del ventitreenne rinvenivano e sequestravano 250 grammi di cannabinoidi. Lo stupefacente si presentava già suddiviso in dosi da smerciare, che i due ragazzi, nelle chat telefoniche, chiamavano “birre” per non destare sospetti.

Inoltre, gli agenti hanno controllato 2 esercizi pubblici. Un kebab pizzeria di corso Orbassano, sanzionato per 800 € per la mancata esposizione del cartello indicante la capienza massima consentita all’interno, nonchè per la mancata sanificazione dei locali; l’esercizio è stato chiuso provvisoriamente per 5 gg., sino al ripristino delle condizioni previste. Ad un ristorante bar sito invia San Secondo, invece, sono state comminate sanzioni per 1516 € in quanto il frigorifero ero privo del manometro e mancava la tabella dei prezzi dei prodotti e bidoni idonei per la raccolta rifiuti.

I Verdi: più aree pedonali a Nichelino

Tante amministrazioni comunali nel mondo continuano, soprattutto con la pandemia, a creare nuove aree pedonali per rendere più vivibili, più sicuri i centri urbani e garantire il distanziamento fisico.

La Città di Nichelino, invece dal 2016 ad oggi, è rimasta al palo, ben ancorata agli anni ’80, periodo in cui si progettavano solo spazi per le auto.
L’ennesima dimostrazione che “l’attuale amministrazione” non ha a cuore l’ambiente e il benessere dei cittadini.
Come Europa Verde Nichelino – Verdi ribadiamo un concetto fondamentale: nei prossimi 5 anni bisognerà realizzare nuove aree pedonali, in particolare, davanti alle scuole (le cosiddette “scuole car free”) pensiamo a via Moncenisio, il tratto di fronte alla scuola A. Manzoni.
Rendere alcune zone pedonali significa migliorare la qualità della vita, ridurre gli incidenti stradali, i rumori, l’inquinamento atmosferico, permettere la posa di nuovi alberi e aiuole, favorire la socialità.
Nel programma di coalizione (come Verdi appoggiamo, lo ricordiamo, sosteniamo Sara Sibona) abbia inserito il punto delle “pedonalizzazioni” perché la “città del futuro”, non può che essere una città più a “misura di persona”.
Cosi in una nota i due referenti di Europa Verde Nichelino – Verdi, Ottavio Currà e Emanuela Chidichimo

I commercialisti: “Famiglie più povere e tartassate”

La fotografia scattata dall’Osservatorio del Consiglio e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti sulle famiglie italiane

IN DIECI ANNI +46 MILIARDI DI EURO DI TASSE E SOLO +2,8 MILIARDI DI EURO DI PIL 

Nell’anno del Covid-19, nonostante i massicci aiuti statali, le famiglie povere sono aumentate di 333 mila colpendo in particolare il Nord, le famiglie con minori e quelle con stranieri 

 

Nello stesso tempo, però, la pressione fiscale delle famiglie, pari al 18,9%, è aumentata di 1 punto di Pil, mentre quella generale si è incrementata di 0,7 punti, arrivando al 43,1% 

 

Dal 2011 il Pil è aumentato di 2,8 miliardi di euro, mentre la pressione fiscale delle famiglie è aumentata di 46 miliardi di euro: +2,8 punti di Pil rispetto a -1 punto di Pil di tutte le altre entrate fiscali 

 

Il 50% dell’incremento di pressione fiscale delle famiglie è imputabile all’Irpef e all’Imu. Dal 2011 il gettito erariale dell’Irpef è cresciuto di 11,7 miliardi di euro (+7,2%), quello dell’IMU è aumentato di 11,1 miliardi di euro facendo registrare l’incremento più elevato in termini percentuali pari, addirittura, al 120% 

 

L’Irpef, comprensiva delle addizionali locali, è aumentata di 17 miliardi di euro. Nello stesso periodo, il gettito erariale dell’Iva si è incrementato di soli 1,2 miliardi di euro

 

Roma, 14 agosto 2021 – La pandemia ha spinto 333 mila famiglieil 20% in più rispetto al 2019, nell’area della povertà assoluta e non ha frenato la pressione fiscale che, anzi, è cresciuta ancora di più. L’anno scorso, mentre molte famiglie oltrepassavano la soglia di povertà non riuscendo a mantenere il livello dei consumi ritenuto essenziale dall’Istat, la pressione fiscale generale pari al 43,1%, è aumentata di 0,7 punti di Pil, mentre quella delle famiglie, pari al 18,9%, è cresciuta di 1 punto di Pil. L’incremento è avvenuto a causa della rigidità del gettito delle imposte dirette, in particolare dell’Irpef, e dell’Imu al calo del Pil.

 

Il dato emerge dall’Osservatorio del Consiglio e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti sulle famiglie italiane che traccia un bilancio del primo anno di pandemia e di dieci anni di crisi. L’Osservatorio evidenzia come nel 2020 sia Il Pil che il gettito fiscale si sono ridotti, ma in misura diversa. Nel dettaglio, mentre il Pil è calato del 7,8%, le entrate fiscali delle famiglie sono diminuite del 3,2%, mentre tutte le altre entrate fiscali si sono ridotte dell’8,7%. Di conseguenza, la pressione fiscale generale è salita, ma quella delle famiglie, costituita in massima parte dalle imposte dirette e dall’Imu, è aumentata in misura maggiore. Ad aver inciso in modo particolare su tale tendenza è stato il gettito erariale dell’Irpef che nel 2020 si è ridotto solo del 2,2%.

 

Il bilancio complessivo della pandemia, per il 2020, nonostante gli ingenti aiuti statali è dunque negativo. In particolare, a fronte di un calo del Pil di 139,4 miliardi di euro (-7,8%) e di un incremento del deficit pubblico di 129 miliardi di euro, il reddito disponibile delle famiglie si è ridotto di 32 miliardi di euro (-2,8%), mentre l’effetto combinato degli aiuti pubblici e del crollo dei consumi, calati di 116 miliardi di euro (-10,9%), ha determinato un incremento del risparmio lordo delle famiglie di 83,4 miliardi di euro (+88,3%). L’analisi dell’Osservatorio fa emergere, dunque, il paradosso di un aumento della povertà e allo stesso tempo di un aumento del risparmio reso evidente anche dall’incremento dei depositi bancari delle famiglie unito ad un aumento della pressione fiscale.

 

Su quest’ultimo fronte, inoltre, pesano i risultati già negativi del 2019 che aveva segnato un’interruzione della fase di rientro della pressione fiscale avviata nel 2014 e durata cinque anni. Il passo indietro dell’ultimo biennio ci riporta agli anni dello shock fiscale seguito alla crisi del debito sovrano del 2011, annullando quasi del tutto i progressi ottenuti dal 2014 al 2018. L’effetto finale, inoltre, è fortemente sbilanciato dal lato delle famiglie che, a conti fatti, hanno sopportato interamente il peso dello shock fiscale e dell’aggiustamento di bilancio. Dal 2011 ad oggi, infatti, a fronte di un incremento del Pil di 2,8 miliardi (+0,2%), le entrate fiscali delle famiglie, che pesano per meno della metà sulla pressione fiscale generale, sono aumentate di 46 miliardi di euro (+17,3%), mentre le altre entrate fiscali sono diminuite di 15,7 miliardi di euro (-3,8%). In particolare, il gettito erariale dell’Irpef dal 2011 è cresciuto di 11,7 miliardi (+7,2%) e quello dell’Imu, confrontato con il gettito Ici, è aumentato di 11,1 miliardi di euro facendo registrare l’incremento più elevato in termini percentuali pari, addirittura, al 120%. Stessa dinamica, per le addizionali regionale e comunale che hanno contribuito ulteriormente con impatti diversificati e rispettivamente pari a +3,5 e +1,8 miliardi di euro. Le imposte sui redditi di capitale sono aumentate di 9,3 miliardi di euro (+92,8%) e i contributi sociali sono aumentati di 8,5 miliardi di euro (+12,6%).

 

Dall’Osservatorio dei Commercialisti emergono altri dati sull’andamento dei redditi familiari e sulla povertà. I dati mostrano come la lunga crisi economica e finanziaria degli ultimi anni abbia depresso fortemente i redditi familiari: dal 2003 al 2018, il reddito medio in termini reali ha perso l’8,3% del suo valore. Nello stesso periodo, il divario Nord-Sud è aumentato (+1,6%) arrivando a raggiungere i -478 euro al mese. Nelle famiglie in cui prevale il reddito da lavoro autonomo la crisi ha colpito ancora più duramente: la perdita in termini reali è pari al 28,4%. Il divario Nord-Sud è forte anche nella spesa media mensile dei consumi delle famiglie anche se, in questo caso, il Covid-19 ha giocato all’inverso, colpendo maggiormente il Nord e riducendo, anche se solo leggermente, il divario. Nel 2020, la spesa mensile media di una famiglia meridionale è pari al 75,2% rispetto ad una famiglia che vive al Nord: 1.898 contro 2.525 euro. Il calo dei consumi è certamente alla base dell’aumento della povertà. Infatti, l’Istat misura la soglia di povertà nei termini di un livello di consumi ritenuto essenziale per una famiglia in base alle sue caratteristiche, tra cui spicca anche la residenza. E dal momento che i consumi si sono ridotti molto di più al Nord che al Sud, la povertà è aumentata più al Nord che al Sud. In realtà, però, mentre molte famiglie scendevano sotto la soglia di povertà (+333 mila famiglie), l’intensità della povertà, cioè la distanza dalla soglia, si riduceva (dal 20,3 al 18,7%). Infine, la povertà relativa migliora più al Sud che al Nord.

 

“Da questa analisi – dichiara il presidente del Consiglio Nazionale dei Commercialisti, Massimo Miani – risulta evidente come che le famiglie italiane, su cui grava in definitiva il peso dell’Irpef, hanno pagato e continuano a pagare un conto salatissimo a causa degli squilibri macroeconomici e di finanza pubblica del nostro Paese. L’Irpef, la principale imposta italiana, includendo anche le addizionali locali, nel 2020 ha raggiunto il livello di 191 miliardi di euro, pari all’11,6% del Pil. Basti pensare che nel 2011, alla vigilia dello shock fiscale causato dalla crisi del debito sovrano, era pari al 10,5% del Pil e che, addirittura, nel 1995, prima dell’introduzione delle addizionali locali, si fermava all’8,4%. La riforma fiscale non può non farsi carico di questa problematica. Come più volte abbiamo sostenuto, il peso dell’Irpef grava soprattutto sui redditi del ceto medio ed è evidente anche da questa analisi come negli ultimi dieci anni il peso dell’Irpef su questa categoria di contribuenti sia aumentato a dismisura. Se volessimo riequilibrare le cose e riportare il rapporto tra l’Irpef e il Pil ad una dimensione normale, potremmo parametrarlo alla media europea pari al 9,6%. In questo modo, restando ai dati a consuntivo del 2020, occorrerebbe ridurre il gettito complessivo di almeno 33 miliardi di euro”.

“L’orto fascista” Romanzo / 12

ERNESTO MASINA

L’Orto Fascista

Romanzo

PIETRO MACCHIONE EDITORE

 

In copertina:
Breno, Piazza Generale Ronchi, già Piazza del Mercato, fotografia d’epoca.

 

XLVII

Lucia non aveva avuto tempo per pensare quale seguito dare alla sua avventura bresciana e quali decisioni prendere, distratta, come tutti in paese, da quanto successo. Aveva, di sfuggita, ipotizzato di parlarne con il marito cercando di trovare le parole giuste per descrivere una situazione che avrebbe lasciato perplesso chiunque. Ma un dubbio l’aveva assalita da subito e un po’ terrorizzata.
E se, per non sovraccaricarsi di problemi, il marito si fosse dimostrato indifferente alla gravità della cosa?
Da tempo aveva capito quanto lui si fosse staccato da lei e, addirittura a volte, la considerasse persino un peso. Di sicuro non mostrava alcun affetto nei suoi confronti. L’aveva dimostrato anche con la mancanza di preoccupa- zione la sera del suo rientro da Brescia a notte fatta. Sapendo dove si era recata avrebbe potuto telefonare all’Ovra per avere notizie e non lo aveva fatto. Al suo ritorno non le aveva neppure chiesto se stesse bene, o se avesse avuto qualche contrattempo. No, solo un bacio frettoloso sulla porta di casa ed un arrivederci al giorno dopo. Tutto questo colpiva enormemente il suo orgoglio, l’orgoglio di una donna che si sapeva intelligente, sicura- mente più colta del marito e molto desiderata dagli uomini. Se avesse appurato l’indifferenza del coniuge gliela avrebbe fatta pagare. Sapeva a chi rivolgere le sue attenzioni andando a colpo sicuro e, questa volta, per appaga-re sé stessa e non le smanie di carriera del marito.
In fin dei conti quel farmacista che si era fatto avanti tempo prima non era sicuramente un uomo da buttar via. Forse era stata troppo drastica nel respingerlo. D’al- tra parte rivolgere pubblicamente lo sdegno che nutriva nei riguardi di quel lurido Parroco poteva essere pericoloso e rivoltarsi contro di lei. Dopo il suo intervento all’arresto dei suoi paesani da parte delle SS, il prete era diventato, agli occhi di tutti, fascisti e non, quasi un eroe. Non sarebbe riuscita a rendersi credibile. Inoltre avrebbe dovuto giustificare la sua presenza negli uffici dell’Ovra in un momento assai delicato per il Regime. Avrebbe avuto bisogno dell’appoggio delle autorità fasci- ste, ma quale sarebbe stato il prezzo che avrebbe dovuto pagare per ottenerlo? Qualche dubbio sul modo di agire dei fascisti e dei tedeschi cominciava a insidiarla.

Il pomeriggio del giorno dopo la brutta avventura si era incontrata con l’amica Annetta. Questa, ancora sotto shock, le aveva raccontato quanto si era verificato in sua presenza nella casa-prigione. La descrizione particolareggiata delle sevizie alle quali era stato sottoposto il Fausto Domeneghini l’aveva sconvolta ed il fatto che il marito avesse in qualche modo tacitamente approvata l’azione dei tedeschi le dava il voltastomaco. Desiderò cancellare il ricordo degli ultimi avvenimenti. Si sentiva sola, triste e priva di quelle sicurezze che da anni la sostenevano.
Fu così che decise di non compiere alcun atto contro il Parroco: in fin dei conti, ammise, non era stata violentata
– se non moralmente, ma forse dava un po’ troppa importanza al fatto. L’unico, orribile, contatto con il corpo del prete era stato quando lui aveva insinuato le mani tra l sue cosce. L’unico, almeno, che lei ricordasse. Ma in fin dei conti poteva essere lo scotto da pagare, la giusta punizione alla indegna disponibilità che aveva preso di soddisfare voglie di altri uomini per avvantaggiare la carriera del marito. Giunta a questa decisione si sentì immediatamente meglio. Forse avrebbe fatto un salto in farmacia a comprare qualche cachet se le fosse tornato il mal di testa, ma in effetti per farsi vedere dal farmacista e chissà… Il Temperini aveva ripreso la sua vita abituale. Ora che il pericolo che si verificassero altre conseguenze all’attenta- to, sembrava passato, aveva una gran voglia di racconta- re a tutti la parte – Eroica, ragazzi. Mica da ridere porta- re a spasso della dinamite. E se non ci fossi stato io chi avrebbe avuto il coraggio di farlo? – avuta nell’atto di ribellione ai tedeschi. Più di una volta al bar si era morsicato la lingua per evita- re di lasciarsi andare ad un racconto, romanzato, di quan- to aveva fatto. Ma non poteva assolutamente coinvolgere i suoi soci in eventuali conseguenze e non era, comunque, il caso di rischiare. Ormai i partigiani al nord e gli anglo- americani che stavano risalendo l’Italia stavano dando un colpo mortale alla resistenza fascista e ai tedeschi.
La Liberazione stava avvicinandosi. Bisognava avere pa- zienza, aspettare, ma dopo quanto avrebbe avuto da rac- contare! E intanto ci ricamava su col pensiero, aggiungen- do ai fatti realmente accaduti particolari inventati per ren- dere la descrizione più gustosa e affascinante.
“Signora Lucia, vederLa è sempre un gran piacere per gli occhi. Grazie per la visita. Cosa posso fare per Lei?” dis- se, col più bello dei sorrisi possibili, alla maestra quando entrò in farmacia.

 

 

XLVIII

Lo chiamavano tutti Cantamessa da così tanto tempo che nessuno ricordava più il suo vero nome. Il soprannome era dovuto al fatto che passava tutta la giornata, qualsiasi lavoro facesse, cantando inni sacri, la messa solenne in un approssimativo latino – che nessuno comunque sapeva correggere – a volte avventurandosi in qualche Canto Gregoriano. Aveva una discreta voce baritonale che contrastava con il suo fisico minuto, che però era provvisto di una gabbia toracica davvero abnorme. Diceva di aver imparato tutta quella roba di chiesa quando faceva il giardiniere presso il seminario di Bergamo dove aveva studiato don Pompeo. Del Parroco però, inspiegabilmente, non voleva parlare, lasciando capire di aver ricevuto dal
giovane seminarista qualche ingiustizia. Viveva poveramente traendo qualche frutto da un orto nel quale curava una serra. Lì coltivava poche piante da fiore che vendeva, più che altro in occasione delle festività. Lavorava anche a giornata presso alcuni possidenti quando era il periodo della potatura delle viti e degli alberi da frutta.
In questo era molto bravo e quindi ricercato. Ma vigne- ti e broli non erano così tanti da procuragli soldi sufficienti a una esistenza decente. Arrotondava con la raccolta delle castagne, dei funghi e con la vendemmia. Un giorno che stava camminando verso casa, incontrò Ernesto, lo fermò e gli chiese: “Sei tu il responsabile dell’orto dei bambini?” Avutane risposta positiva continuò: “Quest’anno non piove e non ha voglia di nevicare. Il grano è spuntato ma se non lo bagnate finisce che secca e muore”.
Era uno che se ne intendeva, lo riconoscevano tutti e il bambino, che ne aveva sentito parlare dagli adulti, tenne in grande considerazione il consiglio. Sorrise al vecchio, ringraziandolo, e la mattina successiva chiese alla maestra il permesso di recarsi, insieme al fido amico Bertolasi, a bagnare l’Orto Fascista. Gli era stato consigliato dal Cantamessa e quindi era sicuramente cosa da fare. Entrambi i ragazzi avevano una preparazione superiore alla media della classe: nulla in contrario, da parte della maestra, se saltavano qualche ora di lezione.
Fu così che i due bambini uscirono da scuola. Avevano bisogno di un innaffiatoio e Ernesto sapeva dove trovarlo. Tornò a casa e raggiunse il fondaco ove la vecchia zia Erminia, sorella del nonno e vedova da anni, teneva i suoi attrezzi. L’Erminia aveva tre grandi amori: il Padreterno, che onorava assistendo ogni giorno alla Santa Messa con Comunione, i suoi sette gatti per i quali si sarebbe sottratta, se necessario, il cibo di bocca, e i suoi gerani. Questi erano, tutti gli anni, i più belli del paese e lei ne riempi- va i davanzali delle finestre e le ringhiere dell’ampio ter- razzo che dava sulla piazza Mercato. Si diceva che riuscisse ad ottenere foglie verdissime e fiori dai colori brillanti bagnandoli con acqua mista alla sua urina.
Chi però, in paese, aveva provato questa forma di “concimazione” ne aveva ottenuto risultati opposti. Le pian- te avevano, in breve tempo, perso le foglie e i fiori appassivano. Forse sbagliavano il dosaggio o forse la loro urina non aveva la qualità di quella dell’Erminia.

Lei era gelosissima dei suoi attrezzi e quindi bisognava prendere quello che ai ragazzi serviva senza farsi vedere. Chiedere il permesso sarebbe stato inutile. La vecchia zia avrebbe trovato di sicuro una scusa per non affidare qualcosa a Ernesto del quale, data la sua giovane età, non si fidava. Vi erano diversi tipi di innaffiatoi e i ragazzi ne scelsero uno, non troppo grande da essere per loro troppo pesante né troppo piccolo che obbligasse loro a fare, troppo spesso, avanti indietro tra l’orto e la fontana. Sgusciarono fuori dal cortile tenendosi rasenti al muro di casa per non farsi vedere; fecero mezzo giro della piazza per allontanarsi dalla vista dell’Erminia, si accostarono alla fontana e riempirono il contenitore. Dopo due ore di duro lavoro i ragazzi, nonostante la giornata fredda dei primi di dicembre, erano sudati e stanchi morti. Decisero di interrompere il lavoro per riprenderlo, se avessero avuto il permesso della maestra, l’indomani.
Pensarono di non riportare l’innaffiatoio a casa: correva- no il rischio di essere scoperti o subito o l’indomani mattina quando lo avrebbero dovuto nuovamente prelevare. Che si scoprisse l’ammanco era praticamente impossibile, non era tempo di gerani e la vecchia zia non aveva alcuna ragione di andare nel fondaco a controllare.
Avrebbero ricoverato l’innaffiatoio nel gabbiotto degli attrezzi. Chi avrebbe potuto rubarlo?

 

Il Mario andò dal bidello della scuola per farsi dare la chiave del lucchetto. Al suo ritorno aprirono il portoncino e Ernesto cercò, spostando gli attrezzi che erano al- l’interno, di fare spazio. Muovendo il sacchetto di se- menti avanzate alla semina autunnale, nel semibuio del piccolo locale, improvvisamente gli apparve una cosa strana: una specie di candela grigia con una corda che usciva da uno dei capi. Allungò una mano e la prese portandola all’esterno. Sia lui che il Bertolasi esclamarono all’unisono “Ma questo è un candelotto di dinamite!” Cosa farne? Portarlo ai Carabinieri o nasconderlo in qualche posto? Entrambi capirono che doveva far parte dell’esplosivo che era stato usato per far saltare in alto la vettura e uccidere il soldato tedesco. Era qualcosa che scottava. Ernesto era il responsabile dell’orto. Non è che potessero incolparlo di qualche cosa?
“Facciamolo sparire, dai! Poi ci penseremo” concordarono. Vuotarono il sacchetto delle sementi, ci misero il candelotto e chiusero il gabbiotto.

 

XLIX

Per tutti i bambini della bergamasca e del bresciano il giorno più felice dell’anno è il 13 di Dicembre. Nel giorno in cui si festeggia Santa Lucia non vi è bambino, anche se di famiglia poverissima, che non riceva qualche dono. Santa Lucia, di origine siracusana, protettrice dei ciechi, è ricordata anche perché elargì il suo immenso patrimonio ai poveri. Da tempo immemorabile in quelle zone ha preso il posto di Gesù Bambino e di Babbo Natale. E’ giorno feriale ma le scuole rimangono chiuse per per- mettere, a chi li riceve, di giocare con i regali portati
dalla Santa. Anche in tempo di guerra, quando la povertà dilagava, quasi nessun bambino rimaneva senza un regalo, anche solo una fionda, fatta da un ramo biforcuto di nocciolo con due pezzi di camera d’aria di bicicletta, o una palla di pezza. Quell’anno Ernesto quando si alzò, dopo una notte quasi insonne per l’attesa, trovò un regalo magnifico che lo fece impazzire di gioia. Un pallone di vero cuoio! Una cosa difficilmente trovabile in un periodo di autarchia, frutto, forse, di una ricerca fatta da suo padre.
Il pallone mandava un profumo del quale Ernesto si riempì i polmoni. Gridando “Grazie, grazie, grazie!” scese precipitosamente le scale in cerca degli amici con i quali voleva condividere la sua gioia. Li trovò tutti con in mano il loro regalo che presto dimenticarono attratti da quella splendida sfera di cuoio che prometteva, final- mente, di giocare veramente “al calcio” e non, come erano abituati, con delle palle di stracci.
Si riunirono subito in piazza Mercato, fissarono dei segni per stabilire i margini delle porte e poi cominciarono a formare le squadre.
Grandi discussioni: coppie che avevano giocato per tanto tempo insieme che non si volevano dividere ma che erano costrette a farlo per equilibrare le forze in campo; nessuno che voleva fare il portiere che è sempre destina- to a toccare pochi palloni e che, se si deve “tuffare” per parare, nel caso specifico lo doveva fare su un terreno ricoperto di sassi; il solito primo della classe che voleva essere l’arbitro e giudice unico per punire, a suo piaci- mento, i ragazzi che gli stavano antipatici; nessuno che voleva in squadra il Bertolasi che era considerato un veneziano perché non passava mai la palla; ecc. ecc.

Finalmente fu tutto stabilito. Si stava per dare inizio alla partita quando, rombante, arrivò il sidecar dei tedeschi. Il pilota andò a posizionarlo a dieci metri dall’albergo Fumo, quasi al centro del campo ove si sarebbe giocata la partita. I ragazzi protestarono rumorosamente ma il tedesco non capì cosa volessero o, molto più probabil- mente, fece finta di non capire ed entrò nell’albergo.
Ci fu un veloce conciliabolo ma la frenesia nei ragazzi era tanta e la partita ebbe inizio.
Quando la squadra di Ernesto vinceva per 2 a 0, ed il nervosismo già dilagava nella formazione avversaria, il Giacomino, terrore di tutti i portieri per le “staffilate” che riusciva a far partire da due piedoni sistemati al termine di gambe possenti, si accinse a tirare una punizione. L’intervento dell’arbitro e la punizione contro la squadra di Ernesto era stata lungamente contestata ma, alla fine, correttamente accettata. Il Giacomino intende- va tirare direttamente nella porta che distava almeno 30 metri, prese una lunga rincorsa e fece partire un tiro vio- lento. Il pallone, colpito con troppa foga e non con la punta della scarpa, non seguì la traiettoria sperata ma andò a colpire violentemente il fanale anteriore del motociclo tedesco, facendolo andare in mille pezzi.
Il silenzio che cadde in piazza fu interrotto dalle urla del pilota del mezzo che, avendo assistito all’accaduto dalla finestra della sua stanza al secondo piano, si era precipitato giù dalle scale. Appena uscito il militare si fermò, mettendosi le mani nei capelli, nel vedere il disastro che si presentava ai suoi occhi. Si avvicinò lentamente al motociclo, lo guardò con nello sguardo la stessa apprensione con la quale un padre può guardare un figlio gravemente ammalato. Fu uno sguardo lungo, profondo, doloroso.
“Ciapal nel cul” disse sottovoce il Bettino che non perde- va occasione per mettere in luce le sue doti di scurrilità. Poi il tedesco si abbassò, prese il pallone che era rimasto incastrato, non si sa come, tra la ruota anteriore ed il telaio del sidecar. Con il braccio quasi lo circondò tenendolo all’altezza della vita. Lentamente tolse il pugnale dal fodero che aveva legato alla cintura. Alzò il braccio e fece calare con violenza il pugnale sul pallone mentre un coro di “NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO” si
levava dai bambini.

Buttò il pallone, squarciato e ormai inservibile, per terra e guardò con aria di sfida i ragazzi che erano rimasti impietriti. Ernesto si fece avanti mentre i suoi amici lo guardavano con amicizia e compassione. Arrivato all’altezza del tede- sco raccolse il pallone, o meglio quello che era rimasto del pallone. Non disse neppure una parola ma lasciò an- dare un violento calcio alla gamba dell’uomo che, però, non subì alcun danno essendo riparata dai pesanti stiva- li. Anzi, la cosa divertì molto il militare che se ne andò ridendo scompostamente mentre il bambino, che regge- va il pallone tra le braccia quasi fosse un essere vivente, raggiunse il cancello della casa dei nonni e singhiozzan-do si lasciò cadere a sedere per terra.
“Questa me la paga, giuro che me la paga”.

 

L

“Ci vediamo questo pomeriggio alle due al covo” aveva detto l’Ernesto prima di raccogliere quello che era stato un pallone e tornarsene, tristemente, a casa. Adesso erano lì tutti in quel piccolo locale in pietra semi- diroccato, sulla stradina che portava al Castello. Era abbandonato da anni e nessuno più ricordava chi fosse il proprietario e perché fosse stato costruito. Conservava ancora una porta che si apriva con difficoltà ostacolata dal terriccio che si andava accumulando all’interno del locale. Le due finestrelle erano prive di una qualsiasi chiusura. Per i ragazzi era comunque il “covo”, il posto ideale, cari- co di mistero, dove amavano trovarsi per organizzare qualche avventura. Erano tutti eccitati perché, di sicuro, come aveva preannunciato Ernesto si sarebbe presa una decisione per vendicarsi del danno subito. Il pallone, an- che se aveva, o meglio aveva avuto, un unico proprieta- rio era come se fosse, o fosse stato, un po’ di tutti.
Fu eseguito il solito rito di introduzione. Tutti giurarono solennemente, incrociando gli indici più volte sulle lab- bra, che quanto detto o ascoltato non sarebbe stato riferito, mai e per nessuna ragione, ad alcuno. Tutti sputarono al centro del cerchio che avevano formato con i loro corpi: era ritenuto un gesto scaramantico.
Poi iniziò la discussione. C’era chi suggeriva di fare una dimostrazione sotto le finestre delle camere dei tedeschi con cartelli pieni di offese; chi voleva pisciare all’interno del vano del sidecar dove si ospita il passeggero; chi ne voleva bucare le ruote; chi, ancora, molto più semplicemente, voleva scrivere una lettera al Comando Tedesco di Brescia chiedendo un nuovo pallone. Il Bettino, che desiderava sempre esibirsi in volgarità, pro- pose che sulla carrozzeria del sidecar venisse scritto: “Chi guida è una testa di cazzo”.
Alla fine prese la parola, nel silenzio generale, Ernesto. Fu lapidario:
“Il sidecar? Glielo facciamo saltare in aria!”.

Tutti pensarono a una battuta. Tutti tranne il Mario che capì subito che l’amico si riferiva all’impiego del candelotto di dinamite trovato nel gabbiotto dell’Orto Fascista. Ernesto, troppo emozionato dalla decisione presa, disse al Mario di raccontare a tutti come poteva essere fatta la cosa.
Un brivido di eccitazione corse nelle vene dei ragazzi. Si stava affrontando una storia vera, una storia che sarebbe passata ai posteri per la sua importanza. Fu deciso di attendere che il motociclo venisse riparato. Poi, di notte, lo avrebbero fatto saltare in aria.
Si accettavano volontari per compiere la vendetta. E’ inutile dire che tutti si candidarono, ma dovevano essere al massimo tre o quattro i ragazzi coinvolti per non dare troppo nell’occhio.
Il piano fu proposto da Ernesto. Ci aveva pensato e aveva deciso che sarebbe stato il più semplice possibile: da por- tarsi a termine nel giro di pochi minuti per non correre il rischio di essere scoperti. Venne scartato il Mario che abitava molto lontano e avrebbe impiegato troppo tempo per raggiungere, dopo il fatto, casa sua. Ernesto aveva pensato di usare la collaborazione attiva del Giacomino, che abitava nella parte ovest della vecchia villa dove anche lui abitava, e del Giovanni Pivetti. Questo, anche se chiamato Cagasotto, per non aver mai dimostrato molto coraggio quando c’era da compiere qualcosa di pericoloso, era una ragazzo sveglio, preciso e affidabile.
Per non demoralizzare nessuno Ernesto distribuì un in- carico, che lui definiva “speciale” a quasi tutti, in modo che tutti si sentissero veramente partecipi al grande evento.
Lui e il Giacomino, verso le ventitré del giorno stabilito, avrebbero raggiunto il motociclo e messo sotto il telaio il candelotto di dinamite. Accesa la miccia, se la sarebbero data a gambe per il vicolo dei Broli, quello che passa dietro l’albergo Fumo. All’altezza del muro del cortile del Giacomino, il Pivetti avrebbe fatto trovare una scala già posizionata per poter raggiungere la cima del muro e calarsi dall’altra parte. Dopo essere stata usata, la scala sarebbe stata riportata nel fienile dei Pivetti e rimessa al suo posto. Raggiunto il cortile, Giacomino sarebbe rientrato a casa attraverso una finestra, lasciata appositamente aperta, mentre Ernesto avrebbe raggiunto l’orto dei nonni, scavalcando il muretto di divisione, e quindi an- che lui rientrato in casa sua.
Lo scoppio, che sicuramente sarebbe stato sentito da tut- ti gli abitanti della piazza, avrebbe creato molta confusione e paura e la presenza in giro dei bambini sarebbe rimasta inosservata.

 

 

LI

Passò una lunga settimana prima che i pezzi di ricambio giungessero, probabilmente dalla Germania, maalla fine il nuovo fanale del motomezzo fu montato. “Dobbiamo farlo questa sera” sussurrò Ernesto, che era arrivato tardi a scuola e non ne aveva potuto parlare prima con il Mario. “Passa parola, poi ti spiego. Tutti al covo alle due”.
In breve tutti i ragazzi coinvolti furono avvisati e presi da una grande euforia giustificabile dall’incoscienza della giovane età. All’ora prestabilita erano presenti tutti. Furono ripassate le parti ed apparve, tra l’emozione di tutti, il famoso candelotto. Ernesto spiegò che non vi era più tempo, perché sua mamma sperava che il papà potesse venire a Breno per passare con loro, in occasione del Natale, qualche gior- no di riposo. Lui, con in giro suo padre, non se la sentiva di agire.
Purtroppo nessuno ancora possedeva un orologio da polso e quindi ci si doveva attenere agli orari dettati dal campanile.
Ernesto e Giacomino si erano organizzati per incontrar- si, sempre nascostamente, la sera e tenersi compagnia ma soprattutto tenersi svegli. Ma del Pivetti ci si poteva fida- re? Suo padre faceva il turno di notte presso la Ferriera e usciva di casa alle 21. La madre, dopo una giornata di lavoro, che iniziava alle cinque e mezza come addetta alle pulizie nel locale ospedale, alla sera alle otto crollava per la stanchezza e se ne andava a dormire. Addormentata la mamma ed uscito il padre, il Pivetti avrebbe raggiunto Ernesto e Giacomino, e insieme avrebbero atteso l’ora per agire. E così si fece.

All’albergo Fumo l’Hauptmann Reserve Franz non riusciva a dormire. Negli ultimi tempi, con l’avvicinarsi del Natale, aveva sempre più nostalgia della sua famiglia e soprattutto della moglie. Sarebbe stato il secondo Natale consecutivo che passava lontano da casa per combattere una guerra che riteneva sempre più ingiusta e ormai definitivamente persa. Non ce la faceva più a sopportare quegli sguardi di odio che gli giungevano dagli italiani quando girava per Breno o nei paesi vicini.
Superato il trauma per la morte di Berndt e per l’arrivo dello Sturmbannführer, si era anche rammaricato di aver trattato, la sera dell’attentato, in quel modo violento la povera Benedetta che, sicuramente, non poteva aver partecipato all’organizzazione dell’attentato. Con il suo modo di fare aveva perso anche lei. Poter fare all’amore con una donna che tanto gli ricordava sua moglie sarebbe stato sicuramente un palliativo per la sua solitudine, ma, comunque, un bel palliativo. Almeno dieci volte aveva avuto la tentazione di avvicinarla e di scusarsi, ma il suo “onore” di soldato aveva avuto sempre il sopravvento e glielo aveva impedito. Continuò a rigirarsi nel letto sino a quando gli venne voglia di mangiare un po’ di cioccolata.
– Allora è vero – pensò – che la cioccolata è un aiuto alla mancanza di affetto. Sono veramente messo male, alla mia età. –
Si alzò, prese una delle tavolette che ogni tanto gli arrivavano dal Comando di Brescia e si mise a mangiarla avvicinandosi alla finestra.
Era una triste nottata, come tante altre con le luci spente ed il silenzio assoluto del paese che dormiva.
Da tempo non pioveva, quell’anno non aveva neppure nevicato e le strade del paese erano sporche, le case gri- gie. Nel buio sembravano ancora più scure. Ah che bello il suo paese in mezzo alle montagne della Baviera quando la neve scendendo rendeva tutto candido e pulito. – Che desiderio ho, che grande desiderio di pace! – pensò. Quando il campanile cominciò a suonare gli undici colpi, dal cancello di casa Ronchi uscirono tre bambini. Due proseguirono tagliando diagonalmente la piazza in direzione dell’Albergo; il terzo si diresse a destra raggiungendo il vicolo dei Broli.
Franz, fermo davanti alla finestra, vide qualcosa muoversi in piazza ma, al momento non vi fece caso, così perso nei suoi nostalgici pensieri. Poi vide chiaramente due bambini che si avvicinavano, con qualche cautela, al sidecar.

– Due bambini? A quest’ora? Cosa ci fanno in giro due bambini? Qualcosa di veramente strano. – Cercò di capire se e come doveva agire. Probabilmente i ragazzi volevano fare solo uno scherzo: magari sgonfiare una delle ruote del motociclo. Ciò avrebbe mandato su tutte le furie, la mattina dopo Sebastian, il conducente. Se avesse aperto la finestra e si fosse messo ad urlare, o, peggio ancora, avesse esploso un colpo di pistola in aria, i ragazzi avrebbero desistito dal loro intento e sarebbero scappati. Ma alle sue urla, o al colpo di pistola, tutta la piazza si sarebbe svegliata, i ragazzi sarebbe nel frattempo spariti, e lui alla vista dei brenesi sarebbe apparso co- me un pazzo urlante, o peggio come un pazzo armato, alla finestra davanti ad una piazza deserta.
Aprì comunque la finestra ma decise di attendere. I ragazzi erano ormai arrivati al sidecar. Improvvisamente vide una fiammella, poi sentì lo sfrigolio caratteristico di una miccia che brucia.
E allora capì, ma era troppo tardi. Quando la deflagra- zione avvenne, lui era fermo, impalato davanti alla finestra, incapace di muoversi.
Lo scoppio, pochi secondi di silenzio e poi il rumore dei pezzi del motociclo che, dopo essere stati proiettati in aria, ricadevano sull’acciottolato.
Fu questo rumore che lo richiamò alla realtà. Alla triste realtà. L’Hauptmann Reserve Franz si sentiva svuotato dall’onore di soldato che lo aveva sostenuto per tanto tempo nelle avversità. Il suo onore era stato disintegrato insieme al sidecar.
Cadde in ginocchio davanti alla finestra e si mise a piangere, a piangere per quanto aveva perduto; per la guerra che odiava e che non avrebbe mai voluto combattere; per quel pazzo del Führer che voleva continuarla; per quello che sarebbe stato il suo futuro, ora che per incapacità non aveva saputo evitare l’attentato compiuto nientemeno che da due bambini; per la prima linea, al fronte, alla quale sarebbe stato inviato per punizione; per i grandi e sodi seni di sua moglie che chissà per quanto tempo ancora non avrebbe potuto baciare; per i biondi capelli dei sui figli, che non vedeva da tanto, troppo tempo, e che aveva tanto desiderio di accarezzare; per il suo bel paese che gli man- cava immensamente e che in quei giorni si apprestava a festeggiare un Natale forse imbiancato dalla neve. Un tri- ste Natale, ma comunque sempre un giorno che è festa solo in presenza di bambini e persone care.
Allungò una mano e prese da sopra il cassettone la pistola di ordinanza. Pensò intensamente ai propri genitori morti da poco, ai figli tanto amati, alla sua dolce moglie. Poi ebbe una visione: sua mamma gli si avvicinava, gli scompigliava affettuosamente i capelli come faceva spesso quando lui era bambino, lo prendeva per mano e lo portava con sé.
Ma questo avvenne prima o dopo che ebbe tirato il gri letto?

 

 

LII

Icinque militari tedeschi, svegliati dall’esplosione, si precipitarono fuori dall’albergo e rimasero in silenzio,
scioccati dallo spettacolo che era davanti ai loro occhi. Il terreno stava ancora fumando e piccoli pezzi di quello che era stato un sidecar erano sparsi dappertutto.
Nessun rumore proveniva dal paese; nessuna persiana si era aperta anche se, sicuramente, gli abitanti della piazza guardavano tra una stecca e l’altra il teatro dell’attentato. Il pilota del sidecar si era chinato a raccogliere la sella del posto di guida che era rimasta stranamente intatta. La stringeva a sé guardandola intensamente, come se tra le mani reggesse un figlio.
Dopo qualche minuto i militari si accorsero che in piazza non vi era il loro comandante. Il soldato che aveva preso il posto di Bernd come aiutante dell’Hauptmann Reserve, si precipitò su per le scale per raggiungere la sua stanza. La trovò chiusa a chiave. Bussò violentemente senza ricevere alcuna risposta. Allora si precipitò alla finestra del corridoio chiamando i suoi commilitoni che lo raggiunsero di corsa. Il più gros- so dei cinque si buttò, di peso, contro la porta che si staccò dai cardini cadendo rumorosamente a terra.
Sul pavimento giaceva il grosso corpo del loro comandante, con il cranio sfondato dal colpo della pistola che era ancora nella sua mano. Gli uomini rimasero come paralizzati, mentre il senso di rabbia che si era scatenato dopo quanto visto nella piazza lasciava ora il posto allo sgomento e alla paura.
Sollevarono il corpo dell’Hauptmann Reserve e lo trasportarono adagiandolo sul letto. Su quello che rimaneva del viso appoggiarono il suo cappello per impedirne la vista. Avvisarono di quanto era avvenuto nella stanza di Franz il proprietario dell’albergo che, ancora in pigiama, si trovava come inebetito sulla porta che dava sulla piazza sen- za riuscire a pensare cosa sarebbe stato più logico fare. Tramite la radio da campo informarono il comando di Brescia dell’attentato e del suicidio del loro comandante. Poi, in attesa di ordini, sempre più impauriti, si chiuse- ro in una stanza con le armi pronte a sparare. Verso l’alba cominciò a nevicare. Ai radi fiocchi iniziali fece seguito quasi una tempesta di neve che imbiancò in breve tempo le strade, i grigi tetti di beole e i balconi delle case. Con un passa parola, sempre a persiane chiuse, tutto il paese venne informato di quanto accaduto in piazza Mercato e del suicidio dell’ufficiale.
Nessuno aveva il coraggio di uscire di casa temendo una violenta reazione dei tedeschi.
Solo i bambini che, essendo le scuole chiuse si erano tro- vati un insperato giorno di vacanza, cercavano di convincere i genitori a lasciarli uscire, pregustando veloci discese con lo scargiulì, la caratteristica povera slitta della Val- camonica, sfruttando la prima neve dell’anno.
Dei soldati tedeschi nulla si sapeva. Rientrati in albergo, dopo il sopralluogo in piazza, erano spariti e non si conosceva quale decisione avessero preso.

 

 

In una calma apparente, verso le dieci il Podestà, accompagnato dal comandante della Muti, si era recato all’albergo Fumo per incontrare i tedeschi e mettersi a loro disposizione. Ma non erano stati ricevuti. Solo più tardi si decisero ad accettare la presenza del Par- roco che, dimostrando ancora una volta grande coraggio, aveva raggiunto l’albergo per amministrare una tardiva estrema unzione al morto. Don Cappelletti si era fermato a lungo raccolto in pre- ghiera ai piedi del letto dove giaceva Franz.
Si riteneva in parte colpevole per l’accaduto, pensando che l’espediente che aveva usato per evitare ritorsioni dei tedeschi dopo il primo attentato avesse spianato la via al secondo gesto dinamitardo. Tutti in paese si domandavano chi avesse avuto il corag- gio di compiere questo atto, ben sapendo quali potesse- ro essere le reazioni degli occupanti sulla popolazione.
La neve continuava a cadere abbondante quando, verso mezzogiorno, arrivò a Breno un autocarro Opel Blitz 6700 mandato da Brescia, con notevoli sforzi non essendo attrezzato a percorrere strade innevate. Il Comando tedesco di Brescia aveva infatti deciso di recuperare il corpo dell’ufficiale e di far rientrare i solda- ti rimasti, eliminando il presidio di Breno.
L’autocarro entrò nel cortile interno dell’albergo nel più assoluto silenzio e con la piazza completamente deserta. Il corpo di Franz fu sistemato in una bara inviata da Brescia sul camion e sui sedili, ai lati del cassone, prese- ro posto i soldati con i loro zaini e i loro armamenti.
Quando l’autocarro ritornò sulla piazza, l’autista la trovò occupata da centinaia di persone. Uomini e donne di tutte le età, immobili, in silenzio.
Non erano venuti ad assistere alla partenza del nemico sconfitto, ma per un atto di pietà verso il suicida. Rispetto che forse solo gli italiani hanno verso la morte, chiunque essa abbia colpito.
Il camion sparì agli occhi dei presenti nel turbinio di neve, portandosi via i resti di un’avventura crudele, drammatica. Ma solo un atto di quella tragedia più complessa che è la guerra.

 

LIII

E ra quasi l’ora dei Vespri. Don Arlocchi stava leggendo il breviario seduto in cucina, davanti al camino della povera casa dove abitava. La legna si era completamente
consumata e le braci mandavano sempre meno calore. Comunque il vecchio prete godeva ancora di quel tiepido che rimaneva nella piccola cucina. Fra poco sarebbe andato a pregare nella chiesa parrocchiale al gelo di quella sera di dicembre. Probabilmente sarebbe stato solo con il sagrestano: le vecchiette non si sarebbero fidate ad uscire nelle buie strade innevate e sdrucciolevoli.
– Potrei recitarli qui, i Vespri, magari invitando il Sile- strini – ma sapeva che non era possibile.
Il freddo gli acuiva i dolori alle giunture e gli complica- va la già precaria respirazione. Ma il sant’uomo offriva tutte le sue sofferenze al buon Dio, con la speranza di poter un giorno essere ammesso in Paradiso. Tutta l’eternità in Paradiso! Nella più completa beatitudine.
A volte questo pensiero lo spaventava. La sua era stata una vita di sofferenze, anche se per rispetto al Creatore non voleva ammetterlo. Non era preparato alla gioia, al benessere, alla beatitudine, appunto. E se Dio si fosse indignato con lui nell’accorgersi che non riusciva ad apprezzare appieno il dono che gli veni- va offerto?

 

Quasi quasi mi converrebbe un passaggio dal Purgatorio – aveva qualche volta pensato. Un modo per pregustare quanto avrebbe raggiunto e per allenarsi a goderne appieno.
Si alzò dalla sedia e stava per portarsi alle spalle il pesante tabarro che lo avrebbe riparato nel tragitto sino alla chiesa, quando sentì bussare.
Speriamo non sia un seccatore, se no finisce che arrivo tardi in chiesa – pensò. Aperta la porta si trovò davanti tre bambini che parve riconoscere.
“Cosa volete bambini? E cosa fate in giro a quest’ora al buio? Dunque, vediamo se ricordo bene. Tu sei l’Ernesto, il nipote del Generale, tu… aspetta, aspetta, sei il Giacomino e tu il figlio del Pivetti. Ma non mi ricordo il nome.” “Sia lodato Gesù Cristo, padre. Sì sono il Giovanni Pivetti.”
“Cosa volete da me? Ditemi in fretta che devo andare in chiesa a recitare i Vespri e magari qualcuno mi aspetta. Mi sa che non ci sarà nessuno ma ci devo andare lo stes- so. Forza, chi parla per primo?” I tre si guardarono brevemente tra loro e poi, come d’accordo, fu l’Ernesto a parlare.
“Don Arlocchi, volevamo sapere se è peccato far saltare in aria un sidecar. Soprattutto se è un peccato mortale.” Il prete rivide davanti ai suoi occhi la scena dell’incontro con il Russì e con il farmacista e la loro confessione.

Ma questi sono tre bambini! Cosa si stavano inventando? Saranno mica stati loro a provocare lo sconquasso della notte precedente? Probabilmente vogliono coprire il vero colpevole. Ma perché queste cose sempre a me capitano? Quando succedono fatti strani e violenti sempre da me vengono. Oltre al dolore alle giunture, al freddo della casa, alle strade innevate, che a percorrerle ho sempre il terrore di cadere, adesso mi arriva tra capo e collo anche questa grana – questi pensieri gli affollarono la mente mentre si sentiva venir meno.
– Cosa rispondere a questi bambini? Sì, certo, far “salta- re in aria” un sidecar, come loro avevano detto, non era certo un’opera buona. Era sicuramente far del male al prossimo perché il sidecar un proprietario ce lo aveva di sicuro. Quindi c’era di mezzo il secondo comandamento dei cristiani. Ama il prossimo tuo e quindi non fargli del male. Oppure il settimo. Non rubare! Distruggere una cosa d’altri è un po’come rubargliela. Ma… come affrontare l’argomento? Con dei bambini, poi. – “Sentite ragazzi, questa è una cosa un po’ complicata. Una cosa da grandi. Mica si può risolverla così sui due piedi. Chi ha fatto qualcosa di male venga a confessarsi. A tempo debito e nel posto giusto. Io non ho capito be- ne cosa avete tentato di dirmi. Comunque, a scanso di equivoci, pregate, pregate la Madonna che fa sempre be- ne. E adesso scusatemi ma io devo andare. Filate a casa che i vostri genitori vi staranno aspettando e magari sono in pensiero. Sia lodato Gesù Cristo” e chiuse la porta. I ragazzi corsero giù dalle scale e, appena in strada, si fermarono. La neve continuava a cadere e ormai aveva superato i trenta centimetri.
Rimasero un attimo in silenzio e poi il Giacomino disse: “Ve l’avevo detto io che non avevamo fatto nessun peccato. Se no il don Arlocchi ce lo avrebbe detto e avrebbe preteso che ci confessassimo subito. Ciao ragazzi, ci vediamo domani!” e se ne andò correndo. “Penso proprio che abbia ragione lui. Ciao” disse Gio- vanni e anche lui si allontanò di corsa.
Meno male! – si disse l’Ernesto e, rinfrancato, si avviò verso casa.

FINE

Prima giornata in chiaroscuro per Juve e Toro

La prima giornata di campionato va in archivio e possiamo tirare le prime somme di quello che sarà il campionato 2021/22:nessuna sorpresa e solo conferme.Tra le prime 7 squadre favorite ad occupare i primi posti hanno vinto in 6 come da pronostico a parte la Juve.Poi c’è il troncone centrale che va dall’ottavo al sedicesimo posto con tutte le altre squadre ed infine Spezia,Salernitana,Empoli e Venezia,dal 17esimo al 20esimo posto:3 di queste retrocederanno.La Juve lotterà per lo scudetto,il Toro per un centroclassifica tranquillo,8/10 posto ma solo se arriveranno 3 titolari,ricordiamo che il mercato chiuderà martedì 31 agosto alle ore 23.Questa sarà la settimana decisiva per chiudere gli affari imbastiti in questi 2 mesi pieni di trattative.La Juve deve decidere cosa fare con Ronaldo,il fuoriclasse portoghese dà segnali d’insofferenza,andrebbe volentieri al Paris Saint Germain,Poi c’è Pjanic che verrebbe di corsa ma ha uno stipendio elevatissimo di 7 milioni che dovrebbe ridursi almeno del 40%.Capitolo cessioni,Ramsey e Mckennie hanno richieste ma bisogna capire quale squadra affonderà il colpo per aggiudicarseli.In casa granata si respira aria di sano ottimismo per l’ottima gara disputata contro l’Atalanta seppur terminata con una bugiarda sconfitta.Andranno via un po’ di giocatori che non fanno più parte del progetto tecnico di Juric.Oggi è stato ceduto Lyanco al Southampton per 7milioni.Rincon andrà al Genoa,Izzo al Cagliari in cambio di Walukiewicz

Arriveranno il centrale di difesa Becao dall’Udinese,il centrocampista centrale Pobega del Milan ed il trequartista Messias dal Crotone,per un Toro da tranquillo centroclassifica che darà fastidio anche alle grandi.

Vincenzo Grassano

Vaccini, fino al 15 settembre accesso diretto a tutte le fasce di età in alcuni degli hub del territorio

E’ stato esteso fino al 15 settembre l’accesso diretto a tutte le fasce in alcuni degli hub del territorio, per incentivare e facilitare il più possibile le vaccinazioni e le nuove adesioni.

L’elenco è consultabile sul sito della Regione.

Nei primi 6 giorni di accesso diretto sono stati in totale circa 21.000 i cittadini che hanno dato la loro adesione, così suddivisi per provincia: 11.511 a Torino, 2989 a Cuneo, 1918 a Novara, 1.759 ad Alessandria, 758 a Vercelli, 728 ad Asti, 664 Vco e 622 a Biella.

Per quanto riguarda le fasce di età: il 33,9% 12-19 anni, 16,5% 20-29 anni, 14,2% 30enni, 13,6 % 40enni, 11,3 % 50enni, 7,2 % 60enni, 3,3% 70enni.

Torna ad Alba la festa del vino di Go Wine

A fine settembre il centro storico di Alba diventa per due domeniche una “via del vino”!

Torna anche quest’anno ad Alba la Festa del Vino di Go Wine! Si tratta della XXIII edizione della manifestazione che porta in scena, nel centro storico della città, le espressioni vinicole più rappresentative del territorio di Langa e Roero.

Confermato anche per questa edizione il doppio appuntamento previsto per domenica 19 e domenica 26 settembre 2021.

L’iniziativa, promossa da Go Wine, è divenuta nel tempo un appuntamento molto amato dal pubblico degli appassionati enoici, italiani ed esteri; un format che, anche quest’anno, consentirà di percorrere l’itinerario di Piazza Risorgimento (Piazza Duomo) e la Via Cavour e Piazza San Giovanni, trasformando per un giorno il centro storico in una ideale ‘via del vino’.

 

In caso di maltempo la manifestazione verrà spostata presso una struttura coperta nelle vicinanze di Piazza Risorgimento.

La manifestazione coinvolge le realtà vinicole dei Comuni di Langa e Roero, mantenendo la sua connotazione di evento festoso, che richiama il tempo e il carattere gioioso della vendemmia, con la presenza delle realtà di promozione locale, delle cantine, delle botteghe del vino e delle associazioni di produttori.

In entrambi le giornate, dalle ore 14.00 alle ore 20.00 i produttori, organizzati attraverso i Comuni partecipanti, presenteranno in degustazione le loro produzioni e promuoveranno la loro realtà territoriale e le loro manifestazioni.

Dai celebri Barolo e Barbaresco, fiori all’occhiello del territorio, agli altri nobili vini delle Langhe e del Roero: il Nebbiolo d’Alba, il Roero, il Roero Arneis, la Barbera d’Alba, il Dolcetto d’Alba, di Diano e di Dogliani, e molti altri vini ancora.

Si annuncia un banco d’assaggio straordinario con molte etichette rappresentate: un’occasione straordinaria per conoscere nuovi e diversi prodotti, per assaporare il fascino di un percorso nel centro storico della città, conoscendo le tipicità che firmano le colline attorno ad Alba.

Ogni visitatore potrà effettuare le degustazioni acquistando il calice e la taschina, con la possibilità poi di scegliere e confrontare i vini proposti in degustazione.

 

In ogni giornata due turni di degustazione L’evento è organizzato in sicurezza e tenendo conto delle disposizioni in essere per il contenimento del coronavirus. Per tali ragioni abbiamo previsto due turni di degustazione, con numeri contingentati, a cui il pubblico potrà accedere su prenotazione. Invitiamo coloro che ci leggono ad attenersi cortesemente a tali prescrizioni, per evitare altrimenti assembramenti che non sono consentiti.

 

I PRODOTTI TIPICI

A fianco delle degustazioni verranno proposti sfiziosi abbinamenti gastronomici, grazie alla presenza di “artigiani del gusto”.

Lavori Gtt, Smat e Italgas: via XX Settembre chiusa al traffico dal 23 agosto. Deviate alcune linee

Da lunedì 23 agosto per lavori di GTT di rifacimento dei binari e dei gestori dei sottoservizi Smat e Italgas di rifacimento della rete fognaria e sistemazione delle condotte del gas, verrà chiusa al traffico in più fasi di via XX Settembre.

La prima fase riguarderà il tratto di via XX Settembre da corso Vittorio Emanuele II a via San Quintino, durante la quale – per consentire l’effettuazione dei lavori – è prevista la deviazione delle linee 4 – 11 – 11F – 15 – 27 – 55 – 57 – 58 – 58B – 92 del trasporto pubblico locale. Maggiori dettagli sul sito GTT: www.gtt.to.it/cms/

Il programma delle fasi successive prevede:

FASE 2:
– chiusa via XX Settembre da via San Quintino a via Gramsci
– chiuso controviale sud di corso Matteotti da via Volta a via XX Settembre
FASE 3:
– chiusa via XX Settembre da via Gramsci a via Arcivescovado
– chiusa via Gramsci da via Roma a via XX Settembre
FASE 4:
– chiusa via XX Settembre da via Arcivescovado a via Alfieri
– chiusa via Arcivescovado da via Arsenale a via Roma
FASE 5:
– chiusa via XX Settembre da via Alfieri a via Santa Teresa
– chiusa via Alfieri da via Roma a via Arsenale
FASE 6:
– chiusa via XX Settembre da via Santa Teresa a via Pietro Micca
– chiusa via Bertola da via Viotti a via San Tommaso
– chiusa via Santa Teresa da via Arsenale a via Roma

Il completamento dei lavori è previsto per il mese di gennaio 2022.

Dal virus di Whuan al virus Taleban

A cura di LINEAITALIAPIEMONTE.IT

Di Riccardo Ruggeri*

Dopo il Virus di Wuhan, e il suo pendant il Vaccino, inizierà una nuova pandemia di chiacchiere? Impossibile pretendere “cambiamenti” sulla base di teorie non supportate da una determinazione feroce di execution. Gli afgani l’execution l’hanno nel sangue, noi europei l’abbiamo persa settant’anni fa.

L’Europa ha rinunciato a essere una grande potenza, diventando un grande discount e una ONG moralizzante. Questo stravagante modo di ragionare “radical chic” sta portando l’Occidente alla sconfitta in ogni campo. Non ci resta che inginocchiarci anche ai taleban

Affrontare il problema Afghanistan in termini di analisi è, almeno per me, opera velleitaria e inutile, per cui me ne guarderò bene. Trovo ridicolo sputare sentenze su un Paese che dai tempi di Alessandro Magno ha respinto qualsiasi invasore, seppur dotato di eserciti potenti e in possesso di armi via via più moderne e sofisticate…

… continua a leggere: VIRUS TALEBAN

 

*Riccardo Ruggeri operaio Fiat per 40 anni poi Ceo di New Hollande, manager, imprenditore, giornalista, editore, scrittore.

Autorizzato da Zafferano.news, solo per abbonati (abbonamento gratuito)

Covid, lunedì 23 agosto: la situazione in Piemonte

COVID PIEMONTE: IL BOLLETTINO DELLE ORE 16,30

LA SITUAZIONE DEI CONTAGI

Oggi l’Unità di Crisi della Regione Piemonte ha comunicato 102 nuovi casi di persone risultate positive al Covid-19 (di cui 22 dopo test antigenico), pari allo 0,9% di 10.742 tamponi eseguiti, di cui 8.086 antigenici. Dei 102 nuovi casi, gli asintomatici sono 50( 49,0%).

I casi sono così ripartiti: 31 screening, 52 contatti di caso, 19 con indagine in corso; 1 Rsa/Strutture Socio-Assistenziali; casi importati : 6 ( di cui 4 dall’estero, 2 da altre regioni italiane)

Il totale dei casi positivi diventa quindi 374.688 così suddivisi su base provinciale: 30.557 Alessandria, 17.714 Asti, 11.787 Biella, 53.900 Cuneo, 29.181 Novara, 199.970 Torino, 14.015 Vercelli, 13.388 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 1.546 residenti fuori regione, ma in carico alle strutture sanitarie piemontesi. I restanti 2.630 sono in fase di elaborazione e attribuzione territoriale.

I ricoverati in terapia intensiva sono 12 ( invariato rispetto aieri).

I ricoverati non in terapia intensiva sono 143 (+ 3 rispetto a ieri).

Le persone in isolamento domiciliare sono 3.427.

I tamponi diagnostici finora processati sono 6.281.489(+ 10.742 rispetto a ieri), di cui 1.982.827 risultati negativi.

I DECESSI DIVENTANO 11.711

1 decesso (nessuno nella giornata di oggi) di persona positiva al test del Covid-19 è stato comunicato dall’Unità di Crisi della Regione Piemonte.

Il totale è quindi 11.711 deceduti risultati positivi al virus, così suddivisi per provincia: 1.567 Alessandria, 713 Asti, 433 Biella, 1.454 Cuneo, 945 Novara, 5.597 Torino, 528 Vercelli, 374 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 100 residenti fuori regione ma deceduti in Piemonte.

359.395 GUARITI

I pazienti guariti sono complessivamente 359.395(+ 162 rispetto a ieri), così suddivisi su base provinciale: 28.641 Alessandria, 16.918 Asti, 11.171 Biella, 52.111 Cuneo, 27.945 Novara, 192.508 Torino, 13.339 Vercelli, 12.869 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 1.451 extraregione e 2.442 in fase di definizione.