ilTorinese

Attrazione PoliTo, il Politecnico uno dei più prenotati al mondo

Il Politecnico di Torino si conferma tra gli atenei più attrattivi in Italia e nel mondo

Oltre 15.000 le prenotazioni ai test di ingresso: in crescita le domande per le professioni del futuro

I test d’ingresso si concluderanno venerdì 29 agosto

Il primo bilancio delle prove di accesso per le lauree triennali al Politecnico di Torino, che si concludono il 29 agosto con le ultime sessioni per i corsi di Ingegneria, Design, Pianificazione Territoriale, Urbanistica e Paesaggistico-Ambientale, oltre che per il corso professionalizzante in Tecnologia per l’Industria Manifatturiera, conferma un andamento in continua crescita. Le prove per i corsi di Architettura, come previsto dal bando ministeriale, si sono invece svolte il 22 e il 24 luglio. Complessivamente, le prenotazioni hanno superato quota 15.000 a fronte di 6.007 posti disponibili, di cui 5.443 riservati a studenti dell’Unione Europea e 564 a studenti extra UE, evidenziando quindi una forte competizione e un livello elevato di selezione.

Tutte le prove per l’ammissione all’anno accademico 2025/2026 si sono svolte in presenza e hanno mostrato una crescita di interesse in particolare per i corsi in Pianificazione Territoriale, che hanno registrato un incremento del 40%, e per Ingegneria Edile, in aumento del 17%. Per ampliare le possibilità di accesso e favorire scelte consapevoli, il Politecnico ha organizzato sessioni di test non solo a Torino, ma anche a Martina Franca, Trapani e persino a Tashkent, in Uzbekistan, in linea con gli standard internazionali.

Quest’anno l’Ateneo ha rivolto un’attenzione speciale alle aspiranti matricole provenienti dall’estero. Per agevolare le procedure di iscrizione, è stato anticipato il calendario delle prove e sono stati modificati i requisiti di accesso diretto, introducendo la possibilità di utilizzare la certificazione internazionale SAT, molto diffusa fuori dall’Italia e considerata equivalente al superamento del test tradizionale. Grazie a queste misure, sono già stati immatricolati 750 studenti extra UE nei corsi di Ingegneria e 89 in Architettura, con il totale dei posti riservati a studenti internazionali interamente coperto.

“Come Ateneo, siamo molto soddisfatti per l’interesse mostrato dalle nuove generazioni nei confronti della nostra offerta formativa, un’offerta che ribadisce l’importanza della formazione STEM per le figure professionali richieste nella società moderna – commenta il Vicerettore per la Formazione Fulvio Corno – il Politecnico è quindi impegnato in continui investimenti in attività e progetti di orientamento in collaborazione con le scuole secondarie, per strutturare al meglio il percorso di crescita delle ragazze e dei ragazzi in una logica di filiera”.

“I numeri, che confermano la fortissima attrattività del Politecnico di Torino, ci spingono a procedere nella direzione innovativa dei nostri percorsi formativi – dichiara il Rettore Stefano Corgnati – La forte partecipazione ai test di ingresso è una dimostrazione importante del fatto che gli e le studenti e le famiglie ci scelgono per la solidità dei nostri percorsi, che sono in presenza, esperienziali e svolti all’interno dei nostri campus. A ciò, oggi, dobbiamo aggiungere l’innovazione del nuovo modello didattico-formativo. Questo eccellente risultato, quindi, è di grande stimolo a finalizzare il nuovo percorso, avviato nello scorso anno accademico, verso la definizione di una proposta dell’offerta formativa sempre più moderna ed esperienziale”.

Giachino: “Torino non ha ascoltato Nosiglia, così la metà della Città che stava male nel 2012 oggi sta peggio”

Ieri sera al Rosario per Monsignor  Nosiglia Alla Consolata,  mentre pregavo di fronte al feretro sono stato avvicinato da una clochard e da un cassaintegrato  che sottovoce mi hanno detto “e ora chi ci difende?”. I più deboli in questi anni a Torino si sentivano più difesi dall’Arcivescovo , un genovese mite, giunto dalla ricca provincia di Vicenza che dopo aver girato per Parrocchie, dormitori, campi rom e fabbriche in crisi nella Messa di Ferragosto del 2012,  alla Consolata ha avuto il coraggio di dire che a Torino la metà della Città che sta bene non si accorge della metà della Città che sta male. Parole durissime che arrivarono dirette allo stomaco o al cuore. Venne preso a male parole da alcuni politici della gauche. Se guardiamo ai numeri delle statistiche sociali non è stato ascoltato. Non a caso i più deboli oggi sono i più spaventati dalla Sua scomparsa. Io sono convinto che il Cardinale Repole non lascerà cadere il coraggioso messaggio di Cesare Nosiglia. Ma è la politica che deve rispondere. E la politica che non può più girarsi dall’altra parte. E ‘ la politica che non deve pensare a migliorare via Roma o a piantare alberi in corso Palermo. La politica deve assolutamente portare lavoro in periferia.  Nelle mappe sociali Corso Regina divide la Città in due . Sarà un caso che tutte le Grandi iniziative della Carità , dal Cottolengo ai Salesiani al SERMIG siano sotto corso Regina mentre tutte la economia, tutta la attività amministrativa comunale puntano tutte sulla parte che sta sopra corso Regina? Da mesi sostengo che il nuovo Centro per la Intelligenza Artificiale dovrebbe essere spostato in Barriera di Milano per  dare un segnale di cambiamento o di riparazione.

Dal  2012 tutti gli indici di povertà e di diversità , tra le aree in cui si sta male e quelle in cui si sta meglio, sono raddoppiati. Ciò vuol dire che Nosiglia non è stato ascoltato dal Comune anche se molti cattolici hanno appoggiato le ultime amministrazioni.
È vero che la Chiesa parla a ognuno di noi ma quando la Chiesa denuncia situazioni di disagio, di povertà, di arretratezza e’ la politica la prima ad essere interpellata. E’ la politica che  dovendo avere come primo scopo quello di fare l’interesse generale, che deve rispondere. Ieri sera alla Consolata opportunamente ci sono state rilette alcune parti dei suoi messaggi. La cosa più importante l’ha detta il Cardinale Repole . Monsignor Nosiglia viveva come suoi i drammi umani delle famiglie e delle parti della Città più in difficoltà. Solo se la politica recupererà più anima e si farà carico dei problemi della gente e della economia ci sarà una speranza per quelli che oggi non hanno speranza. Sarebbe il modo più bello per ricordare un grande Vescovo dal sorriso spezzato dal sentire come suoi i problemi umani di una Città che da anni cresce meno della media nazionale.
Noi ne parleremo a Bardonecchia sabato 20 settembre per una giornata intera con molti amici cattolici impegnati in politica.
Mino GIACHINO
SITAV SILAVORO

La Sacra di San Michele: la chiesa più alta che c’è

Avete presente quando Po, morbido protagonista del film d’animazione “Kung fu Panda”, guarda in alto e dice: “Il mio antico nemico, le scale!” Ecco, questa è stata la mia reazione non appena giunta ai piedi della Sacra di San Michele.

 

E dire che un po’ ho barato, poiché non sono partita a piedi da Sant’Ambrogio, come si dovrebbe fare, ma sono salita con la macchina ancora un pochino, fino ad uno spiazzo a circa quaranta minuti di distanza. Non c’è che dire, più in alto non potevano costruirla: l’Abbazia è proprio arroccata sulla vetta del monte Pirchiriano, a ben novecentosessanta metri di altitudine.

Il complesso architettonico si trova all’imbocco della Val Susa, poco sopra la borgata San Pietro, il suo aspetto è maestoso e poetico, imponente e romantico. Apprezzo molto il fascino di questo luogo, soprattutto in alcune giornate autunnali, quando la nebbia avanza e la Sacra sembra sporgersi da tutto quel bianco fumoso, come fosse il soggetto di un quadro di Caspar David Friedrich.

L’atmosfera è senza dubbio coinvolgente,  non per niente il grande Umberto Eco, per il suo celebre romanzo “Il nome della rosa”, si era deliberatamente ispirato alla misteriosa bellezza di questo sito architettonico.
Ho scelto comunque un giorno di sole  settembrino per la mia passeggiata in salita.
Scesa dalla macchia ho imboccato il sentiero che serpeggia nel bosco e porta dritto in cima al monte: una leggera brezza mi ha addolcito la fatica, il verde delle foglie è ancora intenso e l’odore del legno dei tronchi ha sempre qualcosa di magico.

Il vero nome della Sacra è Abbazia di San Michele della Chiusa, essa si erge su un imponente basamento di ventisei metri, appartiene alla diocesi di Susa ed è la prima tappa italiana che si incontra lungo la via Franchigena.
Come ogni complesso architettonico che si rispetti, anche la Sacra ha i suoi misteri.
Leggenda vuole che l’ex arcivescovo, Giovanni Vincenzo (955-100), ritiratosi a vita da eremita proprio tra le nostre montagne, fosse stato incaricato  dall’arcangelo Michele  “in persona” di costruire il santuario. Non solo, ma degli angeli avrebbero poi provveduto a consacrare la cappella, che, infatti, la stessa notte della cerimonia, fu vista dagli abitanti come “avvolta da un grande fuoco”.

Secondo tale versione l’edificio risalirebbe al X-XI secolo, data probabile ma non certa, vi sono tuttavia molti documenti che trattano dell’edificazione della Sacra e che fanno risalire i lavori in quello stesso periodo.
Dove oggi sorge l’Abbazia c’era un tempo un castrum, utilizzato dai Longobardi come presidio militare; proprio tale popolazione iniziò a diffondere il culto micaelico, che si propagò ampiamente nell’Alto Medioevo, come dimostrano i numerosi edifici dedicati a San Michele che sorsero dopo l’anno Mille in Europa.
L’antico insediamento longobardo si trovava dunque alla base del progetto architettonico iniziato da Giovanni Vincenzo, il quale, con o senza l’aiuto dell’arcangelo, diede inizio all’edificazione di un’architettura maestosa e complessa: accanto al sacello più antico ne fece realizzare un secondo che oggi è l’ambiente centrale della cripta della Chiesa. Le nicchie e le colonnine richiamano motivi bizantini, all’epoca largamente diffusi a Ravenna.
Sul finire del X secolo, il conte Hugon di Montboissier, per riscattarsi dai suoi peccati, finanziò ulteriori lavori di ampliamento e fece aggiungere anche un piccolo cenobio per pochi monaci e qualche pellegrino.

In seguito fu l’abate Adverto di Lezat ad amministrare lo stabile. Egli chiamò l’architetto Guglielmo da Volpiano, a cui si deve il progetto della “chiesa nuova”, che sarebbe sorta sulle fondamenta della primitiva chiesetta.
A metà dell’XII secolo la Sacra venne affidata ai Benedettini, che costruirono l’edificio della foresteria, staccato dal monastero, per accogliere i numerosi pellegrini che, percorrendo la via Franchigena, passavano per il Moncenisio. Risale a quest’epoca la parte denominata “Nuovo monastero”, che comprendeva alcune celle, una biblioteca, delle cucine, un refettorio e diverse officine.
La lunga e articolata vicenda sembra concretizzarsi nel percorso impervio che il visitatore percorre, avanzando guardingo per la Sacra.

Io stessa ho passato la visita un po’ con la testa in su, incuriosita e ammaliata dagli archi rampanti e dalla grandiosità dell’insieme, e un po’ a guardarmi indietro, come fossi un Pollicino a corto di briciole.
La spettacolare chiesa odierna è dunque il formidabile risultato di più di un secolo di interventi.
Nella zona più antica, quella eretta sul castrum, priva di finestre e sormontata da volte a crociera, è evidente lo stile romanico di stampo normanno.

Influenze del linearismo della scuola scultorea di Tolosa emergono dal così detto scalone dei Morti, anticamente fiancheggiato da tombe e si evidenziano nella splendida porta dello Zodiaco. La porta ha destato più che mai la mia attenzione, e mi sono soffermata a guardarla nei minimi dettagli: le creature zodiacali risaltano pur consunte dalla pietra bianca, sembrano intrecciarsi le une alle altre, accatastate in una complessa composizione caratterizzata da un evidente  “horror vacui. Cerco l’Ariete, il mio segno zodiacale, l’animale si distingue per le possenti corna e il corpo muscoloso, ovviamente mi sembra che tale rilievo sia più bello degli altri. C’è un’altra motivazione per cui il portale mi colpisce, ed è il significato allegorico dello scorrere del tempo, tale significazione tramuta una semplice porta intarsiata in un poetico memento mori.

Risalgono al XII secolo gli interventi che riprendono lo stile del “romanico di transizione”. Tali lavorazioni sono riscontrabili dalla presenza di bifore, di pilastri cilindrici e polistili e dalle arcate con pilastri a fascio e archi acuti.
Nel XVI secolo la volta della navata centrale crollò e venne sostituita con una pesante volta a botte, che però esercitava una forza eccessiva sulle pareti laterali;  per ovviare alla pericolosità architettonica, nell’Ottocento si decise di intervenire sostituendo tale volta a botte con una triplice volta a crociera, ultimata nel 1937.
Vi sono poi elementi in stile “gotico francese” risalenti al XIII secolo.

Il visitatore, me compresa, si perde ad osservare i molteplici stili artistici che convivono armoniosamente. Molto suggestivi sono anche le terrazze, visitabili lungo il percorso: dall’ambiente poco illuminato tipico dei luoghi di culto, mi sono ritrovata ad osservare la vallata verdeggiante ai piedi delle montagne, illuminata dall’ancora caldo sole di settembre.
Eppure, distratta dalle minuzie interne alla Chiesa e dalla vista mozzafiato, stavo per non fare caso a quella che è una straordinaria peculiarità della costruzione: la facciata.
Essa si trova nel piano posto sotto il pavimento che costituisce la volta dello scalone dei Morti, è sotto l’altare maggiore ed è sovrastata dalle absidi con la loggia dei Viretti.
Potremmo dire che, se si pensa ad un’altra qualsiasi chiesa o abbazia, la facciata della Sacra è in posizione opposta rispetto a quella che la tradizione architettonica religiosa richiederebbe.


In tempi recenti, i lavori ancora non terminano. Tra il XIX e il XX secolo ci furono degli interventi voluti da Alfredo d’Andrade e durante gli anni Ottanta e Novanta si resero necessarie ulteriori modifiche.
Ciò che non cambia, nonostante il trascorrere dei secoli, è il fascino del luogo, reso ancora più prorompente dai misteri che accompagnano queste mura antiche. Si pensi alla vicenda della “Bell’Adda”. Adda era una giovane fanciulla che per sfuggire ai soldati nemici si buttò giù nel precipizio, gli angeli misericordiosi ebbero pietà di lei e la salvarono; Adda raccontò l’accaduto ai compaesani, i quali ovviamente non le credettero, così lei compì nuovamente l’insano gesto. Alcuni la definirebbero “hybris”, altri semplicemente “vanità”, resta il fatto che questa volta Adda non tornò a farsi vedere. Ma neppure il suo corpo venne mai più rinvenuto.

Non sappiamo cosa accadde ad Adda, ma sappiamo che ancora oggi numerosissimi visitatori si inerpicano per la collina per visitare la Sacra e tutti rimangono folgorati dalla bellezza di quel che vedono finita la faticosa salita.
Nel 2017, l’Abbazia è stata candidata a far parte del patrimonio dell’umanità dell’Unesco, nel quadro del sito seriale “Il paesaggio culturale degli insediamenti benedettini dell’Italia medievale”.
Sulla meraviglia del sito non si discute, ma possibile che in tutti questi secoli di interventi architettonici, nessuno abbia ancora pensato all’inserimento di un semplice ascensore?

Alessia Cagnotto

 

Turismo al femminile: le destinazioni preferite dalle donne

Quelle più sicure per viaggiare sole (con un invito comunque alla prudenza).

Sempre più donne viaggiano da sole, all’insegna della libertà, per seguire percorsi che con altri risulterebbero diversi sia in termini di conoscenza che di emozioni e per celebrare un’importante conquista che è quella di poter fare delle esperienze in autonomia senza l’accompagnamento di uomini per troppo tempo considerato una protezione necessaria e legittima.

Non si tratta più solo di una nicchia “alternativa”: oggi è un vero fenomeno globale, che riguarda donne di tutte le età, dai 20 ai 70 anni, spinte da motivazioni diverse ma unite da un nodo comune: il desiderio di libertà e indipendenza.

Secondo agenzie di viaggio specializzate in viaggi al femminile come Solo Female Travelers o Women Who Travel e in base a ricerche di mercato condotte da enti turistici locali ed internazionali come il Global Wellness Institute o i rapporti annuali di Skyscanner e Expedia, che non rappresentano dati ufficiali, ma raccolgono e analizzano comportamenti e preferenze, i viaggi al femminile hanno avuto una crescita significativa, rappresentano una tendenza sempre più consolidata.

Tra luoghi più apprezzati grazie ad una miscela di elementi importanti, come l’attrattività’ e la bellezza, ma anche la sicurezza ci sono: Portogallo, Giappone, Francia, Canada, Islanda e anche l’Italia, ma le più sicure in assoluto risultano Finlandia, Norvegia, Svezia, Nuova Zelanda, Austria e Svizzera.

Da qualche anno sono nate molte realtà e reti di ospitalità solidale che si occupano del turismo dedicato alle donne (che viaggiano principalmente sole), e proprio da queste ultime arrivano diversi consigli per viaggiare al meglio e incolumi come: usare app di sicurezza e condivisione della posizione con familiari o amiche, scegliere strutture recensite da altre donne, attraverso forum o community dedicate, non esitare mai a cambiare programma se qualcosa non convince. Nella narrazione positiva della “donna che viaggia da sola e si sente libera”, è essenziale comunque non perdere il senso della realtà soprattutto in alcuni paesi che rimangono culturalmente, socialmente o logisticamente più complessi per una viaggiatrice solitaria. Si tratta di muoversi, dunque, con consapevolezza per esempio rispettando le consuetudini locali, informarsi sulle zone da evitare (anche nelle città più famose) e gestire la condivisione sui social con cognizione come evitare di postare costantemente la propria posizione. Libertà non significa incoscienza, ma coraggio, prudenza e responsabilità. Le favole “dell’eroina solitaria” bisogna lasciarle nella fantasia, il buon senso non deve mai mancare. Non serve rinunciare, ma bisogna stare attente, sempre!

MARIA LA BARBERA

Bhutan, dove si misura la felicità

Informazione promozionale

Nel Regno del Dragone, tra vette himalayane e monasteri sospesi, il viaggio diventa meditazione.

Un silenzio che parla

L’aria di Paro è sottile. Non solo per l’altitudine: è l’assenza di rumore a sorprendere. Il vento fa vibrare le bandiere di preghiera, i colori sembrano sussurrare al cielo. Ogni passo in Bhutan è un invito a rallentare, ad ascoltare ciò che di solito sfugge. Qui, l’idea stessa di viaggio assume una dimensione diversa: non spostamento, ma centratura.
Questo piccolo regno himalayano ha scelto di misurare la felicità invece del PIL, di conservare foreste e monasteri più che grattacieli. Non è folklore: è una filosofia di vita. La spiritualità non è relegata ai templi, ma scorre tra i campi di riso, nei mercati, nei sorrisi degli abitanti.

Monasteri sospesi e villaggi lenti

La strada che porta al Taktshang, il celebre “Nido della Tigre”, si arrampica sulla roccia tra foreste di pini e rododendri. Il monastero appare all’improvviso, come sospeso nel vuoto, appoggiato a una parete verticale. È un simbolo potente: per raggiungere l’equilibrio serve salita, fatica, respiro. Dentro, l’odore dell’incenso e il canto sommesso dei monaci creano una dimensione fuori dal tempo.
Nella valle di Punakha, i campi terrazzati riflettono la luce del tramonto. Uomini e donne lavorano insieme, cantando. Non sono solo gesti agricoli, ma rituali quotidiani: prendersi cura della terra è prendersi cura della comunità. Nel villaggio, un bambino gioca con una ruota di preghiera, girandola come fosse un giocattolo. È l’immagine perfetta di una spiritualità che non divide sacro e profano.

Equilibrio come atto quotidiano

Il Bhutan non si mostra con clamore, ma si svela piano. Ogni incontro, ogni luogo ha il ritmo lento dell’acqua che scava la pietra. Nei mercati si scambiano storie insieme alle spezie, nei piccoli dzong (fortezze-monastero) il confine tra religione e vita si dissolve. La felicità, qui, non è un concetto astratto ma un equilibrio che si coltiva: come il riso nelle risaie, gesto dopo gesto.
Al passo di Dochula, i 108 chorten bianchi emergono dalla nebbia come isole di pace. È uno dei luoghi simbolo del paese: memoria, meditazione e sguardo rivolto alle montagne. Ogni bandiera di preghiera che sventola porta nel vento un desiderio di armonia.

La filosofia della Gross National Happiness

Il Bhutan è rimasto per secoli isolato tra le vette himalayane, preservando una cultura intatta. La monarchia ereditaria, istituita nel 1907, ha guidato una modernizzazione lenta e controllata. Ma è con il re Jigme Singye Wangchuck, nel 1972, che nasce la filosofia più famosa del paese: la Gross National Happiness (Felicità Interna Lorda).
Al contrario degli indicatori economici occidentali, questo sistema misura il benessere collettivo su quattro pilastri: sviluppo sostenibile, conservazione dell’ambiente, preservazione culturale e buona governance. Una scelta radicale, che ha fatto del Bhutan un caso unico al mondo: un paese che considera la felicità dei suoi cittadini più importante della crescita economica.

La spiritualità bhutanese

Il Bhutan pratica una forma di buddhismo tantrico chiamato Vajrayana, che unisce meditazione, rituali e simbolismi profondi. I monasteri non sono luoghi separati dalla vita quotidiana, ma centri comunitari, scuole e spazi di meditazione. La figura del lama è guida spirituale e custode della memoria collettiva.
Simboli come le ruote di preghiera e i mandala non sono semplici ornamenti: rappresentano il ciclo della vita e l’interconnessione tra tutti gli esseri. Visitare il Bhutan significa immergersi in un universo dove ogni gesto – dall’accendere una lampada di burro al far sventolare una bandiera di preghiera – diventa meditazione.

Un viaggio interiore

Visitare il Bhutan non significa collezionare tappe, ma attraversare uno spazio interiore. È un viaggio che sottrae più che aggiunge: meno rumore, meno fretta, meno distrazioni. E in quel vuoto controllato, qualcosa si muove. Forse è per questo che chi torna da questo regno lo descrive con parole leggere: equilibrio, ascolto, consapevolezza.

La valigia invisibile

Cosa rimane, quando il volo lascia alle spalle le vette himalayane? Non un souvenir, ma una domanda: che cos’è, davvero, vivere bene? Il Bhutan non impone risposte, ma mostra una via. Una vita semplice, relazioni profonde, un rispetto antico per la natura. È un insegnamento che non pesa, ma si insinua silenzioso, come il vento tra le bandiere colorate.

BHUTAN INCANTATO E IL TEMPIO DELL’AMORE DI AGRA

Un viaggio emozionante di 13 giorni tra le valli himalayane del Bhutan per vivere il suggestivo Festival Tshechu, …
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Bhutan

Bhutan, là dove la felicità è una scelta

Donna morta da giorni trovata in casa con il fratello

Ieri in un appartamento di via Farinelli 24, nel quartiere Lingotto a Torino, il  cadavere in avanzato stato di decomposizione di Lorella Rocca, 64 anni, è stato trovato al sesto piano di un palazzo dopo l’allarme lanciato dai condomini per il cattivo odore che si era diffuso nella scala.

Sono intervenuti i vigili del fuoco di Torino Lingotto, che hanno forzato la porta, insieme ai soccorritori del 118 dei Giovanniti.

Nell’appartamento era presente anche il fratello della vittima, 58 anni, che soffrirebbe di problemi psichiatrici e che non voleva aprire ai soccorritori. L’uomo è stato  trasportato alle Molinette per accertamenti.

Maltempo, duemila blackout in Piemonte

il tempo dovrebbe migliorare nelle prossime ore ma la Sala operativa della Protezione civile della Regione Piemonte continua a monitorare la situazione derivante dalle forti precipitazioni che hanno interessato e stanno interessando Verbano, Novarese, Valsesia, Biellese, Val Chiusella e pianura settentrionale: fino alla mezzanotte era in vigore l’allerta arancione diramata da Arpa.

Al momento sono attivi 65 Centri operativi comunali e risultano la chiusura in via cautelativa delle statali del Colle della Maddalena ad Argentera (CN), di quella della Val Formazza e della 549 a Calasca Castiglione (VB). Oltre 1900 i casi di disalimentazione dell’erogazione di corrente elettrica, con picchi nel Vercellese e nel VCO.

Nel pomeriggio di ieri si è sviluppata un’intensificazione delle piogge sul Piemonte orientale, in attenuazione in serata. Una ripresa delle precipitazioni è segnalata per oggi pomeriggio.

Il presidente della Regione Alberto Cirio e l’assessore alla Protezione civile Marco Gabusi ringraziano i volontari che sono all’opera per il monitoraggio della situazione ed invitano i cittadini alla prudenza ed a evitare spostamenti se non strettamente necessari, soprattutto nelle zone montane.

Dal Governo nuovi fondi al Piemonte per l’alluvione di aprile

Dal governo altri 17,85 milioni di euro per l’alluvione di aprile 2025. Il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro Musumeci, ha approvato oggi un ulteriore stanziamento di 17,85 milioni di euro per la realizzazione degli interventi relativi allo stato d’emergenza relativo agli eventi meteorologici che si sono verificati in Piemonte dal 15 al 17 aprile 2025, e in particolare nel territorio della Città metropolitana di Torino e nelle province di Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, Vercelli e Verbano-Cusio-Ossola.
La cifra si aggiunge ai 17,7 milioni già staziati dal governo nel mese di giugno.
«Si tratta di risorse importanti che consentono di proseguire le opere di somma urgenza e gli interventi di ripristino dei danni provocati dalle piogge eccezionali di quei giorni. I tecnici della Regione hanno lavorato con i colleghi degli enti locali e del Dipartimento della Protezione civile per la stima precisa dei danni, e questo ulteriore stanziamento di risorse conferma l’attenzione del governo per il nostro territorio e la volontà di intervenire rapidamento per il ripristino delle opere più urgente» dichiarano il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio e l’assessore alle Opere pubbliche e alla Protezione civile Marco Gabusi.

Truffa telefonica: attenzione, non è la Regione

La Regione Piemonte mette in guardia i cittadini in merito ad un tentativo di truffa ai loro danni.

Sono arrivate da Federconsumatori segnalazioni riguardanti telefonate di sedicenti operatori di un ente regionale di gestione dell’energia elettrica che chiedono il trasferimento della fornitura di elettricità a tale società in cambio di uno sconto sulla bolletta e minacciano il pagamento di penali in caso di mancata adesione.

Ovviamente, la Regione non ha mai attivato simili iniziative e pertanto invita a non prestare ascolto a proposte di questo genere.

La Torino delle due ruote: viaggio fra Vespa, moto e paesaggi

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La Vespa, un’icona intramontabile
A Torino, la Vespa è molto più di un semplice scooter: è un simbolo di italianità, di eleganza senza tempo e di un modo di vivere il viaggio che sa di libertà, leggerezza e storia. Da generazioni accompagna i torinesi nelle loro avventure estive, nelle commissioni quotidiane e nei momenti di svago. In città si vedono ancora modelli d’epoca splendidamente conservati, affiancati alle versioni più moderne, ma sempre con quell’inconfondibile fascino che solo la Vespa sa evocare. Basta un casco, un paio di occhiali da sole e si è pronti per partire, senza fretta, per godersi le strade della città o dirigersi verso i paesaggi collinari appena fuori porta. La Vespa è compagna perfetta per attraversare il centro storico, per arrampicarsi su verso la collina torinese, o per costeggiare il Po in una calda sera d’estate. Le sue linee morbide e il ronzio del motore diventano quasi poesia in movimento, un modo romantico e personale per vivere la mobilità urbana e oltre. Con l’arrivo dell’estate, moltissimi torinesi tirano fuori dal box la loro Vespa, la lucidano e la rimettono in strada per piccoli viaggi, escursioni e fughe improvvisate verso il verde della Val di Susa o i borghi incastonati tra le colline del Canavese. La Vespa non è solo un mezzo: è uno stile di vita, una filosofia del viaggio lento, che mette al centro il piacere di guardarsi intorno, di sentire l’aria calda sul viso e di godersi ogni chilometro.
Il Vespa Club Torino, passione e comunità
C’è chi ama la Vespa in solitaria e chi invece ha trovato nella passione per questo scooter leggendario un’occasione per condividere emozioni, esperienze e percorsi. Il Vespa Club Torino rappresenta da anni un punto fermo per centinaia di appassionati, una vera e propria comunità in cui la Vespa è il trait d’union tra persone di età, background e storie diverse. Il club non è solo un’associazione: è un luogo dell’anima dove si respira amicizia, appartenenza e desiderio di scoperta. Organizzano raduni, viaggi di gruppo, eventi tematici e tour che toccano luoghi suggestivi del Piemonte, dalle risaie del vercellese ai laghi alpini, dai castelli nascosti ai panorami mozzafiato delle Alpi Cozie. Le uscite collettive del club trasformano la strada in una piccola festa itinerante, fatta di Vespa colorate, bandiere, saluti ai passanti e soste gastronomiche nei posti più autentici. Ma dietro ogni viaggio c’è anche una cura maniacale per i dettagli, una passione che si vede nei restauri minuziosi, nei racconti tramandati tra i soci e nell’amore per la tradizione. Il Vespa Club Torino rappresenta un pezzo importante del tessuto sociale cittadino, un esempio di come la mobilità su due ruote possa anche diventare cultura e aggregazione. Partecipare a una loro uscita significa non solo guidare, ma anche ascoltare storie, stringere nuove amicizie, sentirsi parte di qualcosa di più grande. E non mancano i momenti di solidarietà, con eventi organizzati per beneficenza o per promuovere la sicurezza stradale, a dimostrazione che dietro un casco e una marmitta c’è spesso un cuore che batte forte.
Le moto, adrenalina e libertà nei paesaggi piemontesi
Accanto alla Vespa, i torinesi nutrono da sempre una grande passione per le moto. Che siano naked, sportive, custom o touring, le due ruote a motore rappresentano una vera valvola di sfogo per molti cittadini, un modo per fuggire dal traffico, per esplorare nuove strade e per ritrovare il senso più puro della libertà. L’estate è il momento in cui i motociclisti torinesi si rimettono in sella con maggiore frequenza, approfittando delle giornate lunghe e del clima favorevole per organizzare giri spettacolari nei dintorni. Le strade del Piemonte offrono scenari mozzafiato: curve sinuose che attraversano i vigneti delle Langhe, salite panoramiche che portano al Colle della Maddalena, sentieri d’asfalto che costeggiano i laghi di Avigliana o si inoltrano nelle valli meno battute del biellese. La moto diventa il mezzo ideale per esplorare in profondità il territorio, per raggiungere luoghi lontani dal turismo di massa, dove la natura è ancora autentica e il tempo sembra rallentare. I motociclisti torinesi si danno appuntamento in piazze, benzinai e locali storici, pronti a partire all’alba per un giro di centinaia di chilometri, spinti solo dalla voglia di guidare e di scoprire. C’è chi cerca l’adrenalina pura, affrontando i tornanti come in una sfida personale, e chi invece preferisce la dimensione contemplativa del viaggio, quella in cui il paesaggio è parte integrante dell’esperienza. Le moto, a Torino, non sono solo un hobby, ma un vero stile di vita. E in estate, quando la città si svuota e il richiamo delle montagne si fa più forte, non c’è niente di meglio che allacciare il casco, avviare il motore e lasciarsi portare dove porta la strada.
NOEMI GARIANO