Al “Museo Nazionale della Montagna Duca degli Abruzzi”, una mostra dedicata al grande cantore della Shoah e al suo profondo amore per la montagna
Dal 26 gennaio al 13 ottobre
La montagna come totale libertà. Come luogo miracoloso capace di darti forza, ancor più forza, dopo l’ennesima caduta. Di spingerti a ignorare e a sfidare le più terribili ingiustizie e nefandezze concepite dal genere umano. Libertà che in pianura te la sogni, manco a pagarla a peso d’oro. Eppure sarà proprio fra le tanto amate montagne della Vallée che il grande Primo Levi, dopo l’armistizio dell’8 settembredel ’43, perderà la sua libertà. Una trappola mortale che lo segnerà per tutta la vita. “In montagna – annotava il chimico-scrittore in “Piombo” da ‘Il sistema periodico’ – è diverso, le rocce, che sono le ossa della terra, si vedono scoperte, suonano sotto le scarpe ferrate ed è facile distinguere le diverse qualità: le pianure non fanno per noi”. Parole di totale abbandono e confessione d’amore per quelle “terre alte”, che Primo Levi (Torino, 1919 – 1987) continuerà a frequentare e a raccontare fino agli ultimi suoi giorni in terra.
Una passione narrata oggi, con saggia intelligenza, nelle sale del “Museomontagna” di Torino, in una rassegna (programmata fino a domenica 13 ottobreprossimo) con cui la struttura museale di Piazzale Monte dei Cappuccini inaugura insieme due importanti eventi: la celebrazione dei suoi primi 150 anni di vita e la “Giornata della Memoria”, in calendario, come ogni anno, il prossimo 27 gennaio. Il percorso espositivo (a cura di Guido Vaglio con Roberta Mori e sviluppato in collaborazione con il torinese “Centro Internazionale di Studi Primo Levi”) invita a scoprire il legame ancora poco conosciuto tra lo scrittore torinese e la montagna, nato negli anni dell’adolescenza e tragicamente legato al destino dello scrittore. Fu infatti in Valle d’Aosta, nel villaggio di Amay sul Col de Joux, che fu arrestato dalla milizia fascista, insieme ad altri due compagni della piccola banda di “Giustizia e Libertà”, nel dicembre del ’43, per essere trasferito, come ebreo e partigiano, nel Campo di Fossoli prima e successivamente ad Auschwitz, in Polonia. All’indomani dell’8 settembre 1943, l’espressione “andare in montagna” era infatti diventata sinonimo di una precisa scelta di campo, quella di aderire alla “lotta partigiana”. Sopravvissuto al lager (in quella perfetta tempesta di improbabile “casualità” raccontata nell’iconico “Se questo è un uomo”) e tornato a Torino nell’ottobre del ’45, sarà ancora una volta la montagna a favorire e a consolidare l’amicizia di Levi con altri due protagonisti del nostro Novecento: Mario Rigoni Stern e Nuto Revelli, testimoniata in mostra dalla “pietra” con incisione della poesia“A Mario e a Nuto”, proveniente dalla “Fondazione Nuto Revelli” di Cuneo.
Levi fece incidere la poesia su una pietra di fiume per suggellare una sorta di patto “di cui la montagna, da cui quella pietra veniva, costituiva in qualche modo il testimone – scrive Marco Revelli nel catalogo della mostra –come se la montagna rappresentasse l’occasione di un nuovo inizio”. Particolare curioso, troviamo anche in mostra, per la prima volta esposto al pubblico – fra fotografie storiche, oggetti, documenti, volumi,manoscritti ed estratti video provenienti da archivi pubblici e privati, oltre che dai familiari dello scrittore, dal “Centro Primo Levi” e dallo stesso “Museo” – un paio di sci di Primo Leviche testimonia la sua breve esperienza partigiana, lasciati dallo scrittore ad Amay e poi utilizzati dal partigiano Ives Francisco per fuggire in Svizzera.
I documenti “Le cronache di Milano” e “I Libri segreti” provenienti dall’archivio di Massimo Gentili-Tedeschi forniscono invece uno spaccato inedito del 1942, periodo in cui Levi trovò un impiego alla fabbrica “Wander” di Crescenzago e si trasferì a Milano, ospite della cugina Ada Della Torre. Qui trascorse, con altri sei giovani torinesi, un breve ma intenso periodo di vita in comune, testimoniato da disegni, caricature, filastrocche e vignette che raccontano la vita di quel periodo con leggerezza e ironia, pur nella consapevolezza della situazione in cui si viveva, il cui esito tragico non avrebbe tardato a manifestarsi.
Esemplari anche le “Citazioni” di Levi che accompagnano in mostra il visitatore. Otto parole-chiave in cui si traduce perfettamente l’essenza dell’amore dello scrittore per la montagna che era e sarà sempre per lui: Natura, Materia, Letteratura, Trasgressione,Riscatto, Amicizia, Scelta e Liberazione. In un’unica espressione: la “carne dell’orso”, di cui parla nel bellissimo capitolo “Ferro” da “Il sistema periodico”, quale frase a lui rivolta dal grande amico di vita e di scalate, Sandro Delmastro, durante un rischioso bivacco in quota in pieno inverno. “Il peggio che ci possa capitare – così Sandro – è di assaggiare la carne dell’orso”. Quella carne, molti anni dopo, rimpianta da Levi “poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino”.
Gianni Milani
“Le ossa della Terra. Primo levi e la montagna”
Museo Nazionale della Montagna, Piazzale Monte dei Cappuccini 7, Torino; tel. 011/6604104 o www.museomontagna,org
Fino al 13 ottobre
Orari: dal mart. al ven. 10,30/18; sab. e dom. 10/18
Nelle foto, da “Centro Studi Primo Levi”, “Fondazione Nuto Revelli” e “Famiglia Levi”: “Prmo Levi sul tetto del Rifugio Sella” (Cogne, aprile 1940), “Sci”, “Pietra di fiume Po” e “Primo Levi al Pian de la Tornetta” (31 luglio 1983)
Sugli schermi “Campo di battaglia”, in concorso a Venezia
PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione
Sono lontane le trincee, è lontana la guerra delle decimazioni e degli assalti alla baionetta, dei gas mortiferi, la Grande Guerra – siamo avvertiti: è il 1918, l’anno della vittoria -, soltanto nella scena iniziale la macchina da presa si libera a indugiare, supponiamo al termine di una battaglia cruenta, su un mucchio di cadaveri mentre un soldato li circonda per rubare una moneta o un tozzo di pane, quello che tenevano in tasca nel loro ultimo istante: mentre all’improvviso la mano di un vivo s’alza a urlare la propria vita che continua a resistere.
Non è quello il campo di battaglia che interessa a Gianni Amelio nel film presentato in concorso a Venezia e ora sugli schermi (film decisamente imperfetto ma comunque da vedere, nato dalle pagine della “Sfida” di Carlo Patriarca, sceneggiato dal regista con Alberto Taraglio, tra i produttori Marco Bellocchio), il suo “Campo di battaglia” è il claustrofobico reparto d’un ospedale, dove su lettini bianchi ben allineati si dibattono feriti gravi e quanti stanno per morire. Vi sono anche quegli autolesionisti che si sono feriti ad esempio a un piede – il trucco c’era, non rimaneva che smascherarlo – pur di non tornare a combattere tra le montagne, “vigliacchi” contro cui combatte Stefano, ufficiale medico, rampollo di una abbiente famiglia alto borghese, patriottismo calato nel sangue, un padre che dispone dall’oggi al domani tra le alte gerarchie militari, una casa elegante e una divisa impeccabile, principi di estrema obbedienza e di valori affermati, quasi un investigatore chiamato a indagare senza nessuna pietà. Valori riconquistati anche con la pena di morte, fucilazione al petto davanti a tutti i compagni schierati.
Opera anche tra quei letti bianchi Giulio, amico sin dall’infanzia di Stefano, guarda a quei malati, a tutti i malati, con occhio assai più benevolo, corpi malati nel fisico e nello spirito, li osserva con comprensione e con compassione, vorrebbe trovare per essi un aiuto (“qui non muore nessuno”). S’è ricavato un piccolo ambulatorio in una soffitta dell’ospedale, lì ha modo di riaffermare il suo amore per la biologia. C’è anche Anna, una crocerossina che fa tanto “Addio alle armi”, compagna di studi di entrambi, un’eccellenza ma non accettata, in tutta la chiusura di un’epoca, dai rappresentanti maschili ad esercitare come medico. È lei la prima ad accorgersi che qualcuno la notte agisce sullo stato di alcuni malati, lo manipola, ci si aggrava e si tende allo stesso tempo al miglioramento, si rischia di tornare a combattere e si invoca anche l’amputazione di una mano pur di poter tornare a casa.
Amelio guarda a questa umanità, in questa prima parte, a questi orrori di una guerra – di tutte le guerre – con mano estremamente sicura, piccoli frammenti che vengono a comporre una tragedia intera, la macchina da presa che fruga tra visi e corpi, tra ferite e bende sporche di sangue, costruisce un altro “campo” che tuttavia ci riporta con la memoria, allo stesso modo, al cinema potente di Rosi e di Avati, persino a quello insuperato, tragicissimo nei suoi risvolti che tutti abbiamo ammirato, del Monicelli della “Grande Guerra”. Una prima parte serrata, carica di punti a cui guardare, su cui pensare. Però a questo punto il film sbanda su una scrittura innanzitutto per nulla convincente, allorché un morbo cattura non soltanto i militari ma altresì centinaia e centinaia di civili tra questi piccoli paesi sperduti su al nord. La spagnola (circolano le mascherine: passato e presente ci mettono poco a mescolarsi) mostra i suoi primi effetti: ma viene a indebolire e a pasticciare di parecchio quanto di solido si è in precedenza costruito e portato avanti per più di un’ora di racconto: pecche non da poco, non ultima la morte troppo teatrale tanto da suonare falsa di Giulio, non ultime le parole, “qui non muore nessuno”, di cui Anna si impadronisce, mentre tranquillizza un povero ragazzino terrorizzato da quanto gli sta succedendo intorno. Un corpo estraneo, un qualche cosa di posticcio, quasi un’altra storia. Posticcio come quel pranzo di fidanzamento in casa di Stefano, che ci poteva proprio essere risparmiato.
Alla prima parte, ai propri aspetti più che positivi, appartiene la gran babele dei dialetti che circola tra quei feriti, alle loro storie, ai loro desideri di fuga, alle paure, al loro non essere comprensibili, un disperato tentativo di trincerarsi davanti al potere dei maggiori, appartengono i disegni e le interpretazioni di Alessandro Borghi (Giulio) e Gabriel Montesi (Stefano), forse questi ancor più bravo del suo collega, un militare d’altro tempo ancorato alle tradizioni e alle leggi, un muoversi e un agire esattissimi, un attore che ci auguriamo di vedere di più sul grande schermo. Appartiene la rappresentazione muta di quella guerra che sentiamo ma che rimane tragicamente “fuori”.
Campagna di screening gratuito per l’epatite C
Da sabato 7 settembre a domenica 29 dicembre 2024, le persone nate tra il il 1969 e il 1989 potranno effettuare un test gratuito di screening per l’epatite C presso l’HUB vaccinale Lingotto di via Fenoglietti 15.
Il test si potrà effettuare, previa prenotazione tramite il CUP Piemonte, nelle giornate del sabato e della domenica.
L’epatite C è una pericolosa malattia del fegato causata dal virus HCV. Nonostante sia spesso asintomatica, nella maggior parte dei casi non guarisce spontaneamente e diventa “cronica”. In assenza di adeguate terapie può portare allo sviluppo della cirrosi e del cancro del fegato. Lo screening permette di diagnosticare precocemente l’eventuale infezione e di trattarla prima che questa possa portare a gravi complicanze.
Per informazioni sulla prenotazione del test, si può consultare la pagina dedicata del sito dell’ASL Città di Torino al link:
https://www.aslcittaditorino.it/screening-delle-infezioni-da-virus-epatite-c-hcv/
TORINO CLICK
Un problema che richiedeva da subito una linea dura
“La filiera suinicola piemontese e nazionale si trova in una situazione per certi versi simile all’emergenza sanitaria, con le dovute proporzioni, generata dalla pandemia di Covid-19, delle cui conseguenze siamo purtroppo tutti a conoscenza” riferisce il presidente di Confagricoltura Piemonte, Enrico Allasia dopo aver esaminato la nuova possibile estensione delle zone di restrizione, atte a circoscrivere una malattia virale, la Peste Suina Africana, che nonostante non si trasmetta all’uomo, sta avendo numerose e nefaste conseguenze sull’intera economia zootecnica e non solo.
Confagricoltura ha stimato in oltre 20milioni di euro al mese le perdite dirette per la filiera suinicola nazionale, ma in realtà sono in crescita se si considera il possibile allargamento delle aree del Piemonte (in cui si contano al 30 giugno scorso 1.164 allevamenti suinicoli) nelle quali è stato riscontrato un focolaio: ad esempio, nella zona 1, sarebbero coinvolti 40 allevamenti per un totale di circa 44.600 capi che passerebbero con la nuova delimitazione territoriali in cui non è possibile movimentare gli animali, a 71 e coinvolgerebbero circa 100.000 capi.
La nuova ordinanza contro la diffusione della Psa, con regole valide per Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna in vigore fino al 30 settembre 2024, prevede l’abbattimento dei suini domestici contagiati, norme di prevenzione e innalzamento dei livelli di biosicurezza, quarantena nelle province di Lodi, Pavia e alcune attigue del Piemonte.
“La nostra regione, secondo l’ultimo rapporto di ISMEA, è al secondo posto (16%) per consistenza di suini dopo la Lombardia, dove viene allevata circa la metà del patrimonio nazionale di maiali, con produzioni di elevata qualità, quasi interamente destinate al circuito delle DOP ” precisa Lella Bassignana, direttore di Confagricoltura Piemonte registrando dal vivo le preoccupazioni degli allevatori. “In mancanza di adeguati ristori, a breve molte aziende saranno costrette a chiudere i battenti. L’epidemia, infatti, avanza e porta con sé numerose questioni da risolvere: dai costi per lo smaltimento degli animali fermi in allevamento, alla necessità di estendere la cassa integrazione ai lavoratori delle aziende colpite dalla crisi, alla mancanza di reflui necessari al funzionamento degli impianti a biogas e molto altro” rimarca Bassignana.
Se gli imprenditori agricoli devono continuamente migliorare gli standard di prevenzione contro tutti i contagi, anche la popolazione deve fare la sua parte: Confagricoltura Piemonte invita a smaltire gli avanzi del cibo nell’umido, considerando l’ipotesi che alcuni carni potrebbero venire dai Paesi dell’Est, dove ci sono migliaia di focolari di Psa tra cinghiali e suini allevati, ed essere contagiate: se quello che avanza finisce nella spazzatura, dove spesso vanno a grufolare i cinghiali, si contribuisce a diffondere la malattia.
Il settore chiede con forza una svolta nel depopolamento degli ungulati, principali vettori del virus, e che si adotti ogni misura utile a ristorare dei danni diretti e indiretti di tutte le aziende che oggi risiedono all’interno delle aree coinvolte.
Alberelli pericolanti davanti al “Fila”
“Alcuni alberelli si presentano pericolanti a ridosso della pista ciclabile davanti allo stadio Filadelfia , sicuramente a causa dei temporali di questi giorni. Forse un celere intervento può evitare che qualcuno che transita o a piedi o in bicicletta , possa farsi male . Un intervento semplice, urgente o come al solito chiudere la stalla dopo che i buoi sono usciti?” Ce lo segnala e ci invia le foto il lettore Luigi Gagliano.
Spari contro la saracinesca di un barbiere
A sparare contro la saracinesca del negozio di barbiere Barber Shop Andrea di via Paisiello a Torino sono state due armi diverse. La bottega del parrucchiere è rimasta chiusa per la giornata di sabato 7. Sono intervenuti gli agenti della polizia scientifica per le indagini.
Le note di Ludovico Einaudi risuoneranno in piazza San Carlo domenica 8 settembre per Mito Settembre Musica
Sabato 7 settembre al teatro Carignano alle ore 17 si è tenuto per Mito Settembre Musica “Drink Jazz Suite, una mitologia alcoolicaMartini & Rossi, di e con Stefano Massini, accompagnato da Emanuele Cisi al sassofono, Eleonora Strino alla chitarra, Marco Micheli al contrabbasso e Enzo Zirilli alle percussioni. Stefano Massini, scrittore, drammaturgo e narratore, è l’unico autore italiano ad aver vinto un Tony Award, premio Oscar del teatro americano. i suoi testi sono tradotti in più di trenta lingue e sono messi in scena dalla Cina alla Corea, dal Sud Africa al Cile, l’Iran, l’Austria. Lo spettatore italiano lo ha scoperto in TV a Piazzapulita e in altri programmi televisivi come Ricomincio daRai tre, che ha condotto per due stagioni sulla RAI. Emanuele Cisi, nato a Torino nel 1994, è stato al primo posto nella categoria “Nuovi talenti” nella top Jazz di Musica Jazz, Eleonora Strino è membro dei quartetti di Dado Moroni e Emanuele Cisi, del trio di Greg Cohen e del gruppo The Great Guitarist con Ulf Wakenius e Martin Taylor. Mentre Marco Micheli si è diplomato in contrabbasso al Conservatorio di Lucca, Enzo Zirilli, nato a Torino, studia pianoforte e percussioni nel conservatorio subalpino, ma il suo percorso inizia con il jazzofonista Larry Nocella.
Importante appuntamento domenica sera, alle ore 21, in piazza San Carlo, con “ In a time reimagened” con Ludovico Einaudi al pianoforte.
“Ho pensato in a Time Lapse – spiega Ludovico Einaudi- un po’ per il decennale1994ena festeggiato e un po’ perché credo sia un progetto ancora molto attuale, con diversi brani diventati miei classici, come “Experience” che suono spesso. A seconda dell’organico con cui scelgo di suonare, lo ricucio e lo reinventoogni volta “ afferma il compositore.
Suonare in piazza San Carlo assumerà un significato particolare per Ludovico Einaudi perché questa piazza fa parte della storia del suo rapporto con Torino. È una delle sue piazze preferite per quanto riguarda l’architettura pulita e lo stile. Ludovico Einaudi è un artista fra i più pop di Mito Settembre Musica, ma ha sempre mantenuto ottimi rapporti con la musica classica, in particolare barocca e non è da escludere che un suo prossimo progetto sia quello di suonare lungo le rive del Po.
Mara Martellotta
Panorama Monferrato è una mostra diffusa curata da Carlo Falciani, che rappresenta il quarto appuntamento di un progetto culturale ideato da Italics, una rete istituzionale costituita da 74 autorevoli gallerie, rassegna che si dipana tra vigneti, castelli, pievi nei paesi di Camagna, Vignale, Montemagno e Castagnole, in Piemonte.
Storico dell’arte e curatore indipendente, tra i massimi studiosi di pittura Toscana del Cinquecento, Carlo Falciani succede a Vincenzo De Bellis, che ha curato le edizioni di Procida e Monopoli rispettivamente nel 2021 e 2022, e Cristiana Perrella, che è stata curatrice dell’edizione a L’Aquila nel 2023, con il compito di creare un dialogo sorprendente e fecondo tra arte, patrimonio culturale e paesaggio.
Questa edizione di Panorama, la quarta, che vanta un giorno in più delle precedenti, propone un dialogo trasversale tra moderno e contemporaneo e tra architettura e paesaggio. La mostra trova ispirazione nei principi de ‘La civil conversazione’, opera scritta dal diplomatico monferrino Stefano Guazzo, pubblicata nel 1574 e tradotta in cinque lingue. Viene proposta da questa edizione di Panorama l’idea di una civiltà del dialogo, nata in Monferrato e divenuta fondamentale per l’Europa tra Cinque e Seicento. La civil conversation parla di un uomo malato di malinconia e recluso a causa di una pandemia, che riceve le visite del medico e inizia un dialogo con lui su cui si fonda l’etica della comunità.
Il primo punto da cui si parte per questa mostra è la cittadina di Camagna, con il tema “Lavoro e radici”. Nell’ex Cottolengo compaiono le grandi fotografie di Moira Ricci (1977), che sono composizioni rigorose di case contadine della Maremma che evocano la durezza di una vita rurale; sono presenti le grandi installazioni di terra e capelli di Binta Diaw, artista degli anni Novanta italo senegalese, ma attiva a Milano, che si interroga sulle sue origini.
La seconda tappa è a Vignale con ‘Ritratto e identità’. Ritrarre è un tema centrale nella storia dell’arte ma non sempre significa riprodurre le fattezze di un soggetto. Accanto ai ritratti di gentiluomini e dame della metà del Settecento di Carlo Amalfi, ne compaiono altri moderni. Un esempio inconsueto è rappresentato dal ritratto allegorico di giovane realizzato da Mirabello Cavallori, dove questi viene dipinto a grandezza naturale, con il cuore aperto e la scritta latina “lontano vicino”, nella veste l’iscrizione “nella vita e nella morte”. L’opera dialoga con i light box della cubana Susanna Pilar (1984) e le fotografie di lei, la mamma, la zia vestite da sposa, persone provenienti da una famiglia di schiavi e per le quali il matrimonio rappresentava un’uscita da uno stato di costrizione.
Gli ultimi due paesi connessi sono Montemagno e Castagnole. Il primo con “Caducità e morte” prelude alla precarietà. È poi presente il video di Thomas Gates che riproduce un coro gospel all’interno di una chiesa distrutta e che dialoga con la statua lignea del Maestro della Santa Caterina Gualino, di linea gotica e completamente rovinata dai tarli.
A Castagnole, nella “Casa della Maestra” troviamo un ambiente trasfigurato delle memorie, su cui dominano la statua di Fausto Melotti ( 1901-1986) ‘Contrappunto Piano’, un quadro di fiori in via di appassimento di Giorgio Morandi (1890-1964), un’opera di Claudio Parmiggiani (1943) che altro non è se non l’impronta di una vasta libreria.
MARA MARTELLOTTA
Grave incidente oggi a Torino all’incrocio tra largo Brescia a corso Palermo dove un furgone Fiat Doblò e un monopattino elettrico su cui viaggiava un bambino cinese di 12 anni si sono scontrati. Il ragazzino è stato portato in ambulanza all’ospedale Maria Vittoria. Ha subito la frattura del femore sinistro e un trauma vertebrale ma non sarebbe in pericolo di vita.