LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo
La questione sociale in Italia esiste di nuovo. Ad essere sinceri, non è mai scomparsa. I dati e i
numeri lo evidenziano e, purtroppo, anche le concrete condizioni di vita di ampi settori della
pubblica opinione lo confermano. Ma, al di là della burocratica presa d’atto di questa sempre
nuova emergenza, il nodo di fondo è come dare una risposta politica a questa situazione. E, su
questo versante, le risposte sono sostanzialmente sempre e solo tre.
Ci sono coloro che si limitano a fotografare la situazione. Denunciano, attaccano, si scontrano
con i presunti responsabili di questa emergenza – di norma sono sempre i soliti nemici politici – e
si limitano, appunto, a declinare un comportamento testimoniale e, al tempo stesso, dissacratorio.
Sono i cosiddetti opinionisti da salotto, i conduttori dei talk televisivi, i commentatori con contratti
da favola stipulati con i rispettivi editori. Insomma, i ricchi, quelli veri però, che difendono i poveri.
Verrebbe da dire, patetici e anche ridicoli.
La seconda categoria sono coloro – di norma i populisti, i massimalisti e gli estremisti – che
pensano di risolvere i problemi che sono innescati dalla questione sociale attraverso gli strumenti,
logori e diversamente clientelari, dell’assistenzialismo e del pauperismo. Lo abbiamo anche
sperimentato recentemente con i populisti dei 5 stelle quando erano al governo del paese. Bonus,
sussidi, regalie varie sintetizzati dall’ormai famoso e celebre “reddito di cittadinanza” che si può
estendere, sempre secondo il verbo populista e demagogico, anche nelle singole regioni. Ecco, si
tratta di un modello politico e culturale – o sub culturale – che non risolve affatto i problemi dei ceti
popolari e dei ceti meno abbienti ma, semplicemente, li tampona momentaneamente attraverso la
“politica delle mance”. Gratuite, senza controlli e deresponsabilizzante. Radicalmente
incompatibile con qualsiasi cultura dello sviluppo, della crescita e anche, e soprattutto, di una
vera e credibile politica delle redistribuzione della ricchezza e socialmente avanzata.
Infine, e resta questa la strategia più seria e più credibile per affrontare i problemi della questione
sociale, c’è il metodo scelto e praticato storicamente dalla sinistra sociale di ispirazione cristiana.
Cioè da uomini e donne della sinistra sociale della Dc, e da alcuni partiti succeduti alla Dc, che
legavano la questione sociale alla necessità di elaborare un progetto politico capace di aggredire
alla radice i problemi derivanti da quella piaga. Cioè far sì, per dirla con una felice espressione del
leader storico di questo filone di pensiero, e cioè Carlo Donat-Cattin, che “l’istanza sociale diventi
Stato”, da un lato, e che, dall’altro, “la politica sociale diventi un elemento costitutivo della politica
di sviluppo e di crescita per l’intero paese”. Ovvero, l’esatto contrario della ricetta populista e
massimalista legata esclusivamente alla stanca ed inerziale riproposizione della deriva
assistenziale e pauperista. Che non risolve affatto i problemi ma, molto semplicemente, li sposta
più in avanti a danno dell’erario pubblico e delle future generazioni.
Per queste ragioni, semplici ma oggettive, la ricetta della sinistra sociale della Dc di Carlo DonatCattin,
di Franco Marini, di Guido Bodrato, di Sandro Fontana, di Ermanno Gorrieri e di molti altri
uomini e donne di quella tradizione, continua ad essere un faro che illumina l’iniziativa politica di
chi vuole affrontare il dramma della questione sociale con le armi della politica e non solo con la
deriva populista, demagogica e qualunquista.




Quel che proprio non fa Marianne Métivier, regista di origini canadesi-filippine, con il suo “Ailleurs la nuit”, suo primo lungometraggio: ovvero trovare qualcuno che ti mette una macchina da presa in mano e ti dice “gira!” e tu cominci a girare ma a vuoto, andando a riprendere pianure e campagne e vacche da mungere, sentieri e camminate e corse in auto da filmare con tempi e lungaggini incredibili, a considerare una torrida notte d’estate in cui Marie che è un’artista del suono – e va in giro a raccogliere i fruscii delle foglie e lo scorrere delle acque mentre il suo partner ci dovrebbe interessare con i suoi studi delle processionarie – mette in discussione la sua vita di coppia, in cui Noée arrivata dalla grande città da non troppo tempo la disorienta, in cui la giovanissima studentessa Jeanne perennemente in crisi guarda il mondo da un oblò e distribuisce viveri alle porte degli alloggi di Montréal, in cui Eva, appena arrivata dalle Filippine con al seguito una madre che non sai se comprensiva o imbronciata, viaggia nella città notturna insicura dell’intero suo avvenire. Non ci si sente coinvolti da alcuna porzione del film, che al contrario vorrebbe avere un sapore universale, vorrebbe parlare di rapporti e di giovinezza, di esistenze e di equilibri ad ogni istante in cerca di punti fermi: anche i silenzi restano tali e non trasmettono che il nulla.





