Il mese di gennaio 2026 al Cinema Massimo
L’anno nuovo del Cinema Massimo si aprirà con la retrospettiva (9 – 24 gennaio) dedicata a Mario Martone, regista di punta del panorama cinematografico degli ultimi decenni (il punto d’inizio fu “Morte di un matematico napoletano” sulla figura di Renato Caccioppoli, 1992, Gran Premio della Giuria a Venezia e David di Donatello quale miglior regista esordiente) come pure di quello teatrale (dal 2007 al 2017 direttore artistico dello Stabile Torinese, indimenticabili tra i tanti titoli le “Operette morali” da Leopardi e “Morte di Danton” di Büchner) e lirico, napoletano di nascita, 66enne, retrospettiva che è momento eccellente per affrontare ancora una volta un universo dove possono riemergere non pochi successi – “È sempre una questione di eredità. Il cinema di Mario Martone si pone, testo dopo testo, di fronte a una dialettica di conoscenza e di passaggio, tra il passato e il presente (alla ricerca di qualcosa da far rivivere) e tra contrasti diversi, talvolta lontani, talvolta confinanti, mettendo in primo piano la tensione politica ed etica di un discorso teso verso il futuro” -, alcuni occasione altresì per un confronto con il pubblico. Il regista sarà presente infatti in sala sabato 10 (ore 20,30) per presentare “Fuori”, interprete Valeria Golino a dar vita al ritratto di Goliarda Sapienza, e domenica 11 (ore 16) per introdurre “Noi credevamo”, le tre vite e la missione rivoluzionaria di Domenico, Angelo e Salvatore, la volontà maturata dalla feroce repressione borbonica dei moti del 1828 di affiliarsi alla Giovine Italia di Mazzini, in un susseguirsi umano e storico di “rigore morale e pulsione omicida, spirito di sacrificio e paura, carcere e clandestinità, slanci ideali e disillusioni politiche.”
Quattordici titoli di una filmografia che attraversa allo stesso tempo la sfera privata e pubblica, la Storia e il nostro presente, che attinge alla letteratura (Anna Banti ed Eduardo, Ermanno Rea e Goffredo Parise, Sapienza ed Elena Ferrante), da “Rasoi” a “Capri-Revolution”, da “Il giovane favoloso” con un grande Elio Germano a impersonare il poeta di Recanati a “Nostalgia”, da “Teatro di guerra” a “L’odore del sangue” a “Qui rido io”, non tralasciando (del 2023) “Laggiù qualcuno mi ama”, un ritratto di Massimo Troisi a settant’anni dalla nascita, il mito e la ventata di genialità racchiusi anche in materiali inediti, gli inizi e il tramonto di una carriera terminata troppo presto, sotto lo sguardo della napoletaneità che accomuna entrambi. In programma venerdì 9 (ore 16) e sabato 17 (ore 16).
Ancora dal 26 gennaio al 1° febbraio un focus sul cinema giapponese (“Viaggio in… Giappone”) degli anni Cinquanta e Sessanta con una selezione di opere rare, proiettate in pellicola, che permetteranno di esplorare il periodo d’oro della cinematografia nipponica attraverso opere fondamentali di registi meno celebrati ma altrettanto originali come Kinoshita Keisuke, Shindō Kaneto e Uchida Tomu. Tra drammatiche riflessioni sociali e poetiche storie di speranza, questi capolavori raccontano il Giappone dell’immediato dopoguerra, la sua evoluzione e le sue contraddizioni.
e. rb.
Nelle immagini, scene da “Noi credevamo” con Luigi Lo Cascio e “Nostalgia” con Pierfrancesco Favino.
Chi appartiene alla mia generazione non può non sentire una seduzione speciale, direi unica, per Brigitte Bardot che Mario Soldati mi fece conoscere a Cannes in occasione di un festival. La stessa Saint – Tropez mi ha sempre attratto molto perché attorno a quel luogo aleggiava il mito della Bardot. Quando ci andai in vacanza in uno dei migliori hotel fui deluso perché ciò che rappresentava la Bardot si riduceva ad una borsa di lusso. La spiaggia dell’hotel, lungi dal far pensare a BB era piena di vecchie signore, alcune in topless, che l’età sconsigliava: un qualcosa di decadente e di brutto che metteva tristezza. La Bardot l’aveva ben capito che l’amore, il sesso sfrenato, la frenesia dell’estate e del mare appartenevano solo ai giovani, come in Boccaccio. Infatti si era ritirata presto dal cinema dedicandosi all’impegno generoso a favore degli animali, tema del tutto trascurato, che mostrava la sua sensibilità di donna.
E’ il momento più difficile per il pacchetto di mischia che ha spinto e retto da almeno 20 anni la lotta dei No Tav. All’inizio, facilitata dalla assoluta modestia delle spiegazioni data nel 2004-2005 in Piemonte, della importanza dell’opera sul futuro della economia torinese e italiana della TAV. Allora c’era molto consenso sulla lotta dei valligiani. Personalmente capivo le resistenze locali, simili a quelle contro il primo traforo del Frejus, ma rispetto ad allora, quando il 30% del Parlamento votò contro, questa volta la maggioranza dei cronisti dava più spazio ai Notav. La Stampa nacque dieci anni dopo l’inizio della costruzione del traforo voluto da Cavour. Vent’anni fa scrissi una mail al Direttore de La Stampa nella quale sostenevo che anche il Conte, il politico con maggiore visione della nostra storia, con quella stampa avrebbe fatto più fatica. Cavour invece superò le perplessità del Re rispondendo con una frase da stampare all’ingresso di Palazzo Chigi: “Maestà, noi dobbiamo governare anche per quelli che non capiscono “. Qui invece c’era un forte sostegno popolare insieme a un certo appoggio dei cronisti, La Stampa compresa, e non sto a citare episodi che lo confermano. L’inversione avviene nel 2018 quando la Sindaca Appendino forzò la situazione facendo votare NO dal Consiglio Comunale di Torino. La reazione che portò alla nostra grande Manifestazione SITAV , del 10.11.2018, che i giornalisti e fotografi anziani presenti alla marcia dei 40.000 del 1980 dissero essere superiore, mutò il quadro nella società civile e nella maggioranza di governo portando al voto del Senato del 7.8.2019 che bocciò la Mozione NOTAV. Da allora la partecipazione popolare alle manifestazioni NOTAV iniziò a scendere considerevolmente per arrivare ai tremila dello scorso 8 dicembre. Contemporaneamente però aumentava il peso e il ruolo della componente ideologica e violenta che il buon Perino pensava di guidare alla bisogna e che molti valsusini, sbagliando, consideravano utili alla lotta No TAV. La lentezza dei lavori faceva il resto perché offriva il fianco al periodico attacco ai cantieri e alle aziende valsusine che ci lavoravano. Per me quest’ultimo aspetto era il più odioso. Che i valsusini Notav potessero appoggiare anche se solo psicologicamente l’azione violenta contro i cantieri di aziende della Valle era ed è gravissimo. Che questo non lo abbiano valutato e criticato i cattolici Notav, alcuni parroci, i Sindaci che partecipano alle manifestazioni con la fascia tricolore senza che nessun Prefetto dicesse nulla, è un altro simbolo dello scadimento. Ora che vengono fuori notizie preoccupanti sul pacchetto di mischia che ha sostenuto e sostiene ancora la lotta dei NoTAV, Vorrei chiedere ai Direttori dei quotidiani, dei settimanali cattolici e non, ai Giudici che non hanno ritenuto ci fosse un disegno complessivo, di ripensare le lotte di questi anni, perché tra i centri sociali che ritengono la lotta contro persone e istituzioni come normale lotta politica , tra i filopalestinesi che partecipano alle manifestazioni pro Pal e forse finanziano Hamas, collegati anche a giornalisti che abitano in Valle e curano la comunicazione dei Notav, tra i garanti (cattivi Maestri) che ritengono che l’assalto alla Stampa sia stato un momento leggero, nel quale si è solo buttata per terra della carta, non penso ci sia nulla di cui essere orgogliosi. La crescita della nostra economia è stata bloccata, la Bassa Valle è più povera di prima e oggi dobbiamo temere per la incolumità pubblica con le varie manifestazioni annunciate dai tre ragazzi di Askatasuna che forse non erano ancora nati a Dicembre del 2005, la notte di Venaus.