ilTorinese

Nuovo passo per la rigenerazione di Aurora e Barriera

 

Prosegue il percorso dell’ambizioso progetto destinato a trasformare i quartieri Aurora e Barriera di Milano attraverso interventi significativi di rigenerazione urbana. L’obiettivo è restituire alla cittadinanza luoghi più sicuri, accessibili e vivibili, costruendo al contempo un dialogo costante con le giovani generazioni che abitano e animano il territorio.

Questa mattina si è riunita la commissione di gara per l’affidamento della redazione del progetto di fattibilità tecnico-economica e del progetto esecutivo relativi agli interventi di rigenerazione urbana dei due quartieri, con una base d’asta di 594.585,84 euro. La commissione, presieduta dal dirigente della Divisione Infrastrutture Architetto Alberto Cecca e composta dal professor Michele Bonino, Professore di Progettazione Architettonica e Urbana al Politecnico di Torino, Direttore del Dipartimento di Architettura e Design (DAD) e dell’architetto Nina Bassoli, Curatrice per Architettura, Rigenerazione urbana e Città della Triennale di Milano, degli architetti Giovanni Ferrero e Ferruccio Capitani della Città di Torino, ha individuato quale migliore offerta quella del Raggruppamento LAND ITALIA SRL – SERTEC ENGINEERING CONSULTING S.R.L. – CITEC ITALIA SRL, tra le 10 proposte complessivamente pervenute. L’offerta individuata sarà nelle prossime settimane assoggettata a verifica di congruità prima dell’aggiudicazione definitiva.

“Il percorso verso la trasformazione di Aurora e Barriera prosegue senza sosta – commenta l’assessora alla Rigenerazione Urbana, Carlotta Salerno -. L’individuazione del gruppo di progettazione da parte della commissione è una tappa fondamentale per proseguire nelle tempistiche che ci siamo dati. Non appena conclusi i dovuti passaggi amministrativi ci confronteremo con i progettisti e, insieme alle cittadine e ai cittadini, lavoreremo per restituire alla città quartieri più sicuri, accessibili e vivibili, dove l’arte e la creatività diventano strumenti di inclusione e partecipazione”.

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Il mistero del profumo di Rol

La Signora del Profumo

Da tempo siamo presi da crisi internazionali, economiche, politiche, idealismi sospesi (se non dimenticati), guerre e carestie. Contemporaneamente, e forse in modo isterico, nel nostro quotidiano la fanno da padrone mode fatue, consumismo, edonici atteggiamenti ed egoistiche superficialità.

Eppure l’umanità sa essere ancora ‘altro’ e il volume di Carmelina Novembre lo conferma avendo scritto un libro particolare, composto con stile personale e godibilissimo. Lei è in grado di trasportare il lettore in un’altra dimensione, una nuova forma di ricerca del tempo perduto, con sensazioni e ricordi particolarissimi.
I binari su cui scorre il suo lavoro sono due: Il primo è che Carmelina Novembre vanta una professione piuttosto rara: la profumiera. Non è attività semplicemente commerciale, quanto il lavoro di chi sa creare profumi grazie al dono di un particolare olfatto, una sensibilità fuori dal comune e la capacità di ripercorrere il proprio passato, come quello di antiche generazioni contadine lucane, ricche di immote saggezze popolari, ancora presenti e in grado di costruire culture.
Queste le fonti di Carmelina, figlia di un tempo immemore, atto a sollecitare sensi e memorie,  caratteristica astratta già immortalata nei lavori di Marcel Proust (come l’immersione di un pasticcino Madeleine nel tè, che scatenerà ricordi ed emozioni nel suo immortale ‘Dalla parte di Swann’).
Come si possono ricreare profumi che richiamino il pane fresco di paese o il profumo della biancheria che si asciuga al sole? Non lo sappiamo e forse non lo sa neanche lei, perché la vita è un’alchimia di situazioni che spesso sfuggono al cosiddetto senso comune.

Seconda protagonista del libro è l’enigmatica figura di Gustavo Rol, famosissimo veggente mancato nel 1994 e soprattutto conosciuto a Torino (anche se fu internazionalmente famoso) dal dopoguerra in avanti per le sue incredibili esperienze esoteriche.
Dopo una serie di combinazioni, che proprio combinazioni probabilmente non sono, queste due esistenze, pur senza essersi mai conosciute, si incontrano nel 2012 e si giurano una immateriale fedeltà; ciò porterà in frutto la creazione di un profumo particolare, dai contorni magici, e a lei suggerito proprio dallo spirito di Rol.
Ora da decidere quale mistero si nasconda dietro questo meraviglioso e inebriante profumo, ma alla base di questa Essenza c’è soprattutto la missione di ‘fare del bene’ allo spirito di chi se ne serve.
Senza obbligare nessuno a crederci, noi siamo convinti di questo contatto con l’aldilà, ma soprattutto ci sentiamo di consigliare la lettura de “IL MISTERO DEL PROFUMO DI ROL” a chi considera che la vita sia un dono e che non si limiti a meccanicistici incontri di cellule e concatenazioni materiali.

Ferruccio Capra Quarelli

IL MISTERO DEL PROFUMO DI ROL, di Carmelina G. Novembre, Bonfirraro edizioni, 2024. In libreria e in rete. Euro 18,90

Teleriscaldamento a Bardonecchia

 

Con l’avvio del periodo di vacanza di fine anno vengono nuovamente segnalati diffusi disagi per il malfunzionamento del servizio di teleriscaldamento a Bardonecchia.

L’Amministrazione Comunale si rammarica di questo ma precisa che si tratta di una situazione dovuta esclusivamente alla malagestione della società, che ha ancora in carico il servizio e che aveva assicurato, invece, di avere superato tutti i problemi tecnici.

Da parte sua l’Amministrazione Comunale precisa che si è alle fasi finali della gara per il nuovo gestore e che l’iter sarà concluso nel mese di gennaio auspicando di poter porre finalmente fine a questa spiacevole situazione.

(foto archivio)

Produzione +1%, investimenti in aumento: l’industria piemontese riparte con prudenza

Torino e Piemonte industriali, 2025 anno di svolta lenta

Produzione in lieve ripresa, occupazione stabile. Il 2026 può segnare l’inizio di un nuovo ciclo

Il 2025 si chiude per l’industria piemontese con un bilancio fatto di prudenza, segnali di recupero e molte incognite ancora aperte. Dopo due anni di rallentamento, il sistema produttivo regionale ha cominciato a rimettersi in moto, ma senza ancora imprimere una vera accelerazione. Torino resta al centro di questa fase di riassestamento, tra la crisi dell’automotive tradizionale e la crescita dei comparti tecnologicamente più avanzati.

Nel corso dell’anno la produzione industriale ha mostrato una dinamica moderatamente positiva, con una crescita media che oscilla attorno all’1% e picchi superiori al 2% nei mesi centrali del 2025. A trainare il recupero sono stati soprattutto l’alimentare, l’aerospazio e parte della meccatronica, mentre la metalmeccanica legata alla filiera dell’auto continua a scontare un rallentamento strutturale. Il risultato è un quadro a macchia di leopardo: aziende in piena trasformazione tecnologica convivono con realtà ancora ferme in una fase di attesa.

Anche sul fronte dell’occupazione il segnale è di tenuta. Nei primi mesi dell’anno il saldo regionale ha superato le duemila nuove posizioni lavorative, con la Città metropolitana di Torino che ha concentrato la maggior parte delle assunzioni. Molte imprese hanno mantenuto organici stabili e una quota crescente ha avviato piani di inserimento di figure tecniche e digitali, segnale di una domanda di competenze che sta cambiando volto.

A sostenere questa fase sono anche gli investimenti, con circa un quarto delle imprese che ha programmato spese per rinnovare macchinari, digitalizzare processi e introdurre automazione. È una trasformazione silenziosa ma profonda, che sta ridisegnando il profilo industriale piemontese, sempre meno ancorato alla monocultura dell’auto e più orientato verso produzioni ad alto valore aggiunto.

Le prospettive per il 2026 restano improntate alla cautela, ma con un clima più fiducioso rispetto al recente passato. Le attese indicano una possibile crescita più strutturata, trainata dall’aerospazio, dalla manifattura green, dall’alimentare evoluto e dalla riconversione della filiera automotive verso l’elettrico e la mobilità intelligente. I rischi non mancano: mercati internazionali instabili, concorrenza asiatica e costi energetici ancora elevati continuano a pesare sulle strategie delle imprese.

Il 2026 potrebbe però segnare l’inizio di un nuovo ciclo industriale per Torino e il Piemonte: meno basato sui grandi volumi, più orientato all’innovazione, alla qualità e alle competenze. Una crescita lenta, ma potenzialmente più solida e duratura.

La Regione aiuta i Comuni per l’attività sportiva di base

È pubblicato da  mercoledì 24 dicembre 2025, sul sito della Regione Piemonte il bando che mette a disposizione risorse per oltre 1,4 milioni di euro (esattamente 1.441.115,80 €) destinate ai Comuni e altri Enti locali piemontesi per la promozione dell’attività sportiva di base sui territori. Sono risorse provenienti dallo Stato per interventi di riqualificazione, realizzazione e allestimento di aree, spazi e percorsi attrezzati per l’attività sportiva di base sul territorio regionale. Il bando resta aperto fino alle ore 12 del 24 marzo 2026.

Lo annuncia l’assessore al Commercio, Agricoltura e Cibo, Turismo, Sport e Post-olimpico, Caccia e Pesca, Parchi della Regione Piemonte Paolo Bongioanni, che illustra: «È una misura innovativa per la promozione dell’attività sportiva di base sui territori, che non ha precedenti e che testimonia la sensibilità e attenzione del Governo Meloni e del ministro dello Sport Andrea Abodi per il ruolo fondamentale di cui sono investiti i nostri Comuni per dare a tutti la possibilità di avvicinarsi allo sport e ai suoi valori e benefìci in una logica che riesca a coniugare in modo equilibrato qualità e prossimità dell’offerta. È un bellissimo esempio di come Stato e Regione riescono a mettere a disposizione le risorse disponibili a sostegno dei piccoli Comuni – troppo spesso afflitti da penuria di mezzi e rigidità burocratiche – per offrire a tutti la possibilità di accedere alla pratica sportiva con strutture di qualità e vicino a casa».

Il bando prevede la concessione ai Comuni piemontesi con popolazione fino a 15.000 abitanti, e alle Unioni di Comuni composte da Enti tutti con popolazione fino a 15.000 abitanti, di contributi per interventi di nuova realizzazione, risistemazione e allestimento di:

  • Percorsi ludico-sportivi, multidisciplinari;

  • Spazi per favorire l’attività motoria e sportiva per le scuole senza palestra (all’interno o all’esterno degli istituti scolastici);

  • Aree attrezzate per le attività sportive, fisico-motorie all’aperto.

Per essere ammessi i progetti dovranno avere un importo minimo totale di 10mila euro ciascuno. Il sostegno del bando copre in conto capitale l’80% del costo di ogni singolo progetto fino a un importo massimo di 100mila euro. Ogni ente potrà presentare un solo progetto. I criteri di valutazione assegnano in sede di valutazione un punteggio crescente meno è il numero di abitanti del Comune, proprio per favorire i centri più piccoli. Lo stesso criterio premiale è riservato ai Comuni privi di impianti sportivi. I lavori dovranno concludersi entro 24 mesi dalla data di ammissione al contributo.

Questo bando segue di pochi giorni la pubblicazione della graduatoria di quello che ha finanziato 232 realtà sportive del Piemonte per l’organizzazione e realizzazione di eventi agonistici. Imminente la pubblicazione di quello, molto atteso, per la riqualificazione dell’impiantistica, e dei due bandi per l’efficientamento energetico e l’uso di energie rinnovabili, in arrivo in primavera. Commenta l’assessore Bongioanni: «A inizio 2026 lanceremo il bando con l’importante dotazione di 5 milioni di euro per riqualificare il sistema impiantistico del Piemonte: dai grandi eventi allo sport di base. La Regione Piemonte è attiva con il massimo impegno su tutti i fronti per assicurare il sostegno e incentivare la possibilità di una pratica sportiva con le migliori strutture e la miglior capillarità sul territorio».

Le domande di contributo potranno essere presentate esclusivamente per via telematica, tramite Servizionline – Bandi Cultura, Turismo e Sport e Commercio – FINanziamenti DOMande all’indirizzo web:

https://bandi.regione.piemonte.it/contributifinanziamenti/avviso-pubblico-di-finanziamento-ai-comuni-piemontesi-la-promozione.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Grande Torino, Grande Angela, ma manca il Liberty – 1866 – Fascisti, destra al Nord e al Sud – Lettere

Grande Torino, Grande Angela, ma manca il Liberty

Avevo delle perplessità nel vedere tra gli ospiti della trasmissione su Rai 1 su Torino di Alberto Angela due signore fastidiosamente  onnipresenti: Littizzetto e Christillin, emblemi di una Torino che detesto. Ma debbo dire che – se escludiamo i loro interventi  autoreferenziali e banali – la trasmissione ha volato alto. Innanzi tutto una “mancanza” che fa onore ad Angela: neppure una volta è stato nominato il movimento operaio, Gramsci, Gobetti e la stessa Resistenza, la solita vulgata. Queste parole si sarebbero dovute nominare perché appartengono alla storia della città, ma Angela sa bene anche  l’abuso che ne hanno fatto i comunisti e quindi ha evitato di finire nel vicolo cieco dell’Anpi nazionale. Ha invece parlato, come era giusto, di Torino sabauda perchè ogni angolo di Torino richiama Casa Savoia , quasi esistessero solo i Savoia che purtroppo è una verità perché l’identità tra Dinastia e Nazione è totale fino al 1848 quando Carlo Alberto elargì lo Statuto. Non c’è neppure il mito della Fiat distrutto da Elkann di cui Christillin vuole diventare il custode testamentario, avendo accumulato esperienza con le mummie egizie. Mi ha colpito che lei stessa si è definita “storica” .Da quando? Non sapevo. Angela ha anche reso quasi equanime omaggio alle due squadre di calcio torinesi, ma di questi temi non dico perché sono acalcistico ed asportivo. E’ mancato un richiamo benché minimo al Liberty, una parte di storia torinese fondamentale che è stata trascurata proprio dai torinesi e dai vari assessori disattenti alla cultura. Al contrario è stato richiamato in modo insistito la Ferrari che con Torino non ha legami perché la casa di Maranello è presente al Museo dell’ automobile ,ma non nella storia della città. Meritava invece al Museo un accenno alla Lancia, fagocitata dalla Fiat, incapace anche solo di imitare lo stile del concorrente che ebbe anche lui la disgrazia di un discendente non all’altezza. La Littizzetto ha evitato le solite volgarità e si è inventata gastronoma: bagna cauda, bicerin e altro, secondo un copione banale trito e ritrito che anche i telespettatori di Canicattì conoscono, senza bisogno delle sue mediazioni televisive. Angela ha parlato di Museo Egizio e di Museo del Risorgimento e di Basilica di Superga. I monarchici in collegamento , mentre si sentivano orgogliosi del passato , non potevano non sentirsi in imbarazzo per un presente non proprio esemplare che farebbe infuriare l’ultimo Sovrano Umberto II  ricordato anche lui da Angela . Sulle macerie della Fiat svetta la Torino dei grandi Savoia da Emanuele Filiberto a Vittorio Amedeo ll, al Conte Verde al Conte Rosso . Noi siamo alle prese con Askatasuna e  con lo snobismo delle madamine. Che tristezza!

1866

Il prossimo anno vivremo un anniversario storico tra i più negativi: le sconfitte nella III Guerra d’indipendenza per terra e per mare: Lissa e Custoza. Solo Garibaldi fu vincitore a Bezzecca. L’Italia non capitolò solo perché alleata della Germania contro l’Austria. Una pagina nera. Il Regio esercito e la Regia Marina si rivelarono un disastro  Dobbiamo considerare che nel Mezzogiorno era iniziato il brigantaggio, oggi giustificato da molti storici o sedicenti tali.

Il veleno messo in circolo da Gramsci è duro a morire e le pagine di Rosario Romeo  sul Risorgimento e il Sud vengono nascoste senza essere confutate. Siamo ancora fermi alla  presunta insensibilità sociale degli uomini del Risorgimento, mentre al Sud briganti, avventurieri, delinquenti comuni scuotevano dalle radici l’alberello dell’ Unità nazionale ,senza capire che il riscatto del Sud sarebbe venuto dal processo di unificazione del Paese come vide Romeo.

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Fascisti, destra al Nord e al Sud
Un elemento appare più inspiegabile di altri nella politica italiana d’oggi: il MSI e la destre in genere ebbero sempre ampi consensi al Sud dove non c’era stata la guerra civile e il fascismo non conobbe la fine ingloriosa e tragica che gli toccò al Nord. Non a caso quello della Resistenza veniva chiamato Vento del Nord. Il Nord sembrò una roccaforte antifascista in cui il MSI non toccava palla , prendeva pochi voti e a volte non gli era consentito neppure di tenere comizi. Io ricordo Tullio Abelli che fu il temerario ed anche eroico  fondatore del MSI in Piemonte. Solo nel 1963 divenne deputato, utilizzando i resti. Al Sud il MSI e le destre conquistarono città come Napoli e ebbero molti deputati e senatori  eletti anche tra gli ex fascisti repubblichini o non aderenti a Salo’. A Roma il MSI ebbe molti voti ed elesse anche un sindaco. Nella seconda repubblica la Campania, la Puglia e il Lazio ebbero giunte di centro – destra. Oggi la situazione è cambiata. Tre regioni antifasciste del Nord come Piemonte, Lombardia, Veneto sono nelle mani della destra. Nelle mani della sinistra sono la Campania, la Puglia, la Sardegna.
Cito due esempi, per indicare una tendenza. Poi restano le regioni rosse come Toscana ed Emilia e Romagna, anch’esse antifasciste , ma con un consenso clientelare talmente radicato da essere indifferenti  persino a due inondazioni. La campagna antifascista è uguale in tutta Italia, ma gli esiti sono differenti .Oggi al Nord l’antifascismo elettorale sembra meno seguito, mentre al Sud esso appare più forte. Non si possono fare deduzioni ideologiche semplicistiche  perchè il clientelismo di De Luca o di  Emiliano è assai più forte dell’antifascismo e il nullismo  politico di Caldoro in Campania e di Fitto in Puglia è  apparso destinato a far perdere. Per le città è ancora peggio perché Napoli sembra il feudo di Bassolino, anche se Bassolino non c’è più da tempo. A destra i candidati attrattivi mancano. La Sicilia appare un discorso a sé perché malgrado il malgoverno della destra che si affidò a Cuffaro e ad altri degni compari, e malgrado il malgoverno della sinistra che ebbe un presidente imbarazzante come Crocetta, la situazione è apparsa più fluida politicamente forse perché le clientele (e anche la mafia) travalicano tutto. Anche la camorra in Campania avrà scelto per chi votare. Resta però un dato reale: l’antifascismo in molte regioni del Nord non è più così esclusivo e ferreo come in passato.

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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

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Il sì finale che fa paura
Un periodo di guerre come quello che viviamo non è proprio il migliore per togliere il “Sì’” finale all’ inno Nazionale quando si afferma “siam pronti alla morte . Non siamo mai pronti alla morte, forse neppure il ministro Crosetto sempre più vicino ad  essere un ministro della Guerra.   Gino Apollonia
Non so che dirle  su Crosetto considerato uno dei migliori ministri di Meloni. L’ ho conosciuto poco o nulla. Sull’argomento Inno togliere il Sì, penso sia meglio perché cantare è una cosa, portare le stellette è un’altra. All’epoca di Mameli erano pronti a morire per la Patria, oggi morire per Kiev è cosa molto diversa. Chi ha un’età per essere reclutato, se non è un fanatico, non si sente pronto a morire. Non siamo mai pronti a morire. Gli inni italiani sono brutti: la marcia reale era ridicola, Mameli ha un testo oggi incomprensibile ai più, un testo guerresco che cozza con l’articolo 11 della Costituzione. L’unico inno era ed è la “Leggenda del Piave” scritto da un napoletano non retorico che amava la vita e la Patria. Non basta togliere un sì che fa tremare le vene ai polsi. Nessuno oggi è pronto a morire, ripeto, sempre che non abbia perso la ragione. I generali giustamente si tutelano e difficilmente muoiono in prima linea: preferiscono le retrovie, lasciando l’onore di morire ai soldati semplici o agli ufficiali di complemento. Le medaglie invece sono un riconoscimento molto desiderato soprattutto dagli ufficiali. Pensate a Badoglio, responsabile di Caporetto, ma superdecorato e promosso per meriti di guerra.
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Il governo Meloni
La legge finanziaria ha un po’ scombussolato il governo. I leghisti hanno attentato  alla vita del governo. Alcuni ministri si sono rivelati  inetti, parlamentari hanno dimostrato di non capire  nulla di economia come per la faccenda dell’oro della Banca d’Italia. Ho votato a destra, ma oggi sono perplesso.   Ciro Rizzi
Non è stato un bello spettacolo. Alcuni ministri sarebbero da cambiare, ma aprire una crisi sarebbe pericoloso. Non siamo più ai tempi della Dc. La invito a pensare un governo di sinistra alle prese con un finanziaria come questa. Avrebbe potuto far meglio? Non credo. Mancano i soldi .L’economia asfittica  di guerra sta mordendo le poche risorse . Con Fratoianni al governo io avrei paura. La verità è  che abbiamo solo politici e nessun statista . Anche nella Dc gli statisti erano pochi, nel PSI uno solo, negli altri partiti non c’era nessuno: Tanassi era vice presidente del consiglio e ministro della Difesa, ma era anche un ladro. Caro Rizzi, la politica italiana è prevalentemente in mano a persone prive di carisma. Ma anche nel passato era così. Anche all’estero non è meglio. Macron occupa il posto di De Gaulle, Pompidou, Chirac. In Francia non c’è neppure una maggioranza che governa. Lei che ha votato a destra, si tenga stretta la Meloni. Perché cambiarla? Mantiene un consenso considerevole, pur con un partito non pronto ad andare al governo. Le critiche espresse da Marcello Veneziani sono ridicole. Si è accorto in ritardo che avrebbe desiderato  andare al governo.

Fine anno a Cesana Torinese all’insegna delle Fiaccolate

Domenica 28 a Sagnalonga, lunedì 29 dicembre la Fiaccolata dei Maestri a Sansicario e martedì 30 dicembre Fiaccolata dei Ragazzi a Sansicario.

CESANA TORINESE – Un Natale così imbiancato non si vedeva da tempo. La nevicata della vigilia ha regalato un’atmosfera ancora più magica al paesaggio di Cesana e delle sue Frazioni.

E come vuole la tradizione dopo il Natale il paese si anima ancor di più.

Fioccano così gli appuntamenti per residenti, villeggianti e per i tanti turisti che sono arrivati in paese per godersi questo meraviglioso paesaggio imbiancato.

Si inizia già questa sera di sabato 27 dicembre. La Pro Loco Proyoung propone alle ore 21 presso la Sala Formont di via Pinerolo 0, la storia avvincente del “Ladro del secolo” Leonardo Notarbartolo con la “Rapina del Secolo” raccontata dall’autore. Il Lupin italiano nelle prime ore di domenica 15 febbraio 2003 riuscì nell’impresa di rubare milioni di euro in diamanti dal caveau più sicuro d’Europa al World Diamond Center di Anversa. Serata ad ingresso libero e gratuito sino ad esaurimento posti.

Sempre quest’oggi sabato 27 dicembre, alle ore 15 riapre il “Museo Casa delle Lapidi” di Bousson con l’apertura invernale della mostra “A capo coperto – Le cuffie degli Escartons: identità e storia” a cura di Contempora e Raquel Barriuso Diez che ha già catturato il grande pubblico nell’apertura estiva. Mostra che rimarrà aperta sino al 6 gennaio sempre con orario 15-18.

Sempre nel borgo di Bousson è visitabile il Presepe “Presepe e antichi mestieri di montagna “ sino al 31 gennaio 2026.

Domenica 28 dicembre inizia il tour delle Fiaccolate. Appuntamento alle ore 18 sulle piste di Sagnalonga per la “Fiaccolata dei Maestri della Scuola Sci Monti della Luna” con all’arrivo distribuzione di vin brûlé.

Domenica 28 dicembre, la Pro Loco Proyoung sempre alle ore 21 presso la Sala Formont di Via Pinerolo 0 a Cesana Torinese, propone una serata all’insegna dell’informazione con la squadra del Soccorso Alpino Speleologico Piemontese stazione di Cesana Torinese. Una serata con tante informazioni utili, proiezione di una filmato didattico inerente la montagna e apre le porte per un proficuo dibattito. Un momento di incontro e riflessione particolarmente utile in questo momento con anche tutte le indicazioni fondamentali relative al rischio valanghe. Serata ad ingresso libero e gratuito sino ad esaurimento posti.

Lunedì 29 dicembre ecco il grande appuntamento con la “Fiaccolata dei Maestri a Sansicario”. Un evento sempre molto atteso che quest’anno si arricchisce della presenza delle telecamere di Mediaset che manderà in onda il servizio mercoledì 31 dicembre alle ore 19 su Italia 1 nel programma “Studio Aperto Mag”.

Un evento che vede la collaborazione della Pro Loco Proyoung insieme alle tre Scuole Sci di Cesana: Action Sansicario, Cesana-Sansicario e Monti della Luna.

L’appuntamento per la grande fiaccolata sulle piste di Sansicario è per le ore 18. All’arrivo saranno presenti oltre a musica, spettacolo, cioccolata e vin brûlé ed il grande braciere per il falò finale.

Nuovo appuntamento con la Fiaccolata martedì 30 dicembre con alle ore 18 sulle piste di Sansicario “Fiaccolata dei Ragazzi” delle Scuole Sci Action Sansicario e Cesana Sansicario.

Una nuova fiaccolata è poi già in programma per festeggiare il nuovo anno sabato 3 gennaio con la “Fiaccolata a piedi per le vie di Cesana”. Sabato 3 gennaio è il programma la “Stra Stra Fiaccolata” organizzata dalla Pro Loco ProYoung: dalle ore 21 una camminata con fiaccole lungo le vie del paese; con un ticket di partecipazione di € 5 acquistabile presso l’Ufficio del Turismo si potrà partecipare all’estrazione in presenza di un soggiorno di 7 notti in Puglia. Gran finale poi con musica, vin brulé in piazza Vittorio Amedeo.

Elisabetta di Baviera e l’ombrellaio di Sovazza

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Argante Dorini aveva dimostrato la sua abilità fin da giovane, dotato com’era di una manualità fine e di un ragguardevole ingegno. Da Sovazza, dov’era nato e dove viveva con la moglie e i due figli quando non era in cammino sulle strade di mezz’Europa, aveva interpretato con passione l’arte del lusciàt, dell’ombrellaio ambulante. Mestiere duro ma senza alternative che Argante condivideva con l’amico Filippo Filippi, un tipo segaligno di Carpugnino. Insieme, macinando chilometri su strade polverose o in mezzo al fango, lontano da casa, s’arrangiarono a raccogliere il loro magro guadagno riparando ombrelli e parasole. Rimanevano mesi e mesi lontani da casa, risparmiando il risparmiabile per sostenere le famiglie, ricorrendo il più delle volte per cibo e alloggio a soluzioni di fortuna. Spesso non riuscivano a mettere insieme il pranzo con la cena e dormivano dove capitava.

 

Quante volte si erano appisolati, stanchi morti, sotto il cielo stellato nella buona stagione o in qualche fienile quando tirava vento o scrosciava la pioggia. Eppure, mai una lamentela perché la loro vita era così: prendere o lasciare. Il figlio Fulgenzio apprese a sua volta il mestiere, girovagando per le pianure piemontesi e lombarde per sfuggire alla miseria. Il lavoro l’aveva “rubato” a tal punto da diventare uno dei migliori nell’arte di vendere e riparare ombrelli. Accompagnato da Nino, il fratello più piccolo, giravano come dei nomadi gridando a gran voce “donne, donne, à ghè l’ombrelè!”, portando a tracolla la barsèla, la cassetta nella quale erano riposti  tutti i ferri del mestiere del lusciàt: dai ragozz, le stecche degli ombrelli, a lusùra, flignànza, tacugnànza e tacòn, ramé, cioè forbici,  rocchetti di refe, pezze varie, bastoni di legno. Con quell’armamentario erano in grado di cucire, limare, intagliare il legno, incollare e sagomare stoffe. Se c’era da riparare un ombrello lo accomodavano, racimolando qualche soldo; se invece si trattava di confezionarne uno nuovo, era festa grande. Girovagavano per le vie guardando porte e finestre, in attesa del cenno di chi era disposto ad affidar loro un parapioggia tartassato dai troppi acquazzoni, contorto dal vento o vittima della voracità delle tarme.

Ogni lavoro era buono e non si rifiutava mai, mettendosi subito alacremente al lavoro, e in silenzio. Stessa vita riservò all’unico figlio maschio, Mario. Per arrotondare il magro guadagno accompagnavano il mestiere con la costruzione e la vendita di altri manufatti in legno e in fil di ferro come gabbie, trappole per topi, insalatiere, setacci. Anche Mario, diventato uomo, si avvalse di un apprendista, Giacomino Dentici, un ragazzino di dieci anni, sveglio come un passero e rapido come una saetta. Come da tradizione il giorno di Capodanno, sulla piazza di Carpugnino, si incontravano a parlare d’affari e preparare la nuova annata degli ombrellai. In quell’occasione le famiglie più povere affidavano i loro figli piccoli agli artigiani ambulanti, nella speranza che avrebbero imparato un mestiere, sconfiggendo povertà e indigenza. “Al prumm dal lungon a Carpignin, a truà l’ Casér senza an bergnin”, che tradotto equivaleva a “il primo dell’anno a Carpugnino, a cercar padrone, senza un soldino”, come recita un’epigrafe che fa mostra di sé ancor oggi  nella piazza del piccolo paese del Vergante. Reclutata così la manodopera, gli ombrellai si mettevano in cammino alla ricerca dei guadagni necessari a garantire un futuro migliore. Bisogna dire che l’apprendista entrava quasi a pieno titolo nella famiglia dell’ombrellaio che provvedeva a lui in tutto e per tutto. Per fortuna i tempi erano cambiati e non s’andava più a piedi, consumando scarpe e sudore, ma in bicicletta. E che biciclette! Due Maino purosangue, modello anni venti con il doppio carter e senza una macchia di ruggine nonostante fossero di seconda mano. Mario le aveva ottenute da un ciclista in cambio di una serie di lavori, tra i quali un paio d’ombrelli nuovi di zecca. In fondo non erano proprio a buon mercato ma la comodità di pedalare lesti e di non scarpinare più dall’alba al tramonto n’era valsa la pena. Così Mario e Giacomino lavorarono a lungo, lontano da casa e dai propri cari, accompagnandosi nel tragitto con i canti in quella particolare lingua che si parlava tra lusciàt: il tarùsc. Tra di loro, per tradizione e abitudine, comunicavano in quel gergo difficile, quasi del tutto incomprensibile, dalla pronuncia piuttosto secca e dura. Facilitati dalla stessa provenienza territoriale, cioè dai paesi dell’alto Vergante, gli ombrellai potevano intendersi con rapidità e segretezza, scambiandosi notizie e commenti nella certezza di non essere capiti. L’idioma era un misto di dialetto e parole di altre lingue, dallo spagnolo al francese al tedesco, rielaborate con arguzia e duttilità. Così, tanto per fare due esempi, l’avvocato era un “denciòn” e il cuoco un “brusapignat”.

“Al lusciàt caravaita a gria i lusc”, dicevano gli anziani. L’ombrellaio ambulante ripara gli ombrelli perché la ghéna, la fame, era tanta e ci si poteva considerare brisòld (ricchi) solo quando si riusciva a mettere su la prima bottega con un banchetto e l’insegna di due cupole d’ombrello a spicchi bianchi e rossi e la scritta “luscia, el lusciat piòla” che, più o meno, si poteva tradurre in piove, l’ombrellaio si prende una sbornia. Infatti, quando il cielo diventava scuro, la terra cambiava odore e l’acqua iniziava a scrosciare, fosse temporale estivo o pioggia autunnale, si brindava alla fortuna perché con la pioggia si lavorava di più. Quando tornava a casa Mario raccontava le avventure della sua vita randagia. Era orgoglioso di quel lavoro dove la fatica e i sacrifici erano ricompensati dalla passione per un mestiere che richiedeva non solo molta abilità ma anche una buona dose di creatività. Soprattutto quando l’ombrello andava costruito nuovo di zecca e venivano usate le sagome per tagliare le stoffe. Qui la differenza di censo balzava all’occhio immediatamente: i benestanti e i nobili sceglievano la seta, per gli altri tutt’al più c’era il cotone. Il racconto più straordinario risaliva all’epoca in cui suo nonno confezionò un paio d’ombrelli per la principessa Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach, bavarese di nascita, diventata imperatrice d’Austria, regina apostolica d’Ungheria e regina di Boemia e Croazia, oltre che consorte di Francesco Giuseppe d’Austria. Celebre ovunque in Europa con il nome di Principessa Sissi (anche se dalle sue parti di esse ne usavano una sola). Argante Dorini non era tanto dell’idea di riverire la nobildonna, non foss’altro perché il fratello di suo padre, lo zio Luigi,aveva combattuto contro gli austriaci con il grado di tenente dell’esercito franco-piemontese durante la seconda guerra di indipendenza italiana, perdendo la vita nella battaglia di Solferino, il 24 giugno del 1859. Una pallottola aveva centrato in pieno petto Luigi Dorini proprio durante le ultime scaramucce di quella che fu una delle più grandi battaglie dell’Ottocento, con più di duecentomila soldati in campo. Il papà di Mario, antiaustriaco pure lui, teneva in tasca una vignetta dove un soldato asburgico era raffigurato come un maiale. E diceva sempre che “il Cecco Beppe al ma stà sui ball”.

 

Ma si sa, il lavoro è lavoro, e quando una delle dame di corte della Principessa prese contatto con lui mentre si trovava a Madonna di Campiglio nel 1889 chiedendogli di confezionarle un ombrello, non disse di no. Argante, nonostante la giovanissima età, era già uomo di poche parole e di buon senso,  e sosteneva che dove c’erano tanti ricchi e tanti nobili  c’era anche “tanta grana” e qualche corona in saccoccia non faceva certo male. Per questo si era sobbarcato quel viaggio lunghissimo verso est, in cerca di fortuna. A quel tempo la perla delle Dolomiti di Brenta era una delle mete predilette dall’aristocrazia europea e anche l’imperatrice Elisabetta aveva deciso di trascorrervi un periodo di villeggiatura, risiedendo all’Hotel des Alpes. Presa in carico l’ordinazione si dedicò alla fattura del parasole per la moglie di “quel crucco del Cecco Beppe”, mettendoci tutta la sua arte. Si trattò di un lavoro laborioso che consegnò alla dama nel tempo di due settimane, senza trascurare altri incarichi. La Principessa Sissi fu talmente soddisfatta che, esattamente due anni dopo, mentre soggiornava a Cap Martin, in Costa Azzurra, venuta a conoscenza dalla stessa dama del suo seguito della presenza di quell’italiano (“der italiener”) così abile a costruire ombrelli, ne commissionò un altro. Anche quella volta il nonno di Mario diede il meglio di se per soddisfare la vanitosa Elisabetta che, ossessionata dal culto della propria bellezza, teneva molto anche ad abiti e accessori. Secondo le cronache le occorrevano quasi tre ore per vestirsi, poiché gli abiti le venivano quasi sempre cuciti addosso per far risaltare al massimo la snellezza del corpo. E l’ombrello era un oggetto di complemento molto importante. L’Imperatrice d’Austria amava fare lunghe camminate e il lusciàt Argante, a tempo di record, le offrì un modello slanciato che poteva essere utilizzato anche come bastone da passeggio. Lungo 77 centimetri (Sissi era alta un metro e settantadue), manico e puntale in legno invecchiato, calotta in taffetas color ruggine con passamanerie e fodera avorio. Un vero gioiello! Un raro bijoux! La principessa Sissi, per la seconda volta, apprezzò l’arte di Argante e, oltre a una generosa ricompensa, gli fece avere un attestato in cui lo si indicava come “fornitore ufficiale della Casa d’Asburgo”. Non gli avrebbe aperto le porte di Schönbrunn ma era comunque un atto di stima importante. In fondo, pur essendo antiaustriaco, non gli dispiacque quell’onorificenza e quando il 10 settembre del 1898 l’Imperatrice, sempre vestita di nero dopo il suicidio del figlio Rodolfo, celando il viso dietro l’ombrellino, perse la vita a Ginevra pugnalata al petto dall’anarchico italiano Luigi Lucheni, il nonno di Mario portò a lungo il nastro nero sul braccio in segno di lutto. E s’arrabbiò quando il suo coscritto Valerio Rabaini, detto Bakunin, vedendo quel nastro, gli diede una bella pacca sulle spalle, sentenziando: “Bravo,Argante. Sei anche tu dei nostri, a quanto vedo. Avremmo preferito un capo di Stato, ma l’Imperatrice d’Austria, in mancanza di meglio, è andata bene lo stesso”.

 

Sinceramente addolorato guardò storto il Rabaini che si guadagnò pure un calcio nel sedere e una scarica di improperi che non è il caso di riportare. Questa storia si è tramandata e ai Dorini capitò spesso di raccontarla ai ragazzi che però ascoltano svogliati, a volte per dovere, presi come sono dal loro mondo. I bambini invece, soprattutto le femmine, sono curiosi e fanno tante domande. Beata ingenuità: chiedono perché il nonno di Mario non sposò “la Sissi”, domandano se non le piacesse, se la trovava brutta o non si erano capiti per colpa della lingua. Chissà, forse è stato tutto colpa del destino che ha voluto far andare le cose così. Anche se, persino nell’ultimo istante della sua vita, l’affascinante Elisabetta, portò con sé l’opera d’arte confezionata dall’italiener Argante, ombrellaio ambulante di Sovazza.

Marco Travaglini