redazione il torinese

Villa Costantino Nigra

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Castelli diroccati, ville dimenticate, piccole valli nascoste dall’ombra delle montagne, dove lo scrosciare delle acque si trasforma in un estenuante lamento confuso, sono ambientazioni perfette per fiabe e racconti fantastici, antri misteriosi in cui dame, cavalieri, fantasmi e strane creature possono vivere indisturbati, al confine tra la tradizione popolare e la voglia di fantasia. Questi luoghi a metà tra il reale e l’immaginario si trovano attorno a noi, appena oltre la frenesia delle nostre vite abitudinarie. Questa piccola raccolta di articoli vuole essere un pretesto per raccontare delle storie, un po’ di fantasia e un po’ reali, senza che venga chiarito il confine tra le due dimensioni; luoghi esistenti, fatti di mattoni, di sassi e di cemento, che, nel tentativo di resistere all’oblio, trasformano la propria fine in una storia che non si può sgretolare. (ac)

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1 / Villa Costantino Nigra

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È una di quelle giornate acquose. C’è una pioggia sottile che impregna il paesaggio ed i vestiti, la luce che illumina le cose pare scivolarci sopra, dando uno strano e dolce effetto ottico. È lo sfondo perfetto per la storia di oggi, che si incentra sul fantasma di una nobildonna, Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione. Si dice che, talvolta, ella appaia mentre danza senza veli alla luce della luna, in un terrazzo di una villa ormai dimenticata, costruita sulle fondamenta di un antico castello. Parto in compagnia della mia amica Martina, chiacchieriamo disturbando la radio e la voce dispotica del navigatore, ci lasciamo Torino alle spalle, dirette verso il verde della provincia, fino a raggiungere la frazione di Villa Castel Nuovo, un piccolo comune di circa 414 abitanti, che al suo interno custodisce quello che un tempo era un gioiello di lusso ricercato, la villa della famiglia Nigra. La villa fu costruita probabilmente tra gli anni 50 e 90 dell’800, non è possibile essere più precisi a causa di un incendio, scoppiato agli inizi del ‘900, che distrusse tutti i progetti contenuti all’interno dell’archivio comunale. Per lo stesso motivo anche l’identità dell’architetto rimane una questione aperta, anche se è del tutto probabile che il progetto sia stato affidato a una personalità di rilievo nell’ambito del torinese.

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Gli unici abitanti in cui ci imbattiamo sono un paio di gatti chiacchieroni che ci accompagnano per un breve tratto di salita, ma, non appena l’inclinazione del nostro sentiero aumenta, ci abbandonano, proprio davanti ad una piccola chiesetta adiacente ad un muro massiccio. Alzando lo sguardo faccio qualche passo indietro, estraggo la mia reflex e scatto la prima fotografia: guardandola per controllare le impostazioni, penso che sia il luogo perfetto per una storia di fantasmi. Davanti a me si ergono mura imponenti, la particolare luce del giorno le rende di un colore tra il grigio di un gatto certosino e il lilla del glicine, il muschio del tempo si espande su tutta la superficie e fa da amalgama tra i muri esterni e il cancello d’entrata, interamente in ferro, reso di un cupo color ruggine dalle intemperie e dall’abbandono. Al di là dell’ingresso si trova un giardino disordinato, con erba troppo alta e alberi dai rami invadenti, tutto è in procinto di essere inghiottito dall’edera. Attorno a quello che un tempo doveva essere un elegante cortile interno, si trova un porticato di colonne massicce, dietro le quali gli accessi all’interno della struttura si presentano come portali misteriosi, complici dell’ombra che non fa intuire dove conducano. Lo spettacolo che sto guardando è un quadro di C.D. Friedrich: tutto attorno è malinconico come le foglie lucide di pioggia e decadente come le mura scrostate che sorreggono un guscio vuoto. L’esterno della villa mantiene ancora una certa eleganza e austerità, aspetti supportati dall’antico progetto che prevedeva la fusione del presente edificio con il preesistente Castello di San Martino, di cui sono ancora visibili le fondamenta. Del castello si hanno poche notizie. Tantissime furono le battaglie che dovette sopportare, tra cui, probabilmente, la rivolta dei Tuchini che coinvolse tutto l’alto Canavese e molti altri scontri durante le guerre franco-spagnole. Il Castello uscì da questo periodo estremamente danneggiato. Ciò costrinse il proprietario, Pompeo I di Castelnuovo, a trasferirsi in un’altra residenza, a Castellamonte. Da questo momento in poi non si hanno più notizie del sito, fino al momento in cui Ludovico Nigra lo acquistò, insieme ai terreni circostanti.

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Completamente opposta a quella esterna è la situazione interna, scavata dall’ingordigia dei curiosi che nel tempo hanno approfittato dello stato di abbandono su cui grava la villa, un tempo dotata di pavimenti sfarzosi, arazzi, affreschi sulle pareti e sui soffitti, ricca di splendidi suppellettili e di mobilia ricercata, tra cui una preziosa scrivania appartenuta a Napoleone I.   Sono intrappolata in una strana atmosfera, l’unico suono che si percepisce è il vento che infastidisce gli alberi. Sembra che l’enorme edificio stia dormendo; l’aria che viene dall’interno è il suo respiro, gelido e arreso all’idea che nessuno verrà a interrompere quel riposo. Spinta da un’insolita e strana curiosità, oltrepasso quello che percepisco come lo sterno della villa, costituito da stanze sgombre e desolate, ascolto lo scrocchio dei miei passi fino a che non raggiungo il vero cuore pulsante: il terrazzo esterno. Qui vi è un balconcino in stile classico, che da una parte si affaccia a strapiombo sulla strada, dall’altra parte – a ridosso della collina- esso è costeggiato da una serie di colonne massicce, oltre le quali si insinua un altro giardino ribelle. Scatto un’altra fotografia, mentre la guardo sul monitor noto l’estrema delicatezza del viola del glicine che si appoggia al bianco sporco della balaustra: al di là, le verdi colline sbiadiscono nella foschia. In questo punto particolare della casa l’atmosfera si fa più dolce, come se la villa mettesse le mani a conca per proteggere qualcosa, l’illusione di un ultimo tentativo di preservare la bellezza della dama antica, di cui qui si avverte l’impercettibile presenza. La Contessa fu una donna bella, straordinaria, intrigante, abile in politica, amica, oltre che cugina, di Camillo Cavour che la inviò in Francia per sedurre e piegare alla causa piemontese l’imperatore Napoleone III. A Parigi Costantino Nigra conobbe la seducente Contessa e ne fu profondamente attratto. Esempio di vanità assoluta, lei stessa si definì “la donna più bella del secolo”, e nessuno osò mai contraddirla. Terrorizzata dal vedersi invecchiare sostituì gli specchi della sua abitazione con i propri autoritratti fotografici e smise di farsi vedere in pubblico. Consumata da tale narcisistica ossessione, si trasformò nello spettro della sua stessa bellezza.

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La villa, se stai ad ascoltarla, ci racconta anche altre storie: le visite notturne di Re Vittorio Emanuele II e della sua scorta, gli incontri massonici nei sotterranei del castello, i cunicoli che si diramano nell’oscurità e raggiungono le colline più lontane. A partire dal suo primissimo proprietario, le mura della villa ospitarono solo personaggi molto discussi, fatto che aiutò a fomentare chiacchiere e leggende sul luogo. Ludovico Nigra era un cerusico di modeste condizioni, aveva aderito ai moti del 1821, motivo per cui non era molto stimato dai detentori del potere dell’epoca.Il figlio di Ludovico, Costantino, nacque all’interno delle stesse mura, l’11 giugno del 1828. Egli diventerà figura centrale del Rinascimento italiano, in qualità di segretario, prima di D’Azeglio, poi di Cavour. Anche Costantino però fu una figura controversa, prese parte a molti episodi che all’epoca destarono scalpore, uno dei più chiacchierati fu quello della distruzione di alcune lettere, scritte da Cavour e indirizzate all’amante Bianca Ronziani, il cui contenuto rimase per sempre segreto. Inoltre fu investito della carica di Gran Maestro della Massoneria del Grande Oriente d’Italia presso la Loggia Ausonia di Torino. Scatto altre fotografie degli interni, ma poi ritorno ancora sul terrazzo, in cui malia, storia e mistero vanno all’unisono. Il rumore della pioggia che aumenta mi avvisa che non c’è più nulla da perlustrare e fotografare, la penombra che si infittisce mi conferma che è ora di andare. Anche perché non bisogna approfittare troppo della gentilezza di chi ci ospita.

Alessia Cagnotto

Polis Policy, a Torino si parla di welfare

Torna “Polis Policy – Accademia di Alta Formazione”, che punta allo sviluppo della coscienza del vivere nella collettività tramite gli strumenti della preparazione e dell’approfondimento. La seconda delle tre Sessioni in programma (17 febbraio, 17 marzo e 14 aprile) è dedicata al tema “L’essere al centro: welfare per tutti o per pochi?”. Informazioni sul sito www.PolisPolicy.it. L’evento è accessibile alle persone con disabilità motoria. Nella II Sessione, in programma dopodomani (sabato 17 marzo 2017), si affronterà la questione della sostenibilità del welfare sul lungo periodo, provando a rispondere a un quesito fondamentale: ci saranno ancora le risorse per mantenere i nostri attuali livelli di benessere, la nostra sanità e i nostri stili di vita?

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PROGRAMMA DELLA II SESSIONE – Sabato 17 marzo 2018, presso la Scuola di Amministrazione Aziendale (SAA), in via Ventimiglia 115 a Torino.

Ore 9:00 Registrazione dei partecipanti

Ore 9:30 Vision – Isabella Mastrobuono, Prof.sa di organizzazione sanitaria presso la Business School dell’Università Guido Carli-Luiss di Roma; Franca Maino, Prof.sa presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano e Direttrice del Laboratorio Percorsi di secondo welfare

Ore 13:00 Speaking lunch – Gian Paolo Zanetta, Commissario dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino

Ore 15:00 Agorà – Elsa Fornero, Università di Torino; Fiorella Lunardon, Università di Torino; Vincenzo Scudiere, già Segreterio Confederale CGIL

Ore 18:00 Another Vision – cortometraggio Punto di vista, con l’attore/regista Francesco Apolloni; incontro con Omar Pedrini, cantante, già leader della band Timoria

Ore 19:00 Apericena di fine sessione

L’evento è accessibile alle persone con disabilità motoria.

Polis Policy è un progetto fondato sulla convinzione del fatto che solo attraverso la (ri)scoperta dei valori dell’approfondimento e dell’analisi si possa supportare la persona nello sviluppo di una necessaria consapevolezza come parte di una collettività e di una società. L’Associazione Difendiamo il Futuro propone questo nuovo percorso in una fase storica di grandi cambiamenti sociali, culturali ed economici. Il programma della scuola si sviluppa in tre Sessioni, ognuna organizzata nel corso di un’unica giornata (sabato). Il format è finalizzato a favorire non soltanto l’approfondimento e l’analisi, ma anche l’interazione tra relatori e platea.

Sito web: www.PolisPolicy.it

Sono aperte le iscrizioni al Biennio 2018-2020 della Scuola Holden

«Mi proietterò in diversi futuri simultaneamente

[…] con un lieve tremolio della mano;

mi imbarcherò in un percorso dall’ironia alla sincerità

nella metropoli che sprofonda,

come un aspirante Whitman della vulnerabile rete.»

Ben Lerner, Nel mondo a venire

 

 

Il 15 marzo 2018 è cominciato lo Scouting della Scuola Holden: in altre parole, sono iniziate le selezioni per il Biennio in Storytelling & Performing Arts 2018-2020.

L’Application Form per iscriversi al test d’ammissione sarà online su scuolaholden.it fino al 30 settembre. Si potrà scegliere se fare la prova a Torino, alla Scuola Holden, oppure nelle altre città italiane in cui verranno organizzati i test. Le prime prove saranno a Torino il 20 aprile, le altre date verranno comunicate man mano sul sito della Scuola.

 

Qui, nel mondo a venire è il claim della campagna iscrizioni, esplicito riferimento al libro di Ben Lerner, autore che lo scorso maggio era stato ospite della Scuola durante il Salone internazionale del libro. Quello che viene descritto nel romanzo di Lerner, infatti, è paragonabile a ciò che succede all’inizio di ogni anno scolastico alla Holden: si è di fronte a un presente “vivo di molteplici futuri”, quello degli studenti che si iscrivono al Biennio affacciandosi a un cambiamento in cui potranno sperimentare la stessa sensazione provata dal protagonista del libro – la sensazione che la realtà, intorno a loro, si stia riorganizzando per creare un mondo in cui tutto sarà come prima, ma leggermente diverso. È ciò che accade quando si ha la possibilità di accogliere l’indeterminatezza di ciò che è ancora di là da venire, ma che allo stesso tempo è già qui, nel presente.

 

Quest’anno gli studenti che si cimentano nei test sperimenteranno, di fatto, quel che significa studiare per due anni alla Holden: i test veri e propri saranno la mattina, il resto della giornata si rimane a Scuola per i colloqui con la Didattica e nel frattempo si seguono due lezioni, ci si conosce, si esplorano aule e corridoi, si fa amicizia con quelli che (si spera) saranno i futuri compagni di classe.

 

I posti disponibili sono 170, per studenti dai 18 ai 30 anni italiani e stranieri, e i percorsi di studio tra cui scegliere (i College) sono sette:

 

  • BRAND NEW Capitale Umano e Narrazione d’Impresa
  • CINEMA Sceneggiatura, Regia & Produzione

 

  • DIGITAL Crossmedia & Interactive Storytelling
  • REPORTING Giornalismo, New Media & Real World
  • SCRIVERE Racconto, Romanzo & Tutto il resto
  • SERIALITÀ & TV Format & Narrazioni infinite
  • STORYTELLING Writing, Filmmaking & Everything in Between  L’Application Form è online su scuolaholden.it dal 15 marzo al 30 settembre 2018.  
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  • Tutte le informazioni sullo Scouting si possono avere scrivendo a scouting2018@scuolaholden.it
  • L’immagine guida della campagna Scouting è stata disegnata da Manuele Fior, autore di graphic novel che hanno vinto importanti premi internazionali come Cinquemila chilometri al secondo, La signorina Else, L’intervista, Rosso oltremare e Les gens le dimanche. Le sue illustrazioni sono state pubblicate, tra gli altri, da The New Yorker, Le Monde, Vanity Fair, Feltrinelli, Einaudi, La Repubblica, Internazionale, Il Manifesto e Rolling Stone Magazine.

Bram Stoker e il mistero della tomba di Dracula

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DRACULA 1La tradizione popolare vuole che sia stato sepolto nella chiesa ortodossa dell’Assunzione, nel convento di Snagov, su un’isola, nel bel mezzo di un lago situato a una quarantina di chilometri a nord di Bucarest

 Il 26 maggio del 1897, a Londra,  veniva pubblicato il più famoso dei libri dello scrittore irlandese Bram Stoker. Si trattava di “Dracula”, un romanzo dalle atmosfere gotiche. In verità l’idea venne concepita da Stoker qualche anno prima, esattamente 125 anni fa, tra il luglio e l’agosto del 1890. “La bocca, per quel che si scorgeva sotto i folti baffi, era rigida e con un profilo quasi crudele. I denti bianchi e stranamente aguzzi, sporgevano dalle labbra, il colore acceso rivelava una vitalità stupefacente per un uomo dei suoi anni. Le orecchie erano pallide, appuntite; il mento ampio e forte, le guance sode anche se scavate. Tutto il suo volto era soffuso d’un incredibile pallore”. Una descrizione che non lascia dubbi sull’identità del personaggio e sulla sua natura sinistra, che per la prima volta fece acquisire dignità letteraria ai vampiri. Alle credenze popolari e alle superstizioni diffuse soprattutto nei paesi dell’Est e nei Balcani, il letterato irlandese – che nella Londra “vittoriana” alternava all’attività di giornalista quella di scrittore – venne introdotto dal professore ungherese Arminius Vambéry. Fu quest’ultimo a parlargli della Transilvania, raccontando la storia del principe Vlad III di Valacchia, noto con l’appellativo di “Draculea” (che si può tradurre come “figlio del dragone”, riferito al padre Vlad II, membro dell’Ordine del Dragone). Il principe Vlad Tepes, passato alla storia come “Vlad l’Impalatore” per i suoi sadici metodi di tortura che riservava non solo ai turchi ma anche ai cristiani, nell’immaginario di Stoker si sovrappose al protagonista del suo romanzo.

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Tra l’altro, nella lingua rumena,  le parole “dragone” e “diavolo” ( “drac”) sono molto simili. Così, Vlad vide trasformare il suo soprannome “Draculea” in “Dracula” il cui significato e’ “figlio del Diavolo”. Stoker trovò anche un’altra fonte d’ispirazione in diversi articoli comparsi sui giornali dell’epoca in relazione ad un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1892, nella cittadina di Exter (New England). La morte di una ragazza diciannovenne scatenò l’ immaginazione dei suoi concittadini, sia per gli strani sintomi, pallore e inappetenza, sia per il fatto che a poca distanza morirono allo stesso modo madre, sorella e fratello. Ciò che per la medicina non poteva che trattarsi di tubercolosi, per la gente era un chiaro caso di vampirismo. Una suggestione dopo l’altra, mischiando storia e immaginazione, lo scrittore costruì il romanzo come una raccolta di pagine di diario scritte dai protagonisti della vicenda. Dal giovane avvocato inglese Jonathan Harker, che si reca in Transilvania per definire l’acquisto di una casa londinese da parte del Conte Dracula, alla sua fidanzata Mina Murray, oggetto del desiderio del vampiro che in lei rivede la moglie morta, fino al professore olandese Abraham Van Helsing, scienziato e filosofo che crede nell’esistenza del soprannaturale. Fatto circolare prima tra gli amici e successivamente modificato, il libro venne stampato e posto in vendita nella tarda primavera del 1897. Da allora, il successo è stato talmente ampio da creare un vero e proprio genere, con adattamenti teatrali e cinematografici come  “Nosferatu il vampiro” (1922), capolavoro del cinema muto  espressionista firmato dal tedesco Friedrich Wilhelm Murnau, fino ai più recenti Dracula di Bram Stoker (tre premi Oscar nel 1993), Van Helsing (2004), il film d’animazione “Hotel Transylvania” (2012) e “Dracula Untold” del 2014. Ma c’è tutta un’altra storia che vale la pena raccontare. E qui dal racconto del libro si passa alla storia, o almeno a  qualcosa che gli assomiglia.

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Il voivoda Vlad III di Valacchia perse la vita in circostanze poco chiare. Si presume che “Dracula” morì com’era vissuto: combattendo. Secondo alcuni la sua  testa, recisa dal corpo, venne portata a Costantinopoli come un trofeo e il suo corpo venne sepolto senza tante cerimonie dal suo rivale e vassallo dei Turchi, Basarab Laiota. Non si conosce l’esatta ubicazione della sua  tomba, anche se la tradizione popolare vuole che sia stato sepolto nella chiesa ortodossa dell’Assunzione, nel convento di Snagov, su un’isola, nel bel mezzo di un lago situato a una quarantina di chilometri a nord di Bucarest. Ricerche archeologiche dal 1930, nella tomba,  scoprirono però solo ossa di cavallo. Il priore di Snagov, ancora recentemente, ha contestato questa versione, rivelando che il sepolcro posto di fronte alle porte dell’iconostasi è la vera tomba di Vlad Tepes. Tuttavia, la maggior parte degli storici romeni, pensa che il vero luogo di sepoltura sia invece il monastero-fortezza di Comana , fondato e costruito nel 1461 proprio da Vlad Tepes, in quello che oggi è il distretto di Giurgiu, nel sud della Romania, al confine con la Bulgaria. Durante i lavori archeologici eseguiti nel 1970, si credette che il corpo senza testa di Vlad l’Impalatore fosse stato localizzato proprio nei sotterranei del monastero. Ma ecco, ad aggrovigliare ancor di più la matassa, una terza e clamorosa ipotesi: il conte Dracula non è morto combattendo in Transilvania ma a Napoli, ed è stato sepolto nel cuore della città, nel chiostro di Santa Maria La Nova. A sostenere quest’ardita tesi non sono dei fantasiosi “cacciatori di vampiri” ma alcuni studiosi dell’Università estone di Tallinn che, in collaborazione con studiosi italiani, hanno compiuto ricerche sulla principessa slava Maria Balsa, fuggita a Napoli nel 1479 a causa delle persecuzioni turche ed accolta nella città da Ferdinando d’Aragona. La donna, che diventò in seguito moglie del  Conte Giacomo Alfonso Ferrillo, sarebbe la figlia del Conte Vlad III di Valacchia, meglio conosciuto- come abbiamo visto – come il Conte “Dracula”. E proprio il padre l’avrebbe accompagnata, cercando e ottenendo l’anonimato. La prova fornita dagli studiosi a sostegno delle loro tesi è il fatto che il blasone che fuse gli stemmi delle famiglie Balsa e Ferrillo presenta un drago, in tutto simile a quello della casata dei principi di Valacchia. Sarà davvero così? Il conte Dracula riposa (?!) a Napoli? La storia è affascinante, ricca di sfumature e di colpi di scena, anche se sembra più la trama di un romanzo d’avventure che una realtà storica. Infatti, al momento, manca il particolare che la renderebbe clamorosa, il colpo di scena finale: il corpo di Vlad Tepes. Ed è ciò che gli studiosi scesi in campo sperano di ottenere. Nel dubbio, come il professor Van Helsing, attendiamo tenendo ben stretto in mano un appuntito paletto di frassino.

 

Marco Travaglini

Torinodanza 2018 apre con “Betroffenheit”

Racconto di un trauma vissuto. Realizzato dalla coreografa canadese Crystal Pite. La rassegna  è diretta per la prima volta da Anna Cremonini, in collaborazione con il Teatro Stabile di Torino

 

Il Festival Torinodanza, da quest’anno diretto da Anna Cremonini, che ha preso il testimone da Gigi Cristoforetti, quest’anno gioca d’anticipo presentando, nell’elegante cornice del teatro Carignano, giovedì 15 marzo, l’anteprima di tutta la rassegna, che è in programma alle Fonderie Limone il 17 e 18 maggio prossimi. Si tratta del lavoro dal titolo “Betroffenheit”, creato dalla coreografa Crystal Pite e dall’attore drammaturgo Jonathon Young, entrambi canadesi. Questa anteprima rappresenta un po’ il biglietto da visita della rinnovata edizione del Festival, che si impegna a mantenere la linea tracciata nel passato, ampliandone, però, i confini. Betroffehneit rappresenta, infatti, la fusione di danza e teatro contemporanei, creando un sottile fil rouge tra la stagione di prosa del teatro Stabile e la rassegna Torinodanza. Il termine tedesco oscilla come significato tra le parole sbigottimento, costernazione e vuoto. La radice della parola “treffen” significa ” incontrare” e ” betroffen” vuol dire “essere attento”. Betroffenheit rappresenta, quindi, lo stato di essere stato travolto, scioccato o stordito da un particolare evento, spazio o tempo che nessuna lingua è in grado di descrivere. I dialoghi dell’ uomo con se stesso diventano la colonna sonora di un’ossessione che struttura la coreografia di Crystal Pite, fondatrice a Vancouver della Compagnia Kit Pivot e sperimentatrice di numerose ricerche tra teatro e danza, con inserimento di marionette tra i danzatori.

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Torinodanza inaugurerà il 10 settembre prossimo al Teatro Regio proponendo in un’unica serata due spettacoli piuttosto diversi tra loro, a firma di Sidi Larbi Cherkaoui, dal titolo “Noetic” ed ” Icon”, entrambi prodotti da Goteborgs OperansDanskompani , corpo di ballo dell’opera di Gotenborg, città svedese interessante nella costruzione di un repertorio molto originale in Europa. Cherkaoui diventa, così, artista associato del Festival Torinodanza per i prossimi tre anni di programmazione. Noetic fonda il proprio disegno creativo su elementi aerei supportati da elementi scenici che costituiscono affascinanti geometrie e forme; invece in Icon elementi di argilla danno vita alla scenografia e gli oggetti che ne derivano ancorano pesantemente al suolo forme e movimenti. In entrambi i lavori si celano domande universali. In “Icon” il coreografo si pone la questione del modo in cui la società contemporanea senta la necessità di crearsi sempre nuovi miti, vere e proprie “icone”, per poi distruggerle e sostituirle, in una spirale infinita. In ” Noetic” ci si interroga sul rapporto tra scienza e coscienza, forme fisiche e forme della mente. Il tema della contaminazione sarà al centro di questa edizione del festival, come nello spettacolo pluripremiato “The Great Tamer” di Dimitris Papaioannou, in programma alle Fonderie Limone dal 20 al 22 settembre prossimi, cui si aggiungerà la video installazione “Inside”, che sarà presentata nei nuovi spazi delle Ogr, sempre ad opera dell’ artista greco. The Great Tamer, il grande domatore, si richiama al concetto di Tempo, che, secondo la concezione omerica, agisce come domatore di illusioni. Siamo al crocevia tra danza, teatro ed arti visive, in una creazione che ben riflette la genialità del suo autore, Papaioannou, noto al grande pubblico per aver curato le Cerimonie di apertura e chiusura delle Olimpiadi di Atene del 2004.

 

Mara Martellotta

(foto mm – il Torinese)

A TORINO LA CAMPAGNA NAZIONALE “CHE NOME DAI ALLE TUE CISTI?”

VISITE PER CHI SOFFRE DI CISTI, NODULI E LESIONI DOLOROSE NELLA ZONA INGUINALE O ASCELLARE

 

Venerdì 16 Marzo a Torino la nuova tappa della Campagna nazionale informativa e di sensibilizzazione sull’idrosadenite suppurativa (HS), denominata “Che nome dai alle tue cisti?”, che prevede visite dermatologiche gratuite su prenotazione. “Che nome dai alle tue cisti?” vede coinvolte 30 strutture ospedaliere ed universitarie su tutto il territorio nazionale in cui gli specialisti dermatologi saranno a disposizione per aiutare chi soffre di HS ad iniziare un percorso di cura presso i centri ospedaliero-universitari che hanno un ambulatorio dedicato ad una patologia ancora oggi misconosciuta e di difficile diagnosi. L’HS infatti si manifesta con la formazione di cisti, noduli, ascessi  e lesioni dolorose nelle aree inguinale, ascellare, perianale, dei glutei e sotto il seno e, meno frequentemente, sul cuoio capelluto, collo, schiena, viso e addome. Il quadro clinico non è sempre facile da riconoscere e può simulare delle comuni “cisti sebacee”o essere scambiata per altre patologie (acne, follicoliti). L’idrosadenite suppurativa è una patologia misconosciuta, molto dolorosa e difficile da diagnosticare. Proprio la difficoltà di diagnosi causa a volte il peggioramento dei pazienti. Venerdì 16 Marzo dalle 8.30 alle 15,00 presso la Clinica Dermatologica dell’Ospedale San Lazzaro della Città della Salute di Torino diretta dalla Professoressa Maria Teresa Fierro, chi soffre di HS potrà usufruire di una visita gratuita, previa prenotazione. Per prenotare telefonare al numero 392 8077216 dal lunedì al venerdì dalle ore 9,00 alle ore 17,00. Presso la SC Dermatologia della Città della Salute e della Scienza di Torino è attivo da circa due anni un ambulatorio dedicato, allo scopo di accogliere e gestire i pazienti con un quadro di sospetta HS provenienti dalla Regione. La fase diagnostica prevede una valutazione clinico-anamnestica ed un accertamento radiologico. “La recente istituzione di un ambulatorio dedicato a questa patologia rara presso la Clinica Dermatologica ha consentito la presa in carico di circa 50 pazienti, molti dei quali sono attualmente in terapia con i nuovi farmaci biologici con risposte estremamente soddisfacenti. Inoltre l’approccio multidisciplinare e l’utilizzo dell’ecografia non solo a scopo diagnostico ma anche per il monitoraggio delle risposte terapeutiche rappresenta un valore aggiunto nella gestione di questa patologia” – dichiara la Professoressa Maria Teresa Fierro, Direttore della S.C. Dermatologia.

“Che nome dai alle tue cisti?” è Patrocinata da Inversa Onlus, l’associazione italiana per i pazienti affetti di idrosadenite suppurativa (HS) nata per sopperire alle necessità e difficoltà dei malati legate alla gestione di una patologia cronica invalidante. L’associazione, fondata nel 2010 da Giusi Pintori, sostiene proattivamente ogni singolo malato, fornendo informazioni e sostegno, con l’obiettivo di aiutare le persone a vivere meglio. Per ulteriori informazioni: www.chenomedaialletuecisti.it

 

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L’HS (idrosadenite suppurativa), conosciuta anche come malattia di Verneuil, è una malattia cronica non contagiosa e molto dolorosa che colpisce circa l’1% della popolazione mondiale.

La patologia si manifesta con la formazione di cisti e lesioni dolorose nelle aree inguinale, ascellare, perianale, dei glutei e sotto il seno e, meno frequentemente, sul cuoio capelluto, collo, schiena, viso e addome. Le lesioni sono recidivanti e sono costituite da noduli infiammati, raccolte ascessuali, e tragitti fistolosi che esitano in cicatrici permanenti. L’HS, oltre ad essere molto dolorosa e invalidante nei movimenti, causa un grave e negativo impatto psicologico in chi ne soffre perché costituisce un grave handicap nella vita lavorativa, sociale e sessuale di chi ne soffre. Le cause dell’HS non sono ancora note ma la malattia provoca l’ostruzione dei follicoli piliferi con conseguente diffusione dell’infiammazione alle ghiandole “apocrine” presenti nelle pieghe cutanee. Spesso infatti, nella fase iniziale della malattia, le lesioni vengono considerate come peli incarniti. Pur potendosi manifestare a qualsiasi età l’HS si sviluppa normalmente negli adulti con esordio intorno ai 20 anni di età e la possibilità di sviluppare la patologia è maggiorie per le donne rispetto agli uomini. Alcuni studi hanno dimostrato una componente ereditaria: circa un terzo delle persone affette da idrosadenite suppurativa ha membri familiari con la stessa diagnosi. E’ inoltre dimostrata la correlazione tra HS e obesità e abitudine al fumo. Benchè l’interessamento cutaneo sia predominante, l’HS è una malattia infiammatoria che può associarsi ad altre patologie generali in cui c’è un’alterazione del sistema immunitario quali: artrite, psoriasi, morbo di Crohn, acne in forma grave, depressione, disfunzioni metaboliche. L’HS può colpire in modo differente in forma lieve o in forma grave. In forma lieve si presenta con piccoli noduli o foruncoli mentre nei casi più gravi si possono creare delle fistoli ascessualizzate con secrezione di pus e altro materiale organico maleodorante che rende davvero invalidante la qualità di vita dei pazienti.

 

 

Ferrero prima azienda italiana nel mondo per reputazione

La piemontese Ferrero è la prima azienda italiana per reputazione nel  mondo, al 18esimo posto nella classifica annuale di Reputation Institute. Si trova in compagnia di Armani, Pirelli, Barilla e Lavazza,  la rosa delle compagnie italiane compresa nella top 50 della classifica. Prima al mondo Rolex, poi  Lego e Google. A livello mondiale l’azienda della Nutella è anche  la prima in quanto a reputazione nel settore del Food. Dal quarto al decimo posto: Canon, The Walt Disney Company, Sony, Adidas, Bosch, BMW Group, Microsoft.

Addio a Guastavigna, il prof che lottò contro il caos nella scuola

di Pier Franco Quaglieni

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E’ mancato il prof. Giovanni Guastavigna , apprezzato docente per tanti anni al liceo classico statale  “Alfieri” di Torino. Era considerato un insegnante molto apprezzato che dava del lei ai suoi allievi in segno di rispetto. In quello stesso liceo Guastavigna fu oggetto di critiche aspre perché nel ’68  non si arrese alla contestazione e tenne alto il livello della scuolaPer ricordare Guastavigna a cui i suoi allievi della maturità del 1966 hanno dedicato un necrologio, vorrei scrivere alcune riflessioni che Giovanni avrebbe condiviso. Lui tentò disperatamente di impedire che la scuola precipitasse nel caos, senza riuscirci perché in quello stesso liceo c’era un covo dei professori “progressisti e democratici “che lo detestavano.  I professori vanno rispettati. Verso la scuola oggi  prevale  ormai una sorta di disinteresse quasi totale e uno scandalismo  crescente verso i docenti considerati sempre colpevoli di tutto ciò che gira storto nelle aule scolastiche. Non tutti i professori hanno la schiena d’acciaio di Giovanni Guastavigna, ci sono anche degli ottimi professori che non hanno il coraggio necessario, ma non per questo possono essere oggetto di ogni attacco e di ogni derisione. La ministra Fedeli, invece di occuparsi del disastro della scuola che non è certo mai  divenuta una “buona scuola”, si è recentemente occupata di fornire linee- guida -cadendo nel ridicolo- al fine di introdurre una terminologia “non sessista”  che, ad esempio,  preveda il /la preside o il collegio docente in sostituzione del  collegio dei docenti. Pagine e pagine di aria fritta di fronte ai gravi e insoluti problemi della scuola.  Appare invece di grande importanza ricordare  la sentenza della Corte di Cassazione  n.15367/2014 in cui viene riaffermato il principio che un professore nell’esercizio delle sue funzioni è un pubblico ufficiale. Quindi parole offensive nei suoi confronti  configurano il reato di oltraggio che arriva a prevedere la reclusione.

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Anche un dirigente scolastico che si rivolga con parole ingiuriose  ad un suo sottoposto  non può permettersi certi linguaggi e la Corte di Cassazione con sentenza n. 2927 del 2009 lo ha condannato al risarcimento dei danni morali arrecati al docente.  In realtà nella scuola si è, di fatto ,ignorato che ogni insulto al docente in quanto pubblico ufficiale, è punibile ai sensi di legge. Fatti recenti dimostrano come i docenti vengano considerati da allievi e genitori che addirittura sono ricorsi alla violenza fisica nei  loro confronti. Invece di proporre-come fece la ministra Fedeli- la docente colpita da un allievo energumeno, per il cavalierato al merito della Repubblica ,dopo che la medesima docente venne ricevuta dal Presidente della Repubblica, si dovrebbe richiamare  con assoluta fermezza l’attenzione sul rispetto dovuto ai professori. In una società in cui sono caduti tutti i valori ,in primis quelli dell’educazione e del rispetto che dovrebbero governare ogni comunità educativa, si rende urgente restituire ai professori l’autorità che viene loro riconosciuta dalla legge. A cinquant’anni dal ’68 quando ogni contestazione e ogni sberleffo venne consentito verso docenti di chiara fama e di riconosciuto valore, bisogna riannodare le fila di un discorso che non può continuare, pena il totale, irrecuperabile degrado della scuola. Già Platone denunciava come la demagogia portasse anche alla mancanza di rispetto verso i propri maestri. Una scuola permissiva non è una vera scuola. Il mammismo compiacente deve restare fuori dalle aule scolastiche dove si va per faticare e studiare seriamente. Basta con gli psicologismi compiacenti che trovano ogni pretesto per giustificare i fannulloni.

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Basta con il bullismo che va represso con i rigori della legge, senza assurdi giustificazionismi . Specie in tempi di crisi noi dobbiamo considerare ,come dice la Costituzione, solo “i capaci e i meritevoli anche se privi di mezzi”. Non possiamo permetterci di sperperare denaro pubblico in assistenzialismo psicopedagogico d’accatto di cui sono pieni i giornali che ,spesso e volentieri, si accaniscono contro i docenti più seri, non disposti al compromesso. In Italia si è andati oltre ogni limite tollerabile e la desertificazione degli studi a cui si è giunti dimostra come senza disciplina la scuola non possa essere proficua per gli allievi. Da questa situazione di caos i primi ad essere svantaggiati sono gli studenti che non hanno dietro di sé famiglie colte che possano rimediare alle magagne della scuola. Era un’idea che Giovanni Guastavigna ebbe il coraggio di affermare in tempi ancora più difficili degli attuali. I giovani docenti di oggi guardino al suo esempio di professore capace, severo, aperto ai giovani, ma non disposto a recitare la parte del soccombente o dell’amicone.  Quando un preside del liceo d’Azeglio di Torino  sottopose, umiliandoli, i docenti alla bollatura della cartolina a cui era sottoposto il personale non docente, diede anche lui un colpo alla dignità professionale dei docenti. Ricordo le parole di indignazione con cui Guastavigna accompagnò il suo commento ad un mio articolo contro quel preside. Se la scuola intende riprendersi ,deve restituire ai docenti l’autorità che la legge riconosce loro, senza tentennamenti e diplomazie. I tempi di un colpo al cerchio e una alla botte sono finiti. 

quaglieni@gmail.com

Un anno fa la scomparsa di Bruno Poy

Le parole affettuose dell’ imprenditore che per primo ha azzerato le bollette degli italiani. Il ricordo commosso del giornalista Maurizio Scandurra

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Erano le ore 14.45 del 15 marzo 2017 – esattamente un anno fa – quando scompariva all’Ospedale ‘Mauriziano’, nel cuore del capoluogo piemontese, dopo un male improvviso e incurabile che l’ha spento in soli sette mesi, Bruno Poy. Torinese di nascita ma vercellese d’adozione da sempre, è stato uno degli avvocati italiani più brillanti e preparati di sempre, universalmente riconosciuto competente punto di riferimento indiscusso in tutti gli ambiti del diritto. Attività, quella di legale, cui affiancava un’innata e intensa passione per la res publica sempre contraddistinta da scelte lungimiranti e pionieristiche. E’ stato tra i Fondatori del CCD e poi UDC con Pierferdinando Casini, Rocco Buttiglione e Michele Vietti, Sindaco per 15 anni a Palazzolo Vercellese e Assessore al Comune di Vercelli. A Torino era titolare di un prestigioso studio legale proprio nel cuore della centralissima Piazza San Carlo, nonché Presidente per un decennio della Sezione Piemontese dell’UNCI (Unione Nazionale Cooperative Italiane). Così lo ricordano con affetto e riconoscenza due torinesi illustri. A cominciare da Cristiano Bilucaglia, già eletto ‘Imprenditore dell’Anno’ nel 2015, stimato ingegnere biomedico e informatico pluripremiato dalle associazioni di consumatori e ideatore di ‘ZERO’ (www.scelgozero.it), il primo social utility network della storia che azzera le bollette di proprietà di ‘uBroker Srl’ (www.ubroker.it), neonata milionaria Multiutilities Company torinese: “L’Avvocato Poy era un uomo di forte talento con una grande capacità di ascolto e altrettanto dono di sintesi nell’evidenziare, per ogni argomento, le cose e i punti importanti senza fronzoli e inutili tergiversazioni intorno alle questioni”. Per poi concludere: “E lo faceva in maniera saggia ed equilibrata, lontano da coinvolgimenti personali, con il massimo del garbo e della professionalità e di quel garbo d’altri tempi che lo hanno sempre contraddistinto”. Gli fa eco Maurizio Scandurra, giornalista e scrittore, che di Bruno Poy è stato uno fra gli amici fraterni di sempre: “Una figura super partes, di profonda fede cristiana, legatissimo ai valori del territorio e a quelli che nella vita, come nel lavoro, fanno la differenza. Rispettoso di tutti senza mai giudicare nessuno, era un esempio di equilibrio, dedizione forense e grande attitudine al risultato, dotato com’era di una finissima e illuminata mente giuridica per la quale è stato il legale di molteplici personaggi di primo piano del nostro tempo. Amico dei poveri, degli ultimi, ha rinunciato anche a importanti parcelle quando si trattava di aiutare persone indigenti vittime di ingiustizia. Voglio ringraziare di cuore pubblicamente anche quel grande uomo di Dio che l’ha assistito con intensa preghiera e altrettanta vicinanza continue e costanti sino all’ultimo, il caro Don Adriano Gennari del ‘Cenacolo Eucaristico della Trasfigurazione’, la Onlus di aiuto e assistenza a malati e bisognosi cui l’Avvocato Poy avrebbe voluto dedicarsi intensamente, se solo fosse guarito”, conclude Scandurra.

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

A casa tutti bene – Commedia. regia di Gabriele Muccino, con Stefano Accorsi, Massimo Ghini, Stefania Sandrelli, Valeria Solarino e Gianmarco Tognazzi. Una ricorrenza da festeggiare, le nozze d’oro dei nonni, una permanenza forzata, il traghetto bloccato e l’isola di Ischia a fare da sfondo: gli antichi ristoratori, i tre figli che hanno preso strade diverse, le mogli attuali e quelle di un tempo, il cugino solo e poveraccio con debiti e un figlio in arrivo, i rancori, le confessioni e le urla, il ritratto di una famiglia italiana in perfetto stile Muccino, figliuol prodigo tornato a casa dopo i (quasi totali) successi d’oltreoceano. Ma Muccino rimane Muccino, con le tante tessere di una storia, con il suo nervoso montaggio, con una sceneggiatura che non brilla, con certi attori presi nel vortice del dramma ad ogni costo, con altri che continuano a ripetere i loro soliti personaggi. Però un palmarès alle prove di Massimo Ghini e Valeria Solarino, all’invasione altissima del mai così bravo Gianmarco Tognazzi. Durata 105 minuti. (Massaua, Lux sala 2, The Space, Uci)

 

Anche senza di te – Commedia. Regia di Francesco Bonelli, con Nicolas Vaporidis, Andrea Branciamore e Myriam Catania. La storia di Sara, insegnante elementare precaria e prossima all’altare con il medico in carriera Andrea. Ma con il momento (troppo) fatidico arrivano gli attacchi di panico, incontenibili. Nei pressi c’è il collega (chiaramente, di lei) Nicola e con lui il sogno di una scuola gestita in un modo diverso, ad esempio con il linguaggio autentico delle emozioni: un metodo che potrebbe tornare comodo anche alla scombussolata protagonista. Durata 107 minuti. (Uci)

 

Black Panther – Fantasy. Regia di Ryan Coogler, con Chadwick Boseman, Lupita Nyong’o, Martin Freeman e Angela Bassett. Il protagonista è il nuovo re di Wakanda dopo la morte del padre: ma se sulla sua strada trova dei nemici pronti a detronizzarlo, lui sarà pronta a unirsi alla CIA e alle forze speciali del proprio paese. Durata 135 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Belle & Sebastien – Amici per sempre – Avventura. Regia di Clovis Cornillac, con Félix Bossuet e Tchéky Karyo. Terzo capitolo della saga, Sebastien ha 12 anni e Belle gli ha regalato tre splendidi cuccioli. Senonché la tranquillità familiare è scalfitta dall’intenzione di Pierre, il padre del ragazzo, di trasferirsi in Canada e dall’arrivo di un presunto proprietario di Belle che vorrebbe portarsela via. Sebastien farà di tutto per non dover abbandonare la sua amica a quattro zampe. Durata 90 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Benvenuti a casa mia – Commedia. Regia di Philippe de Chauveron, con Christian Clavier, Nanou Garcia e Ary Abittan. Come se dicessimo: dal dire al fare. C’è uno scrittore, un intellettuale decisamente aperto, punto di riferimento della scena letteraria, sposato ad una ereditiera lontanissima dalla realtà che la circonda. È il fortunato autore di un libro, “Benvenuti a casa mia”, in cui auspica che ogni suo lettore, soprattutto i ricchi e benestanti, accettino di aprire le loro abitazioni a chi ne ha davvero bisogno. Ma se il suo avversario lo sfida a mettere in pratica, lui per primo, quanto il libro consiglia, se quella sera stessa qualcuno busserà alla sua porta, che cosa potrà succedere? Durata 92 minuti. (Greenwich sala 1, The Space, Uci)

 

C’est la vie – Prendila come viene – Commedia. Regia di Eric Toledano e Olivier Nakache, con Jean-Pierre Bacri, Jean-Paul Rouve, Hélène Vincent e Suzanne Clément. Gli artefici del fenomeno “Quasi amici” promettono risate a valanga e il successone in patria dovrebbe calamitare anche il pubblico di casa nostra. I due sposini Pierre ed Hélène hanno deciso di sposarsi e quel giorno deve davvero essere il più bello della loro vita. Nella cornice di un castello del XVII secolo, poco lontano da Parigi, si sono affidati a Max e al suo team, ad un uomo che ha fatto della sua professione di wedding planner una missione, che organizza e pianifica, che sa gestire i suoi uomini, che sa mettere ordine nel caos più supremo, che per ogni problema sa trovare la giusta risoluzione… Più o meno: perché quella giornata sarà molto ma molto lunga, ricca di sorpresa e di colpi di scena. Ma soprattutto di enormi, fragorose risate! Durata 115 minuti. (Romano sala 3)

 

Chiamami col tuo nome – Drammatico. Regia di Luca Guadagnino, con Timothée Chalamet, Armie Hammer e Amira Casar. Nei dintorni di Crema, il 1983: come ogni anno il padre del diciassettenne Elio, professore universitario, ospita nella propria casa un borsista per l’intera estate. L’arrivo del disinvolto Oliver non lascia insensibile il ragazzo, che scopre il sesso con una coetanea ma che poco a poco ricambiato approfondisce la propria relazione con l’ospite. Un’educazione sentimentale, i libri e la musica, Eraclito e Heidegger, Bach e Busoni, l’ambiente pieno di libertà della sinistra, i discorsi insperati di un padre, il tempo scandito dalle cene e dalle discussioni su Craxi e Grillo, il vecchio factotum che di nome fa virgilianamente Anchise, passeggiate e discussioni, corse in bicicletta, ritrovamenti di statue in fondo al lago, nuotate in piccoli spazi d’acqua, felici intimità, in una delicatezza cinematografica (la macchina da presa pronta ad allontanarsi velocemente da qualsiasi eccessivo imbarazzo) che assorbe nei temi (“Io ballo da sola”) e nei luoghi (i paesini, i casali, la calura di “Novecento”) il passato di Bertolucci o guarda al “Teorema” pasoliniano. L’ultima opera di un regista (“Io sono l’amore”, “A bigger splash”) che con la critica di casa nostra non ha mai avuto rapporti troppo cordiali, osannato all’estero. La sceneggiatura firmata da James Ivory e tratta dal romanzo di André Aciman ha conquistato meritatamente l’Oscar. Durata130 minuti. (Eliseo blu)

 

Il filo nascosto – Drammatico. Regia di Paul Thomas Anderson, con Daniel Day-Lewis, Vicky Krieps e Lesley Manville. Nella Londra degli anni Cinquanta, il famoso sarto Reynolds Woodcock è la figura centrale dell’alta moda britannica, eccellentemente coadiuvato dalla sorella Cyril: realizzano gli abiti per la famiglia reale (qualcuno ha visto il ritratto del celebre Norman Hartnell), per le stelle del cinema, per ereditiere, debuttanti e dame sempre con lo stile distinto della casa di Woodcock. Il grande sarto è anche un incallito e incredibile dongiovanni, nella cui vita le donne, fonte d’ispirazione e occasione di compagnia, entrano ed escono: fino a che non sopraggiunge la presenza della semplice quanto volitiva, a modo suo spregiudicata, Alma, una giovane cameriera di origini tedesche, pronta a diventare parte troppo importante della vita dell’uomo, musa e amante. L’ordine e la meticolosità, doti che si rispecchiano meravigliosamente nella fattura degli abiti e nella condotta di vita, un tempo così ben controllata e pianificata, vengono sovvertiti, in una lotta quotidiana tra uomo e donna. Film geometrico e algido quanto perfetto, forse scontroso, eccezionale prova interpretativa per la Manville e per Day-Lewis, forse il canto del cigno per l’interprete del “Mio piede sinistro” e di “Lincoln”, convinto da oggi in poi ad abbandonare lo schermo. Oscar per i migliori costumi. Durata 130 minuti. (Centrale in V.O., Due Giardini sala Nirvana, Reposi, Romano sala 2)

 

La forma dell’acqua – The shape of water – Fantasy. Regia di Guillermo del Toro, con Sally Hawkins, Doug Jones, Octavia Spencer, Michael Stulhbarg e Michael Shannon. Leone d’oro a Venezia, tredici candidature agli Oscar, arriva l’attesissima storia del mostro richiuso in una gabbia di vetro all’interno di un laboratorio governativo ad alta sicurezza (siamo negli States, in piena guerra fredda, il 1962) e del suo incontro con una giovane donna delle pulizie, Elisa, orfana e muta, dei tentativi di questa di salvarlo dalla cupidigia dei cattivi. Avrà l’aiuto degli amici (il disegnatore gay, lo scienziato russo pieno di ideali, la collega di colore), cancellando la solitudine e alimentando i sogni, in un’atmosfera che si culla sulle musiche di Alexandre Desplat, contaminate da quelle dei grandi del jazz degli anni Sessanta. Durata 123 minuti. (Ambrosio sala 2, Massaua, Eliseo Grande, Massimo sala 1 anche V.O., Reposi, The Space, Uci)

 

Il giustiziere della notte – Drammatico. Regia di Eli Roth, con Bruce Willis. Nel 1974 il medesimo titolo esplose con l’interpretazione di Charles Bronson, oggi, riadattato e attualizzato, lasciati i grattacieli di New York per essere ambientato a Chicago, chiuso nel vortice dei fatti successi nelle scuole americane e nel dibattito circa lo sfrontato acquisto/uso delle armi da parte dei cittadini degli States, vede il duro a morire Willis, medico chirurgo, combattere contro chi gli ha ucciso la moglie e violentato la figlia. Durata 92 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Lady Bird – Drammatico. Regia di Greta Gerwig, con Saoirse Ronan, Lucas Hedges, Timothée Chalamet e Laurie Metcalf. Una storia che pesca nell’autobiografia, l’autrice, come il personaggio femminile del film, è nata a Sacramento, in California, e sin da giovane smaniosa di raggiungere la costa orientale per studiare e dedicarsi al cinema. Anche Christine sogna di iscriversi ad una università nella parte opposta degli States, sottrarsi alla madre autoritaria, alla figura del padre senza lavoro, a quel piccolo mondo che la circonda. S’inventa storie, fa fronte alle prime prove d’amore, dal risultato negativo, fa di tutto per mettersi in buona luce agli occhi dei compagni di scuola che sembrano valere più di lei, ricavandone delusioni, s’appiccica quel nome del titolo: quale sarà il suo futuro? Un ritratto femminile già visto altre volte, che cerca continuamente sfide interpretative e di regia: ma un film che non lascerà un grande ricordo di sé, a bocca asciutta nella notte degli Oscar. Durata 94 minuti. (Eliseo Rosso, Nazionale sala 2, Uci)

 

Maria Maddalena – Drammatico. Regia di Garth Davis, con Rooney Mara, Joaquin Phoenix e Chiwetel Ejiofor. Una visione nuova nei confronti di una Maddalena vista come la peccatrice e la prostituta, figura alimentata per secoli. Il regista australiano (che tuttavia ha scoperto gli ambienti adatti in Sicilia) vede questa donna come un esempio di femminismo ante litteram, colei che sfugge ai compiti di moglie e madre che la società del tempo inevitabilmente le impone, colei che stabilisce di seguire il Maestro e di abbracciarne in modo completo la dottrina: quella che tra i tanti discepoli è scelta dal Maestro ad assistere alla sua Resurrezione. Guardando anche alle figure di Giuda e di Pietro, messi di fronte ad un messaggio che sconvolgerà il mondo ma incapaci di assumerne l’esatta interpretazione. Durata 120 minuti. (Ambrosio sala 1, Massaua, Greenwich sala 1, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Metti la nonna in freezer – Commedia. Regia di Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi, con Fabio Di Luigi, Miriam Leone, Barbara Bouchet e Eros Pagni. Un giovane e incorruttibile finanziere e una bella restauratrice, con un paio di aiutanti al seguito, che vive grazie alla pensione della nonna visto che lo Stato tarda a riconoscerle i quattrini che le deve per tutto il lavoro che ha svolto. E se la vegliarda passa a miglior vita? Spetterà alla ragazza ingegnarsi per la sopravvivenza, l’elettrodomestico del titolo fa al caso suo, le amiche un piccolo aiuto non lo negano e la pensione della nonna si potrà continuare a percepire. Durata 100 minuti. (Massaua, Greenwich sala 2, Reposi, The Space, Uci)

 

Omicidio al Cairo – Giallo. Regia di Tarik Saleh, con Fares Fares. La morte di una cantante di successo nelle stanze del Nile Hilton Hotel, la sua relazione con un uomo che fa affari con il mondo della politica, un caso che si vorrebbe chiudere al più presto. La capitale egiziana del 2011, le rivolte e la corruzione senza limiti raccontata senza nulla nascondere, la criminalità che invade il paese, un commissario che pur tra le proprie zone d’ombra eccelle senza dubbio sui suoi superiori e che vuole andare fino in fondo pur di scoprire i colpevoli. Una cinematografia a molti sconosciuta, che merita con questo esempio d’essere tenuta d’occhio, un ritmo sostenuto nelle indagini che combattono contro le mazzette di quattrini che circolano a mo’ di ricompensa da una e dall’altra parte. Durezza e debolezze sulla faccia del protagonista. Durata 106 minuti. (Classico)

 

Oltre la notte – Drammatico. Regia di Fatih Akin, con Diane Kruger e Johannes Krisch. Katia vive dentro una famiglia felice, un figlio e un marito che dopo un periodo di prigione per spaccio ne è uscito e oggi lavora in una piccola agenzia di viaggi. Ma è una felicità destinata a morire: un attentato, che ha i suoi fautori in una coppia di estremisti legata al gruppo di destra greco “Alba dorata”, distrugge la vita dei suoi cari. Katia grazie al sostegno di amici e famigliari affronta il funerale e riesce ad andare avanti, ma quelle morti, con la ricerca ossessiva degli assassini, riaprono ferite e sollevano dubbi. Palmarès per la migliore interpretazione femminile a Cannes lo scorso anno e Golden Globe come miglior film straniero. Durata 101 minuti. (F.lli Marz sala Groucho, Nazionale sala 1, Uci)

 

Nome di donna – Drammatico. Regia di Marco Tullio Giordana, con Cristina Capotondi, Valerio Binasco, Adriana Asti e Bebo Storti. Nina, madre di una bambina, trova lavoro in una elegante residenza per anziani, nel territorio di Cremona, dove il direttore, spalleggiato da un sacerdote fuori da ogni regola di accoglienza, fa il buono e cattivo tempo. Sulle dipendenti soprattutto, che ha molestato e che molesta, che continuano ad accettare. Nina rompe gli schemi ormai affermati, denuncia, cerca disperatamente ma inutilmente l’appoggio delle colleghe. Un tema quanto mai attuale, pronto a far discutere. Come è consuetudine per le storie raccontate da Giordana, da “Maledetti vi amerò” alla “Meglio gioventù”. Durata 98 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Uci)

 

L’ora più buia – Drammatico. Regia di Joe Wright, con Gary Oldman, Kristin Scott Thomas, Lily James e Ben Mendelsohn. L’acclamato autore di “Espiazione “ e “Anna Karenina” guarda adesso al secondo conflitto mondiale, all’ora decisiva del primo anno di guerra, alla figura del primo ministro inglese Winston Churchill. Nel maggio del ’40, dimessosi Chamberlain e da poco eletto lui alla carica, inviso al partito opposto e neppure in grado di poter contare sui suoi colleghi di partito e sul re che lo tollera, mentre le truppe tedesche hanno iniziato a invadere i territori europei, Churchill combatte in una difficile quanto decisiva scelta, se concludere un armistizio con la Germania dopo la repentina caduta della Francia oppure avventurarsi nell’intervento di un conflitto armato. Mentre si prepara l’invasione della Gran Bretagna, si deve pensare alla salvezza del paese, grazie ad una pace anche temporanea, o l’affermazione con una strenua lotta degli ideali di libertà: una delle prime mosse fu il recupero dei soldati intrappolati sulle spiagge di Dunkerque (come già ad inizio stagione ci ha insegnato lo stupendo film di Christopher Nolan). Oldman s’è visto per il ruolo assegnare un Globe, ha meritatamente conquistato poche sere fa l’Oscar, un’interpretazione che colpisce per la concretezza, per gli scatti d’ira e per quel tanto di cocciutaggine e lungimiranza britannica che in quell’occasione s’impose. Uno sguardo al trucco dell’interprete: un secondo Oscar al film, premio agli artefici e alle tante ore di perfezione ogni giorno di lavorazione cui l’attore s’è sottoposto. Durata 125 minuti. (Greenwich sala 3)

 

Pertini – Il combattente – Documentario. Regia di Graziano Diana e Giancarlo De Cataldo. Interviste (da Napolitano a Bonino, da Scalfari a Dino Zoff), cinegiornali, articoli, documenti, fumetti, canzoni per tratteggiare la figura del Presidente più amato dagli Italiani. Durata 76 minuti. (Centrale)

 

Puoi baciare lo sposo – Commedia. Regia di Alessandro Genovesi, con Diego Abatantuono, Monica Guerritore, Salvatore Esposito e Cristiano Caccamo. Si sono fidanzati a Berlino (“dove è facile fare i gay…”) Antonio e Paolo e sperano che la loro unione venga benedetta dal padre di Antonio, sindaco di Civita di Bagnoregio e uomo fautore di ogni accoglienza. Ma il “suocero”, colpito nell’ambito familiare, non gradisce. Durata 90 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Quello che non so di lei – Drammatico. Regia di Roman Polanski, con Emmanuelle Seigner, Eva Green e Vincent Perez. Delphine ha conosciuto l’importante successo editoriale dando alle stampe un romanzo che racconta il suicidio della madre. Ora deve combattere contro una crisi creativa che la blocca davanti al foglio bianco. L’incontro con Leila che poco a poco, in tante differenti occasioni, si insinua nella sua vita e quasi se ne appropria, la metterà di fronte ad un mondo di ambiguità, dove anche l’aspetto morboso (basta ripercorrere la filmografia di Polanski per ritrovarne ampi esempi) trova eccellente spazio. Tratto dal romanzo “D’après une histoire vraie” di Delphine Vigan, con uno sguardo anche alla lotta incrociata di “Eva contro Eva”. Durata 100 minuti. (Ambrosio sala 3)

 

Red Sparrow – Azione. Regia di Francis Lawrence, con Jennifer Lawrence, Joel Edgerton, Charlotte Rampling, Jeremy Irons e Matthias Schoenaerts. Con tutta probabilità il primo capitolo di una adrenalinica trilogia, dal momento che lo scrittore Jason Matthews, un ex agente della Cia che ha parecchie cose da raccontare dovute a una più che trentennale lotta sul campo, ha anche pubblicato, oltre a questo primo romanzo, “Il palazzo degli inganni” e “The Kremlin’s Candidate”. Con il visino, la carica erotica e l’escalation senza freni della bella Jennifer già pluripremiata e oscarizzata nonostante i suoi “soli” ventisette anni, la ballerina del Bolshoi Dominika, in una guerra fredda che sembra affatto terminata, dovrà vedersela con un intrepido agente della Cia sotto copertura al di là della Cortina, ma si sa che in questi incontri/scontri possono farsi strada crocevia amorosi. Dirige il regista di “Hunher Games”, intriganti i panorami che si inseguono tra Atene e Mosca, tra Helsinki e Washington. Durata 139 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci)

 

Ricomincio da noi – Commedia. Regia di Richard Loncraine, con Imelda Stauton, Celia Imrie e Timothy Spall. Il film che con risate, un po’ di autentica commozione e grande successo aveva aperto l’ultimo TFF. Scoperto che il marito la tradisce da anni con la sua migliore amica (mai fidarsi!), la protagonista scopre, attraverso l’eccentricità della sorella, quei tanti amici che la circondano, il suo modo spensierato di affrontare e condurre la vita, di avere voglia di buttarsi alle spalle tutto quanto, magari iniziando con il frequentare una sala da ballo. La attendono ancora altre prove ma un non più giovane innamorato la farà decidere la nuova strada da intraprendere. Nessuno scossone ma una bella botta di vita comunque, per lo spettatore e per la terna d’attori che sono tra il meglio del cinema e del teatro inglesi, da ammirare. Durata 110 minuti. (F.lli Marx sala Chico, Romano sala 1)

 

La terra buona – Commedia drammatica. Regia di Emanuele Caruso, con Fabrizio Ferracane, Giulio Brogi, Lorenzo Pedrotti e Viola Sartoretto. Tre storie che s’intrecciano per confluire insieme in un angolo di serenità. La giovane Gea, malata terminale, all’insaputa della famiglia si rifugia con un amico, forse innamorato di lei, in una valle piemontese al confine con il territorio svizzero. Là, in una borgata antica, fatta di case di pietra, dimenticata, vivono un vecchio frate eremita che ha raccolto negli anni una ricchissima biblioteca e un medico, in cerca di medicamenti alternativi, senza risposte certe, e per questo cacciato dalla civiltà che lo ha giudicato e condannato. Un’altra scommessa per l’autore che tre anni fa con “E fu sera e fu mattina” divenne un caso cinematografico, ovvero budget ridotto all’osso e grande successo per i cinefili doc. Durata 110 minuti. (Reposi)

 

The lodgers – Non infrangere le regole. – Horror. Regia di Brian O’Malley, con Charlotte Vega, Bill Milner, Eugene Simon e David Bradley. Nell’Irlanda del 1920, i gemelli Edward e Rachel debbono combattere, per una punizione per le colpe dei loro antenati, contro le presenze sinistre che popolano la loro casa. Debbono andare a letto entro la mezzanotte, non debbono mai fare entrare estranei in casa e debbono stare sempre insieme, senza mai separarsi. Ognuna di queste regole va rispettata. Se il ragazzo è pronto ad accettare ogni norma, la sorella cerca di sfuggire per sottrarsi ad una crudele prigionia. Durata 92 minuti. (Uci)

 

The Post – Drammatico. Regia di Steven Spielberg, con Meryl Streep e Tom Hanks. Ancora l’America descritta da Spielberg con gran senso dello spettacolo. L’argomento è ormai noto, il New York Times aveva tra le mani nel 1971 un bel pacco di documenti comprovanti con estremo imbarazzo la cattiva politica di ben cinque presidenti per quel che riguardava il coinvolgimento degli States nella sporca guerra nel sud-est asiatico. Il governo proibì che fossero dati alle stampe. Se ne fece carico il direttore del Washington Post (Tom Hanks), sfidando comandi dall’alto e un non improbabile carcere: ma a nulla sarebbe valsa quella voce pure autorevole, se la voce ancora più forte non fosse venuta dall’editrice Katharine Graham, all’improvviso ritrovatasi a doversi porre in prima linea in un mondo esclusivamente maschile, buona amica di qualche rappresentante dello staff presidenziale (in primo luogo del segretario alla difesa McNamara) e pur tuttavia decisa a far conoscere a tutti quel mai chiarito pezzo di storia. L’autore del “Soldato Ryan” e di “Lincoln” si avvale di una sceneggiatura che porta la firma prestigiosa di Josh Singer (“Il caso Spotlight”), della fotografia di Janusz Kaminski (“Schindler’s list”), dei costumi di Ann Roth. Durata 118 minuti. (F.lli Marx sala Harpo, Greenwich sala 1)

 

Tomb Raider – Avventura. Regia di Roar Uthaug, con Alicia Vikander e Dominic West. Dopo l’avventura firmata da Angiolina Jolie, ecco nuovamente Lara Croft. La quale decide di partire, dopo l’insperato ritrovamento di un quaderno d’appunti, per una sconosciuta isola del mar del Giappone alla ricerca di suo padre dato per scomparso. Durata 115 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci anche in V.O.)

 

Tre manifesti a Ebbing, Missouri – Drammatico. Regia di Martin McDonagh, con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish e Lucas Hedges. Da sette mesi le ricerche e le indagini sulla morte della giovane Angela, violentata e ammazzata, non hanno dato sviluppi né certezze ed ecco che allora la madre Mildred compie una mossa coraggiosa, affitta sulla strada che porta a Ebbing, tre cartelloni pubblicitari con altrettanti messaggi di domanda accusatoria e di “incitamento” diretti a William Willoughby, il venerato capo della polizia, onesto e vulnerabile, malato di cancro. Coinvolgendo in seguito nella sua lotta anche il vicesceriffo Dixon, uomo immaturo dal comportamento violento e aggressivo, la donna finisce con l’essere un pericolo per l’intera comunità, mal sopportata, quella che da vittima si trasforma velocemente in minaccia: ogni cosa essendo immersa nella descrizione di una provincia americana che coltiva il razzismo, grumi di violenza e corruzione. Oscar strameritati per la protagonista e per il poliziotto mammone e fuori di testa di Rockwell. Durata 132 minuti. (Ambrosio sala 3, Lux sala 3, Uci)

 

Un amore sopra le righe – Drammatico. Regia di Nicolas Bedos, con Nicolas Bedos e Doria Tillier. Dagli anni Settanta ad oggi, la storia di un uomo e una donna, che s’incontrano, si amano e si lasciano, si ritrovano e tornano ad amarsi e si tradiscono, routine e delusioni e passioni lunghe circa cinquant’anni. Sarah, una giovane studentessa di famiglia ebraica, incontra Victor, un ragazzo che vive tra insicurezze e smanie di scrittore, farà con lui due figli, sempre tra alti e bassi. Durata 120 minuti. (F.lli Marx sala Harpo, Uci)