redazione il torinese

“QUARTIERE PULITO”: L’iniziativa promossa da PRO.CIVI.CO.S. ha fatto tappa a Groscavallo

Beppe Tesio: “Ottimo risultato. Cittadinanza e Sindaco contenti. Torneremo”
A volte nella semplicità ci sono le grandi cose, come l’iniziativa “Quartiere Pulito” che si è svolta domenica 5 agosto  sul territorio della frazione Pialpetta nel Comune di Groscavallo.
 
    Dalle 9:30 alle 13.00 un gruppo dell’Associazione PRO.CIVI.CO.S. Volontari di Protezione Civile della Comunità di Scientology, forniti di pinzoni, palette e sacconi neri, hanno ripulito un tratto del Sentiero Natura direzione  località Pialpetta – Forno Alpi Graie e località Pialpetta – Migliere, alcuni sentieri laterali, l’area picnic e l’area camper Comunale. 
 
    “ Complessivamente sono stati raccolti circa 100 chili di rifiuti – spiega Beppe Tesio, presidente della PRO.CIVI.CO.S. e coordinatore dell’iniziativa – perlopiù carta e cartacce abbandonate, plastica, molti mozziconi di sigaretta, alcune bottiglie di vetro, metallo.  In tutto quattro sacchi neri grandi e una decina di sacchi più piccoli.” 
 
    L’iniziativa ha ricevuto l’appoggio del Sindaco di Groscavallo, la sig.ra Cerutti, la quale ha molto a cuore la tutela dell’ambiente comunale e della sua preservazione.  
 
    “L’educazione delle persone che frequentano la montagna ed iniziative come questa sono importanti. Aiutano ad accrescere il rispetto nei confronti delle persone che ci vivono, degli animali, dell’ambiente, di chi viene a Groscavallo e nelle Valli di Lanzo per passare dei bei momenti. Collaborando possiamo  fare in modo che questi luoghi meravigliosi siano protetti e tutelati, migliorandoli. Tra l’altro q uest’anno Groscavallo partecipa all’iniziativa nazionale ‘Comuni Fioriti d’Italia’ – continua il Sindaco –  Così, quando i volontari della PRO.CIVI.CO.S. mi hanno parlato di ‘Quartiere Pulito’ ho subito accettato perché c’è un ovvio collegamento tra le due iniziative”. 
 
    Alto il gradimento da parte di turisti e abitanti che si sono complimentati con i volontari apprezzandone apertamente il lavoro e l’esempio. 
    Tesio ha già promesso che ‘Quartiere Pulito’ tornerà a Groscavallo e che si replicherà anche in altre località. “Prossime tappe saranno il Pian della Mussa, Usseglio e ovunque sia necessario e gradito dai Sindaci ed amministratori delle nostre amate ed incantevoli valli di Lanzo.”

Si appoggia a un palo della luce e muore fulminato a 25 anni davanti alla futura sposa

DALLA CAMPANIA Probabilmente è stato fulminato da una scarica elettrica appoggiandosi ad un palo della luce, non dell’illuminazione pubblica,  ma un lampioncino  all’interno del parco in cui voleva entrare. E’ morto in questo modo a Santa Maria Capua Vetere, nel Casertano, un giovane 25 enne . Il ragazzo  era insieme alla fidanzata, davanti al cancello di ingresso del parco dove vive la ragazza. Poiché lei aveva dimenticato  le chiavi del cancello ma non voleva  svegliare i genitori, essendo ormai notte fonda, a  quel punto il giovane ha scavalcato toccando un lampioncino  di fianco al cancello ed è rimasto fulminato, morendo sul colpo. La tragedia davanti agli occhi della fidanzata, che avrebbe dovuto sposare a settembre. 

Due donne denunciano tentata aggressione e lamentano disservizio 112

Affermano di avere  rischiato di essere violentate, in via Calandra all’angolo con via San Massimo,  e che  il numero unico di emergenza 112 non ha inviato  i soccorsi. Le due donne sono una 44 enne di Cuneo e una 43 enne di Bari ma  residente a Torino. Hanno detto che un nordafricano avrebbe tentato di metter loro le mani addosso. Chiamato il 112 le donne sostengono che l’operatrice continuava a fare domande e così hanno interrotto la chiamata e sono scappate.  L’uomo si era nel frattempo allontanato.I responsabili del servizio affermano di avere riascoltato la telefonata e che questa era “lacunosa” e l’utente non avrebbe prestato la necessaria collaborazione.

E’ morto Don Giampiero Armano, il “prete della Benedicta”

DAL PIEMONTE Si sono svolti oggi ad Alessandria i funerali di Don Giampiero Armano, presidente dell’Associazione “Memoria della Benedicta” Il prelato, molto conosciuto e amico di Don Ciotti, avrebbe compiuto 78 anni a dicembre ed era stato ordinato sacerdote nel giugno del 1963. Dopo aver conseguito le lauree in teologia e in filosofia insegnò per molti anni  lettere al “Saluzzo – Plana”, fino alla pensione. Con Maurilio Guasco e Giorgio Guala fondò la Comunità San Paolo e si dedicò alla conservazione della memoria e dei valori della lotta di Liberazione, del rispetto e della tolleranza. Al sacrario partigiano nei pressi di Bosio aveva dedicato gran parte del suo impegno e della sua passione civile e religiosa. Situato nel cuore del Parco naturale delle Capanne di Marcarolo, tra le valli Polcevera e Stura, nell’Appennino ligure,il Sacrario dei Martiri della Benedicta ospita i ruderi dell’antica Abbazia della Benedicta, conosciuta in ligure come “‘a Beneditta”. Lì, nei primi giorni d’aprile del 1944, si consumò uno degli episodi più tragici e dolorosi della lotta di Liberazione. Il sacrario fu, infatti, teatro del più efferato eccidio tra gli eventi che contraddistinsero la Resistenza Italiana, perpetrato a danno dei partigiani con 147 fucilati e altri 400, tra resistenti e giovani contadini della zona, inviati nei campi di concentramento tedeschi dove 149 trovarono la morte.E’ in qui luoghi, ai quali ha dedicato energie e intelligenza che don Armano riposerà per sempre, nel cimitero di Capanne di Marcarolo a Bosio (Al).

 

M.Tr.

Prosegue lo sgombero dell’ex Moi

Prosegue, dopo il primo step di novembre,  lo sgombero dell’ex Moi, a Torino, il gruppo di palazzine che nel 2006 furono sede del villaggio olimpico degli atleti. Il complesso è da ormai cinque anni occupato da profughi e migranti con le loro famiglie. Lo scorso inverno furono sgomberati gli scantinati, mentre stamane le forze dell’ordine e i mediatori culturali  stanno intervenendo nella  palazzina di colore marrone  di via Giordano Bruno, per allontanare e ricollocare gli occupanti, circa cento. Al momento non si registrano tensioni.

I bagnini, “uomini ruvidi dal cuore gentile”

Ora rivivono in un libro ricco di aneddoti e ritratti fotografici, nato da un’idea di Domenico Monteforte, artista pietrasantino, ma versiliese di adozione

Mario Tobino, psichiatra e scrittore viareggino piuttosto noto del Novecento, definì i bagnini “uomini ruvidi dal cuore gentile”. Questa espressione, un ossimoro quasi, è stata presa a prestito diventando il titolo di un libro che vuole anche essere un omaggio alla Versilia dei tempi che furono, senza dimenticare quella di oggi, attraverso il ritratto di uno dei suoi protagonisti, il bagnino. “Bagnini, uomini ruvidi dal cuore gentile” nasce da un’idea di Domenico Monteforte, artista pietrasantino, ma fortemarmino di adozione, che ha raccolto intorno a sé il giornalista viareggino Umberto Guidi, per le interviste e gli aneddoti presenti nel volume, ed il fotografo Federico Neri per la sezione fotografica. Scopo del libro è quello di cogliere, attraverso i ritratti dei bagnini immortalati con la tipica maglia rossa del salvataggio, lo spirito autentico della terra versiliese, che si è sempre contraddistinta per quel suo carattere elitario, capace, però, di convivere in modo armonioso con le tradizioni locali di quel tratto di costa da cui si possono ammirare le marmoree Alpi Apuane. La copertina del volume coglie il ritratto del celebre Nemo, una istituzione per la Versilia e per Forte dei Marmi, con un volto solcato dai venti del mare e la pelle bruciata dal sole, il carattere caparbio di chi è capace di sfidare le avversità del mare. La figura del bagnino, con l’avanzare del progresso tecnologico di oggi, si è dovuta, sicuramente, adattare ai tempi. Spesso, soprattutto nei decenni passati, egli proveniva da altri campi ed esperienze lavorative rispetto a quelle di oggi; i bagnini, nei mesi non estivi, erano talora marinai, pescatori o, talvolta, lavoratori del marmo e contadini, capaci di adattarsi alla vita del mare, impegnati, allora più di oggi, nel salvataggio dei bagnanti, spesso meno abili di ora a nuotare. Erano i veri depositari della tradizione e seguivano un codice che li portava ad essere riservati nei confronti degli amori, talora adulterini, che i clienti consumavano sulle spiagge. Oggi la figura del bagnino si è modificata, seguendo l’evolversi, anche tecnologico, dei tempi ed il raggiungimento della parità dei sessi. Nel libro compaiono, infatti, anche ritratti di donne con patentino di salvataggio e, quindi, bagnine, eredi della prima bagnina di Forte dei Marmi, di nome Alaide, vissuta a fine Ottocento.

Mara Martellotta

“Bagnini, uomini ruvidi dal cuore gentile”, Clemente editore

Chiamparino annuncia analisi sulle grandi opere

Il presidente della Regione, Sergio Chiamparino, replica alle dichiarazioni contro la Tav da parte del ministro Toninelli e  lancia  l’hashtag #difendiamoilpiemonte (che alcuni dicono sarà il suo slogan alle prossime Europee, quando rinuncerà a ricandidarsi a governatore): “vogliamo percorrere la strada della crescita. La Regione Piemonte realizzerà un’analisi dei costi-benefici sulle grandi opere – afferma Chiamparino – visto che quella governativa è già scritta e a quali amici del trasporto su gomma e delle autostrade è stata affidata”. Per il presidente nelle  regioni del Nord Ovest le grandi opere europee “sono reciprocamente correlate: o vanno avanti per tutti o si fermano”. Alle dichiarazioni del ministro replicano anche i deputati di Forza Italia Osvaldo Napoli e Daniela Ruffino: “. È evidente anche al più distratto degli osservatori che Toninelli fatica a nascondere la sua profonda avversione ideologica per l’Alta velocità destinata a diventare merce di scambio con l’alleato leghista: a voi le pedemontane da realizzare, a noi la Tav da bloccare. L’ineffabile Toninelli ha poi trovato un’altra perla: la Tav si farà se si potrà dimostrare che è redditizia. Bene, con questo, il ministro, uomo coerente, si prepara a chiudere tutte le tratte ferroviarie regionali e locali, cioè quei rami delle ferrovie che non sono mai stati, non sono e mai saranno redditizi. L’unica redditività che ossessiona il ministro è quella della Tav. Più pregiudizio di così è difficile trovare in un governo”.

(foto: Pasquale Iuzzolino)

La patata,” pomo di terra” e pane dei poveri

 La patata si diffuse e fu, insieme alla castagna, il cibo principe di molte popolazioni in quegli anni difficili. Prima dell’avvento della patata, un nucleo familiare contadino per potersi garantire l’autosufficienza, dal punto di vista alimentare, necessitava di una discreta zona di terra, dove per lo più seminava segale e piantava fagioli, piselli e cavoli; un piatto molto comune era appunto una sorta di stufato composto da piselli e fagioli, radici o cavoli, qualche erba e raramente della carnepatata 33

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Per prolungare un tempo senza fine la durata dei Pomi di terra in sostanza, bisogna farli bollire un poco in acqua alquanto salata; ciò che dicesi volgarmente bianchire e quindi tagliarli in fette, ed esporli sopra un forno da pane. Essi allora acquisteranno secchezza, e trasparenza d’un corno: messi quindi in un vaso con un poco d’acqua o d’altro liquore, sopra un fuoco dolce, somministrano un alimento sano, uguale alla radice fresca. Riducendoli in polvere danno una zuppa, ed un brodo molto salutar Questo mezzo porge il grandissimo vantaggio di conservare da pertutto e per secoli senza pena e senza spesa,il superfluo della provvigione diciascun mese“.  Pubblicato cinque anni dopo la Rivoluzione Francese ( “Istruzioni sopra la coltura e gli usi dei Pomi di terra”, Cognet, Nizza 1794 ), questo metodo per conservare a lungo le patate, il “pane dei poveri”, dà l’idea di come si stesse diffondendo all’epoca, per necessità prima ancora che per scelta, l’uso alimentare di uno dei tuberi più famosi. I tempi di allora dispensavano carestia e povertà, soprattutto in montagna e nelle campagne. Così la patata sipatata5 diffuse e fu, insieme alla castagna, il cibo principe di molte popolazioni in quegli anni difficili. Prima dell’avvento della patata, un nucleo familiare contadino per potersi garantire l’autosufficienza, dal punto di vista alimentare, necessitava di una discreta zona di terra, dove per lo più seminava segale e piantava fagioli, piselli e cavoli; un piatto molto comune era appunto una sorta di stufato composto da piselli e fagioli, radici o cavoli, qualche erba e raramente della carne. A pari superficie coltivata, le patate producevano una quantità d’amido che era da due a tre volte superiore alla segale. E non era cosa da poco. In Europa, furono gli irlandesi  tra i primi ad usare come nutrimento umano la patata, non perché fossero più furbi, ma perché stavano letteralmente morendo di fame.  In Inghilterra la massima espansione della patata si registrò tra il 1770 e il 1860. In Germania già nella prima metà del ‘700 si mangiavano patate. Nei Paesi Bassi, nel 1800, era l’alimento nazionale. In Francia, al contrario dei paesi ora menzionati, nonostante la pubblicità della famiglia reale (Maria Antonietta ne portava addirittura i fiori sul corpetto) non ebbe grande successo. I cugini d’oltralpe, chissà poi perché,  continuarono ad essere eccessivamente diffidenti nei confronti della patata, che definivano “strano ortaggio”. In Italia la patata fece la sua comparsa in punta di piedi, all’inizio del secolo dei Lumi, introdotta dal granduca Ferdinando II di Toscana.  Ma , appena affacciatasi sulle “terre alte”, la patata contribuì a rivoluzionare l’alimentazione nelle alpi. Anzi, fu proprio dalle nostre zone montane che venne diffusa nel resto d’Europa. Gli italiani la chiamarono “tartuffolo”, da cui la traduzione in tedesco Tartofflen e patata1Kartoffen. Inizialmente, il popolo non la conosceva o pensava che potesse portare malattie come la lebbra. Veniva coltivata solo in periodo di guerra o carestia e, in montagna, cominciò ad essere usata solo dal XVIII secolo, nonostante avesse caratteristiche ideali per l’alta quota (ad esempio, resisteva alla grandine e al freddo). Il primo documento sulla coltivazione della patata nelle zone alpine risale al 20 settembre del 1741, mentre sembra che, nel 1759, la patata sia entrata a far parte della “grande decima” (cioè venne istituita una tassazione su di essa). Le testimonianze dell’epoca ci raccontano che, grazie alla patata, si combattevano meglio le carestie La patata, infatti, poteva essere coltivata fino a quasi duemila metri, assicurando sempre un minimo di raccolto; si conservava a lungo e, garantiva un buon contenuto proteico. Non solo: la patata poteva anche migliorare la produzione del pane e ridurre il consumo di granaglie, così preziose nell’economia alpina. Inoltre, vennero scoperti nuovi tipi di patate; tra queste vale la pena di ricordare la patata di Formazza , “titolare” di un colore rossastro e di una pasta giallo-scura, medio-piccola e tondeggiante, dal fiore viola e dal fusto sottile e robusto. La patata, dunque, dava da vivere. Ecco perché venne considerata la “benedizione della montagna”. A sostenerne la diffusione furono sempre i motivi di necessità, in concomitanza con gli elevati prezzi dei cereali ( che aumentavano per i crolli di produzione causati quasi sempre o dalle guerre o da annate segnate da gelate primaverili, grandinate, alluvioni e siccità).Così, nel tempo, le migliori, le più belle e saporite patate hanno contribuito a salvare dall’esodo le vallate alpine. Da quando fece la sua comparsa in Europa, “emigrante” dalle Americhe, ha suscitato prima curiosità e poi, via via , ammirazione e riconoscenza, soprattutto da parte di chi, grazie a “lei”, ha evitato di morire di fame. Per la diffusione della sua coltivazione da noi bisogna arrivare però alla fine del ‘700, quando un intraprendente cuneese – l’ing. Giovanni Vincenzo Virginio -, contemporaneamente al botanico francese Parmentier, ne propagandò la coltivazione in Piemonte, offrendo – tra l’altro – i tuberi gratuitamente  sul mercato di Torino nel 1803. Da quel momento la pataticoltura si diffuse, moltiplicando le “cultivar” locali, tra le quali la  “Rossella” , tipica delle vallate del nord del Piemonte. Sotto il profilo dei caratteri botanici, la patata ( “solanum tuberosum” ) appartiene alla famiglia delle patata7solanacee – come il pomodoro -, ed è una pianta perenne anche se da noi viene tenuta in coltura per un solo anno. Si propaga per tubero (costituito da un 75% di acqua e da un 20% di amido ), ha un apparato radicale di notevole sviluppo, i suoi fiori – raccolti in corimbi – sono bianchi o violacei. La patata fruttifica poco ed in modo irregolare: il “frutto” è una bacca più o meno sferica, giallastra quando matura. Nelle parti verdi e nel tubero, contiene un alcaloide velenoso, la “solanina”. Abbiamo poi patate molto patata3precoci – che durano in vegetazione settanta giorni – ed altre molto tardive, che impiegano a svilupparsi oltre cinque mesi . Per il terreno  è di “bocca buona”, non ha grandi esigenze: basta che sia fresco ed un poco, ma poco, acido. Predilige i climi freschi, i cieli coperti, un buon rifornimento idrico ma senza esagerare.  Infatti, se l’umidità è eccessiva il prodotto è scadente e poco conservabile, mentre nei terreni troppo sciolti o piuttosto aridi, i tuberi rimangono piccoli. La patata è una coltura da rinnovo e quindi esige delle accurate lavorazioni, un ottima e generosa concimazione. Si “avvicenda”con alcuni cereali e nelle vallate piemontesi un tipico esempio è offerto dal “tandem” patata-segale. Si coltiva in ogni latitudine e ad ogni altitudine, a conferma della sua grande adattabilità. Salvo che in giugno e luglio, si seminano le patate in tutti i mesi ( in montagna, tra aprile e maggio): la quantità di seme dipende, ovviamente,  dalla qualità  e dalla varietà del terreno, ma una media ragionevole è di circa 15 quintali per ettaro, vale a dire da 6 a 10 piantine per metro quadro. Dai tempi in cui donna Teresa Castiglioni de Ciceri – dama lombarda, nata nell’ottobre del 1750 ad Angera, sulla sponda “magra” del lago Maggiore – affascinata dal progresso delle scienze e grande amica di Alessandro Volta, ne  introdusse la coltivazione nelle terre dei laghi dell’Insubria, è passata moltissima acqua sotto i ponti  e, più che altro, una infinità di quintali di patate nelle nostre cucine.

 

Marco Travaglini

Case popolari: 29 milioni per ristrutturare 1000 alloggi

Il programma di ristrutturazione delle case popolari in Piemonte prosegue e si rafforza grazie a nuove risorse contenute nel Documento di Economia e Finanza approvato dalla Commissione Urbanistica, presieduta dalla consigliera Nadia Conticelli, a cui è intervenuto l’assessore alla Politiche sociali Augusto Ferrari.  I 29 milioni di euro previsti nel documento permetteranno di ristrutturare 1383 alloggi che si aggiungono alle 577 case popolari Atc già oggetto di manutenzione. Secondo quanto concordato con il ministero delle Infrastrutture, al Piemonte dovrebbero arrivare, nei prossimi mesi, altri 36 milioni di euro (a fronte dei 46 richiesti).  “A sostegno delle famiglie – ha precisato l’assessore Ferrari – ci sono anche i 7 milioni annui del Fondo sociale, che andranno a copertura del 60% dei casi di morosità incolpevole. Nel cosiddetto Fondo Salvasfratti, che ora è amministrato direttamente dai Comuni, sono ancora disponibili 6 milioni. Spetterà invece alle 19 Aslo (Agenzia sociale per le locazioni) presenti in tutti i capoluoghi della regione, intervenire sul mercato privato per gli affitti a canone concordato, riservando particolare attenzione alle giovani famiglie di 30/40enni”. La presidente Conticelli ha rimarcato la necessità di “coordinare al meglio le varie iniziative per agevolare il diritto alla casa e fronteggiare l’emergenza abitativa, con la presa in carico della persona nella sua interezza”. Al termine la Commissione ha espresso parere favorevole a maggioranza al Documento di Economia e Finanza regionale, dopo aver ascoltato nelle scorse sedute tutti gli assessori per le materie di competenza.  Nella discussione sono intervenuti i consiglieri Andrea Tronzano e Andrea Fluttero (Fi) e Giampaolo Andrissi(M5s).