redazione il torinese

Muore travolto da un’auto mentre attraversa. Fuggito il pirata della strada

Il corpo senza vita è di Vittorio Barosso, di 89 anni. È stato trovato dai vicini di casa questa mattina in un fosso  in strada Rivalba a Gassino. Potrebbe essere stato investito, mentre stava attraversando la strada, da un’auto pirata il cui conducente sarebbe fuggito. I carabinieri di Chivasso stanno visionando le immagini delle telecamere di videosorveglianza, che potrebbero aver ripreso la scena dell’incidente.

Mattinate FAI d’Inverno

Visite esclusive per le scuole  a cura degli Apprendisti Ciceroni del FAI


IN PIEMONTE

 

Tornano per il settimo anno consecutivo le Mattinate FAI d’Inverno, il grande evento nazionale del FAI – Fondo Ambiente Italiano pensato per il mondo della scuola e in particolare dedicato alle classi iscritte al FAI, nel cui ambito gli studenti sono chiamati a mettersi in gioco in prima persona per scoprire le loro città da protagonistiDa lunedì 26 novembre a sabato 1 dicembre 2018 gli allievi delle scuole sono infatti invitati a conoscere il patrimonio storico e artistico del loro territorio accompagnati dagli Apprendisti Ciceroni, giovani studenti appositamente preparati dai volontari FAI che operano in un dialogo continuo con i loro docenti. Indossati i panni di narratori d’eccezione, gli Apprendisti Ciceroni racconteranno alle classi in visita il valore di questi beni e le storie che custodiscono. Grazie alle Delegazioni FAI attive su tutto il territorio nazionale saranno aperti più di 170 meravigliosi tesori poco conosciuti e spesso chiusi al pubblico in oltre 100 città d’Italia. Gli studenti avranno così l’occasione di partecipare a visite condotte da loro coetanei e di vivere un’insolita esperienza di “educazione tra pari”. Chiese, aree archeologiche, centri storici, palazzi cittadini e delle istituzioni, ville, raccolte museali, scuole storiche, biblioteche, castelli, monasteri, teatri, orti botanici accoglieranno gli studenti per avvicinarli alla storia e alla cultura del loro territorio e per coinvolgerli in un processo di assunzione di responsabilità nei confronti dei beni che esso custodisce. In particolare, poiché quest’anno il FAI dedica particolare attenzione al tema dell’acqua, con la campagna #salvalacqua, fanno parte dei beni visitabili anche terme romane, acquedotti, fontane, riserve naturali e itinerari che si sviluppano lungo incantevoli corsi d’acqua. L’evento, giunto alla sua settima edizione, è dedicato alle Classi Amiche FAI che, sottoscrivendo l’iscrizione, condividono gli obiettivi della Fondazione e contribuiscono alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio di arte e natura del nostro Paese.

Giornata torinese per il presidente Mattarella

Un lungo applauso dei torinesi per  il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Teatro Carignano di Torino, dove il Capo dello Stato è arrivato per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università. Presenti la  sindaca  Appendino, il presidente della Regione  Chiamparino e il rettore  Ajani. Mattarella è stato accolto in piazza Carignano dai bambini della scuola elementare Niccolò Tommaseo. Il presidente continuerà la sua visita a Torino al Polo del ‘900,  alla cappella del Guarini e con un incontro  con i giovani del Sermig.

La nuova vita di un padre, tra il lavoro e i fragili rapporti della famiglia

Una regione e una città imprecisate della Francia, una casa assai semplice, un padre, Olivier, che riempie le giornate del proprio lavoro di capo reparto e di sindacalista in una fabbrica di stoccaggio, i problemi da affrontare di fronte ad un’inflessibile responsabile del personale, la necessità di “obbedire” ai piccoli riti familiari, i minuti rubati alle coccole verso i due figli piccoli

La moglie, Laura, affronta ogni giorno la vita da sola: e un giorno, inspiegabilmente, inaspettatamente, sparisce. Adesso tocca a Olivier occuparsi dei due ragazzini che male s’abituano a quella scomparsa, la più piccola si chiude in un serrato mutismo, a poco servono le presenze di una psicologa o di un amico poliziotto per le indagini, della nonna o della giovane zia che può essere una più facile sostituzione, arrivano ad andarsene di casa per andarla a cercare. Mentre Olivier deve continuare a combattere in fabbrica, dove chi per l’età non è ritenuto più in grado di mantenere i ritmi viene licenziato e si taglia i polsi, dove chi resta incinta non si vede rinnovato il contratto. E non si mandano via soltanto gli operai, anche in alto chi non segue appieno il corso dell’azienda deve scegliere altre strade. È un ritratto ben calato nell’oggi quello che Guillaume Senez (già al TFF nel 2015, vincitore con Keeper del Premio della Giuria) propone con Nos batailles, sua opera seconda. Il mondo del lavoro (nella Francia odierna dei fratelli Dardenne) ma soprattutto la lenta distruzione, di cui non ci si accorge, che i ritmi frenetici possono portare all’interno di un nucleo familiare (anche Wildlife di Paul Dano, visto nei giorni scorsi, analizza la tematica), il rubare spazio agli altri. Senez descrive con esattezza la vita di fabbrica, anche nella composizione delle immagini, ma soprattutto mette in campo con straordinaria naturalezza i fragili rapporti della famiglia e le ripercussioni di un abbandono, ricavando dal protagonista Romain Duris come dai bambini una verità quotidiana di azioni, di sentimenti, di parole. Tutto è credibile nella naturalezza di ogni scena. Raccontava, presentando il film, che all’origine delle sue storie vi è un preciso lavoro di scrittura ma che quella sceneggiatura così limata in ogni particolare venga scavalcata, lui non abbia l’abitudine di darla agli attori, prima si prova, ci si confronta, si costruiscono i dialoghi sul set, giorno per giorno; come raccontava quanto questa storia sia legata alla sua vita, al momento in cui la madre dei suoi figli abbia deciso di lasciarlo e lui sia stato costretto a inventarsi una nuova vita. Nos batailles uscirà sugli schermi italiani nell’aprile del prossimo anno, non perdetelo. Con The White Crow Ralph Fiennes (candidato all’Oscar nel ’94 per il suo Amon Goeth in Schindler’s list) passa ancora una volta dietro la macchina da presa. Con la sceneggiatura di David Hare, basata sulla biografia di Julie Kavanagh, in un lungo elenco di flashback perfettamente ad incastro (dovuti alla maestria del montatore Barney Pilling e sottolineati dal colore per gli anni Sessanta e da un gioco monocromatico ogniqualvolta la vicenda s’avvicina all’infanzia del protagonista), allinea fin dalla nascita – su un vagone della Transiberiana, nei pressi di Irkutsk, nel ’38, tra contadini e giocatori e ubriachi – la vita di Rudolf Nureyev, forse il più grande ballerino del Novecento, il suo desiderio di conoscenza (la musica, La zattera di Géricault al Louvre), il suo desiderio di affermazione, la sua arte, i suoi successi, gli eccessi e gli amori, la sessualità, focalizzando la tournée a Parigi nel 1961 quando, con l’aiuto di alcuni amici del mondo occidentale, riuscì a sfuggire alle autorità sovietiche e ad ottenere lo stato di rifugiato politico. Fiennes sa raccontare con estrema fluidità, tra passi di danza e serate al Crazy Horse, tra piccoli sentimenti ed erotismo, approfondisce l’uomo e l’artista, ne scava il carattere, ne mostra la grandezza e del tutto le asprezze: affidando il ruolo al ballerino Oleg Ivenko, nuovo per lo schermo. Che è il punto di debolezza del film, forse troppo lontano da quell’artista che le cronache ci avevano descritto, timidamente sprezzante, privo di quella sensualità che caratterizzava “il corvo bianco”, un viso piuttosto da ragazzo semplice della porta accanto (per noi insopportabile la somiglianza con il Gianni Morandi nazionale, cinematograficamente fuorviante) che volteggia da dio ma che nei tratti ha poco a che fare con la stella della danza.

 

Elio Rabbione

 

Due immagini di “Nos batailes” di Guillaume Senez, protagonista Romain Duris; Oleg Ivenko come Nureyev in “The white crow” di Ralph Fiennes.

Ha rischiato grosso il 17enne ferito a bottigliate

Il 17enne italiano  aggredito da un pusher, che lo ha ferito con i cocci di una bottiglia sabato sera a  San Salvario, durante una lite, ha rischiato grosso, per le ferite riportate: bastava che i cocci di bottiglia colpissero più a fondo e toccassero organi vitali. Trasferito all’ospedale, il minorenne ha riportato ferite all’addome e al viso guaribili in trenta giorni. Lo spacciatore, un 28enne di origini marocchine, irregolare sul territorio nazionale e già noto alle forze dell’ordine, è stato arrestato dalla polizia per tentato omicidio. Era in via Berthollet e si è avvicinato a un gruppo di giovani per vendere della droga. Improvvisamente il pusher ha spinto a terra il giovane, l’ha ferito con la bottiglia di vetro ed è fuggito. Due agenti di polizia liberi dal servizio hanno visto la scena e l’hanno inseguito.

In auto a 81 anni investe pedone. Fugge e poi si costituisce

Ha 81 anni l’automobilista che venerdì sera ha investito un pedone e poi  è fuggito. Si è costituito dai carabinieri e dalla polizia municipale ed è stato denunciato. Aveva investito un cittadino romeno di 34 anni in corso Vigevano, all’altezza di via Piossasco, che non stava attraversando sul passaggio pedonale. Ferito, è ricoverato al San Giovanni Bosco in prognosi riservata.

Terra di frontiera: nei Balcani il destino del “secolo breve”

eccidioREPORTAGE di Marco Travaglini

La Bosnia-Erzegovina è un crocevia, tra le Alpi Dinariche, la Croazia e la Serbia. E’ nel proprio nome che questi luoghi svelano il proprio destino. Bosnia deriva dal fiume Bosna che nasce nei dintorni di Sarajevo. In illirico “boghi-na” significa “scorrente” mentre Erzegovina sta per “Ducato”, quale fu l’intera zona dei Balcani occidentali dalla metà del 1400. E’ un po’ ardito tradurre il tutto in “Ducato scorrente” ma aiuta a  cogliere l’essenza di una terra che ha visto scorrere la storia, passare regni e popoli, culture e religioni. Terra di frontiera, “limes” che riassume tanti destini nella porta d’accesso e transito tra Oriente e Occidente       

PRIMA PARTE

BOSNIAUn viaggio culturale in Bosnia e nei Balcani dove il “secolo breve”, il Novecento, iniziò più di cent’anni fa a Sarajevo nel 1914 con l’assassinio di Francesco Ferdinando e terminò, sempre a Sarajevo, con le guerre di dissoluzione della Jugoslavia negli anni ’90. Importanti mete per il viaggio,  che qui rievochiamo,  organizzato nel settembre 2014  dalla sezione torinese dell’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti (Aned). Con una scelta dei tempi quanto mai puntuale: quell’anno si celebrava il centenariodella Prima guerra mondiale, la “Grande Guerra” che insanguinò l’Europa con i suoi orrori e lutti.

Partiti da Torino verso il porto di Ancona, nella serata ci s’imbarca su una nave-traghetto della “Jadrolinija” per la traversata notturna dell’Adriatico, verso le coste dalmate. Il mare, tutt’altro che calmo, non aiuta il riposo.   Sbarcati a Spalato, la croata Split, principale centro della Dalmazia, il secondo giorno prosegue con il viaggio in autobus in direzione dell’Erzegovina. Da Mostar, la nostra meta, ci separano 186 km. La Bosnia-Erzegovina è un crocevia, tra le Alpi Dinariche, la Croazia e la Serbia. E’ nel proprio nome che questi luoghi svelano il proprio destino. Bosnia deriva dal fiume Bosna che nasce nei dintorni di Sarajevo. In illirico “boghi-na” significa “scorrente” mentre Erzegovina sta per “Ducato”, quale fu l’intera zona dei Balcani occidentali dalla metà del 1400. E’ un po’ ardito tradurre il tutto in “Ducato scorrente” ma aiuta a  cogliere l’essenza di una terra che ha visto scorrere la storia, passare regni e popoli, culture e religioni. Terra di frontiera, “limes” che riassume tanti destini nella porta d’accesso e transito tra Oriente e Occidente.

 

Mostar

MOSTAREd ecco, in tarda mattinata Mostar, la perla dell’Erzegovina, a cui i croati distrussero il vecchio ponte il 9 novembre del 1993, nel quarto anniversario della caduta del muro di Berlino. Il suo centro storico racchiude un mondo intero, ricostruito completamente dopo che la guerra l’aveva quasi raso al suolo. Le vie acciottolate, lungo le quali spuntano i minareti delle moschee, il Kujundziluk, la via dei commercianti e degli artigiani, i mulini di pietra, le acque impetuose e verde smeraldo della Neretva che attraversa la città. E poi il ponte, simbolo dell’unità e del dialogo che i nazionalismi hanno tentato di spezzare. Quel ponte oggi ricostruito, con la ripida scalinata, da sempre rappresenta l’unione delle due anime di Mostar, quella orientale musulmana e quella occidentale cattolica, vissute insieme per secoli in armonia. Città multietnica dunque, ma con un’anima sola: quella che la guerra ha tentato di dividere con la forza, colpendo anche i suoi monumenti più significativi. Se si guarda con attenzione, i segni del conflitto sono ancora evidenti. Ma le ferite più profondi sono dentro il cuore e la testa  dei mostarini, e sono le più difficili da risanare. Lasciata la città dello Stari Most, si raggiunge Sarajevo in meno di tre ore percorrendo per quasi 130 chilometri  una delle più belle strade del paese, lungo la valle della Neretva, le cui sorgenti si trovano presso Jabuka , nelle Alpi Dinariche ad una ottantina di chilometri a sud della capitale bosniaca. Passiamo da Jablanica, dove sorge il museo dedicato alla seconda guerra mondiale e all’ultimo conflitto, a pochi passi dal ponte. Qui il maresciallo Tito condusse la battaglia della Neretva contro le forze dell’Asse. L’operazione, conosciuta come la “quarta offensiva nemica” (četvrta neprijateljska ofenziva/ofanziva) o “battaglia per i feriti” (bitka za ranjenike) costituì un successo strategico per le forze partigiane jugoslave che, nonostante la situazione apparentemente disperata e le gravi perdite, riuscirono a sfuggire alla manovra d’accerchiamento tedesca e ad infliggere una dura sconfitta ai reparti italiani e dei collaborazionisti cetnici schierati sul fiume. Tra gli appunti anche una nota di colore: a Jablanica è nato Hasan Salihamidžić , ex calciatore bosniaco, soprannominato “Brazzo” (“fratello”), che vestì per qualche anno anche la maglia della Juventus.

 

Sarajevo

SSarajevoarajevo, la “Gerusalemme d’Europa”ci ha accolti con la luce livida di un tardo pomeriggio di pioggia battente. Chi sperava, a dispetto del meteo, in un tiepido tramonto riflesso sulle acque della Miljacka, nel cuore della città, si deve accontentare. Sarajevo è bella sempre, anche con la pioggia. Adagiata in una stretta valle circondata da montagne e aggrappata alle rive del fiume che scroscia spumeggiando nel suo ventre di città serraglio (Sarajevo dal turco saray, serraglio), e stata uno dei più importanti punti di sosta per le carovane lungo le antiche rotte commerciali tra est e ovest. Qui più che altrove Occidente e Oriente s’incontrano e s’abbracciano, confondendosi. E’ qui che gli imperi Bizantino e Ottomano da est, e gli imperi prima di Roma, poi di Venezia e infine di Vienna da ovest ,hanno portato le loro culture, le tradizioni, le religioni. Difficile trovare un altro posto che condivide, in poco spazio, nel cuore della città, i luoghi di culto delle principali religioni: la gotica cattedrale cattolica del Cuore di Cristo e le moschee di Gazi Husrev-beg, Ali Pasha e dell’Imperatore; la barocca cattedrale serbo ortodossa dedicata alla natività di Gesù insieme alla vecchia chiesa ortodossa degli arcangeli Gabriele e Michele, e la Sinagoga di Sarajevo, che s’affaccia sulla Miljacka mentre quella vecchia di mezzo millennio e ben piantata su solide mura nel Velika Avlija, il quartiere ebraico di Sarajevo. Qui si può, meglio che altrove, con tutte le contraddizioni fatte di affinità e diversità, capire il passato, il presente e immaginare il futuro di questa vecchia e un po’ malandata Europa. A Sarajevo la storia d’insinua attraverso la geometria di quartieri, palazzi, piazze, ponti, lapidi e cimiteri. Durante l’assedio della città un’agenzia matrimoniale del posto pubblicizzava cosi i suoi servizi:In questo mondo di guerre e morte l’unica cosa che ha un senso è fare l’amore. Puro distillato d’amaro spirito balcanico. Dopo essersi persi tra i vicoli della Bascarsija, il vecchio quartiere ottomano, eccoci di fronte alla biblioteca nazionale e universitaria di Sarajevo, la “Vijecnica”, uno dei simboli della città.  A 120 anni dalla sua costruzione, ventidue anni dopo il rogo che la distrusse e dopo quasi 18 anni di complesso restauro, è tornata al suo antico splendore. Le tre facciate dell’edificio a base triangolare erano da tempo pronte, illuminate dai colori originari del 1894. Ora, non resta che sperare che tornino anche i libri e i lettori e che queste mura non racchiudano solo gli uffici della municipalità.Le granate serbe, lanciate dopo il tramonto del 25 agosto 1992 da postazioni occultate nelle fitte foreste di abeti che incombono sulla città, trasformarono in rogo l’edificio in stile neo-moresco costruito durante l’epoca austro-ungarica. L’incendio durò tutta la notte e per altre trenta ore almeno. Bruciò così la biblioteca di Sarajevo. E con essa un patrimonio immenso di un milione e mezzo di preziosissimi libri e incunaboli, giornali, riviste e mappe, memoria storica di una città multietnica da secoli e per questo invisa a quelli che volevano separare, dividere, cancellare storie e vicende comuni. Poco distante c’è la piazza della fontana ( o dei piccioni) e più in là inizia la Ferhadija, la più elegante strada di Sarajevo. Messi di traverso sulla Miljacka, come vertebre dell’immaginaria spina dorsale della città rappresentata dal letto del fiume, ci sono i ponti inSARAJEVO2 pietra grigia, erosi dal vento e dalle piogge, con l’erba che cresce nelle fessure, e quelli di ferro, tesi come fili vibranti da una sponda all’altra. Tra questi c’è il ponte Latino dove l’Arciduca Francesco Ferdinando e sua mogli Sofia furono assassinati dall’ultranazionalista Gavrilo Princip in quello che è passato alla storia come l’attentato di Sarajevo. Era il 28 giugno del 1914 e con quegli spari cambiò la storia. Ci sono tante cose da vedere in città, dalla “casa del dispetto” alla famosa Saraievska Pivara, una delle fabbriche di birra di famose dei Balcani, fino al museo del Tunnel, il “cordone ombelicale” scavato sotto la pista d’atterraggio dell’aeroporto che rappresentò l’unica via d’entrata e d’uscita nella città assediata.La Vječna Vatra , la “fiamma eterna”, è il memoriale alle vittime militari e civili della seconda guerra mondiale e ai partigiani. Si dice sia l’unica fiamma che non si è mai spenta nemmeno sotto l’assedio. La lapide ricorda una data, il 6 aprile del 1945. Il giorno della liberazione di Sarajevo dall’occupazione nazista e della vittoria di serbi , bosniaci e croati che, insieme, riconquistarono la liberta. La dimostrazione visiva di una lotta comune, segnata dall’antifascismo degli slavi del sud. La stessa data segnò, provocatoriamente, l’inizio dell’assedio più lungo della storia moderna, protrattosi dal 6 aprile del 1992 al 29 febbraio del 1996. I bombardamenti e i cecchini uccisero 11.541 persone e ne ferirono altre 50.000 durante i 44 mesi dell’assedio. Nei rapporti ufficiali s’indica una media di circa 329 bombardamenti al giorno, con un massimo di 3777 granate il 22 luglio 1993. Gli ordigni che cadevano sull’asfalto lasciavano dei segni che, dipinti con la vernice rossa, diventarono le “rose di Sarajevo”, i fiori della sofferenza e del dolore.  La popolazione della città si ridusse di un terzo e da cosmopolita che era, oggi è perlopiù popolata da bosgnacchi, i bosniaci musulmani. Prossime tappe saranno, in terra bosniaca, Tuzla e Banja Luka.  Ma prima di partire, una visita al vecchio e coloratissimo mercato austroungarico della frutta e della verdura, il “Markale”. Tra la gente che si aggira tra i banchi di ferro che espongono infinite varietà di ortaggi e frutta fresca e secca, proprio sulla parete in fondo, una lunga lapide rossiccia ricorda i caduti delle stragi di Markale. Stragi, al plurale, poiché per due volte le granate serbe hanno massacrato i civili in questo luogo, nel cuore di Sarajevo. La prima volta, il 5 febbraio del 1994:sessantasette morti e centoquarantadue feriti. La seconda, il 28 agosto del 1995,quando l’ultimo di cinque colpi di mortaio stroncò la vita di trentasette persone e il ferimento di altre novanta. I fiori delle corone, sul ciglio della strada, ancora freschi grazie al clima autunnale, ricordano la recente commemorazione di una delle tante ferite che rendono dolorosa la memoria.

 

Tuzla

TUZLAIl viaggio verso Tuzla, sotto una insistente e fastidiosa pioggia che ha deciso di accompagnarci ovunque, è un’altra occasione per attraversare una terra dove le moschee convivono con i boschi di latifoglie e di conifere, le case più vecchie risentono del tratto urbanistico dell’impero viennese , il canto del Muezzin e il suono

delle campane delle chiese ancora oggi, e nonostante tutto, trovano il modo di convivere. E poi tanto verde e acqua, boschi a perdita d’occhio e fiumi gonfi.  Tuzla, con i suoi 120 mila abitanti  è la terza città della Bosnia ed Erzegovina, oltre ad essere capoluogo dell’omonimo cantone che ne conta quasi mezzo milione. La città è collinare ed è legata alla produzione e al commercio del sale. Lo stesso nome lo rammenta:in turco “Tuz” significa proprio sale. Sono immensi i giacimenti di sale minerario che si trovano nel suo sottosuolo. Ed è l’unica città europea ad avere nel centro cittadino un lago salato, creato artificialmente attraverso l’utilizzo delle falde acquifere salate. La “città del sale” è anche uno dei più antichi centri abitati europei, come testimoniano numerosi scavi archeologici che hanno portato alla luce palafitte risalenti al periodo del neolitico. Ogni undici di ogni mese, dal quasi vent’anni, le madri e le donne di Srebrenica organizzano a nel centro cittadino una manifestazione in ricordo delle vittime del genocidio che costò la vita ad oltre ottomila musulmani. Attraversando le sue strade e i suoi vicoli si può comprendere come questa sia stata ( e sia rimasta) la  “citta di tutti”, dove non si chiedeva a nessuno da dove venisse o che fede praticasse. Una città laica,fiera della sua indipendenza dalle anagrafi etniche. Piazza Kapija, nel cuore di Tuzla, è  proprio come la descrive lo scrittore Maurizio Maggiani nel suo ‘Viaggiatore Notturno’: “un selciato spianato tra spigoli legnosi di vecchie case ottomane e composti palazzi austroungarici”. Lì, insieme agli latri partecipanti aquesto viaggio della memoria, si è reso omaggio – accompagnati da Svetlana – ai  ragazzi morti il 25 maggio del 1995. Un gesto semplice per non dimenticare, per non archiviare in qualche angolo sperduto della memoria una delle più crudeli vicende della guerra nella ex-jugoslavia. Tutto si svolse in un attimo: dal monte Ozren, distante quindici chilometri, l’artigleria serba lanciò una granata che scoppiò nella piazza dove c’erano più di mille persone, per lo più ragazzi giovanissimi, raccoltisi per la Festa della Gioventù. Leggendo ad uno ad uno i nomi e le date sulla lapide che rievoca la strage si contano settantuno morti. Sandro Kalesic era un bambino di soli 3 anni ed era il più giovane. Solo due avevano poco più di 45 anni; tutti gli altri fra i 18 e i 25. I feriti furono 236, alcuni dei quali gravissimi. Erano bosniaci, serbi, croati, a riprova che non c’e mai stato un vero e proprio conflitto etnico. Erano tutti slavi. Lì, al numero uno di Via della Gioventu Interrotta, gli abitanti di Tuzla hanno eretto un monumento a ricordo e avvertimento. Sulla lapide è incisa una frase che suona come una condanna senza appello: “Fascisti serbi aggressori”.

L’accompagnano i versi di Mak Dizdar, poeta bosniaco: “Qui non si vive solo per vivere. Qui non si vive solo per morire. Qui si muore per vivere”. Poco distante si è svolto l’incontro con i rappresentanti dell’Associazione che cura la memoria di questi giovani. C’erano due dei genitori e il presidente, un uomo di 47 anni che riportò gravissime ferite in quello scoppio. Nella sala che porta alle pareti i ritratti di quelle ragazze e di quei ragazzi la commozione è stata grande, così come durante la visita alla collina che ospita – accanto al monumento che ricorda la liberazione della città dai nazisti e le vittime dell’ultimo conflitto – le tombe allineate di 51 di queste giova i vite spezzate dalla follia di una guerra assurda.

 

Banja Luka

BANJAA Banja Luka , seconda più grande città della Bosnia, di fatto il centro più importante dell’entità della Repubblica Serpska ( l’altra “entità” della nazione bosniaca), arriviamo sotto l’immancabile pioggia di questa pazza estate. Il capoluogo della storica regione  della Bosanska Krajina, con i suoi 200.000 abitanti, ospita il governo della Bosnia serba  abitanti al censimento ed è un importante centro economico e culturale con una storia importante che risale all’Alto Medioevo. Sviluppatasi su entrambe le sponde del fiume Vrbas che, l’intera città è punteggiata dal verde dei viali alberati, giardini e parchi. Durante l’occupazione Ottomana della Bosnia,Banja Luka conobbe lo sviluppo urbano ed economico che le consentì di diventare uno dei più importanti centri politici e commerciali della Bosnia. In seguito alle frequenti incursioni austriache si definì anche il suo profilo di centro militare strategico. La città, per conoscere una fase nuova e decisa di modernizzazione, dovette attendere la dominazione austroungarica della fine del XIX secolo. Durante la Seconda guerra mondiale gli Ustascia Croati, cattolici e filonazisti, occuparono la città deportando la maggior parte delle famiglie nobili sefardite e serbe presso i vicini campi di concentramento di Jasenovac e Stara Gradiška. Il 7 febbraio 1942 le forze ustascia, guidate da un monaco francescano, Miroslav Filipović, uccisero 2.500 serbi, tra cui 500 bambini, a Drakulići, Motike e Sargovac, località all’interno del comune di Banja Luka. La cattedrale ortodossa della città fu rasa al suolo dalle forze di occupazione naziste, prima che la città fu liberata il 22 aprile 1945 dai partigiani di Tito. Il 27 ottobre del 1969 ( alle 9,11 del mattino, di domenica, come si legge su di un orologio nel centro cittadino), un tremendo terremoto danneggiò molti degli edifici della città. Un grosso palazzo chiamato Titanik, situato nel centro della città, fu distrutto completamente e l’area dove si trovava è stata tramutata in una piazza. Con grandi sacrifici  Banja Luka fu ricostruita ma molti dei piccoli palazzi e negozi dell’epoca ottomana e austroungarica che costituivano il centro della città, danneggiati irreparabilmente, furono demoliti.

 Marco Travaglini

(Continua)

 

Arte accessibile a tutti. Convegno di Crt e Paideia

Giovedì 6 dicembre, alle ore 9, presso le OGR (corso Castelfidardo 22, Torino), si terrà il convegno “Dall’arte per tutti all’arte di tutti. Verso una nuova prospettiva di accessibilità”, organizzato da Fondazione CRT e Fondazione Paideia con la collaborazione di OGR Torino e della Consulta per le Persone in Difficoltà Onlus. Il convegno sarà aperto da Giovanni Quaglia, Presidente Fondazione CRT; Fabrizio Serra, Segretario Generale Fondazione Paideia; Fulvio Gianaria, Presidente Società Consortile per Azioni OGR-CRT; Giovanni Ferrero, Direttore Consulta per le Persone in Difficoltà. A seguire gli interventi di Pete Kercher, Ambasciatore di EIDD – Design for All Europe; Silvio Venuti, Psichiatra; Franco Tartaglia, Psicologo e Psicoterapeuta;Alessandro Bollo, Direttore Fondazione Polo del ‘900. L’ingresso è libero su prenotazione a: fondazionecrt@agenziauno.com oppure 011-5627396

Il regalo di Al Walid bin Talal a Castagneto Po

Dalle galere saudite, in attesa magari di finire sotto la scure del boia, a Castagneto Po sulle colline nei dintorni di Torino. Ricompare in pubblico il miliardario principe saudita Al Walid bin Talal che un anno fa, nel novembre 2017, fu al centro di una vicenda che suscitò scalpore in tutto il mondo. Accusato di corruzione, fu tenuto prigioniero per quasi tre mesi al Grand Hotel Ritz-Carlton di Riad insieme ad alcuni ex ministri e una decina di principi della famiglia reale, tutti sgraditi a Mohammed Bin Salman, figlio del re saudita, principe ereditario e uomo forte del Regno, ritenuto il mandante dell’assassinio del giornalista Khashoggi a Istanbul. Ebbene, la fondazione di Bin Talal, Alwaleed Philanthropies, ha regalato alla Croce Rossa Italiana il castello di Castagneto Po, nel chivassese, già residenza di Carla Bruni, consorte dell’ex presidente francese Sarkozy. Si tratta di una delle più importanti donazioni benefiche fatte quest’anno in Italia dalla fondazione. Il principe saudita e ricchissimo uomo d’affari Al-Walid bin Ṭalāl ha donato alla Cri un castello del valore di 16 milioni di euro. Si tratta dell’antica Villa Ceriana di Castagneto Po dotata di 40 stanze, con stucchi e dipinti rinascimentali e un parco di 70 ettari. La dimora nobiliare era stata acquistata alcuni anni fa dalla famiglia di Carla Bruni Tedeschi. L’annuncio del passaggio di proprietà è avvenuto con un protocollo firmato tra la Alwaleed Philanthropies e la Croce Rossa che trasformerà questa prestigiosa proprietà di mille anni fa in un centro di training, formazione e meeting. La struttura ospiterà i volontari della Croce Rossa e collaborerà insieme al Movimento della Mezzaluna Rossa. La Alwaleed Philanthropies collabora con organizzazioni benefiche ed educative per fornire assistenza in caso di disastri naturali, terremoti e alluvioni, e ha stanziato finora oltre quattro miliardi di dollari a favore del welfare sociale per combattere la povertà nel mondo. La donazione è stata annunciata dalla Principessa Lamia Bint Majed Al Saud, segretario generale e membro della Fondazione Philanthropies e dai responsabili della Croce rossa italiana.

Filippo Re

 

Il Piemonte è protagonista della mobilità del futuro con VTM

Il futuro della mobilità passa da Torino: il 27 e 28 novembre il capoluogo del Piemonte, culla dell’automotive italiano, ospita la prima edizione di VTM – Vehicle and Transportation Technology Innovation Meetings, la business convention in cui le più grandi aziende e i massimi esperti del settore faranno luce sull’ormai imminente rivoluzione nei trasporti e nell’automotive. Una rivoluzione che si può riassumere nell’acronimo M.A.D.E., ovvero Mobility Autonomous Digitization Electrification, a indicare una convergenza di fattori dirompenti che in questo momento storico stanno per cambiare definitivamente il nostro modo di concepire e di utilizzare infrastrutture e mezzi di trasporto, come spiegherà Andrea Marinoni di Roland Berger, uno dei numerosi relatori, illustrando gli scenari strategici della mobilità di domani.