redazione il torinese

Lotteria Italia, biglietto da un milione venduto in corso Traiano

E’ un  bar tabaccheria di Torino, in corso Traiano, nella periferia operaia, ad avere venduto  il biglietto P 386971 della Lotteria Italia da un milione di euro.  “Prima avevamo un’altra attività e avevamo venduto un biglietto da 500mila euro – dice il titolare all’Ansa – Nessuno, però, si è mai presentato a ringraziare. Forse questa volta farà un salto”. Al momento il vincitore è misterioso. Il titolare del bar spera che i soldi vadano a qualcuno che ne ha bisogno

E se il Chiampa resuscitasse?

Aveva proprio ragione il Divo Giulio Andreotti: il potere logora chi non ce l’ha. Alias chi arriva al potere fa di tutto per non mollarlo. A questa legge della natura non sfuggono i pentastellati torinesi che proprio non ne vogliono sapere di mollare il posto conquistato quasi tre anni fa. Per alcuni di loro (sicuramente la maggioranza) c’ è una radicale differenza tra l’ indigenza ed un certo attuale benessere economico. Assessori che prima dichiaravano 10mila euro all’anno ed oggi superano i 70mila. La legislatura dovrà durare. Viceversa torneranno ad essere quasi disoccupati se non disoccupati del tutto. Ai pentastellati la vicenda dell’eventuale rinvio a giudizio della sindaca Appendino e assessore competente non  fa dormire sonni tranquilli. Qualcosa di simile a ciò che è successo agli amministratori di Alessandria. Le similitudini non si fermano qui. Successivamente la Corte dei conti potrebbe chiedere i danni erariali. In questo caso il trucchetto di dire è colpa del PD non funziona.  Soprattutto una vicenda che si svilupperà per anni. Soluzioni? Dire ciò che è. Dunque dichiarare lo stato di dissesto. Commissario, nuove elezioni e non più prebende. Tanto in forma nell’affrontare questa nuova tornata elettorale tra Venaria e Torino i pentastellati non lo sono. Un grido di dolore, intanto,  arriva da Forza Italia. Mi raccomando: Matteo Salvini non ci mollare, sarebbe un disastro per tutto il centro destra. Vincerebbero i pentastellati.  Su questo si sbagliano. Ma urlare al Lupo ancorché non sia arrivato è saggio. Personalmente escludo un accordo tra i gialloverdi. Sarebbe più realistico se la Lega corresse da sola per incassare il massimo dell’ incassabile. A Matteo Salvini piace il gioco d’ azzardo. Sicuramente è tentato ma non stupido. Rimetterebbe in pista Sergio Chiamparino per il primo posto . Cosa impensabile solo tre mesi fa. La partita Tav sta facendo la differenza. Ed ampi settori dell’ elettorato sono infastiditi dal niente condito dai soliti no dei pentastellati. Il nostro Chiampa fiuto ne ha. Con il Ragazzo di Biella Paolo Furia che sicuramente comincia bene. La nostra linea Maginot è la vittoria di Sergio. Anche lui (magari) si gioca tutto cogliendo appieno l’occasione di un quasi immediato recupero di un Pd decisamente ammaccato. Alcuni suoi compagni o compagne o per meglio dire alcuni suoi amici o amiche non ce la possono proprio fare. E la sparano proprio grossa. Postano un’ immagine che dovrebbe essere un invito a votare Giachetti segretario del PD. Perché? Semplice, gli altri candidati sono peggio di Giachetti. Zingaretti amico politico di Massimo D’Alema. Ovviamente per questi sostenitori di Giachetti un grave peccato e sbaglio dello stesso Zingaretti. Con un insignificante dettaglio: secondo i più una notizia priva di fondamento. Insomma una notizia falsa. Così le notizie false irrompono nel dibattito interno del PD. Il masochismo continua incurante. Inquietante la ricerca del falso per demonizzare l’avversario. Come è avvilente sostenere di votare qualcuno perché è il meno peggio. Mio Dio, come (alcuni del PD) sono caduti in basso. Di fatto fanno il palo su una mediocrità diffusa. Non a caso il Chiampa si tiene distante dalle beghe dei piddini che loro chiamano congresso. Educatamente augura buon lavoro al nuovo segretario ma non perde  occasione nel rimarcare  che il suo orizzonte sono le liste civiche. Lista Monviso in primis.  Non avrebbe altro modo per conquistare l’elettorato moderato che volendo la Tav non capisce più il Salvini. Poco valgono le esternazioni del capogruppo della Lega in consiglio comunale, Ricca, che lo accusa di tardivo risveglio ( pro Tav ) elettorale. Il problema (almeno in questo caso) non è Lui ma il Ministro dell’Interno. Persino Feltri esorta Salvini nel rinsavire. Dopo “prima di tutto il Nord” e dopo “prima di tutti gli Italiani si affaccia”…”prima di tutto i piemontesi”. Molto è cambiato in questi ultimi dieci mesi. Cambiato in Italia ma anche nella nostra regione. Sono cambiate anche  le previsioni di ciò che potrà accadere. Soprattutto sono mancate le pur minime aspettative di chi votando 5 Stelle desiderava un punto di rottura con il passato giudicato troppo immobile. Ora constata il nulla di questa amministrazione. Piero Fassino ha un caratteraccio. Ma qualche investimento dall’estero l’ha portato. Qualche edificio (come la Cavallerizza) è stato venduto per fare cassa. Ora il buco di bilancio del Comune di Torino è un pozzo senza fondo. E la traballante credibilità di Chiara Appendino ha avuto un colpo di grazia con la vicenda delle Olimpiadi e della crociata No Tav . Non bisogna essere sociologi per dedurre che l’80% di chi era in piazza pro Tav l’ ha votata. Ora sono gli stessi che chiedono a Salvini di darsi una mossa. Unico elemento comune negli anni la totale confusione.  Forze politiche o uomini politici che mi sembrano delle boccette di carambola impazzite perché nel bigliardino sono state tolte le buche. Ogni tanto qualcuno fa un tiro e tutte si spostano ma rimangono sempre all interno del rettangolo. Per ora hanno l’unica alternativa di fuoruscire dal gioco carambolando. E Difficilmente avranno un’ altra occasione per rientrare.
Patrizio Tosetto

Lettera aperta di Quaglieni: “Care madamin vi scrivo…”

Di Pier Franco Quaglieni
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Gentili signore, 
Sono uno dei trentamila torinesi presenti in piazza il 10 novembre 201. Io in piazza non vado volentieri perché la piazza mi evoca tempi non felici in quanto le democrazie si fondano più  sul consenso del libero voto e sulla  sua libera rappresentanza  che sulle manifestazioni di piazza, spesso indice ed espressione di  un malessere democratico, diffuso.  Le piazze che plaudono spasmodicamente  come nel Ventennio o le piazze che sbeffeggiano delle salme a piazzale Loreto non mi piacciono. Io, studioso di Machiavelli e di Tocqueville, sono per una democrazia “fredda”, fondata sul realismo e sui ragionamenti politici ben fatti. Per me la mente deve restare sempre fredda  perché le menti calde spesso non sono un segno positivo per le democrazie.  
Ricordo queste cose per evidenziare che l’essere andato in piazza il 10 novembre è stato per me un atto del tutto inconsueto , ma il malgoverno grillino della città  del Paese ha raggiunto dei livelli davvero intollerabili.  In quella piazza ho incontrato tanti amici e mi ha fatto piacere ritrovarli. Uno non lo vedevo da decine d’anni e subito abbiamo constatato che avevamo le stesse idee su Torino, sulla Tav ,sulla decrescita infelice.  Vi scrivo perché ho appreso che il 12 gennaio avete convocato un altro incontro in piazza Castello al quale dò la mia adesione.  Leggendo i giornali, però, mi è sorto un grosso dubbio che voglio esternarvi con sincerità : insieme ai sindaci invitati dovrebbe anche parlare Chiamparino, Presidente uscente della Regione Piemonte e candidato alla riconferma. E’ giustissimo far parlare i Sindaci, forse converrebbe far parlare anche  qualche tecnico che sappia usare linguaggi compatibili alla piazza, ma  invece mi sembra del tutto inopportuno dare spazio al candidato di uno schieramento politico da tempo ormai  in  piena campagna elettorale .  In queste mie considerazioni non c’è nulla di personale né di preconcetto, ma il rischio che si corre è grandissimo, quello cioè di avvalorare la tesi di chi vi ritiene sostenitrici occulte di uno schieramento politico.Non basterà certo  il bravo Mino Giachino a controbilanciare. E ,se ci fossero altri  eventuali candidati,rischiereste di trasformare una manifestazione civica in una sorta di tribuna elettorale allargata. Vi prego di essere attente, permettemi, a non offrire degli argomenti ai grillini.  Il movimento di idee nato il 10 novembre deve restare limpido e libero, così come si è presentato in piazza la prima volta .  Diversamente e’ destinato fatalmente a declinare.  Dal 10 novembre parte un impegno che non può infrangersi nelle beghe elettorali ,ma deve guardare oltre perché la Tav travalica gli schieramenti elettorali contingenti.  Gentili Signore,  tenetevi lontane dai partiti e da chi vorrebbe adescarvi per fini immediati e partigiani.  Solo così gli arancioni avranno un ruolo, senza confondersi con altre esperienze  con e senza gilet. Il 4 marzo ha rotto in modo irreversibile certi equilibri e la politica non può più ripetere certi rituali e praticare certe furbizie elettorali del passato.  Guai se il movimento diventasse trampolino di lancio per qualcuno, chiunque esso sia. In tal caso, buona parte dei 30mila torinesi tornerebbe o resterebbe  a casa.  Tra l’altro, Pietro Nenni che era un grande agitatore di piazza, ma era anche un raffinato politico, sosteneva che spesso alle piazze piene corrispondono le urne vuote: e’ infatti facile entusiasmare la folla, ma è difficile tradurre l’applauso in voto. Questa e’ la dura, implicabile lezione della storia con cui si deve sempre  inevitabilmente fare i conti. Pensateci, perché un passo avventato potrebbe essere fatale al gran risultato che avete raggiunto in novembre.
.
Con sincera stima , molta  simpatia e  viva cordialità. 
.
scrivere a quaglieni@gmail.com
(foto: il Torinese)

Lettera aperta di Quaglieni: "Care madamin vi scrivo…"

Di Pier Franco Quaglieni
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Gentili signore, 
Sono uno dei trentamila torinesi presenti in piazza il 10 novembre 201. Io in piazza non vado volentieri perché la piazza mi evoca tempi non felici in quanto le democrazie si fondano più  sul consenso del libero voto e sulla  sua libera rappresentanza  che sulle manifestazioni di piazza, spesso indice ed espressione di  un malessere democratico, diffuso.  Le piazze che plaudono spasmodicamente  come nel Ventennio o le piazze che sbeffeggiano delle salme a piazzale Loreto non mi piacciono. Io, studioso di Machiavelli e di Tocqueville, sono per una democrazia “fredda”, fondata sul realismo e sui ragionamenti politici ben fatti. Per me la mente deve restare sempre fredda  perché le menti calde spesso non sono un segno positivo per le democrazie.  
Ricordo queste cose per evidenziare che l’essere andato in piazza il 10 novembre è stato per me un atto del tutto inconsueto , ma il malgoverno grillino della città  del Paese ha raggiunto dei livelli davvero intollerabili.  In quella piazza ho incontrato tanti amici e mi ha fatto piacere ritrovarli. Uno non lo vedevo da decine d’anni e subito abbiamo constatato che avevamo le stesse idee su Torino, sulla Tav ,sulla decrescita infelice.  Vi scrivo perché ho appreso che il 12 gennaio avete convocato un altro incontro in piazza Castello al quale dò la mia adesione.  Leggendo i giornali, però, mi è sorto un grosso dubbio che voglio esternarvi con sincerità : insieme ai sindaci invitati dovrebbe anche parlare Chiamparino, Presidente uscente della Regione Piemonte e candidato alla riconferma. E’ giustissimo far parlare i Sindaci, forse converrebbe far parlare anche  qualche tecnico che sappia usare linguaggi compatibili alla piazza, ma  invece mi sembra del tutto inopportuno dare spazio al candidato di uno schieramento politico da tempo ormai  in  piena campagna elettorale .  In queste mie considerazioni non c’è nulla di personale né di preconcetto, ma il rischio che si corre è grandissimo, quello cioè di avvalorare la tesi di chi vi ritiene sostenitrici occulte di uno schieramento politico.Non basterà certo  il bravo Mino Giachino a controbilanciare. E ,se ci fossero altri  eventuali candidati,rischiereste di trasformare una manifestazione civica in una sorta di tribuna elettorale allargata. Vi prego di essere attente, permettemi, a non offrire degli argomenti ai grillini.  Il movimento di idee nato il 10 novembre deve restare limpido e libero, così come si è presentato in piazza la prima volta .  Diversamente e’ destinato fatalmente a declinare.  Dal 10 novembre parte un impegno che non può infrangersi nelle beghe elettorali ,ma deve guardare oltre perché la Tav travalica gli schieramenti elettorali contingenti.  Gentili Signore,  tenetevi lontane dai partiti e da chi vorrebbe adescarvi per fini immediati e partigiani.  Solo così gli arancioni avranno un ruolo, senza confondersi con altre esperienze  con e senza gilet. Il 4 marzo ha rotto in modo irreversibile certi equilibri e la politica non può più ripetere certi rituali e praticare certe furbizie elettorali del passato.  Guai se il movimento diventasse trampolino di lancio per qualcuno, chiunque esso sia. In tal caso, buona parte dei 30mila torinesi tornerebbe o resterebbe  a casa.  Tra l’altro, Pietro Nenni che era un grande agitatore di piazza, ma era anche un raffinato politico, sosteneva che spesso alle piazze piene corrispondono le urne vuote: e’ infatti facile entusiasmare la folla, ma è difficile tradurre l’applauso in voto. Questa e’ la dura, implicabile lezione della storia con cui si deve sempre  inevitabilmente fare i conti. Pensateci, perché un passo avventato potrebbe essere fatale al gran risultato che avete raggiunto in novembre.
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Con sincera stima , molta  simpatia e  viva cordialità. 
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scrivere a quaglieni@gmail.com
(foto: il Torinese)

L’isola del libro

Rubrica settimanale delle novità librarie

***

John Grisham “La resa dei conti”   – Mondadori – euro 22,00

 

L’ultimo libro di Grisham è di nuovo all’altezza dei suoi primi best seller “Il rapporto Pelican” e “Il socio”. Bellissimo, avvincente, da stare col fiato sospeso fino all’ultima pagina e poi pensare…peccato che sia finito. In realtà sono tre storie correlate, architettate e scritte divinamente. Siamo nella contea di Ford nel Mississippi, a Clanton, nel 1946. Un giorno, all’improvviso, il 43enne Pete Banning – cittadino in vista, discendente di una famosa famiglia di coltivatori di cotone, eroe di guerra e fedele seguace della chiesa metodista- spalanca la porta dello studio del reverendo Dexter Bell e lo fa secco con tre colpi di pistola. Poi si consegna alla polizia. La prima parte del romanzo racconta –senza mai annoiare- il processo. Banning rifiuta di svelare la ragione del suo gesto, si dichiara non colpevole, ma rinuncia a difendersi. Accetta imperturbabile la condanna alla sedia elettrica che verrà puntualmente eseguita. Una fine orribile …e il segreto di quell’omicidio sembra calare nella fossa per sempre. Ma chi era Pete Banning? Ce lo svela la seconda parte “Il campo d’ossa” in cui Grisham racconta dapprima come Pete aveva incontrato la splendida moglie Lisa, da cui avrà i figli Joel e Stella. Poi le agghiaccianti pagine in cui viene richiamato dall’esercito nel 1941 e spedito a combattere contro i giapponesi che avevano invaso le Filippine. Qui pagine di storia si intrecciano alla vicenda privata del protagonista. Combattimenti disperati, fame, malattie, morte e orrore…e la resa all’esercito nipponico la cui crudeltà non ha limiti. Marce forzate a 40° senza acqua né cibo, decapitazioni e torture, il campo di prigionia in cui continua lo spietato “trattamento del sole” e i prigionieri che muoiono come mosche. A Pete e ai pochi superstiti tocca scavare le fosse per chi non ce l’ha fatta. Scene da fare impazzire anche i più tosti. Pete finirà per trascorrere tre interminabili anni nella giungla. Dopo la spericolata fuga dal campo si unisce a un gruppo di guerriglieri americani e filippini che ordiscono piani pericolosi per sabotare i convogli del nemico. Fino al rimpatrio di Pete che torna a casa devastato nel fisico e nell’anima. Terza ed ultima parte è quella dedicata a “Il tradimento”. E già perché mentre Pete lottava per restare vivo, a Clanton era già stato dato per morto e Liza si era ritrovata sola a mandare avanti la fattoria e crescere i figli. Pare che le sia stato di grande conforto il pastore della sua chiesa Dexter Bell che con lei passava molto tempo. Riprendere il matrimonio da dove l’avevano lasciato sembra difficile, la passione non è più la stessa e Pete a un certo punto fa internare Liza in un ospedale psichiatrico per curare un’oscura depressione. Intanto un pesante fardello è ricaduto sui giovani figli Joel e Stella. La vedova del pastore, sobillata dal viscido amante, intenta causa ai due giovani per portargli via tutto: casa, terreni, soldi, passato e futuro. Un risarcimento milionario. Di più non vi dico per non togliervi il gusto della lettura fino all’epilogo… insospettabile.

 

Tayari Jones “Un matrimonio americano” -Neri Pozza- euro 18,00

Quando si mette di mezzo un destino bastardo ecco che la vita, di colpo, vira in peggio. E’ quello che accade in questo 4° libro della scrittrice 48enne Tayari Jones, nata ad Atlanta in Georgia, “Un matrimonio americano”, che Oprah Winfrey ha incluso tra le pietre miliari del suo book club. Un romanzo che innesta una tragica vicenda privata sullo sfondo dei pregiudizi razziali e l’ineguaglianza della legge a seconda del colore della pelle. E’ l’allucinante evento che sconvolge una coppia afroamericana in cui il marito viene arrestato per un reato che non ha commesso. Roy e Celestial si sono conosciuti all’università e sono sposati da poco: lei è un’artista che crea bambole-opere d’arte; lui si atteggia a playboy e non ha grandissime aspirazioni nella vita. Una sera dopo una visita alla madre di lui i due decidono di passare la notte in un motel: qui Roy rivela un segreto a Celestial e scoppia una lite. Lui esce dalla stanza per calmarsi, incontra una signora in difficoltà per un braccio bendato e cavallerescamente l’aiuta. Peccato che nella notte lei venga violentata e punti il dito accusatorio proprio contro il giovane afroamericano. Fine della parte felice di una vita con alti e bassi ma comunque tranquilla. Inizio dell’incubo. Roy finisce in carcere e “innocente o no, la prigione ti cambia, ti fa diventare un detenuto”. Il romanzo racconta attraverso le voci e le lettere dei vari personaggi gli anni difficili in cui Roy fa i conti con la detenzione; mentre nella vita di Celestial si affaccia un certo successo e, soprattutto, diventa sempre più presente ed importante l’amico d’infanzia Andre. Ci sarà ancora un matrimonio a cui tornare dopo che le porte della prigione si sono spalancate per Roy? Scopritelo da soli e buona lettura…

 

Dacia Maraini “Corpo felice” -Rizzoli- euro 18,00

E’ illuminante e a tratti sconvolgente l’ultimo libro di Dacia Maraini il cui sottotitolo recita “Storie di donne, rivoluzioni e un figlio che se ne va”. L’accento è proprio sull’ultima parte, ovvero la traumatica esperienza di cui l’autrice non aveva ancora mai parlato così apertamente. La perdita del figlio al settimo mese di gravidanza a causa della placenta previa. E’questo il leitmotiv sotteso a tutte le pagine. “Quando ho perso mio figlio, con cui conversavo sotto le coperte e a cui raccontavo del mondo aspettando che nascesse; quando a tradimento quel bambino con cui giocavo segretamente e che già tenevo in braccio prima ancora che avesse aperto gli occhi è morto, sono stata sul punto di morire anch’io”.Ecco quello che ha segnato la vita della scrittrice che si chiede perché “..un utero caldo e accogliente doveva trasformarsi in una tomba gelata?”. Esperienza straziante. Però lei ha una forza interiore sovrumana e quel dialogo con la vita ha sempre continuato a tenerlo vivo. Così immagina i passi del figlio mai venuto al mondo, lo pensa mentre cresce e scopre il mondo, anche se solo nei suoi pensieri. In “Corpo felice” c’è tutta la caratura della Maraini, una delle più sensibili, delicate ma potenti voci della narrativa contemporanea. Qui parla anche di ribellione all’ingiustizia, anelito all’indipendenza, etica e senso della vita, anima e rapporto con Dio e la Chiesa…insomma si pone tutte le grandi domande che avvolgono l’esistenza, sonda con intelligenza e grande cultura il mistero della nascita e della morte. Ma non vorrei che pensaste a un libro triste o pesante, “Corpo felice” non è cos’; piuttosto è un grandissimo inno alla vita, scritto con ineguagliabile maestria.

L'isola del libro

Rubrica settimanale delle novità librarie

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John Grisham “La resa dei conti”   – Mondadori – euro 22,00
 
L’ultimo libro di Grisham è di nuovo all’altezza dei suoi primi best seller “Il rapporto Pelican” e “Il socio”. Bellissimo, avvincente, da stare col fiato sospeso fino all’ultima pagina e poi pensare…peccato che sia finito. In realtà sono tre storie correlate, architettate e scritte divinamente. Siamo nella contea di Ford nel Mississippi, a Clanton, nel 1946. Un giorno, all’improvviso, il 43enne Pete Banning – cittadino in vista, discendente di una famosa famiglia di coltivatori di cotone, eroe di guerra e fedele seguace della chiesa metodista- spalanca la porta dello studio del reverendo Dexter Bell e lo fa secco con tre colpi di pistola. Poi si consegna alla polizia. La prima parte del romanzo racconta –senza mai annoiare- il processo. Banning rifiuta di svelare la ragione del suo gesto, si dichiara non colpevole, ma rinuncia a difendersi. Accetta imperturbabile la condanna alla sedia elettrica che verrà puntualmente eseguita. Una fine orribile …e il segreto di quell’omicidio sembra calare nella fossa per sempre. Ma chi era Pete Banning? Ce lo svela la seconda parte “Il campo d’ossa” in cui Grisham racconta dapprima come Pete aveva incontrato la splendida moglie Lisa, da cui avrà i figli Joel e Stella. Poi le agghiaccianti pagine in cui viene richiamato dall’esercito nel 1941 e spedito a combattere contro i giapponesi che avevano invaso le Filippine. Qui pagine di storia si intrecciano alla vicenda privata del protagonista. Combattimenti disperati, fame, malattie, morte e orrore…e la resa all’esercito nipponico la cui crudeltà non ha limiti. Marce forzate a 40° senza acqua né cibo, decapitazioni e torture, il campo di prigionia in cui continua lo spietato “trattamento del sole” e i prigionieri che muoiono come mosche. A Pete e ai pochi superstiti tocca scavare le fosse per chi non ce l’ha fatta. Scene da fare impazzire anche i più tosti. Pete finirà per trascorrere tre interminabili anni nella giungla. Dopo la spericolata fuga dal campo si unisce a un gruppo di guerriglieri americani e filippini che ordiscono piani pericolosi per sabotare i convogli del nemico. Fino al rimpatrio di Pete che torna a casa devastato nel fisico e nell’anima. Terza ed ultima parte è quella dedicata a “Il tradimento”. E già perché mentre Pete lottava per restare vivo, a Clanton era già stato dato per morto e Liza si era ritrovata sola a mandare avanti la fattoria e crescere i figli. Pare che le sia stato di grande conforto il pastore della sua chiesa Dexter Bell che con lei passava molto tempo. Riprendere il matrimonio da dove l’avevano lasciato sembra difficile, la passione non è più la stessa e Pete a un certo punto fa internare Liza in un ospedale psichiatrico per curare un’oscura depressione. Intanto un pesante fardello è ricaduto sui giovani figli Joel e Stella. La vedova del pastore, sobillata dal viscido amante, intenta causa ai due giovani per portargli via tutto: casa, terreni, soldi, passato e futuro. Un risarcimento milionario. Di più non vi dico per non togliervi il gusto della lettura fino all’epilogo… insospettabile.
 
Tayari Jones “Un matrimonio americano” -Neri Pozza- euro 18,00
Quando si mette di mezzo un destino bastardo ecco che la vita, di colpo, vira in peggio. E’ quello che accade in questo 4° libro della scrittrice 48enne Tayari Jones, nata ad Atlanta in Georgia, “Un matrimonio americano”, che Oprah Winfrey ha incluso tra le pietre miliari del suo book club. Un romanzo che innesta una tragica vicenda privata sullo sfondo dei pregiudizi razziali e l’ineguaglianza della legge a seconda del colore della pelle. E’ l’allucinante evento che sconvolge una coppia afroamericana in cui il marito viene arrestato per un reato che non ha commesso. Roy e Celestial si sono conosciuti all’università e sono sposati da poco: lei è un’artista che crea bambole-opere d’arte; lui si atteggia a playboy e non ha grandissime aspirazioni nella vita. Una sera dopo una visita alla madre di lui i due decidono di passare la notte in un motel: qui Roy rivela un segreto a Celestial e scoppia una lite. Lui esce dalla stanza per calmarsi, incontra una signora in difficoltà per un braccio bendato e cavallerescamente l’aiuta. Peccato che nella notte lei venga violentata e punti il dito accusatorio proprio contro il giovane afroamericano. Fine della parte felice di una vita con alti e bassi ma comunque tranquilla. Inizio dell’incubo. Roy finisce in carcere e “innocente o no, la prigione ti cambia, ti fa diventare un detenuto”. Il romanzo racconta attraverso le voci e le lettere dei vari personaggi gli anni difficili in cui Roy fa i conti con la detenzione; mentre nella vita di Celestial si affaccia un certo successo e, soprattutto, diventa sempre più presente ed importante l’amico d’infanzia Andre. Ci sarà ancora un matrimonio a cui tornare dopo che le porte della prigione si sono spalancate per Roy? Scopritelo da soli e buona lettura…
 
Dacia Maraini “Corpo felice” -Rizzoli- euro 18,00
E’ illuminante e a tratti sconvolgente l’ultimo libro di Dacia Maraini il cui sottotitolo recita “Storie di donne, rivoluzioni e un figlio che se ne va”. L’accento è proprio sull’ultima parte, ovvero la traumatica esperienza di cui l’autrice non aveva ancora mai parlato così apertamente. La perdita del figlio al settimo mese di gravidanza a causa della placenta previa. E’questo il leitmotiv sotteso a tutte le pagine. “Quando ho perso mio figlio, con cui conversavo sotto le coperte e a cui raccontavo del mondo aspettando che nascesse; quando a tradimento quel bambino con cui giocavo segretamente e che già tenevo in braccio prima ancora che avesse aperto gli occhi è morto, sono stata sul punto di morire anch’io”.Ecco quello che ha segnato la vita della scrittrice che si chiede perché “..un utero caldo e accogliente doveva trasformarsi in una tomba gelata?”. Esperienza straziante. Però lei ha una forza interiore sovrumana e quel dialogo con la vita ha sempre continuato a tenerlo vivo. Così immagina i passi del figlio mai venuto al mondo, lo pensa mentre cresce e scopre il mondo, anche se solo nei suoi pensieri. In “Corpo felice” c’è tutta la caratura della Maraini, una delle più sensibili, delicate ma potenti voci della narrativa contemporanea. Qui parla anche di ribellione all’ingiustizia, anelito all’indipendenza, etica e senso della vita, anima e rapporto con Dio e la Chiesa…insomma si pone tutte le grandi domande che avvolgono l’esistenza, sonda con intelligenza e grande cultura il mistero della nascita e della morte. Ma non vorrei che pensaste a un libro triste o pesante, “Corpo felice” non è cos’; piuttosto è un grandissimo inno alla vita, scritto con ineguagliabile maestria.

Gli hacker di Scarlett Johansson

Non ci posso proprio credere, questo deve aver pensato la diva di Hollywood quando gli hacker si sono interessati nuovamente a lei

La splenda attrice 34enne, protagonista di film di successo come Lost in Translation, The Island o la saga degli Avengers è sotto assedio da parte dei pirati informatici dal 2011, quando cominciarono a carpirle foto, entrando nel suo database, per rivenderle all’ex marito Ryan Reynold.

Se al peggio non c’è mai limite ora deve vedersela con un robot che ne riproduce le sembianze e video realizzati con software open source che prelevano contenuti, autentici, disponibili online e li manipolano con sequenze tratte da film pornografici.

Vale a dire, il film pornografico è autentico, una modella ha girato quelle scene, ma Scarlett Johansson non c’entra nulla, è una delle tante vittime di internet, ma intanto il video è stato visualizzato oltre un milione e mezzo di volte. Praticamente è come se fosse una sorta di fotomontaggio, molto più aggressivo, perché la tecnica e perfidia lo permette. Dopo le Fake news ora siamo ai deepfake e per questi non ci sarà salvezza.

Nel 2011 l’hacker fu individuato nel 35enne Christopher Chaney che avrebbe trafugato foto e video anche di altri personaggi di Hollywood, tra questi Christina Aguilera. La conclusione amara dell’attrice: “Ogni Paese ha proprie regole sui diritti d’immagine, così mentre potresti essere in grado di ottenere una rimozione di certi siti che usano la tua immagine negli Stati Uniti, lo stesso potrebbe non avvenire in altri Paesi”.

 

Concludiamo anche noi in modo amaro, perché potrebbe sembrare che questi fatti criminosi possano riguardare solo i Vip… fino a quando non coinvolgeranno anche il comune cittadino (fidanzato, moglie, amante, vicina di casa…) Di questi tempi potrebbe non essere solo una previsione strampalata! Il fatto che ogni hacker sia in grado di rubare una password e sottrarre l’identità a qualcuno non ci fa dormire sonni tranquilli.

 

Tommaso Lo Russo

 

Zuppa invernale vellutata

zuppa

E’ il sapore che ti avvolge e che sa di casa. Preparatela cosi’ con ceci e fagioli. Un’ottima fonte proteica

 

La zuppa di legumi è un primo piatto nutriente e saporito, adatto alle fredde giornate d’inverno quando un semplice piatto di zuppa calda, morbida e vellutata e’ il sapore che ti avvolge e che sa di casa. Preparatela cosi’ con ceci e fagioli. Un’ottima fonte proteica.

 

Ingredienti per 4 persone:

 

150gr di ceci secchi

200gr.di fagioli secchi

2 litri di brodo vegetale

150gr. di passata di pomodoro

2 patate

1 cipolla, 1 spicchio di aglio

1 peperoncino

1 ciuffo di prezzemolo

100gr. di pasta corta tipo ditali

sale, olio evo q.b.

 

Mettere a bagno in acqua fredda (almeno 12 ore prima) i fagioli ed i ceci. Fare un soffritto con aglio, cipolla e prezzemolo tritati, unire i legumi, le patate tagliate a tocchetti, la passata di pomodoro,il peperoncino; lasciar insaporire  poi versare il brodo vegetale (precedentemente preparato con acqua, carota, sedano, cipolla e una foglia di alloro), aggiustare di sale. Cuocere a fuoco lento preferibilmente in un tegame di coccio per almeno 2 ore (in alternativa in pentola a pressione per 45-60 minuti). Quando cotta passarne 2 mestoli al passaverdure per renderla piu’ cremosa. A parte cuocere la pasta, scolare ed unire alla zuppa. Regolare di sale. Servire bollente con parmigiano grattugiato e crostini di pane abbrustolito.

 

Paperita Patty

Dal Sasso del Ferro, uno sguardo sul lago

sasso-lago-5Il battello si stava staccando lentamente dal molo. Liberato l’ormeggio,  sfilando e recuperando la grossa sagola, dopo aver ritirato la  passerella , il capitano ed il suo equipaggio si preparavano a far rotta verso l’isola Madre. L’Helvetia si muoveva al rallentatore come se fosse restia a prendere il largo. Sembrava quasi che gli piacesse l’attracco al punto da confidare nell’accoglienza dell’imbarcadero e fermarsi un po’  più a lungo, magari per prender fiato e riposare il suo scafo provato da decenni di onorato servizio sulle acque del Verbano. Ma le due eliche, mosse dalla potenza dei quattrocento cavalli a motore, facevano ribollire l’acqua e – pur con un certo rimpianto e di malavoglia – l’Helvetia seguì l’ordine di partenza. Solo una coppia di turisti stranieri, probabilmente inglesi, era salita a Baveno. E più di tre quarti dei 360 posti a sedere erano vuoti. Non c’era da stupirsi. La bella stagione era ormai uno sbiadito ricordo e, per di più, si era a metà settimana. Solo il sabato e, soprattutto, la domenica c’era qualche turista in più sulle rotte tra isole e terraferma. Il lago era calmo e l’aria appena mossa da una brezza leggera e per nulla fastidiosa. Si poteva quasi star fuori, faccia all’aria, anche se le cime imbiancate dei monti che segnavano il confine tra Piemonte, Lombardia e Svizzera rammentavano che l’inverno era in procinto d’agguantarci con il suo gelido abbraccio. Attraverso il tondo dell’oblò della porta d’accesso al ponte di coperta verso  prua, dov’erano stivati i grossi salvagente rigidi, bianchi e rossi, s’intravedeva un gabbiano. Pur essendo sasso-lago1uccelli di mare, diverse colonie di gabbiani vivono sui grandi laghi del nord, dal Maggiore al Como fino al Garda. E quello lì, con una certa insistenza, guardava fisso l’interno del battello con i suoi occhietti mobili. Ritto sulle zampette, con un fare allegro, se ne stava appollaiato sul parapetto, con le sue lunghe ali raccolte, muovendo il becco adunco e robusto. Sembrava volesse parlare. Lo guardammo tutti con curiosità. Forse troppa perché, qualche minuto dopo, prese il volo e si diresse sasso-lago-4verso l’isola dei Pescatori, lanciando le sue grida un po’ rauche. Il battello, dopo aver attraccato all’isola Madre – la più grande e lussureggiante delle isole Borromee – e a Pallanza, arrivò puntuale al porto di Intra. Da lì, con la motonave traghetto San Cristoforo, raggiunsi la sponda lombarda. Appena messo piede a terra, guardai verso la montagna che avevo di fronte. La meta che mi ero prefisso di raggiungere stava lì, sopra di me:il Sasso del Ferro , che dai suoi 1062 metri, sovrasta Laveno Mombello. Da lì si può spaziare sul panorama  del lago Maggiore e su buona parte della catena alpina dominata dal massiccio del monte Rosa alla sommità del quale svettano –ben oltre i quattromila – le sue quattro “punte”: Dufour, Nordend, Zumstein e Gnifetti. Al Sasso del Ferro ci si può salire con la bidonvia che, dalla stazione della funivia del Lago, nei pressi della via Lumaca,  in meno di un quarto d’ora , “salta” il dislivello che separa Laveno dalla piazzola del Poggio di Sant’Elsa. E’ da lì che, quando fa bello ed il vento soffia in quota,  gli spericolati praticanti del ‘volo libero’ , si lanciano con deltaplani e parapendii, volteggiando sul lago. Io, però, andandoci spesso, preferisco salire sull’erta con il “cavallo di San Francesco”, cioè a piedi. Non prima di aver fatto una bella colazione, all’inglese, in località Acquanegra, al “Porticciolo” dove – attraverso i finestroni – si gode un magnifico colpo d’occhio sul lago. Da lì, attraversato il centro storico, si sale in direzione delle frazioni di Brenna , Monteggia  e delle Cascine. Lasciate alle spalle le ultime abitazioni, seguendo il segnavia  sulla sasso-lago3mulattiera acciottolata che attraversa  i  boschi di castagni e robinie, si giunge alle Casere. Da qui, con buon passo, senza perdere di vista il segnavia , passando in rassegna i faggi maestosi e le boschine, senza la fretta che può tagliare il fiato, si arriva alla meta. E’ sempre una gran bella soddisfazione sedersi lì, fuori dal bar, su una comoda sedia impagliata, con una birra fresca in mano, a contemplare il panorama. Dal Poggio  si domina l’insenatura di Laveno e buona parte del Lago Maggiore con le montagne che lo circondano, dal Mottarone alla Zeda, con la catena alpina delle Lepontine a far da sfondo. C’è da riempirsi gli occhi con tanta bellezza. Basta un buon binocolo per cercare i particolari. Ecco un gregge di pecore che sale lento sulla strada tra Campino e Someraro e, più a destra, le macchine da cava che si muovono sotto i lastroni di granito rosa a Baveno. Sul lago una barca che si muove lenta, pescando a tirlindana, tra   l’isola Madre e Pallanza mentre le lenzuola bianche stese, sasso-lago2fresche di bucato, nelle prime case a ridosso del lungolago di Griffa, svolazzano all’aria. Volendo si può andare più in su, dal Poggio S.Elsa , imboccando un ripido sentiero, fino alla vetta al Sasso del Ferro, dove la vista spazia sul più ampio panorama tra lago e montagne. Salire al Mottarone o allo Spalavera, in punta al Monte Rosso o – come in questo caso – al Sasso del Ferro è questione di punti di vista, d’angolo di visuale. Un modo per guardare, dall’alto, il bacino argenteo del lago che “salda” le terre che lo circondano. Ognuno con i suoi occhi e la sua sensibilità, come fece anche Stendhal, confidando al suo diario la “deliziosa vista” da una terrazza sull’Isola Bella: “A sinistra, l’isola Madre e una parte di Pallanza, quindi il ramo del lago che più in là entra in Svizzera; di fronte, Laveno; a destra, il ramo di Sesto. Cinque o sei profili di montagne velate dalle nubi. Questo panorama fa il paio con quello del golfo di Napoli e parla ancor meglio al cuore. A mio parere queste isole risvegliano il sentimento del bello ancor più di San Pietro. Finalmente il mio spirito, che per amore di un bello troppo bello trova sempre da criticare, ha incontrato qualcosa in cui nulla v’è di criticabile”.

Marco Travaglini

Nosiglia pronto ad accogliere alcuni migranti delle navi

L’arcivescovo Cesare Nosiglia ha dichiarato  la disponibilità della Chiesa torinese ad accogliere alcune  famiglie tra quelle a bordo delle navi Sea Watch 3 e Sea Eye. “La Chiesa, – ricorda Nosiglia – aveva già offerto disponibilità per i profughi della nave Diciotti, nel settembre 2018″. Secondo l’arcivescovo si tratta di un gesto simbolico ma ” estremamente necessario per lanciare un segnale  alle istituzioni italiane e degli altri Paesi europei sul significato dell’accoglienza: stiamo parlando  di persone”. Un messaggio in questa direzione è arrivato ieri anche da Papa Francesco in occasione dell’Angelus in piazza san Pietro a Roma.