redazione il torinese

L’asilo di Malesco e il “rastrellamento” del giugno 1944

Dopo l’armistizio dell’8 settembre, la nascita della Repubblica fascista di Salò, l’occupazione nazista e all’avvio della lotta partigiana, le cantine di quelle scuole diventarono protagoniste, loro malgrado, di indicibili atrocità
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L’asilo infantile di Malesco, in Valle Vigezzo, a ridosso del confine con la Svizzera , venne inaugurato nel 1853, ventisei anni dopo la “scuola per bambine”, ed entrambe le istituzioni educative trovarono alloggio per tutto l’800 nell’edificio dell’ex ospedale Trabucchi, nel centro storico del paese. Agli inizi del ‘900, praticamente agli albori del “secolo breve”, in ragione degli spazi angusti in cui erano costretti i piccoli frequentatori dell’asilo e delle scuole femminili, l’Amministrazione comunale maleschese progettò l’idea di costruire una nuova scuola, considerato l’aumento della popolazione scolastica. Così, con una delibera del 1907, venne scelta Piazza Brié che, al tempo, era stata pensata già larga ( 105 metri per 45 ), contornata da un bel viale a doppia fila, utilizzata sul finire del secolo ( nel 1896) per festeggiamenti dell’acqua potabile che, in paese, veniva distribuita alle otto fontane pubbliche, alle scuole e all’asilo. Un vanto per gli amministratori del più popoloso centro vigezzino, a quel tempo guidati dal sindaco Bartolomeo Trabucchi. L’edificio doveva comprendere al piano rialzato i locali dell’asilo, al primo piano tre  spaziose aule per le scuole femminili e al secondo, sulla destra della scala,  un piccolo appartamento privato per le suore, e dall’altro lato un’altra aula. L’edificio subì, nel tempo, ulteriori sistemazioni e aggiustamenti ma già negli anni ’30, come si può malesco3desumere da testimonianze e foto d’epoca, le classi erano miste e gli insegnanti laici.In quel luogo – una scuola – attraversato, abitato e frequentato dai ragazzi in crescita si dovrebbe sperimentare lo stare insieme anche tra persone che non sono legate da un comune affetto, come nel caso della famiglia. La scuola è il luogo che fornisce contenuti di conoscenza, dove si sta con gli altri ,condividendo regole comuni. Ovunque, e – ovviamente – anche in quell’edificio di piazza Brié, a Malesco, quasi agli estremi dell’Italia di “mezzanotte”. Soprattutto in un asilo come quello che rappresentava il primo livello di un cammino dove, nel tempo, i bambini avrebbero incontrato le maestre che avrebbero spiegato loro i numeri, gli anni della storia, i luoghi della geografia. Si sarebbe scritto, più avanti, con il pennino e con l’inchiostro che stava nel calamaio, su ogni banco. C’era, e lo si coglieva nei paesi di montagna come nelle città,  una generosità civile nella scuola pubblica, gratuita che permetteva di imparare. L’istruzione era ( lo è ancora)  utile perché non discriminava e dava importanza a tutti, a partire dai più poveri. Come ha scritto Erri De Luca, “la scuola dava peso a chi non ne aveva, faceva uguaglianza. Non aboliva la miseria, però fra le sue mura permetteva il pari. Il dispari cominciava fuori”. Ovunque,appunto. Anche a Malesco. Ma così non fu ,in tempo di guerra. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, la nascita della Repubblica fascista di Salò, l’occupazione nazista e all’avvio della lotta partigiana, le cantine di quelle scuole diventarono protagoniste, loro malgrado, di indicibili atrocità. Lì, nazisti tedeschi e fascisti italiani, rinchiusero e seviziarono i partigiani fatti prigionieri durante il rastrellamento del giugno 1944. L’impervia Val Grande (oggi parco nazionale e area wilderness più grande d’Italia) e le zone circostanti ospitavano diverse formazioni partigiane come la “Valdossola”, la “Giovane Italia” e la “Battisti” contro cui, in quell’inizio d’estate, si scatenò l’attacco di diverse migliaia di nazifascisti, con l’appoggio di artiglieria e di aerei. Tedeschi e fascisti attaccarono in quasi cinquemila, bene armati ed equipaggiati; i partigiani che si difesero erano dieci volte di meno, male armati, peggio equipaggiati e privi di viveri. Per le formazioni partigiane e per la popolazione civile furono venti terribili giorni di spietata caccia all’uomo, fucilazioni, incendi e malesco2saccheggi. Le operazioni in montagna dell’operazione “Köeln” – organizzata dal comando SS di Milano – terminarono il 22 giugno con l’eccidio dell’Alpe Casarolo ,in alta Val Grande, dove morirono nove partigiani e due alpigiani. Poi in Val Grande le armi tacquero, ma continuarono le fucilazioni dei partigiani catturati nei paesi ai piedi dei monti. Numerose vittime rimasero senza un nome e così anche molti dispersi, come nel caso di tanti giovani lombardi saliti in montagna per sfuggire ai bandi della Repubblica Sociale Italiana e non ancora censiti sui ruolini delle formazioni partigiane. Le vittime del rastrellamento- compresi molti alpigiani in zona per la monticazione estiva – furono circa trecento, la metà delle quali vennero uccise dopo la cattura. Nelle cantine dell’asilo di Malesco, trasformato in prigione,transitarono decine e decine di partigiani, picchiati e torturati in interminabili “sedute” d’interrogatorio dai loro aguzzini. Molti di loro vennero poi tradotti nei luoghi di fucilazione, a Fondotoce di Verbania, Beura, Baveno. E nella frazione maleschese di Finero dove, nel piccolo cimitero, in quindici vennero messi al muro e fucilati il 23 giugno del 1944. Oggi, a memoria di quella tragica vicenda, è stata posta una lapide sul muro della scuola e al centro della piazza ( che ha cambiato il nome in “XV Martiri”) dove, dalla fontana, l’acqua esce da quindici zampilli, tanti quanti i partigiani che persero la vita nel camposanto lungo la strada che scende per la Valle Cannobina.

Marco Travaglini

MILITARY ERASMUS A TORINO

 

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Organizzato dal Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito e dalla Struttura Universitaria Interdipartimentale di Scienze Strategiche (SUISS) dell’Università

Si svolge fino a venerdì 18 marzo, a Palazzo Arsenale la quarta edizione del progetto formativo di respiro internazionale Military Erasmus, organizzato dal Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito e dalla Struttura Universitaria Interdipartimentale di Scienze Strategiche (SUISS) dell’Università di Torino. Si tratta di una interessante proposta didattica offerta a 42 studenti universitari militari e civili provenienti da nove differenti Paesi dell’Unione Europea: Italia, Bulgaria, Cipro, Croazia, Finlandia, Francia, Grecia, Polonia e Romania. Il curriculum standard del modulo formativo è stato studiato e sviluppato da un gruppo di esperti dell’European Security & Defence College di Bruxelles, sotto egida dell’European External Action Service (EEAS), che fa capo all’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza.  Il modulo, erogato interamente in lingua inglese, è organizzato e diretto dal Centro Studi Post Conflict Operations, prevede forme di partecipazione interattive da parte degli studenti ed è la prosecuzione di una fase di apprendimento a distanza della durata di tre settimane sul tema della politica di sicurezza della UE. Il superamento dell’esame finale consente il conseguimento di un diploma a firma dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza. Il Comandante per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito gen. Claudio Berto e il Vicerettore per la Didattica dell’Università di Torino prof.ssa Lorenza Operti hanno presenziato l’apertura dei lavori e augurato a tutti gli ospiti un proficuo lavoro da parte delle due Istituzioni. Il Military Erasmus si colloca in seno al percorso universitario di Scienze Strategiche i cui principali fattori di successo risiedono nella internazionalizzazione degli studi, nel carattere fortemente innovativo della preparazione e nella spiccata multidisciplinarità dell’offerta didattica.

Italia Abroad, “2016: Opportunità tra occidente ed oriente”

con reg lascarisDal marketing strategico all’analisi dei mercati  il tutto eseguito da un pool di professionisti. Dopo uno studio della società viene formulata un’offerta che possa creare una connessione con enti pubblici o aziende private con il supporto legale e finanziario

Italia Abroad è un’associazione che si occupa di promuovere l’Italia e i suoi protagonisti all’estero attraverso uno studio trasversale che va dal marketing strategico all’analisi dei mercati  il tutto eseguito da un pool di professionisti. Dopo uno studio della società viene formulata un’offerta che possa creare una connessione con enti pubblici o aziende private con il supporto legale e finanziario. A contorno di questa specifica analisi l’ associazione mostra l’Italia in tutti suoi aspetti da quello culturale a quello turistico gastronomico ,  per poter far conoscere tutte le migliori opportunità del nostro paese nel mondo. Il 16 Marzo  l’associazione organizza dalle ore 14.30 alle ore 18.30, presso la Sala Viglione del Consiglio Regionale del Piemonte, un convegno denominato “2016: Opportunità tra occidente ed oriente” che affronterà vari temi tra cui le possibilità culturali, di investimento e strategiche per l’Italia da esportazione.  Al seminario ci saranno due importanti relatori, ex-parlamentari della Repubblica, che ora si occupano di internazionalizzazione di imprese e di Cooperazione Internazionale. Se volete partecipare affrettatevi a inviare la vostra adesione.

Francesca Ramondo

ABROAD

Relatori del convegno saranno due esperti di relazioni internazionali:l’On. Nicola Manca e l’On. Famiano Crucianelli, mentre dal mondo delle imprese il Dott. Gianni Bientinesi, direttore Business Intelligence di Leroy Merlin Italia, analizzerà il “sistema paese” e le performance delle imprese italiane all’estero. Il seminario continuerà con interventi più tecnici, a partire da un’analisi Paese, con focus su alcuni paesi dell’Africa, il Marocco e sulla Cina, che verranno presentati ed analizzati dalla Dott.ssa Maria Cristina Zuddas e dal Dott. Stefano Maggi. Dopo aver elencato le opportunità, le possibilità di crescita e di sviluppo l’Avv. Stefano Ponza e il Dott. Marco Bodo analizzeranno e illustreranno le caratteristiche, spesso non valutate attentamente dalle medie e piccole imprese italiane degli aspetti della vendita internazionale, il primo da un punto di vista della contrattualistica ed il secondo invece da un punto di vista più fiscale.

La casa d’artista diventa museo

LABAR2LABAR3LABAR1L’esaltante esperienza di Gutenberg, Schongauer, Durer, il clima umanistico delle botteghe di Colmar e Norimberga presso Wolgemut e Koberger vengono rievocati anche attraverso utensili e materiali di lavoro tramandati da secoli, apparentemente solo funzionali, in realtà pregni di vita perché recuperati dopo avventurose e appassionate ricerche in mercati antiquari
 

A metà del cammino che collega l’antico marchesato del Monferrato alla capitale Sabauda, sulle alture di Villadeati, sorge la secentesca dimora che Labar, pittore, scultore, incisore, ha trasformato in prestigioso museo di antichi torchi da stampa distribuiti in tre distinte sale tematiche per le tecniche di calcografia, litografia, xilografia cui va riconosciuto un piano paritetico e non sostitutivo delle altre discipline artistiche.

E’ visitabile, su richiesta, la collezione di esemplari datati tra il 1700 e il 1800 tra cui il torchio litografico Nebiolo di Torino, il tipografico Amos Dell’Orto di Milano, il calcografico Karl Krause di Lipsia immersi in una fascinosa atmosfera alchemica che recupera gli antichi strumenti riannodando le fila spezzate tra passato e presente. L’esaltante esperienza di Gutenberg, Schongauer, Durer, il clima umanistico delle botteghe di Colmar e Norimberga presso Wolgemut e Koberger vengono rievocati anche attraverso utensili e materiali di lavoro tramandati da secoli, apparentemente solo funzionali, in realtà pregni di vita perché recuperati dopo avventurose e appassionate ricerche in mercati antiquari.

Rulli inchiostratori, rotelle, sgorbie, bulini, berceaux che potrebbero essere stati tra le mani di famosi incisori; rari esempi di artigianato, a volte piccole opere d’arte dall’originale fattura, si allineano ordinatamente su lunghi banconi di legno segnati dal tempo e dalla fatica.Sui ripiani vasi di gomma arabica, boccette di acido nitrico, colori naturali pestati in antichi mortai, caratteri mobili fusi nel piombo, matrici biffate, lastre di rame a segni minuti, alcune a tratteggio incrociato in omaggio a Durer, matrici in legno di testa per dare risultati affini alle incisioni su rame come nel 1700 insegnò Bewich.

Particolare importanza viene data alla carta, su cui sarà stampato tutto l’immaginario dell’artista, scelta tra le migliori che siano capaci di reggere l’impressione a stampa, infatti l’aspetto definitivo sarà determinato dal tipo di carta usato che influirà sullo stato di conservazione che dovrà essere nitido e fresco. L’ambiente è a tal scopo protetto dalla troppa luce, dall’umidità e dalla polvere che danneggerebbero le opere rendendole fragili e grigiastre.

Arte, scienza, tecnica si intrecciano in un unico sapere rinchiuso nelle severe stanze museali di Labar che, durante le visite, si mette generosamente all’opera dando esempi concreti di lavoro sugli antichi torchi non solo facenti parte di una collezione ma perfettamente funzionanti e curati come creature viventi nelle mani di un incisore che produce autonomamente le proprie opere.

Giuliana Romano Bussola

 

"Muore un terrone? ne sono felice": denunciato dalla procura

computer webDiffamazione aggravata con finalità di odio razziale

Un 40enne di Settimo Torinese ha scritto su un falso profilo Facebook parole ingiuriose sulla morte di un 17enne, Stefano Pulvirenti, avvenuta in un incidente stradale nel Siracusano.”Sono felice, un terrone in meno da mantenere: quando vedo queste immagini e so che nella bara c’è un terrone ignorante, godo tantissimo”, questo lo stile delle frasi scritte sul social. All’uomo è stato sequestrato il computer dopo essere stato  identificato dal Nucleo investigativo telematico e denunciato dalla Procura della Repubblica siracusana per diffamazione aggravata con finalità di odio razziale

 

Domiciliari e obbligo di firma per attivisti no tav

tav 222Il 17 settembre una trentina attivisti no Tav circondarono una pattuglia dei carabinieri

I fatti risalgono allo scorso 17 settembre, quando una trentina attivisti no Tav circondarono una pattuglia della Compagnia dei carabinieri di Susa e una vettura della Stazione di Condove.  Per quegli episodi due attivisti No Tav sono stati messi agli arresti domiciliari, mentre per altri quattro è scattato l’obbligo di firma. I destinatari delle misure cautelari avevano oltraggiato e minacciato i militari, oltre ad essersi rifiutati di farsi identificare e ad avere bloccato il traffico sulla statale 25.

(Foto: archivio il Torinese)

 

FASSINO: UNA SOLUZIONE GIUSTA PER I LAVORATORI PRECOCI

fassino 33Si tratta di lavoratori che pur avendo lavorato per più di 40 anni- con relativi versamenti contributivi – debbono attendere di maturare il diritto alla pensione al raggiungimento dell’età anagrafica massima prevista dalla Legge Fornero

 

ll sindaco di Torino, Piero Fassino, ha ricevuto una delegazione di “lavoratori precoci” che manifestavano di fronte al Palazzo Civico.

Si tratta di lavoratori che pur avendo lavorato per più di 40 anni- con relativi versamenti contributivi – debbono attendere di maturare il diritto alla pensione al raggiungimento dell’età anagrafica massima prevista dalla Legge Fornero.

Il Sindaco ha dichiarato il sostegno al Disegno di Legge – predisposto dal Presidente della Commissione Lavoro On. Cesare Damiano – che prevede il diritto alla pensione, indipendentemente dall’età, per chi abbia superato i 40 anni di attività lavorativa.

 
(Foto: il Torinese)

Vola l'export subalpino: più 7 per cento verso Germania, Europa e stati Uniti

piemonte mappa2I risultati vanno oltre la media nazionale che segna già un lusinghiero +3,8%

E’ ancora tempo di crisi ma in Piemonte (almeno) l’export vola.  I risultati vanno oltre la media nazionale che segna già un lusinghiero +3,8% . Le esportazioni del Piemonte registrano nel   2015 un +7% rispetto all’anno prima. Siamo la quarta regione esportatrice, a quota all’11,1%, in crescita rispetto al 10,7% del 2014. Soddisfatto il presidente di Unioncamere Piemonte, Ferruccio Dardanello, che sottolinea come il merito sia della “vocazione internazionale del Piemonte e della qualità dei nostri prodotti” dal comparto tessile all’automotive, dall’alimentare alla meccanica. La principale area di riferimento per l”export piemontese e’ L’Europa per il 54.6%.Il rimanente 45.4% va sui mercati extra Ue. Il primo partner commerciale? E’ la Germania (+2,9%), seguono Francia (+3,6%) e Spagna (+4,9%). Ottima anche la performance dell’export verso Stati Uniti (+59,2%), Turchia (+16,1%) e la Svizzera (+5,8%). Molto marcata la contrazione di quelle verso Cina (-12,4%), Brasile (-4,9%) e Russia (-25,6%), un tempo mercati floridi per il made in Piemonte.

Cristiano Bussola

Andar di frodo, oltre il confine, in barba alla frontiera

Un “sfrusadur” è colui che praticava il mestiere dell’andar di frodo  (“ da sfroos”, nel nostro dialetto sui laghi ), grazie al contrabbando. Rinaldo è stato una specie di “teorico” della materia. Ricordo ancora quella volta che mi tenne una specie di “lezione”. La parola già ti dice tutto. Cosa significa,  “contrabbando” se non contravvenire al “bando”, cioè alla legge che esige un tributo minacciando una pena?

contrabbando lago svizzera

“E’ l’esistenza stessa di un confine e dei  vincoli  per attraversarlo che è sempre suonata, nella mia testa, come un invito a  fregarmene, a farli fessi, insomma a  frodarli. Vedi…quando  chi esercita un potere, qualunque esso sia, decide che per andare  da una parte all’altra di un territorio, è necessario pagare un prezzo, io sto con quelli che s’ingegnano ad  escogitare  il sistema di passare senza pagare un bel niente. E’ una questione di principio e di libertà”. Ribelle e poco incline alle regole, Rinaldo è stato anche uno dei tanti “sfrusit”. Un “sfrusadur” è colui che praticava il mestiere dell’andar di frodo  (“ da sfroos”, nel nostro dialetto sui laghi ), grazie al contrabbando. Rinaldo è stato una specie di “teorico” della materia. Ricordo ancora quella volta che mi tenne una specie di “lezione”. “La parola già ti dice tutto. Cosa significa,  “contrabbando” se non contravvenire al “bando”, cioè alla legge che esige un tributo minacciando una pena? E allora, noi contrabbandieri realizzavamo un guadagno  violando la legge. Ad una condizione, ovviamente. Che il ricavo fosse tale al punto che il costo del passaggio del confine della merce fosse inferiore al prezzo che si pagava praticando le vie legali. Alla faccia del dazio e delle gabelle, capisci? “. Se obiettavo che era, dopo tutto, qualcosa di illegale e che lui ed i suoi amici erano, nei fatti, dei fuorilegge, si metteva a ridere.“Ma va là. Non dire stupidagini. Noi, ilago svizzera contrabbandieri fuorilegge?  Guarda che il contrabbando è una forma di   ribellione alle imposizioni. Eravamo un po’ come dei Robin Hood ed i canarini della Finanza sembravano  gli sgherri del sceriffo di Nottingham”. Quando parlava del “confine”, s’illuminava. Era stato il teatro naturale delle sue gesta da contrabbandiere e si capiva che , in fondo, l’aveva fatto più per l’avventura che per il guadagno. Quando capitava di trovarci, soprattutto nelle serate d’inverno, al caldo  dell’Osteria dei Gabbiani, davanti ad una bottiglia di vino, mi raccontava, le “regole” del mondo degli “sfrosit” .“ Devi sapere che spesso capitava che contrabbandieri e guardie di confine si trovassero nella stessa osteria prima di “andare al lavoro”, e  devi sapere anche che le guardie non avevano “le fette di salame sugli occhi” ma, consapevoli che i loro paesani erano costretti per fame a fare un viaggio pericoloso sui sentieri di montagna o sulle barche,  chiudevano spesso un occhio e, a volte,  anche tutti e due. In quel caso lasciavano che noi spalloni attraversassimo il confine, limitandosi a sequestrarci una parte della merce, segnalando sul rapporto che era stata confiscata ad ignoti.  A volte eravamo noi stessi a consegnare alla Finanza una piccola parte del carico, ma solo per salvare il resto”. Mi racconta di come ilbisogno aguzzasse l’ingegno. Addirittura, sul lago di Lugano,  avevano sperimentato un piccolo, rudimentale sommergibile a pedali che viaggiava giornali svizzerasott’acqua :il “sigaro del Ceresio”. Era il 1948 e veniva usato per trasportare merce di contrabbando attraverso il lago. Tre mesi di “servizio”, tre viaggi al giorno per quasi tre quintali di merce a viaggio. Poi, nel novembre di quell’anno, a Porlezza, sulla sponda comasca, il “sigaro” –che andava avanti indietro – portando roba di qua dal confine ed “esportando” in Svizzera riso, carne ed alcolici, l’hanno beccato, sequestrandolo. Risalendo la nostra “quota parte” di catena alpina , tra la Valle Anzasca ed il passo di Gries, per poi scendere fino alle rive del lago Maggiore, attraversando le valli Vigezzo e Cannobina, erano ben 36 i colli e canaloni di confine frequentati,più o meno  assiduamente, dai contrabbandieri. E non erano certamente incustoditi. Lo stesso valeva per le sponde dei laghi “confinari”, come il Maggiore e il Lario, quello di Como. Per farsi un’idea basterebbe leggere il rapporto di un ufficiale al comando del IV° Circondario Svizzero, dove risulta che nel 1935 ,tra il lago Maggiore e il passo di Nufenen -il passo della Novena-,  sul versante italiano del confine, erano schierate ben 579 tra guardie di finanza e militi confinari e su quello svizzero 159 guardie doganali. Ma la fonte principale era sempre Rinaldo che, davanti ad un bicchier di vino,aveva la lingua sciolta e s’appassionava nel raccontare.“Nel contrabbando, oltre a quello del sale che ci porta indietro nella notte dei tempi, si possono distinguere tre periodi che prendono il nome dalle merci che andavano per la maggiore:  dalla seconda metà dell’ottocento fino al primo dopoguerra troviamo il periodo del caffè , poi c’è stato quello del riso che copriva gli anni della seconda guerra mondiale ed un terzo , quello delle sigarette e del tabacco,  che è durato dagli anni ’50 fino a poco dopo gli anni ’60. A dire il vero c’é stato anche il periodo della Resistenza e dell’opposizione al fascismo quando, insieme alle bricolle da trenta e piùlago svizzera contrabbando chili portate in spalla, molti dei nostri “sfrosit” diventarono anche dei “passatori”, aiutando ebrei,antifascisti e militari alleati a superare quella frontiera Elvetica che equivaleva alla salvezza”. Le “fasi del contrabbando” , com’era facilmente intuibile,prendevano il nome dal tipo di merce che “passava” la frontiera: caffè, riso, sigarette ma anche saccarina, dadi, cioccolata, zucchero, orologi, tabacco sfuso,  cartine per sigarette, accendini , scarpe, liquori,  stoffe, calze di nylon e tutto quello che veniva richiesto sul mercato di entrambe le nazioni. Con tutti i rischi del caso. Si correvano i pericoli sui sentieri percorsi di notte, quando le nubi  si mangiavano le stelle: bastava mettere un piede in fallo e si finiva giù, negli strapiombi. Dal tardo autunno a inizio primavera, in quei lunghi inverni, capitavano delle bufere di neve con tremende slavine che hanno seppellito molta gente. Sul lago, invece, si remava nelle notti senza luna, meglio ancora se c’era un tempo da lupi, a volte dentro a tempeste che strappavano preghiere e maledizioni. C’erano anche le sparatorie e  si contavano in quel caso feriti ed anche caduti sotto il piombo della guardia confinaria. Ma il rischio più frequente era il sequestro delle merci con annessi sei giorni di galera  ed una salatissima multa che poteva variare dal doppio fino a dieci volte il valore della merce sequestrata, nonché –  durante i periodi bellici – l’arruolamento forzato. Chi non aveva i soldi per lago svizzerapagare la multa scontava un  ulteriore giorno di carcere ogni 10 lire di ammenda. Se erano in due potevano rischiare sei mesi di prigionia per espatrio clandestino,  che salivano a cinque anni nei casi di recidiva e quando  venovano “pizzicate” più di tre persone insieme. Ma la vita su questo pugno di terra e acqua tra Italia e Svizzera era così e l’aria, il vento, il lago e i contrabbandieri non badavano alle pietre che segnavano il confine. “Ora, dai. Allungami un po’ di foglia di Brissago”. Rinaldo si è sempre di
vertito un mondo  nel rivolgermi parola usando il linguaggio degli sfrosadori. Condividendo un’attività che richiedeva complicità e segretezza, lui ed i suoi “soci”  parlavano in “codice”.Quando  “commerciavano” in  “ossa di morto” si riferivano allo zucchero. Il “coniglio bianco” era la  saccarina e le “bionde” le sigarette, mentre per “foglie di Brissago” s’intendeva il tabacco. Dalla manifattura tabacchi del paesino ticinese, appena oltre confine, dove lavoravano centinaia di donne, uscivano dei sigari straordinari ed un tabacco dall’aroma inconfondibile che – nei giorni di vento – passava allegramente il confine senza per questo pagar dazio. Con le “bricolle” in spalla e le pedule ai piedi, organizzati in “combriccole” guidate da un caposvizzera lago al servizio di un “impresario”, i contrabbandieri cercavano di fregare le pattuglie dei  “canarini” della Finanza (dal colore giallo del simbolo dell’arma). “Erano bei tempi, caro mio. Tempi di fame e di fatica ma avevamo una gran voglia di vivere. Oggi, invece, sono diventati tutti tristi, un po’ matti, nervosi. Corrono,non sorridono quasi mai, sono sempre ingrugniti, insoddisfatti. Quasi fanno fatica a salutarsi e quando lo fanno, non sembrano nemmeno sinceri. A volte mi viene voglia di mettere ancora in acqua la barca, come ai bei tempi e remare finché non sono al largo per poi stendermi sul fondo e stare lì, tra l’acqua e il cielo, a farmi cullare dalle onde”.

Marco Travaglini

 

LAVORI CONSIGLIO, GARIGLIO (PD): "GRILLINI INCAPACI DI CONFRONTARSI"

Davide-GariglioIL CAPOGRUPPO PD: “STRANO CONCETTO DI DEMOCRAZIA”

 “Come sempre i grillini offrono ricostruzioni fantasiose e faziose della realtà”. Lo dichiara il capogruppo del Partito democratico in Regione Piemonte, Davide Gariglio, all’accusa del M5S di aver impedito le modifiche in discussione nella riunione di stamattina della Giunta per il regolamento del Consiglio regionale. “Il Pd – precisa Gariglio – ha dato massima disponibilità a confrontarsi con le proposte di modifica del regolamento interno del Consiglio regionale avanzate dal M5S e ad approvarle.  Allo stesso tempo – rimarca –  abbiamo chiesto loro la stessa disponibilità a discutere modifiche del regolamento che permettano al Consiglio di funzionare meglio, per dare certezza dei tempi alla discussione dei disegni di legge e, al tempo stesso, rafforzare le funzioni di controllo sul governo regionale da parte dei gruppi consiliari. A questo punto i grillini – prosegue il capogruppo dem – si sono alzati e se ne sono andati. Non solo danno una versione di fantasia delle riunioni, ma se si fa come dicono loro va tutto va bene, altrimenti niente. Se vengono sfidati a discorsi più ampi e nel merito delle proposte con la ferma indisponibilità a far polemica – conclude Gariglio – fanno saltare il banco, ancora una volta dimostrano un curioso concetto di democrazia”.