redazione il torinese

“Una Linea chiamata Cadorna”

cadorna-mostraNell’ambito delle attività per il centenario della prima guerra mondiale, l’associazione culturale Amici dell’Archivio di Stato di Verbania propone una mostra documentaria sulle fortificazioni del settore Toce-Verbano con l’obiettivo di raccontare la storia della difesa alla frontiera nord attraverso l’opera di ingegneria militare tuttora visibile sul territorio (strade, camminamenti, trincee, gallerie, appostamenti). L’inaugurazione si terrà sabato 5 novembre, alle ore 11, presso l’Archivio di Stato di Verbania (via Cadorna 37 – Verbania, Pallanza). La mostra rimarrà aperta fino al 12 dicembre (da lunedì a venerdì, ore 10-15) con ingresso libero.Le ricerche hanno interessato molti archivi, centrali e periferici, in particolare l’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito, l’istituto storico di cultura dell’Arma del Genio (entrambi in Roma), e gli archivi storici del Politecnico di Milano, dove sono stati rinvenuti progetti, mappe, immagini e documenti che saranno esposti in copia lungo il percorso della mostra.

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Linea Cadorna, la Maginot italiana

 

Di Marco Travaglini

cadorna4Il sistema di fortificazioni che si  estende dall’Ossola alla Valtellina. Un enorme reticolo di trincee, postazioni di artiglieria, luoghi d’avvistamento, ospedaletti, strutture logistiche e centri di comando, collegate da centinaia di chilometri di strade e mulattiere, realizzato durante il periodo della prima guerra mondiale

Linea Cadorna” è il nome con cui è conosciuto  il sistema di fortificazioni che si  estende dall’Ossola alla Valtellina. Un enorme reticolo di trincee, postazioni di artiglieria, luoghi d’avvistamento, ospedaletti, strutture logistiche e centri di comando, collegate da centinaia di chilometri di strade e mulattiere, realizzato durante il periodo della prima guerra mondiale. Un’opera fortemente voluta dal generale Luigi Cadorna, capo di Stato Maggiore dell’Esercito (originario di Pallanza, sul lago Maggiore), con lo scopo di contrastare una eventuale invasione austro-tedesca proveniente dalla Svizzera. Lo scoppio della guerra – il 23 luglio del 1914 –  e gli avvenimenti successivi tra cui l’invasione del Belgio neutrale e i cambi di alleanze tra le varie potenze europee, accentuarono i dubbi sulla volontà del governo elvetico di far rispettare la neutralità del proprio territorio. Così, una volta che l’Italia entrò in guerra  contro l’Austria  – il 24 maggio 1915 – , il generale Cadorna, per non incorrere in amare sorprese, ordinò di avviare i cadorna5lavori difensivi, rendendo esecutivo il progetto di difesa già predisposto. Da quasi mezzo secolo erano stati redatti studi, progettazioni, ricognizioni, indagini geomorfologiche, pianificazioni strategiche, ricerche tecnologiche. E non si era stati con le mani in mano: a partire dal 1911 erano state erette le fortificazioni sul Montorfano, a difesa degli accessi dalla Val d’Ossola e dal Lago Maggiore,  e gli appostamenti per artiglieria sui monti Piambello, Scerré, Martica, Campo dei Fiori, Gino e Sighignola, tra le prealpi varesine e la comasca Val d’Intelvi. Anche la Svizzera, dal canto suo,  intensificò i lavori di fortificazione al confine con l’Italia, realizzando opere di sbarramento a Gordola, Magadino, Monte Ceneri e sui monti di Medaglia, nel canton Ticino. In realtà,tornando alla Linea Cadorna,quest’opera, nella terminologia militare dell’epoca, era definita come ” Frontiera Nord” o, per esteso, “sistema difensivo italiano alla Frontiera Nordverso la Svizzera”. E, ad onor del vero, più che una fortificazione collocata a ridosso della frontiera si tratta di una linea difensiva costruita in località più arretrate rispetto al confine, con lo scopo di presidiare  i punti nevralgici. Un’impresa mastodontica. Basta scorrere, in sintesi,  la consistenza dei lavori eseguiti e delle spese sostenute per la loro realizzazione: “Sistemazione difensiva – Si svolge dalla Val d’Ossola alla Cresta orobica, attraverso le alture a sud del Lago di Lugano e concadorna2 elementi in Val d’Aosta. Comprende 72 km di trinceramenti, 88 appostamenti per batterie, di cui 11 in caverna, mq 25000 di baraccamenti, 296 km di camionabile e 398 di carrarecce o mulattiere. La spesa complessiva sostenuta, tenuto conto dei 15-20000 operai ( con punte fino a trentamila, nel 1916, Ndrche in media vi furono adibiti, può calcolarsi in circa 104 milioni”. Le ristrettezze finanziarie indussero ad un utilizzo oculato delle materie prime,recuperate sul territorio. Si aprirono cave di sabbia, venne drenata la ghiaia negli alvei di fiumi e torrenti; si produsse calce rimettendo in funzione vecchie fornaci e furono adottati ingegnosi sistemi di canalizzazione delle acque. Gli scalpellini ricavarono il  pietrame, boscaioli e falegnami il legname da opera, e così via. I requisiti per poter essere arruolati come manodopera, in quegli anni di fame e miseria, consistevano nel possedere la cittadinanza italiana, il passaporto per l’interno e i necessari certificati sanitari. L’età non doveva essere inferiore ai 17 anni e non superiore ai sessanta e, in più, occorreva che i lavoratori fossero muniti di indumenti ed oggetti personali. A dire il vero, in ragione della ridotta disponibilità di manodopera maschile, per i frequenti richiami alle armi, vennero assunti anche ragazzi con meno di 15 anni, addetti a mansioni di manovalanza, di guardiani dei macchinari in dotazione nei cantieri o di addetti alle pulizie delle baracche.  La manodopera femminile, definita con apposito contratto, veniva reclutata nei paesi vicini per consentire alle donne, mentre erano impegnate in un lavoro salariato, di poter badare alla propria famiglia e di occuparsi dei lavori agricoli. Il contratto era diverso a seconda dell’ente reclutante: l’amministrazione militare o le imprese private. Quello militare garantiva l’alloggiamento gratuito, il vitto ( il rancio)  uguale a quello delle truppe, l’assistenza sanitaria gratuita, l’assicurazione contro gli infortuni, un salario stabilito in relazione alla durata del lavoro da compiere, alle condizioni di pericolo e commisurato alla professionalità e al rendimento individuale. Il salario minimo era fissato, in centesimi, da 10 a 20 l’ora per donne e ragazzi; da 30 a 40 l’ora per sterratori, manovali e braccianti; da 40 a 50 per muratori, carpentieri, falegnami, fabbri e minatori; da 60 ad una lira per i capisquadra. L’orario di lavoro era impegnativo e  prevedeva dalle cadorna36 alle 12 ore giornaliere, diurne o notturne, per tutti i giorni della settimana. Delle paventate truppe d’invasione che, come orde fameliche, valicando le Alpi, sarebbero dilagate nella pianura padana, non si vide neppure l’ombra. Così, senza il nemico e senza la necessità di sparare un colpo, con la fine della guerra,  le fortificazioni vennero dismesse. Quelle strutture, negli anni del primo dopoguerra, furono in parte riutilizzate per le esercitazioni militari e , negli anni trenta, inserite in blocco e d’ufficio nell’ambizioso  progetto del “Vallo Alpino”, la linea difensiva che avrebbe dovuto – come una sorta di “grande muraglia” –  rendere inviolabili gli oltre 1800 chilometri di confine dello Stato italiano. Un’impresa titanica, da far tremare le vene ai polsi che, forse proprio perché troppo ardita, in realtà, non giunse mai a compimento. Anche nella seconda guerra mondiale, la Linea Cadorna non conobbe operazioni  belliche, se si escludono i due tratti del Monte San Martino (nel varesotto, tra la Valcuvia e il lago Maggiore) e lungo la Val d’Ossola dove, per brevi periodi , durante la Resistenza, furono utilizzati dalle formazioni partigiane. Infine, come tutte le fortificazioni italiane non smantellate dal Trattato di pace siglato a Parigi nel febbraio 1947, a partire dai primi d’aprile del 1949, anche la “linea di difesa alla frontiera nord” entrò a far parte del Patto Atlantico istituito per fronteggiare il blocco sovietico ai tempi della “guerra fredda”. Volendo stabilire una data in cui ritenere conclusa la storia della Linea Cadorna, almeno dal punto di vista militare, quest’ultima può essere fissata con la caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989. Da allora in poi, le trincee, le fortificazioni e le mulattiere sono state interessate da interventi di restauro conservativo realizzati dagli enti pubblici che hanno permesso di recuperarne gran parte  alla fruizione turistica, lungo gli itinerari segnalati. La “Cadorna” si offre oggi ai visitatori come una  veracadorna1 e propria “Maginot italiana”,  un gigante inviolato, in grado di presentarsi senza aloni drammatici, come un sito archeologico dove è possibile vedere e studiare reperti che hanno subito l’ingiuria degli uomini e del tempo ma non quella dirompente della guerra. Tralasciando la parte lombarda che si estende fino alla Valtellina e restando in territorio piemontese, sono visitabili diversi percorsi, dal forte di Bara  – sopra Migiandone, nel punto più stretto del fondovalle ossolano –  alle trincee del Montorfano, dalle postazioni in caverna del Monte Morissolo al fitto reticolo di trincee e postazioni di tiro dello Spalavera  ( la sua vetta è uno splendido belvedere sul Lago Maggiore e le grandi Alpi), dalle trincee circolari con i camminamenti e la grande postazione per obici e mortai del Monte Bavarione fino alle linee difensive del Vadà e del monte Carza, per terminare con quelle  della “regina del Verbano”, un monte la cui vetta oltre i duemila metri, viene ostentatamente declinata al femminile dagli alpigiani: “la Zeda”.

Raccoglie un fungo, multa di 86 euro a bimbo di sei anni

FUNGHIPer avere raccolto un fungo un bambino di sei anni è stato multato nei giorni scorsi, a Castelnuovo Nigra, Comune del Canavese. Il verbale prevede il pagamento di 86 euro, ed è stato elevato da due guardie ecologiche dell’ex Provincia di Torino. “Stiamo verificando il caso con i responsabili della Città metropolitana – commenta attraverso l’agenzia Ansa il sindaco, Danilo Chiuminatti – il bimbo ha raccolto solo un fungo: è mancato il buon senso”. Il bimbo e la mamma appartengono a una famiglia di allevatori di Issiglio, in Valchiusella, che erano saliti in quota, sopra Castelnuovo Nigra, per recuperare le pecore in alpeggio. Presenteranno ricorso per la sanzione.

Trapianto di reni da donatore 80enne su due altri anziani

molinetteI reni di un donatore di 83 anni, morto all’ospedale di Ciriè  sono stati trapiantati alle Molinette a un uomo di 78 anni di Pinerolo, colpito  da uropatia ostruttiva e in dialisi dal 2016 e, presso l’ospedale Maggiore della Carità di Novara, a un altro 78enne  malato di glomerulonefrite, in dialisi dal 2011. Uno scambio in età tanto elevata tra donatore e riceventi non si era mai verificato e prossimamente sarà pubblicata la notizia sulla principale rivista mondiale di Nefrologia, il “Clinical Journal of the American Society of Nephrology”, con riferimento allo studio effettuato dal gruppo dei nefrologi delle Molinette. Sono stati analizzati 647 trapianti da donatori da 50 a 88 anni effettuati dal 2003 al 2013 in riceventi con età media attorno ai 60 anni.La sopravvivenza dei trapianti di questo tipo dopo 5 anni è pari circa  all’80%.

Sei ore per portare in salvo due giovani escursionisti dispersi

soccorsO SCI MONTAGNADopo sei ore di ricerca, sono stati tratti in salvo i due giovani escursionisti torinesi , un ragazzo di 20 anni e una ragazza di 19, che si erano persi sulle cime  della valle Vigezzo. Avevano raggiunto il Pizzo Marcio (1924 metri) ma  al rientro hanno smarrito il sentiero. Dopo inutili tentativi hanno chiamato il Soccorso alpino, attivatosi alle 21 di ieri sera. Sono stati  localizzati poco dopo mezzanotte.   I due ragazzi si trovavano in una valletta tra le località montane di Verigo e Marone: e per raggiungerli sono state utilizzate  le corde”. Sono giunti a valle sani e salvi verso le tre di notte.

(foto archivio)

Parco del Po e Collina Torinese in festa

Per coinvolgere le comunità creative e incentivare una maggiore interazione tra le risorse e patrimoni naturalistici, paesaggistici, artistici e culturali che convivono nella Riserva UNESCO CollinaPo, il Parco del Po e Collina Torinese dà appuntamento sabato 5 novembre dalle ore 17 alle ore 22 all’evento “BIOSPHERE VERSUS U MAN NATURE” presso il Circolo del Design – una sede non casuale poiché Torino è anche Creative City UNESCO – nell’ambito della Notte delle Arti (Notte Bianca) Città di Torino. La manifestazione è inserita nel calendario di Contemporary Art Torino Piemonte.

PO COLLINA

 Una occasione unica in cui si alterneranno artisti, musicisti, fotografi, registi, videomaker, architetti, progettisti, designer, performer, illustratori, architetti, progettisti, scrittori, geologi, geografi ed esperti di ambiente, territorio, natura e cultura che hanno collaborato con il Parco in questi anni in un mix di presentazioni, interviste, proiezioni fotografiche e video, esposizioni collettive, installazioni artistiche, performance, danza, cinematografia e musica sul tema Uomo e Natura.

 Un modo per scambiarsi visioni su temi Uomo e Natura che è anche perfetto per la Cerimonia di consegna del Diploma Man and Biosphere” UNESCO a cui prendono parte le Istituzioni, il Ministero, SiTI, Gruppo IREN, Smat, GTT. In tale contesto avverrà anche la consegna della Borsa di Studio indetta sul Mab UNESCO CollinaPo da Gruppo IREN e il rilancio del Bando di concorso “Vedere l’Invisibile” indetto dal Parco del Po e Collina Torinese sul design sostenibile.

 Partecipano i referenti di Regione Piemonte e Città di Torino, i Partner, i Sindaci, i creativi e gli operatori culturali dei Comuni del comprensorio della Riserva Mab UNESCO CollinaPo.

Massimo Iaretti

 

Granata senza Valdifiori e Zappacosta

toro bandieraSono ancora da definire i tempi di recupero di Valdifiori e Zappacosta, rimasti infortunati in Udinese-Torino. Alla ripresa della preparazione del Toro, hanno iniziato le terapie in attesa degli esami strumentali. A Udine Valdifiori ha subìto un colpo alla schiena, Zappacosta  una forte contusione alla coscia destra. I granata giocano  sabato pomeriggio, allo stadio Grande Torino’ contro il Cagliari.

Arte, fotografia e società. Ai Weiwei

CONTEMPORANEA / di Maria Cristina Strati

Da Camera, a Torino, la fotografia rivoluzionaria di Ai Weiwei

Quando si ha a che fare con l’arte contemporanea e ci si trova nella circostanza di spiegarla al pubblico, è facile trovarsi nella difficoltà di far comprendere a chi non la conosce che cosa in essa appassioni tanto e, soprattutto, che cosa in essa abbia a che fare con la vita e la quotidianità della società intera. Per fortuna ci sono artisti con i quali spiegare il perché del valore della loro ricerca è più facile che con altri. Sono gli artisti che hanno testimoniato il loro impegno con la propria vita, in maniera molto concreta, e il cui lavoro rimanda in maniera diretta a situazioni, problemi, temi, che ci riguardano tutti. Uno di questi artisti è Ai Weiwei.

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Lo scorso 28 ottobre da Camera Centro Italiano per la Fotografia si è inaugurata una mostra bella e importante, dedicata appunto all’opera di Ai Weiwei. L’esibizione, affidata alla curatela di Davide Quadrio, raccoglie moltissimo materiale fotografico e video anche inedito realizzato dall’artista cinese dal 1983 ad oggi.

La mostra, che si svolge in contemporanea con l’imponente retrospettiva di Palazzo Strozzi a Firenze, prosegue negli spazi di Camera fino al prossimo 12 febbraio e sarà affiancata da una serie di eventi, conferenze e proiezioni, utili ad approfondire ulteriormente la figura e l’opera di Ai Weiwei.

Negli ultimi anni Ai Weiwei si è fatto conoscere dal grande pubblico non solo per la sua attività e ricerca artistica, ma anche e soprattutto per il suo impegno sociale e per i diritti umani. Impegno, il suo, per il quale egli ha pagato personalmente, anche con la reclusione, e che permea interamente la sua opera.

Si può infatti affermare che ogni suo lavoro è pensato come testimonianza viva e attiva di una realtà scomoda con la quale siamo tuttavia costretti a fare i conti.

Di questo ci rendiamo conto fin dal nostro ingresso in galleria. La mostra da Camera si articola infatti intorno a Soft Ground, un’installazione di grandi dimensioni che di fatto accompagna il visitatore lungo tutto il percorso espositivo. Si tratta di un tappeto lungo quanto il corridoio, sul quale è stampata la riproduzione fotografica in scala reale delle impronte lasciate dal passaggio di un carro armato della stessa qualità e dimensioni di quelli usati nel 1989 per reprimere la rivolta di Piazza Tienanmen.

A partire da questo drammatico lavoro e intorno ad esso, nelle altre sale, siamo poi invitati a seguire il percorso artistico ed esistenziale dell’artista attraverso i suoi lavori fotografici. Le fotografie sono esposte infatti in ordine cronologico, seguendo il ritmo dei mutamenti storico sociali che sono incorsi via via negli ultimi trent’anni, con accanto ad esso, mai da esso slegato, il controtempo del racconto autobiografico, con i celebri autoritratti.

L’ultima sala ospita infine Refugee Wallpaper, un’installazione formata da circa diciassettemila immagini frutto di una ricerca documentaria sul tema dell’immigrazione. La quantità delle immagini, tutte di piccolo formato, esposte l’una accanto all’altra a dar luogo a una drammatica tappezzeria multicolore, dà il senso della dispersione, del pericolo di non comprendere, di non vedere e rendersi conto del dramma concreto che coinvolge ogni giorno migliaia di esseri umani che dal Sud del mondo risalgono verso l’Europa e l’Occidente. L’occhio dell’artista qui offre la propria testimonianza attiva, ma sempre con un profondo rispetto, che non si compiace mai del dolore e non lo spettacolarizza.

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Come una vedetta attenta e solerte, Weiwei assume così su di sé il ruolo di colui che richiama l’attenzione, denuncia, avvisa. E, senza perdere la coerenza stilistica e compositiva propria del linguaggio artistico, in ogni suo lavoro egli fa sì che i nostri occhi si posino con chiara consapevolezza laddove le maglie della società sono più lente, i problemi più urgenti, i diritti umani non garantiti.

È chiaro perciò che, nel caso di Ai Weiwei, spiegare perché l’arte contemporanea interessa non solo gli esperti o gli appassionati del settore, ma la società intera, non è facile soltanto in virtù di quella che è ed è stata la sua storia e vicenda personale di rivoluzionario e dissidente. Il modo stesso in cui le opere sono pensate e realizzate rimanda infatti al modo della testimonianza, della denuncia vivida e tagliente che invita alla riflessione e alla presa di coscienza.

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ARound Ai Weiwei: PhotogRAPhs 1983-2016

Dal 28 ottobre 2016 al 12 febbraio 2017

CAMERA Centro Italiano per la Fotografia

Via delle Rosine 18, 10123 Torino

+39.011.0881150, camera@camera.to

http://camera.to

 

Le immagini:

New-York-Photographs-1983-1993-Profile-of-Duchamp-Sunflower-Seeds-

Beijing-Photographs-1993-2003-The-Forbidden-City-during-the-SARS-Epidemic

 

L’etica del coraggio

Dal Centro di Autoformazione, umanizzazione e Efficienza Aziendale, nato su iniziativa di Marco Casalegno, titolare del Relais Rocca Civalieri a Quattordio (Al), Roberto Rossi, human coach, propone alcune pillole ispirate all’”etica del coraggio”, che impronta il suo metodo di autoformazione

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Pillole di Roberto Rossi da Rocca Civalieri

  • L’amicizia di valore non ha bisogno di essere inseguita. Nei momenti difficili non ha bisogno di spiegazioni. Quando l’amicizia è vera te ne accorgi perché resta sempre al tuo fianco. E’ l’affetto più profondo che lega indissolubilmente le persone.

 

  • Dove c’è il rispetto al di sopra di ogni cosa non ci sono problemi o errori gravi ma solo difficoltà da risolvere insieme.

 

  • Dopo il buio emotivo torna la paura, l’incubo. Il vero pericolo viene dallo sciame dei pensieri destabilizzanti. Diventano un’incognita. Non bisogna lasciarsi influenzare.

 

  • L’obiettivo è arrivare sempre alla soluzione imparando a respirare.

 

  • E’ difficile gestire le delusioni, ricordiamoci che per la vita noi siamo sempre un dono in crescita: basta volerlo.

 

  • Non c’è bisogno di essere dei super-eroi per essere coraggiosi, basterebbe essere sempre noi stessi. A volte un po’ di “fame” ci aiuterebbe a tirare fuori la grinta che è in noi.

 

  • La felicità è dietro la porta dell’animo libero che la sa aprire.

 

  • Con il rispetto, l’entusiasmo, la disciplina e l’Etica del Coraggio arrivi dove vuoi.

 

 

Scintille

alessia

Le poesie di Alessia Savoini

 

Lo stridio di un sogno si perse nell’aria come fa la nube di fumo prodotta dall’ardore del tabacco. Per convenzione, si fa risalire l’origine dell’uomo alla corsa in un prato, capace di pensare al concetto e di storpiare un’idea, ma non in grado di collegarli nella medesima forma manifesta del divino. Egli urla e si dimena ogni qual volta si sente nascere, o forse morire: dal pensiero di Dio si staccò per essere feto; alessia-2muore una volta per venire al mondo, poi cambia abito e nasce di nuovo, in un nuovo sé.Così da scalatore di fronde e cortecce diventò scrittore: ciò che riposa nel silenzio del mondo ora scaturisce egli con le sue mani; fu così che l’artista riconobbe in sé il divino. E quella potenza che un tempo mosse le cose altro non è che la sua voglia di creare. E il bambino, felice e sopraffatto, capisce di star nascendo, mentre il mondo crede di vederlo morire.

 

Alessia Savoini