redazione il torinese

GLI ALLIEVI DELL’ACCADEMIA DI HANGZHOU IMMAGINANO LE CITTA’ INVISIBILI

Il 7 giugno all’Accademia Albertina è stata inaugurata ,alla presenza di Fiorenzo Alfieri, Salvo Bitonti, Mario Marchetti, Presidente del Premio Calvino, Stefania Stafutti, rappresentante dell’Istituto Italiano di Cultura di Shanghai, un’interessantissima mostra dal titolo”Calvino made in China”,che riunisce 20 lavori ispirati al romanzo “Le città invisibili” di Italo Calvino. La collettiva è rimasta aperta fino al 14 giugno, riscontrando un grande successo. Zhao Binglin, studente della China Academy of Art di Hangzhou è risultato il vincitore del concorso “Arte chiama arte”, promosso dall’Istituto italiano di cultura di Shanghai, in collaborazione con il Premio Calvino.

La sua opera, un disegno a matite colorate, esposta insieme alle altre 19 nella Sala Azzurra dell’Accademia, si ispira a Diomira, una delle “Città invisibili” , descritte da Marco Polo all’imperatore dei Tartari Kublai Khan : ” la città con sessanta cupole d’argento, statue in bronzo di tutti gli dei, vie lastricate in stagno, un teatro di cristallo, un gallo d’oro che canta ogni mattina su una torre”.

Il concorso Arte chiama arte, da alcuni anni propone a dei giovani artisti cinesi un’opera di letteratura italiana come fonte di ispirazione per realizzare moderne opere d’arte. La formula intende promuovere l’incontro tra le due culture, incoraggiando da una parte giovani cinesi a leggere con attenzione un’opera importante della letteratura italiana, dall’altra parte favorendo la conoscenza dell’arte cinese in Italia attraverso l’esposizione in Italia delle migliori opere in concorso. Questa edizione, iniziata nel 2016, è per l’appunto dedicata alle Città invisibili di Italo Calvino. Nel romanzo Calvino ripercorre l’antico incontro tra cultura italiana e cultura cinese, ” un’affascinante convergenza tra Oriente e Occidente, un incrocio di immaginari” come ha sottolineato Mario Marchetti, Presidente del Premio Calvino, in occasione dell’inaugurazione della Mostra. Un’occasione per parlare della moderna e ancora oggi attualissima problematica della nostra concezione della città , cioè del nostro modo di concepire e realizzare il vivere insieme , la socialità, il rapporto tra essere umano e ambiente. Come nel disegno di Wu Jiayl, ispirato al tema dello scontro tra natura e urbanizzazione.

Helen Alterio

 

L’Evelina dell’Uva Matta

RISTORANTE GALLORISTORANTE OSTERIAOltre alla varietà dei salumi, la trattoria era  uno dei pochi, se non l’unico posto, dove si cucinava ancora il “ragò“, un piatto a base di verze arrosto con costine e cotenne di maiale. Non propriamente un piattino leggero e dietetico che però solleticava le papille gustative a molti, tant’è che venivano persino dall’Oltrepò a gustarlo. Previa prenotazione, ovviamente

Evelina Castiglioni, vedova Borlazza era – oltre che zia di Ercolino, avendo sposato il compianto Ruggero, uno dei fratelli del padre del Vicesindaco – la proprietaria dell’unico ristorante di Buttignolo, la trattoria dell’ Uva Matta. Beh, proprio l’unico no, a dire il vero. C’erano anche “Il rustico” dell’Arduino Pombini e “La lucerna” di Vittorino Ardemagni ma erano due bettole, dove si mangiava piuttosto male e si beveva peggio. Dall’Evelina, grazie anche allo “chef” Lunardotti che aveva lavorato per qualche anno nei migliori ristoranti di Pavia e Alessandria, chi “metteva i piedi sotto il tavolo” ( come amava dire la corpulenta ristoratrice) non si poteva lamentare del menù, sempre ricco e vario. Grazie a lei Buttignolo si era fatto riconoscere come una delle mete per le merende e per le cene che venivano organizzate in zona. Vuoi che fossero gli operai della “Casalini Guarnizioni e Freni”, i ferrovieri del pavese, le varie società sportive o famiglie che cercavano un posto dove mangiar bene con poca spesa per festeggiare compleanni o anniversari vari, in cucina  all’Uva Matta non si stava mai con le mani in mano.

La cucina di Evelina ,fortemente influenzata dalla civiltà contadina della risaia e dell’orto, era una cucina paesana e povera, fatta di piatti semplici ma genuini. Tra gli antipasti  non mancavano il “salam d’la duja“, sapido salame di maiale conservato sotto grasso nelle olle, i caratteristici recipienti in terracotta dall’imboccatura stretta, e, vera leccornia, il  celebrato salame d’oca. E poi, a seguire, il classico “bagnetto” verde,  le frittatine, i funghi sott’olio che lei stessa confezionava,  l’insalata di nervetti e il pesce in carpione. I clienti più “rustici” e più affezionati andavano matti per l’insalata di fagioli borlotti; belli grossi, tondi e venati di rosa. Nei primi piatti  a farla  da padrone era il riso: dai minestroni ai risotti. La scìura  Castiglioni aveva imparato dal fù Borlazza, buon anima, a preparare  il “risotto giallo”,  quello con i “fagiolini dell’occhio” o con le “barlande” ( le erbette prataiole), con i funghi porcini, con le tinche, le quaglie, gli asparagi, la trippa e le ortiche.  Una varietà incredibile che lasciava gli avventori a  bocca aperta e incerti su cosa assaggiare, obbligandoli a tornare all’Uva Matta. Restando sui primi, se a mezzogiorno tutto questo s’accompagnava anche a ravioli ripieni di arrosto e conditi con il sugo,  lasagne con le rigaglie e tagliolini con gli asparagi o con panna e funghi, alla sera si andava di minestre. Oltre al classico minestrone, l’Evelina preparava un ottimo riso e una trippa in brodo da resuscitare i morti, tralasciando di parlare delle zuppe di ceci , di cipolle e di rane. Ai secondi ci pensava Romildo Lunardotti che variava dalle lumache e rane (fritte, in guazzetto, con la frittata) che rappresentavano  la base dei piatti più tradizionali della Lomellina, alle  pietanze a base di maiale, manzo e oca, per non parlare dei gustosi pesci del Ticino (anguille, trote, tinche, carpe) accompagnati il più delle volte dalla polenta.

Oltre alla varietà dei salumi, la trattoria era  uno dei pochi, se non l’unico posto, dove si cucinava ancora il “ragò“, un piatto a base di verze arrosto con costine e cotenne di maiale. Non propriamente un piattino leggero e dietetico che però solleticava le papille gustative a molti, tant’è che venivano persino dall’Oltrepò a gustarlo. Previa prenotazione, ovviamente. E per finire, i dolci. La zia del Borlazza li annunciava cinguettando tra i tavoli  “dulcis in fundo”, alludendo al fatto che a quel punto veniva  il bello, pardon, il buono. E via con l’onda glicemica a base di uova, burro, farina. Il “carrello” proponeva torte come  la “virulà” (bianca e nera), quella di riso, di pane o la torta paradiso. Ed ancora i biscotti Bramantini di Vigevano, quelli di riso ed il “dolce del Moro”, la cui ricetta risaliva al tempo di Ludovico il Moro. Senza dimenticare le reginette dei dolci lomellini: le Offelle di Parona.Facile immaginare il perché, nella famiglia Borlazza, il più “patito” era bianco e rosso di carnagione e pesava non meno di novanta chili, a prescindere dall’essere uomo o donna. La cucina dell’Evelina e le tradizioni di famiglia non consentivano a nessuno di sgarrare , tant’è che Carlino Borlazza, il figliolo dell’ostessa, innamoratosi di una impiegata della posta di Mortara, venne costretto dal parentado ad interrompere quella liaison dangereuse poiché la giovane era (orrore!) vegetariana. “Non vorrai mica rovinarti con una così, eh, Carletto!”, lo investì la madre, puntando gli avambracci sui larghi fianchi. E il figlio, abbassando lo sguardo, risposte, rassegnato: “No, no, mamma. Le ho già detto che non è il tipo che fa per me”.L’Uva Matta ospitava, talvolta, anche i matrimoni, come nel caso di Filippo e Danielina, convolati a nozze nella chiesa di Sant’Eusebio e poi a pranzo dall’Evelina,accompagnati da testimoni e parenti ( in tutto una cinquantina di commensali). Seguendo il copione delle tradizioni goliardiche, i due fratelli Carletto ( quelli della “Carletto Spurghi”) – Virginio e Vannino, detti anche “i due vù” – amici di vecchia data dello sposo, distribuirono a tutti dei profilattici della Durex, in confezione da uno. Ridendo come matti, ne fecero dono anche alla signora Evelina che ringraziò educatamente, mettendosene in tasca un paio.

Tornata in cucina, la titolare dell’Uva Matta avvicinò Rosalba Tinelli, cameriera  a tempo perso che dava una mano in occasioni come quella, sussurrandole: “Rosalba, tienile te queste cicche americane. Io non riesco a mettermele  in bocca perché mi si attaccano ai denti”. La cameriera, imbarazzata, ringraziò. Senza avere il coraggio di spiegare alla signora Castiglioni che non  di chewingum si trattava ma di ben altro. Ma Evelina era così, un po’ all’antica, fuori moda e tutta “presa” dal suo mondo che iniziava in cucina e finiva sull’uscio della trattoria. Un po’ di tempo fa, ad esempio, accade un episodio che strappava ancora qualche sorriso. Con l’Uva Matta confinava la tabaccheria del signor Giurlandotti. Per le feste natalizie, davanti alla sua rivendita, il tabaccaio aveva posizionato un manichino vestito da Santa Claus, con uno sgargiante completo rosso e la lunga barba bianca. Poi, passata anche l’Epifania, l’aveva ritirato nel ripostiglio a fianco della legnaia, spogliato dagli indumenti. Siccome non stava in piedi, lo appoggio ad una sedia. Il manichino assunse così una posa che poteva definirsi “riflessiva”: seduto, con la testa reclinata ed appoggiata al braccio destro. Evelina, vuotando il secchio dei rifiuti di cucina nel bidone che teneva a fianco della legnaia, vide quella figura dalla finestra aperta del ripostiglio. “ Ma cosa ci fa quell’uomo lì, nudo come un bruco, seduto sulla sedia? Ma non sente il freddo?”. Provò a schiarirsi la voce, per richiamarne l’attenzione ma quello niente. Non dava segni di vita. Che si fosse sentito male?  Non sapendo bene come comportarsi, prese la decisione di avvertire il Giurlandotti. In quel momento il tabaccaio era solo in negozio e lei, dopo un po’ d’esitazione data l’imbarazzante situazione, lo informò sulla presenza di quell’uomo che stava lì al freddo, senza vestiti, nel ripostiglio. E si offese non poco quando il tabaccaio, capito al volo l’equivoco, si mise a ridere. Non fu facile per il povero Giurlandotti placare la permalosa Evelina, spiegando per filo e per segno che non di uomo si trattava ma di un manichino spogliato dai vestiti e riposto in magazzino. La Castiglioni, borbottando un “balengo di un balengo”, se ne andò, impettita ma quell’episodio, grazie alla “lingua lunga” del tabaccaio fece il giro di tutta Buttignolo.

Marco Travaglini

Pesca e fango

Le poesie di Alessia Savoini
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Mio nonno aveva le mani che profumavano di frutta e di terra.
Un po’ come quando da piccola i pomeriggi odoravano di erba tagliata
E i problemi si risolvevano su una pagina di quaderno
Dove sommare era più semplice che dividere.
L’altalena era il mezzo di trasporto più efficace per andare lontano
E con il cuore rimanere.

Il Pannunzio a Roma tra laicità e spiritualità

l’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica ha ospitato, lo scorso 12 giugno, il convegno promosso dal Centro “Pannunzio” e dal “Cortile dei Gentili”, sul tema “Laicità e Spiritualità”.

A introdurre l’evento il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che in apertura ha sottolineato: “Oggi il ‘Cortile’ si svolge in un ambiente particolarmente suggestivo e significativo perché è stato voluto da un istituto laico, il Centro Pannunzio, aperto e sensibile al dialogo sino a costituire una ‘simpatia’, seppure nella diversità”. Si è soffermato poi sull’analisi dei due termini chiave dell’evento: “La laicità è uno spazio dove tutti si ritrovano, sia credenti, sia non credenti. Il cristianesimo è una religione fondata da un laico; Gesù di Nazareth, infatti, non era Sacerdote, anzi apparteneva alla tribù di Giuda, che è una tribù laica. La spiritualità, invece, è spesso associata a un qualcosa di etereo, impalpabile, inconsistente. Bisogna considerarla come una categoria sì religiosa, ma anche culturale, strumentale a una conoscenza polimorfica”.

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Secondo il Direttore del Centro Pannunzio, Pier Franco Quaglieni, occorre soffermarsi sulla distinzione tra laicità e laicismo: “Non esistono distinzioni nel Dizionario filosofico di Nicola Abbagnano. Il laicismo, secondo alcuni, implica una visione immanentistica della vita e una cultura che si fondi esclusivamente su una visione storico-scientifica dell’uomo. Esso diventa di fatto un surrogato dell’ateismo, inteso come professione di fede in una concezione del mondo opposta a quella imperniata sull’esistenza di Dio, che implica una sostanziale condanna della religione come forma di superstizione irrazionale e oscurantista. Una laicità liberale comporta atteggiamenti liberali capaci di aprirsi agli altri perché solo attraverso il confronto le idee progrediscono. Il ‘Cortile dei Gentili’ nasce con questa missione: instaurare un dialogo anche con chi non lo vuole. Questa è laicità suprema”.

La conversazione è proseguita con l’intervento di Luisella Battaglia, Professoressa dell’Università di Genova, la quale ha insistito su un punto in particolare, ossia la possibilità di identificare il terreno della spiritualità come ricerca di senso – il senso di esserci nel mondo – di tutto, anche del dolore: “Bisogna riprendere la nozione originaria di bioetica come settore dell’etica impegnato a individuare le relazioni tra l’uomo e gli altri esser viventi, vegetali e animali – l’Etica del Bios – e orientarle verso una visione allargata, di ecosistema, ispirata al concetto aristotelico di felicità, da intendersi non in senso edonistico, ma come fioritura di se stessi, di realizzazione delle proprie capacità, considerando sempre che il conflitto da combattere sia quello tra le idee e non tra le persone”.

Eugenio Mazzarella, Professore dell’Università Federico II di Napoli, ha posto la discussione secondo una lettura politica, asserendo che: “La religione deve essere intesa come istituto sociale e politico della spiritualità e della democrazia. Il fenomeno religioso è parte integrante della società, in cui a dominare è il sentimento di friabilità dell’uomo colpito dall’incertezza, anche legislativa. Non c’è guerra tra religione e democrazia, né deve esserci, perché possono far valere tutte le dottrine purché si vada a definire un’area comune di ragionevole senso e consenso. È necessaria un’alleanza tra fede e razionalità occidentale, attori vitali per un dialogo interculturale e valoriale tout court.

L’ultimo intervento è stato quello di Silvano Petrosino, Professore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il quale ha ripreso i due concetti chiave del convegno, quasi a chiudere la conversazione secondo una logica circolare. Ha parlato di associazioni ben precise: “Alla laicità ho ricollegato la dignità che può tradursi nell’azione di dare il nome; Dio si mette a lato e l’uomo diventa co-creatore. Per la spiritualità ho subito pensato all’espositore, ossia l’essere umano che si apre, che non resta chiuso nel proprio circolo funzionale, nel contesto. L’apertura è sinonimo di ospitalità e questa precede la tematizzazione, ossia l’intenzionalità. Il dare il senso, deve essere letto come una forma di apertura, e la forma più alta si traduce nell’immagine dell’uomo che porta il pane alla bocca dell’altro. Questo movimento è la spiritualità in senso stretto e trova la conferma nella Bibbia quando si stabilisce un nesso di identità tra l’amore di Dio e delle creature”.

 

A moderare la conversazione Giuliano Amato, Presidente della Consulta Scientifica del “Cortile dei Gentili”, il quale ha posto l’accento sulla necessità di trovare un terreno comune che vada oltre il consumismo e l’individualismo arginato da valori condivisi e orientati alla cura della “casa comune”: “Tutti, credenti e non credenti, devono condividere tale azione, da intendersi, però, non solo in senso ecologico, ma anche come cura di valori, comuni e condivisi, su cui una comunità si fonda”. Il convegno si è concluso con una serie di interventi, da parte del pubblico e dei relatori, sul cambiamento del mondo determinato dalle tecnologie e da tutto ciò che queste hanno portato sulla morte e sulla vita, sul confine tra creatore e creature. Secondo il Presidente Amato, l’Io è più complesso del computer-robot. Quest’ultimo, osserva il Professor Petrosino: “Reagisce ma non risponde, non è lui a comunicare ma è l’uomo che comunica, godendo delle funzioni dello stesso”. Ogni progresso scientifico rende più complessa la morale e ciò che è eticamente lecito. Su questi argomenti sta riflettendo la Consulta Scientifica del “Cortile dei Gentili” che porterà il proprio contributo all’Assemblea Plenaria 2017 del Pontificio Consiglio della Cultura sul tema “Futuro dell’umanità. Nuove sfide dell’antropologia”.

UN OSPEDALE SENZA DOLORE!

Eccoli, pronti per essere utilizzati. Sono arrivati all’ospedale Regina Margherita della Città della Salute di Torino i 2 dispositivi che visualizzano le vene.

 

Si chiamano VeinViewer e sono stati regalati all’ospedale pediatrico di Torino grazie alle DONAZIONI raccolte dal Comitato Io sto con il Regina Margherita Onlus.
Sono due apparecchiature diagnostiche per immagini che consentono di visualizzare, in modo semplice e rapido, la morfologia, l’orientamento e la posizione dei vasi direttamente sulla cute dei piccoli pazienti, consentendo agli operatori di “vedere” il loro operato in tempo reale, sicuro, non invasivo.  Il Direttore Generale avvocato Gian Paolo Zanetta scrive al Comitato: “Nel ribadire la nostra gratitudine per le molte iniziative che in questi anni hanno caratterizzato la vostra presenza propositiva nei confronti dell’ospedale Regina Margherita, la vostra donazione contribuirà in modo significativo ad aumentare il successo della prima venipuntura riducendo i tentativi ed apportando maggiore sicurezza delle attività”.

Impresa e finanza, l’impegno di Roberta Siciliano

È specializzata in pianificazione finanziaria previdenziale e gestione del patrimonio, oltre a vantare un’esperienza bancaria ultraventennale

Roberta Siciliano, nata a Torino nel 1964, unisce a un forte impegno imprenditoriale una approfondita conoscenza finanziaria, che la vede impegnata come consulente finanziario per Finanza e Futuro presso la Deutsche Bank dal 2010. È specializzata in pianificazione finanziaria previdenziale e gestione del patrimonio, oltre a vantare un’esperienza bancaria ultraventennale presso Banca Intesa, ora Intesa San Paolo, dove aveva iniziato a lavorare nel lontano ’90. Lì ha ricoperto vari ruoli tra cui il direttore di filiale per oltre sei anni. Alle sue doti manageriali e imprenditoriali unisce un forte e sentito impegno nel sociale, a sostegno e a tutela dei minori, degli anziani e delle donne in tutte le loro problematiche e nella difesa dei loro diritti. È anche presidente dell’ Associazione Italia – Laos, associazione no profit, con la finalità di supporto e sostegno economico, sociale e di sviluppo del Laos. Di spirito liberal democratico, crede fermamente nella difesa delle libertà di pensiero e di opinione, oggi sempre più compromesse e riservate a pochi. Nutre un profondo amore nei confronti di Torino e si è   battuta a favore di una ripresa del tessuto urbano e di una città non più chiusa e impenetrabile, ma aperta alla riscoperta dei valori dell’accoglienza, ma anche alla realizzazione delle sue enormi potenzialità, presenti in campo culturale, ricettivo, economico e turistico. Da tempo collabora con una rete di professionisti ( avvocati, notai, commercialisti e consulenti del lavoro) in vari campi, allo scopo di fornire al cliente il supporto e il servizio migliori.

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Roberta.siciliano@finanzaefuturo.it

0115171717

Deutsche Bank piazza San Carlo angolo via Giolitti 2

 

Informazione commerciale

La chirurgia dello sguardo, un’eccellenza torinese

Sono pochi in Italia i “chirurghi dello sguardo”. Torino vanta un primato con il dottor Carlo Graziani, laureatosi all’Università di Torino in Medicina a Chirurgia a pieni voti e dignità di stampa, iperspecialista in Oculoplastica, con un’ampia formazione a livello internazionale.

La sua attività spazia dalla chirurgia palpebrale pediatrica e dell’adulto a quella lacrimale, da quella orbitaria alla chirurgia estetica, praticate con tecniche innovative, mini-invasive e aggiornate, in modo da ridurre al minimo il rischio di cicatrici. Responsabile per cinque anni del Centro Alta Specializzazione Chirurgia Oculoplastica dell’Ospedale Oftalmico di Torino, dal 2007 il dottor Graziani si dedica alla libera professione alla Clinica Columbus di Milano e a Torino presso la clinica Fornaca.

“L’oculoplastica – spiega il dottor Graziani – rappresenta un’alta specializzazione della chirurgia che si occupa dello sguardo e del viso si dal punto di vista funzionale sia estetico. Il rimodellamento delle palpebre e della zona perioculare ha lo scopo di riportarle al loro stato fisiologico e naturale, con un duplice scopo, di migliorare la visione appesantita da palpebre pesanti e di ottenere un visibile effetto anti-eta’, eliminando in questo modo gli inestetismi dettati dai segni del tempo. Si possono, così, effettuare anche interventi di chirurgia palpebrale estetica, in grado di ringiovanire il volto, quali la bleferocalasi per la palpebra stanca, abbassata o appesantita da un forte eccesso cutaneo, e la bleforoplastica inferiore, per ovviare alle inestetiche borse sotto gli occhi”.

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“Gli interventi chirurgici alle palpebre non sono solo estetici – precisa il dottor Carlo Graziani- ma anche funzionali, nel caso in cui si debba ripristinare capacità di movimento e meccanica delle palpebre interessate da traumi e patologie diversi, riportandole così alla loro posizione naturale. Gli interventi possono risolvere problemi di abbassamento di palpebre (ptosi), di palpebre rivolte verso l’interno dell’occhio (ectropion) e di palpebre rivolte verso l’esterno dell’ occhio (entropion). La chirurgia palpebrale ha un campo di azione molto vasto, interessando anche la rimozione di cisti, angiomi e le ricostruzioni post-traumatiche”.

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“Nel campo della chirurgia estetica – prosegue il dottor Graziani – effettuo interventi di bleforoplastica, che realizzo nel caso di palpebre gonfie, cadenti o in presenza di borse sotto gli occhi, in grado di migliorare l’aspetto estetico e la funzionalità delle palpebre, rimodellando, in maniera personalizzata, la cute, il tessuto muscolare e quello adiposo in eccesso, in vista di un programma di ringiovanimento del viso. Un altro intervento estetico che effettuo è il lifting del sopracciglio, quella procedura di chirurgia che consente l’innalzamento della parte destra delle sopracciglia, distendendo la cute al livello delle tempie e della porzione laterale degli occhi. L’aspetto e la giusta posizione del sopracciglio costituiscono fattori essenziali nell’estetica dello sguardo, in quanto donano espressività al viso e rispecchiano lo stato emotivo e psicologico del paziente. Con l’avanzare dell’età si può andare incontro, infatti, a una caduta del sopracciglio (ptosi), con un ripiegamento della cute della palpebra superiore”.

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“Altri interventi chirurgici che effettuo, come il lipofilling e il nanolipofilling – afferma il dottor Graziani – in grado di rimodellare il volume del volto, delle palpebre e sopracciglia, oggi vedono un ampio successo derivato dall’uso del grasso autologo, che permette di ottenere ottimi risultati. Il nanolipofilling, per esempio, oggi rappresenta l’unica soluzione per migliorare i cosiddetti “dark circles”, cerchi scuri, un inestetismo oggi superabile attraverso le iniezioni di grasso autologo. Infatti il responsabile dell’ invecchiamento dello sguardo è rappresentato dalla perdita di volume del grasso nella regione oculo-orbitaria, come in quella delle guance, che diventano sempre più scavate, appesantendo l’insieme e conferendo al viso un’espressione stanca. Una soluzione naturale a questo invecchiamento può giungere dal trapianto di grasso autologo”.

Mara Martellotta

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Dottor Carlo Graziani

Via Amedeo Gioanetti 7, 10121 Torino.

Vale Papiniano 23, 20123 Milano.

Prenotazioni: 0112767235; 3270416818

 

 

Oltre Olivetti. Scenari per il futuro di Ivrea

IVREA – 16 giugno 2017 – ore 10.00, Salone dei 2000 – Corso Jervis n. 11

Nel corso del convegno saranno presentate nuove proposte progettuali della Core Zone del sito della candidatura UNESCO “Ivrea città industriale del XX secolo”, coerenti tanto con i caratteri identitari dei manufatti quanto con la loro vocazione funzionale, passata e futura. Gli studenti dell’Atelier di Restauro e Valorizzazione del Patrimonio del corso di Laurea magistrale in Architettura per il Restauro e la Valorizzazione del Patrimonio del Politecnico di Torino (Dipartimento di Architettura e Design) presenteranno i progetti di riuso e valorizzazione elaborati nel corso dell’A.A. 2016/2017, con la supervisione del Prof. Rocco Curto e dell’Arch. Lisa Accurti, per ilrecupero e la rifunzionalizzazione del sistema di beni della Core Zone.L’iniziativa è stata promossa dalla Città di Ivrea e dal Politecnico di Torino con la collaborazione di Confindustria Canavese e IdeaFimit Sgr, nell’ambito del progetto europeo Erasmus + “Citylabs: Engaging Students with Sustainable Cities in Latin-America” e nell’ambito delle attività svolte per la Candidatura di “Ivrea città industriale del XX secolo” nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO.

Il 16 giugno, in occasione del convegno, verrà inoltre presentato il Sistema Informativo Territoriale “Ivrea città industriale del XX secolo”, strutturato dal Politecnico di Torino con una visione innovativa e in modo sperimentale rivolta a supportare l’esperienza didattica condotta con gli studenti dell’Atelier di Restauro e Valorizzazione del Patrimonio. Il SIT è stato concepito quale modello dinamico e interoperabile in grado di mettere in relazione più di 100 edifici (residenze, edifici industriali, uffici, edifici destinati a servizi) con il loro contesto territoriale, e con l’obiettivo di supportare le politiche dell’amministrazione e la candidatura UNESCO nel processo di valorizzazione, anche economica, della Core Zone.

Le presentazioni della mattinata e la discussione della tavola rotonda finale saranno occasione per riflettere su come il patrimonio olivettiano della Core Zone di “Ivrea città industriale del XX secolo” costituisca un’eredità emblematica da valorizzare, in cui la “dimensione privata” si deve integrare con quella pubblica e costituire un unico sistema di architetture in grado di innescare processi di rigenerazione dell’intera area urbana e forme di fruizione innovative sia per la cittadinanza eporediese sia per le diverse tipologie di utenza esterna.

Al termine del convegno una commissione giudicatrice composta da riconosciuti esperti del settore e da stakeholders operanti nell’ambito della Core Zone di Ivrea valuterà i progetti migliori, ai quali verrà riconosciuto un premio da parte della Città di Ivrea.

Interverranno:

Carlo Della Pepa, Sindaco della Città di Ivrea

Rocco Curto, Coordinatore dell’iniziativa, Professore ordinario, titolare dell’“Atelier di Restauro e Valorizzazione del Patrimonio” – A.A. 2016/2017,  Laurea Magistrale in “Architettura per il Restauro e la Valorizzazione del Patrimonio “, Politecnico di Torino (Dipartimento Architettura e Design)

Lisa Accurti, Docente a contratto dell’“Atelier di Restauro e Valorizzazione del Patrimonio” – A.A. 2016/2017, Laura magistrale in “Architettura per il Restauro e la Valorizzazione del Patrimonio”, Politecnico di Torino (Dipartimento Architettura e Design)

Giovanna Codato, Assessore della Città di Ivrea: Urbanistica, Sicurezza e Difesa del suolo, Edilizia privata, Lavori pubblici, Sostenibilità Ambientale

Renato Lavarini, Coordinatore Candidatura Unesco

Caldo torrido a Torino e in Piemonte, toccati i 37 gradi. Ora la pioggia

Temperature massime attorno ai 37 gradi ieri nell’Alessandrino, con il picco nel comune di  Isola S.Antonio (36.7) rilevato nella stazione meteo Arpa. Poi 35 gradi a Bra , quasi 34 a Casale Monferrato, 32  invece a Torino. Infine massima di 15 ai quasi 3.000 metri di altitudine al Passo del Moro, presso Macugnaga. Oggi qualche grado in meno, ma  su tutte le pianure piemontesi continuerà a insistere un caldo anomalo per il periodo. L’Arpa prevede dalla mattinata  rovesci e temporali sulle Alpi settentrionali, in successiva estensione a tutto l’arco alpino, con valori moderati o localmente forti. Successivamente nuvole e precipitazioni dovrebbero spingersi anche in pianura nel pomeriggio, lo zero termico calerà a 4.100 metri dopo aver toccato nei giorni scorsi i 4.800, secondo valori tipici del periodo più caldo dell’estate. Il tempo sarà  variabile con “instabilità diffusa su tutti i rilievi, dalle ore centrali della giornata”.

Il minuto di silenzio

Dove sono Mumo, Lev, Helenio, George e Omar, l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso? Tutti, tutti, dormono sulla collina”.Gigi Garanzini – biellese di nascita e langarolo d’adozione, eccellente giornalista sportivo –con il suo “Il minuto di silenzio”( Mondadori,2017), libro che narra la storia del calcio attraverso 141  dei suoi protagonisti che non sono più tra di noi, ci propone un incipit come quello dell’Antologia di Spoon River.  I cinque aggettivi sono gli stessi della “collina” ma i riferimenti non sono i medesimi di Edgar Lee Masters. A parte “l’atletico” portiere Lev Jascin  , mette in luce le caratteristiche umane ( forzandole un bel po’) di  “Mumo” Orsi , attaccante italo-argentino degli anni ’30, del “mago” Herrera ,  del dissoluto e geniale George Best e  dell’umorale e talentuoso Omar Sivori. Garanzini propone una “passeggiata della memoria”, dove la storia del calcio segue l’alfabeto dalla “a” di Enrico Ameri e Giovanni Arpino fino alla “zeta” del grande Ricardo Zamora, estremo difensore catalano, uno dei più grandi portieri di sempre. Per ognuno di loro una pagina e poco più. Il tempo di un minuto. Due, tre nel caso dei personaggi più straripanti: è quanto serve alla lettura di ciascuno dei ritratti di questi protagonisti  che “dormono” per sempre “sulla collina del football”. Giovani vite stroncate come quelle di Gigi Meroni , Gaetano Scirea e Luciano Re Cecconi, vecchie glorie come Garrincha, Di Stéfano , Puskàs e Valentino Mazzola, narratori come Brera e Galeano, artisti della sfera di cuoio come Sindelar , Schiaffino e Cruijff. E ancora: arbitri come Concetto Lo Bello, allenatori come Bearzot, Pozzo, Lobanowski e il “paròn” Nereo Rocco , goleador come Meazza, Nordahl e Felice Levratto che sfondava le reti con le sue “bombe”, per non tralasciare grandi cronisti come Nicolò Carosio e Beppe Viola. “Se il calcio è rimasto di gran lunga il gioco più bello del mondo lo deve innanzitutto a loro – scrive Garanzini –  e ai tanti altri che è stato emozionante scoprire o riscoprire. Quand’eran giovani e forti ci hanno fatto battere il cuore“. Quella che propone Gigi Garanzini è una rassegna del calcio mondiale da leggere come un racconto epico, dove ogni profilo equivale a “un fiore posato sulla tomba di un eroe”. E meritano tutti, uno dopo l’altro, un minuto di silenzio.

Marco Travaglini