redazione il torinese

Il traffico torinese torna nel caos: chiusi i cavalcavia di corso Dante e di corso Grosseto.

Altri lavori e limitazioni al traffico sono previsti inoltre nel sottopasso di via Lanza e in corso Duca degli Abruzzi.

Grossi disagi per molti automobilisti torinesi che hanno dovuto affrontare l’inizio di questa settimana immersi totalmente nel traffico, a causa della chiusura della sopraelevata di corso Grosseto e del cavalcavia di corso Dante. In particolare, il cantiere della sopraelevata ha causato e continua a causare intense code per colpa della scarsa segnalazione presente in quel tratto relativa alle strade alternative da percorrere; poco dopo le ore 9 di questa mattina la coda segnalata arrivava fino in via Casteldelfino. La chiusura totale di questo importante tratto stradale è arrivato in seguito ai crolli di calcinacci avvenuti nei mesi precedenti, che avevano messo in dubbio la stabilità della sopraelevata per la quale era già stata decisa la demolizione. Anche se l’inizio dei lavori è previsto per il mese di settembre, si è deciso di chiudere il tratto di strada un paio di mesi prima, in modo da dare la possibilità ai cittadini di adattarsi ai cambiamenti e ai possibili disagi inerenti alla viabilità che questo nuovo cantiere potrebbe portare. Sorte diversa toccherà invece al cavalcavia di corso Dante che – secondo le indicazioni del Comune – dovrebbe rimanere fuori uso solo fino al 27 luglio, a causa del rifacimento del manto stradale. Un’estate non facile per il traffico torinese che vede aggiunti ai problemi di questi due cantieri anche i grossi disagi causati dalla chiusura fino a fine settembre del sottopasso del Lingotto, inagibile a causa dei lavori per la realizzazione del collegamento con l’aria Avio-Oval, il polo fieristico e il parcheggio del grattacielo della Regione.

PIAZZA CARLO FELICE, IL LACERO TRICOLORE SIMBOLO DI FALLIMENTO

AVVISTAMENTI di effevi

Vedo con incredulità esposto in bella vista, ai giardini Sambuy davanti alla stazione di Porta Nuova, quello che una volta era un tricolore italiano. Era, perché il bianco non c’è più, e il resto è tutto sbrindellato: quella che era una bandiera oggi è uno straccio neanche buono per i pavimenti.

 

Lo stendardo crivellato da colpi e schegge, nell’iconografia occidentale, è una presenza fissa nei quadri di battaglie. All’occhio dei contemporanei era un segnale immediato dell’esito finale: o una eroica vittoria di stretta misura contro un nemico preponderante, o una gloriosa sconfitta; si veda il manifesto del film “Giarabub” del 1942, cui prese parte Alberto Sordi, un film di regime per raccontare l’eroica resistenza di due compagnie di guardia di frontiera, nel deserto libico, che tennero testa agli Inglesi pesantemente armati con corazzati e appoggio aereo.

Il lacero tricolore di Giarabub voleva simboleggiare la resistenza italica alla perfida Albione – poco dopo venne la lapide a El Alamein: “Mancó la fortuna, non il valore”. Lo straccio bicromatico che accoglie i turisti a Porta Nuova è il simbolo di una intera guerra persa dall’Italia, quella della dignità e del senso civico.

Per quanto sembri incredibile oggi, per molto tempo l’esposizione della bandiera nazionale è stata malvista da una parte di opinione pubblica. Ci sono volute due leggi, nel 1998 e nel 2006, per obbligare a fare ciò che in tutto il mondo è considerato naturale e positivo. Ma per finire ad esporre un tricolore ridotto a uno straccio, imbarazzante simbolo di fallimento culturale e civile, forse è meglio abrogare le leggi e aspettare i Mondiali per vedere sventolare come si deve la bandiera italiana.

L’Italia si è desta

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Malgrado tutto, non sono un antiitaliano alla Bocca, alla Prezzolini e alla Montanelli e non sono neppure un seguace  delle vacanze  smodate alla Briatore che  anzi mi ripugnano .Io continuo ad amare disperatamente l ‘Italia , come diceva Francesco Carnelutti, grande  avvocato, ma anche grande italiano. E quando l’Italia va male, ci soffro

 

Sta per giungere in aula alla Camera, con qualche decennio di ritardo, la legge che stabilisce come inno ufficiale della Repubblica italiana il Canto degli italiani di Novaro -Mameli ,scelto come inno provvisorio il 12 ottobre 1946 dopo il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica, in seguito al referendum del 2 giugno di quell’anno. I comunisti ,anche supportati dal convertito al PCI Massimo Mila che godeva fama di critico musicale, anche se non riuscì mai a vincere una cattedra universitaria, volevano l’Inno di Garibaldi. Dopo l’ 8 settembre la Marcia Reale era stata paradossalmente  sostituita con la “Leggenda del Piave” che ricorda l’unica gloria militare Italiana culminata nelle vittoria del 4 novembre 1918.Ma forse fu anche un atto di orgoglio nazionale richiamarsi al Piave nel momento del disfacimento dello Stato e di quella che ,forse a torto, venne considerata la fuga di Pescara. Era lo  stesso re che nel 1917 salvo’ l’Italia a Peschiera con la resistenza sul Piave quello che nel 1943 trasferì il governo a Brindisi ,in territorio non occupato, sapendo che con quel gesto impopolare comprometteva il futuro della dinastia sabauda, ma salvava la continuità dello Stato.

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Adesso , dopo mille rinvii e ripensamenti, l’Inno di Mameli forse diventerà inno ufficiale, anche se c’è il solito sciocchino incolto e fazioso che gli oppone  la pur famosa canzone “Sole mio” ,forse per meglio  rappresentare ciò che è diventata l’Italia di oggi senza spina dorsale patriottica :un paese di furbi  disincantati , di mandolinisti, di pizzaioli, di disoccupati, di astenuti schifati e qualunquisti  alle  elezioni, di debosciati, di drogati, di mafiosi, di perseguitati da una giustizia troppo spesso  politicizzata , di evasori e di tartassati fiscali… Un’idea che neppure la Napoli di ” Sole mio” rispecchia perché la canzone esprime la gioia di vivere dei napoletani, espressa nel Sole con la s maiuscola , già amato da Foscolo e Carducci come simbolo di vita.  Certo quella di oggi  e’ un ‘Italia molto lontana da quella di Mameli che mori’  per i suoi ideali risorgimentali. Anche chi canta “Siam pronti alla morte ”  oggi lo fa con  fortissima riserva mentale  e ,in cuor suo ,fa anche le corna .I tempi del popolo di eroi e’ finito, irrimediabilmente finito da tanto tempo con il disastro della guerra perduta. Ci ha tentato Ciampi a  farci sentire orgogliosi di essere italiani, ma è durata poco .

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Il decomporsi dell’Italia che non ha più neppure l’acqua  in misura sufficiente ai suoi bisogni quotidiani  e brucia in incendi spesso dolosi, non consente più alla maggioranza di amarla .E ‘ un’Italia invasa di centinaia migliaia di immigrati economici camuffati da profughi che ci porteranno al collasso. Amare questa Italia non è possibile. Specie se ci si prepara alle vacanze e i pensieri sono rivolti a tutt’altro. Io vorrei invece provare, anche se sono stonato, a cantare o canticchiare sotto voce  l’Inno di Mameli e anche la leggenda del Piave. Malgrado tutto, non sono un antiitaliano alla Bocca, alla Prezzolini e alla Montanelli e non sono neppure un seguace  delle vacanze  smodate alla Briatore che  anzi mi ripugnano .Io continuo ad amare disperatamente l ‘Italia , come diceva Francesco Carnelutti, grande  avvocato, ma anche grande italiano. E quando l’Italia va male, ci soffro. Come sarebbe bello pensare ad un “‘Italia che s’e ‘ desta ” ,come dice il nostro Inno.

SILVIA MEZZANOTTE IN PREGHIERA ALL’ABBAZIA DI CASANOVA

Due giorni di preghiera e ritiro spirituale per Silvia Mezzanotte. Lo scorso weekend la voce storica dei Matia Bazar, vincitrice di ‘Tale e Quale Show 2016’ su Raiuno con Carlo Conti, è stata ospite del Monastero Abbaziale di Casanova a Carmagnola, antica dimora cistercense retta dall’Associazione Onlus ‘Cenacolo Eucaristico della Trasfigurazione’, comunità fondata e animata dal sacerdote cottolenghino torinese Don Adriano Gennari, noto per le potenti preghiere di intercessione a favore di malati e sofferenti, da sempre in prima linea nella lotta all’indigenza con la ‘Mensa dei Poveri’, aperta nel 2008 nel centro storico di Torino di San Salvario, quartiere storico di Torino.

Silvia Mezzanotte, al termine della celebrazione eucaristica svoltasi domenica 23 luglio, ha intonato a sorpresa, accompagnata al pianoforte, una sorprendente versione dell’Ave Maria di Gounod, con un toccante testo scritto di suo pugno, scatenando la commozione dei fedeli presenti, e commuovendosi lei stessa.

“Considero Don Adriano Gennari – ha dichiarato la cantante – un uomo di Dio pieno di energia e vitalità. Ha saputo leggermi dentro, dandomi indicazioni precise su quello che è il mio percorso spirituale attraverso la mia voce”, prima di far registrare la sera stessa a Torino uno strepitoso sold-out sul palco del Festival ‘Parco Dora Live’, muovendosi tra i grandi classici delle migliori interpreti femminili di sempre sia italiane che straniere, e rileggendo con intensità alcune delle pagine più belle dei Matia Bazar, tra gli applausi del pubblico in piedi e i numerosi bis.

Uno spettacolo a metà tra pop e jazz, che ha visto Silvia Mezzanotte protagonista sul palco in quartetto con voce, pianoforte, contrabbasso e batteria.

 

Primo Master internazionale in FoodTech

Presentata la partnership tra il Politecnico di Torino e la Gambero Rosso Academy per il lancio del primo Master che formi professionisti esperti del mondo del cibo, con competenze specifiche nei settori dell’innovazione e dell’imprenditorialità

 

 

 

È stato presentato il nuovo master di I livello in FoodTech, nato dalla partnership tra Politecnico di Torino e Gambero Rosso Academy.

 

Si tratta di un percorso formativo estremamente innovativo, esclusivamente in lingua inglese, che avrà inizio a febbraio 2018 e costituirà un’opportunità unica per scoprire ed approfondire le più avanzate strategie nel campo del Foodtech, dove le nuove tecnologie vengono a rinnovare la tradizionale filiera del cibo, in una visione che spazia dal campo alla tavola. Lezioni dinamiche di business development innovation management, accanto a nozioni di marketing e approfondimenti sul settore food, costituiranno le basi per formare una nuova figura professionale, che unisca la conoscenza del settore specifico a competenze di gestione, innovazione e imprenditorialità.

 

Sotto la supervisione di I3P, incubatore di imprese innovative del Politecnico, e di Startupbootcamp FoodTech, acceleratore internazionale di startup nato in Italia e dedicato esclusivamente al mondo del FoodTech, di cui Gambero Rosso è socio fondatore, gli iscritti avranno l’opportunità di mettere in pratica le conoscenze apprese sviluppando propri progetti imprenditoriali, oppure affiancando imprese partner in progetti dedicati. Lo scopo finale è di realizzare e poi lanciare un’idea di business innovativa per l’industriaalimentare.

“Per il nostro Ateneo questo nuovo Master costituisce una sfida interessante in un settore nel quale la tecnologia e l’innovazione giocano un ruolo sempre più importante”, commenta il Direttore della Scuola di Master e Formazione Permanente del Politecnico Carlo Rafele, che prosegue: “Proporre un corso così innovativo in uno dei settori più qualificanti del Made in Italy, quello del cibo, e farlo in collaborazione con una realtà di primo piano come Gambero Rosso Academy, arricchisce sicuramente la nostra offerta formativa e potrà portare interessanti occasioni di formazione e lavoro, anche nell’ottica della multidisciplinarietà che caratterizza sempre più non solo la nostra attività di ricerca, ma anche la formazione permanente”.

 

“Siamo entusiasti della collaborazione con il Politecnico di Torino per il lancio di questo master, unico nel panorama italiano.” dichiara Paolo Cuccia, Presidente di Gambero Rosso “Il settore agroalimentare ha bisogno di figure specializzate in grado di affrontare e gestire le richieste di un mercato che guarda sempre di più alle tecnologie e alla digitalizzazione. È per questa ragione che il Gambero Rosso ha fortemente voluto la nascita di Startupbootcamp FoodTech il primo incubatore verticale del settore e l’unico di valenza internazionale. Grazie al prestigio dei docenti del Politecnico di Torino e alle competenze dei professionisti del Gambero Rosso siamo certi del successo di questo Master e di coloro che lo frequenteranno.

 

Il sito del Master: https://didattica.polito.it/master/foodtech/2018

Fiamme nel centro città: incendio nell’ex zoo di Torino

La nube di fumo ha invaso piazza Vittorio, giungendo fino al quartiere Vanchiglia

Questa notte, poco dopo le ore 23, un incendio è divampato in uno degli edifici del parco Michelotti, l’ex zoo di Torino. Lo stabile, che un tempo era il rettilario, avrebbe preso fuoco creando così una densa e grande nuvola di fumo che nell’arco di pochi minuti ha invaso tutta l’area in riva al Po, giungendo fino in piazza Vittoria e coinvolgendo gran parte del quartiere Vanchiglia. A prendere fuoco, per cause ancora da accertare, sarebbe stato il materiale plastico accumulato all’interno dello stabile abbandonato, motivo che spiegherebbe il fortissimo odore acre che ha pervaso per tutta la notte parte del centro città. Il repentino intervento dei vigili del fuoco ha fatto sì che l’incendio venisse immediatamente circoscritto, in modo da non creare ulteriori danni. Non ci sono state fortunatamente persone coinvolte, nonostante sia nei mesi scorsi che ancora oggi, l’area in questione venga occupata assiduamente. L’incendio è stato domato dopo la mezzanotte ma non è ancora chiaro se sia stato causato volontariamente da qualcuno.

Turismo:”Torino tornerà la città grigia Anni ’50?”

La fiducia delle imprese torinesi del turismo e del settore alberghiero è, per la prima volta, in calo: -8% circa rispetto all’economia generale rispetto al primo trimestre dell’anno, -7,4% sul volume dei ricavi, -6,7% occupazione e fattori finanziari. Il credito alle imprese da parte delle banche sta leggermente migliorando. La fotografia del secondo trimestre 2017 è dell’Ascom Confcommercio Torino. “Si tratta di un campanello d’allarme, siamo molto preoccupati. I dati confermano il disagio della città, manca un progetto, una visione per il futuro. Torino rischia di tornare la città grigia degli anni ’50”, dice all’Ansa  Maria Luisa Coppa, presidente dell’associazione dei commercianti, che aggiunge: “siamo pronti a un confronto nel territorio con tutti i soggetti che credono nel turismo come una fonte importante di sviluppo, di crescita e di innovazione della città”.

Muore a 14 anni dopo il malore nel lago di Viverone

E’ morto il 14enne di origini marocchine è morto a causa delle conseguenze di un malore che lo ha colpito  nelle acque del lago di Viverone. Il giovane, residente a Settimo Torinese, era stato soccorso da un vigile del fuoco fuori servizio e poi trasportato in elicottero all’ospedale  Regina Margherita, dove è deceduto. Il ragazzo era sulla sponda torinese del lago, ad Anzasco di Piverone, con due amici e il padre di uno di questi, quando all’improvviso è scomparso in acqua. Il vigile del fuoco è riuscito a riportarlo a riva dopo alcuni minuti.

Occupazione e contratti lavorativi

Quotidianamente, da alcuni anni a questa parte, per l’esattezza a partire dall’insediamento del Governo Letta, veniamo mensilmente, per non dire quotidianamente, bombardati dai mass media dai dati sull’occupazione complessiva e giovanile; in quel periodo per chi non lo ricordasse nacque il famigerato tormentone noto a qualunque politico tesserato PD dal titolo “vediamo una luce in fondo al tunnel” che, molto probabilmente, passerà tristemente ai posteri come la sintesi di un quasi decennio italiano di pesante crisi economica, gestita nel peggiore dei modi da un sistema di potere lontanamente inquadrabile nella forma della rappresentatività. Ebbene di questi progressi annunciati a botta di incrementi di zero virgola in zero in virgola se ne sono visti ben pochi, anzi si è registrato il più alto flusso di emigrazione della nostra contemporaneità a partire dal secondo dopoguerra e, se 500.000 italiani in età di lavoro sono andati all’estero in cerca di miglior fortuna, che dire dei 375.000 pensionati che si sono trasferiti a vivere ovunque nel globo, selezionando con cura villette e appartamentini in paradisi esotici a basso costo? La soluzione di questa catastrofe degna di menzione biblica come sempre non si è incardinata su una sana quanto mai necessaria riforma della macchina istituzionale nel suo complesso, sterminando quelle sacche di clientelismo malsano così presenti trasversalmente da Nord a Sud e in ogni istituzione, bensì nello studio alchemico di nuove forme di contratti di lavoro subordinato o meglio non continuativo.

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Chi non ricorda il mago legislatore o forse meglio apostrofarlo, visti i pessimi risultati, stregone nel tirare fuori dal cilindro i famigerati voucher? Definito come buono di prestazione occasionale, superato i CO.CO.CO., il suo uso e soprattutto il suo abuso non ha da parte degli operatori di mercaro risolto la lotta alle retribuzioni in nero, ma, ancor peggio non ha sanato la grave forma di sfruttamento sociale incardinato nella precarietà, a maggior ragione se giovanile. Oggetto di proteste sociali, ancor a più alta voce da parte di chi, una volta eliminato a furor di popolo in quanto strumento iniquo, si è ritrovato senza una formula retributiva per quei collaboratori, specialmente nelle piccole attività, ne ricordo una in particolare, di vendita al dettaglio di pizzi e corsetteria da donna, in cui si presta qualche ora di servizio quotidiano, pur però non rientrando nel tempo parziale. Chissà cosa studieranno i nostri santoni consulenti del Ministero del Lavoro, quale nuova formula (qualcuno direbbe satiricamente di retribuzione derivata o ancora peggio subordinata), per ricordare le mostruose recenti esplosioni delle bolle speculative finanziarie; una cosa è certa: nessuno, sottolineo nessuno, sta mettendo al centro del discorso il Lavoro e il Lavoratore nel senso più alto del termine. Per superare ogni dubbio partiamo dall’origine o meglio dalla A, B, C: il Lavoro viene inteso quale necessità di prestazione d’opera e, nel momento in cui diviene stabile, quale mansione da parte di una figura professionale. Dunque, se il ruolo del Lavoratore all’interno del sistema produttivo diviene imprescindibile all’organizzazione aziendale nel suo scopo di promuovere un bene tangibile o un servizio, è secondo la natura delle cose che tale operatore goda di un contratto a tempo indeterminato. Questa deve essere la regola numero 1, il resto sono solo alchimie distorsive per precarizzare la mansione e, in tal senso, lucrare oltre il sano principio economico della giusta retribuzione e soprattutto della dovuta contribuzione.

 

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Se è vero come è vero che l’Italia ha, tra i molti mali dai quali è afflitta, anche quello dell’aliquota contributiva più alta a livello europeo, non è un bene studiare surroghe di modalità contrattuali in molti casi a favore delle multinazionali così ben ramificate sul territorio operanti nel settore della grande distribuzione: è mai possibile che il commesso di fiducia si sia estinto? Eppure il numero degli addetti nei grandi magazzini o ipermercati è sempre stabile… Ma il problema ancora più grande sta nel fatto che la precarizzazione genera crisi sociale, nel senso che se il giovane, nel pieno del proprio sviluppo sociale inteso anche quale fabbisogno primario di una casa, una macchina,… non può pianificare un progetto di vita, considerato che se non assunto a tempo indeterminato da due anni non troverà nessuna banca disponibile a effettuargli credito al consumo, figuriamoci un mutuo. Alziamo il livello del discorso per cortesia! Ragioniamo da persone mature e intellettualmente oneste, estirpiamo quella tanto atroce mentalità italica di aggirare gli ostacoli, di inventarsi scappatoie bizzarre, per non dire truffaldine, dalle gambe corte: mettiamo al centro il Lavoro, il bene supremo del Lavoro e certamente non esisteranno più razze e religioni o ideologie varie su questi temi: diamo una speranza non solo a questi Giovani ma al Paese stesso! Finiamola di vivere alla giornata e di tirare a campare, nella pubblica amministrazione sopravvivono delle baronie che, nel privato, sono state eliminate da anni, in quanto non più economicamente sostenibili; lo Stato fa l’esatto contrario: più i costi, spesso ingiustificati e ingiustificabili socialmente, sono alti e più si inaspriscono le tasse con effetti perversi sul gettito, vogliamo scomodare i danni provocati dal superbollo al mercato delle auto? Risultato nessuna auto di lusso e nessun superbollo pagato..

Lo Stato cerchi per una volta di essere forte con i forti, la sua funzione, infatti, dovrebbe essere quella di tutelare i deboli dai forti e non il contrario…

 

Carlo Carpi

 

 

Harry’s Bar, ci scrive Cipriani: “Ristorazione, che decadenza”

Arrigo Cipriani, patron del mitico Harry’s Bar di Venezia, ha risposto a Pier Franco Quaglieni che, nella “Rubrica della domenica” pubblicata oggi sul Torinese, aveva scritto sulla decadenza della ristorazione a Torino. Il celeberrimo locale di Venezia è noto per essere stato frequentato da personaggi del calibro di  Arturo Toscanini, Georges Braque, Truman Capote, Charlie Chaplin, Peggy Guggenheim, Orson Welles.

 

LA LETTERA DI CIPRIANI A QUAGLIENI

Gentile Professore,

Ho letto con molto interesse nella Sua arguta rubrica domenicale il pezzo sui ristoranti torinesi  in decadenza. Certamente è causa della crisi, ma anche del decadimento del gusto. Ecco, non solo quelli torinesi sono in decadenza. Allargherei il giudizio a tutto il Paese. La decadenza Bourgeois parte dall’alto. Lei sa dove Renzi ha portato Hollande a pranzo? Ma naturalmente nella tipica trattoria italiana di Bottura. E la Merkel? All’Enoteca Pinchiorri di Firenze, altro gioiello della sintesi nouvelle provinciale.  Appena uscirà la pubblicazione Le invierò un mio libretto che riassume l’argomento di alcune mie lezioni a ca’ Foscari. Il titolo “L’elogio dell’accoglienza”. Nel testo cerco di costruire un ristorante privo di tutte quelle imposizioni che limitano la libertà dei clienti e che sono l’oggetto principale dello sbalordimento narcisistico offerto dai cuochi stellati della Guida dei copertoni francesi.

Un caro saluto e, spero, a presto.

Arrigo Cipriani

L’ARTICOLO DI QUAGLIENI

Arrigo Cipriani controcorrente 
Sono amico di Arrigo Cirpriani , patron dell’harry’s Bar di Venezia, una sorta di nuovo Marco Polo che porta nel mondo il gusto e la cultura veneziani. Qualche anno fa ebbe il Premio Pannunzio, due anni fa ad Alassio il Premio Mario Soldati. Per il Premio Pannunzio andammo al “Cambio” di Torino e fu una grande delusione. Il maestro che è uomo elegante, non disse nulla del cibo, ma a Natale mi inviò un panettone di sua produzione, scrivendomi soltanto: assaggi la differenza. Quello che gli offrimmo era un po’ raffermo, incredibilmente raffermo. Cambiammo ristorante per il Premio dopo tanti anni .Mi spiacque, ma non fu possibile fare diversamente.  Oggi Cipriani governa un piccolo colosso con 400 cuochi e 26 ristoranti nel mondo. In una recente intervista ha dichiarato che “cucina italiana è diventata brutta copia di quella francese . Se la prende con Marchesi , Cracco, Cannavacciuolo, Bottura, Vissani, con i piatti rettangolari , lunghi, storti e le forchette grosse e di forma strana. Esprime odio per i menu degustazione che obbliga a mangiare quello che vuole lo chef . E ovviamente denuncia l’anomalia di chef stellati che non stanno mai in cucina, ma sempre in televisione, anche a fare pubblicità di patatine e di acque minerali. Nessuno come Arrigo ha titolo per denunciare una situazione di degrado impastata a suprema arroganza. Io non vado dagli chef stellati. Li ho provati tempo addietro, ma non mi lascio fregare. C’era un modesto Combal alla frazione Malatrait di Almese ,lungo la strada del Colle del Lys. Si stava benissimo. Era lo stesso cuoco che poi si trasferì, lasciando lo stesso nome, a Rivoli. A Rivoli mi invitarono due volte. Pensavo di trovare la stessa persona, ma la mia era un’illusione. I cuochi stellati non sono più uomini normali. Posso dire che io rimpiango la vecchia trattoria iniziale? Semplice, con pochi piatti semplici e cucinati in maniera impeccabile. Cipriani una volta mi disse che era necessario riscoprire le antiche trattorie ancora rimaste incontaminate dal tempo. Forse non ci sono più anch’esse, neppure in provincia dove il precursore gastronomico per antonomasia Soldati individuava la salvezza rispetto alle città. Oggi anche in provincia, salvo poche eccezioni, si mangia male. Purtroppo. Alla fine io sto riscoprendo l’abitudine antica di mangiar a casa mia; andar fuori a cenare mi è sempre piaciuto molto, ma non accetto più di mangiar male e spesso anche di essere “derubato”.

Pier Franco Quaglieni