Barcellona, bella e  irriverente

Barcellona è la città dei contrasti.  Una città che mescola insieme, nella sua identità, passione e dramma, mitezza ed equilibrio.La capitale catalana,dalle Ramblas al barrio gotico, dalla straordinaria e immaginifica arte di Gaudì sino al Paseo Colòn, con in faccia il mare e dietro alla schiena un intreccio di strade scure, quasi un trait d’union con il porto e le Ramblas

barca ramblas

Barcellona è così. E’ un mix di culture,tradizioni,paesaggi. Uno “shakerato” agrodolce che riempie il palato, gli occhi e la mente. Dall’antico al moderno, dalla tradizione catalana all’innovazione tecnologica più spinta, Barcellona si colloca dentro al milieu della Spagna che – seppure con alti e bassi –  ha ormai archiviato il peso delle sue arretratezze, mettendosi alle spalle l’immagine di paese statico, fermo su se stesso. Viaggia, Barcellona, come una locomotiva gettata a sasso nel futuro. I cambiamenti sono stati davvero tumultuosi ma tutto ciò, nella capitale catalana, è stato pensato e fatto senza recidere le radici. La prova concreta di come una città possa cambiar pelle senza buttar via ciò che è sempre stata: crocevia di viaggi e viaggiatori, di nobili  tradizioni  e di una cultura “povera” che è ben interpretata degli artisti di strada che vivono d’arte ed elemosina.

barca sagradaUna città bella e  irriverente

Barcellona è bella e  irriverente. Del resto, mezza e mezza lo è sempre stata. Sonnacchiosa e popolare in alcune ore del giorno, frenetica e un po’vampira nel far scorrere il sangue giovane durante la lunga e vigile notte. Forse intera e non dimezzabile, poco indulgente e piuttosto orgogliosa della sua “identità”,  lo è stata solo nei confronti del potere. In quel caso si è trovata più o meno concorde nel sapersi difendere o nel mostrare la lingua. Barcellona è  una città capace di essere immaginata e di generare un immaginario tutto barcellonese che Manuel Vázquez Montalbán definiva “trifronte”: la città-capitale vedova e romantica di un impero perduto che avrebbe prodotto una gamma di odi nazionalisti; la città capitana di una rivoluzione industriale, di lotte , prodigi e contraddizioni sociali. Infine, la città peccatrice, portuale, oscuramente minacciosa, in attesa che gli scrittori francesi vi arrivassero per codificarla: Carcò, Pieyre de Mandiargues, Genet. Con un di più tutto suo. Quando Barcellona , capitale della retroguardia repubblicana, si mise in posa per Orwell, Andrè Malraux e Claude Simon, impressionandone a tal punto i ricordi nella loro memoria di vinti che, nel tempo, dai loro esili, recuperarono questo immaginario nei loro lavori. Un idea più precisa? Leggete “Omaggio alla Catalogna” di George Orwell ed avrete una risposta.

barca libroRamblas

C’è un bel libro, scritto da una giovane torinese – Barbara Castellaro – che s’intitola “Ramblas” e racconta una Barcellona  che conferma in pieno il ritratto che ne tracciò il  mai troppo letto Vázquez Montalbán, noto per i romanzi polizieschi che vedono protagonista una sorta di Marlowe mediterraneo come il detective Pepe Carvalho. Quel detective scettico – ex agente, ex comunista, gastronomo e cliente fisso del ristorante Leopoldo di Barcellona – ha fatto di Montalban lo scrittore iberico più conosciuto al mondo dopo Federico Garcìa Lorca e Miguel de Cervantes. Una immagine, la sua, in grado di  rendere l’idea della capitale catalana più di tante  “cartoline” che finiscono per sbiadirsi al sole delle ramblas. Proviano a leggere alcuni “morsi” di questo ritratto carnale :  “ L’eccitante letterario di Barcellona proviene da una particolare relazione spazio-tempo, relazione diacronica e sincronica. Questa città ha storicizzato il meglio del suo passato e ha creato uno spazio barcellonese convenzionale però vivo, pieno di barricate, puttane bevitrici di assenzio, Gaudí vari, sofferenze etiche, ricchi light, poveri solidi, occupanti, occupati, umiliati, offesi;e tutto ciò in una scenografia piena di meraviglie piccine e prossime. Questa relazione spazio-tempo si colloca in centocinquant’anni di storia e in pochi chilometri quadrati di territorio in cui ci fu di tutto e tutto accadde durante i giorni lavorativi e le domeniche in cui tutti quanti andavano alla Rambla a posare per George Sand o per le televisioni europee avide di olimpicità”. Sì, perché i Giochi Olimpici del 1992 hanno sostanzialmente modificato l’immaginario barcellonese. Un po’ come è accaduto anni dopo a Torino dove si sprecavano, nei giorni del “decoubertiano” evento del 2006, gli “oooh!” di stupore per il cambiamento, la bellezza. E’ la prova del rapido cambio di passo, dello scarto del “grimpeur” che decide il momento di alzarsi sui pedali ed andarsene in cerca di fatica (certa)  e, forse, (a volte) di gloria .

barca bouqUn dirigibile verso la Spagna

Barcellona, con i suoi chilometri di porti e spiagge, si presenta come un’offerta del mare libero per l’uomo libero ed è quasi un invito a mettere il naso nelle vie storiche a ricercare quella geografia urbana d’obbligo per il viaggiatore giunto per ammirare Gaudí ed il  gotico, perdersi tra il mercato dei Fiori e quello degli Uccelli, farsi inebriare da profumi, odori e colori della Boqueria, il più grande mercato dell’intera Catalogna . Una città che ha cambiato pelle, come un iguana. La collina del Montjuich ha smesso di essere terra in chiaroscuro per diventare area sportiva; edifici a sé stanti come il Teatro Nacional di Ricardo Bofill, il MACBA (Museo d’Arte Contemporanea) di Meier o l’Auditorio di Rafael Moneo si affannano a mostrare barca bouqueriaprestigio culturale in un contesto urbano di sconcerto visivo o di depressione economica.Del resto le contraddizioni sono generatrici del loro uguale. Barcellona, democratica e post olimpica, da tempo è diventata scenario per una rappresentazione in parte ancora da decidere, predisposta com’è ad accogliere ogni evento universale, poiché non c’è angoscia più insostenibile di quella suscitata dai teatri vuoti. Un po’ come accade in altre città simili e diverse, compresa Torino. Questa Torino che, come cantava Antonello Venditti nell’omonima canzone, datata 1982 ( dall’album “Sotto la pioggia”) “…non è soltanto un nome…è un grande coro di persone” aggiungendo, tra le altre immagini quella di Torino come “un dirigibile verso la Spagna”.

barca gaudiRealtà in divenire,come la Sagrada Familia

Non a caso, si dice, che  i barcellonesi di oggi, come quelli di ieri e di domani, continuano ad avere la sensazione di vivere in una città mai riuscita a combinare un matrimonio veramente riuscito. Descrivere la sensazione al cospetto della nuova e della vecchia scenografia di tutte le Barcellone possibili non è semplice. Un po’ riesce a farlo, mescolando sensazioni personali a riferimenti colti, il già citato “Ramblas” della Castellaro. Una realtà in divenire, come il Tempio Espiatorio della Sacra Famiglia, conosciuto ovunque come la “Sagrada Familia”, con le sue tre facciate dedicate alla Natività, alla Passione e alla Gloria, dove s’intravvede il  geniale sogno verticale del grande architetto catalano. Barcellona porta il segno visionario, sospeso tra sogno e realtà di Gaudì che, tra le tante opere (il Parc Güell, la Casa Milà, più conosciuta con il nome di “La Pedrera” e tante altre) dotò  la Casa Batlló di una facciata originale, fantastica e ricolma di immaginazione. Solo a lui poteva venire l’idea di sostituire l’antica facciata con un nuovo insieme costituito da pietra e cristallo, scolpendo in forma ondulata le pareti esterne, intonacandole con la calcina e rivestendole con il tipico mosaico catalano, il trencadís, costituito da tessere in vetro colorato e dischi di ceramica. Difficile non rimanere a bocca aperta davanti a questa casa , al civico 43 del Passeig de Gràcia. Difficile non rimanere affascinati dal tetto che ricorda la sagoma del dorso di un animale, provvisto di grandi scaglie iridescenti, e dalle grandi vetrate che coprono l’intera larghezza del salone centrale.

barca gatsDalla cuoca di Durruti a“Els Quatre Gats”

Queste Barcellone che si riempiono di turisti e ristoranti, con i primi intenti a consumare tutte le morfologie di una città che li sorprende e li attrae per le sue dimensioni tuttora umane, quasi lubrificate dal mare, consapevoli inoltre dell’offerta gastronomica di una città tanto meticcia in tutte le sue cucine. Compresa quella anarchica di Nadine, giovane cuoca della colonna di Buonaventura Durruti, formatasi tra pentole e mitraglie “en la lìnea del frente” della guerra civile degli anni trenta. Ci sono luoghi dove si gustano tapas a tutte le ore o “prosciutterie” dove
festeggiare davanti a un eccellente piatto dijamòn, serrano, jabugo o di país ( rammentandosi che il jamón in catalano si dice pernil ).Pata negra, Bellota da farsi tagliare a fette dalle mani sapienti di chi sa trattare il prosciutto come nei locali di Enrique Tomás. Ci sono anche alcuni locali storici, a partire  dal “7 Portes”,nato come caffé nel 1836 e ristorante a tutti gli effetti dal 1929: 180 anni di storia, apprezzato per la sua paella, gustata a quei tavoli anche da Picasso, Mirò, Ernesto Guevara (il “Che”) e Juan domingo Peròn.  In riva al mare, in Calle Almirall Cervera, a Barceloneta, c’è il Salamanca, pronto a servire pietanze di mare mentre un discorso a parte merita “Els Quatre Gats” ( i quattro gatti), bar/ristorante inaugurato il 12 giugno 1897 nel Carrer Montisió. Un luogo squisitamente bohémienne, dove si cena benissimo e si pranza altrettanto bene ad un prezzo del tutto popolare. “Els Quatre Gats” era frequentato anche dal giovane Picasso che proprio tra quei tavoli ottenne il suo primo incarico di lavoro disegnando la copertina dei menù.

barca footIl Barça è  “più di un club”

Persino il calcio – qui – non è mai stato solo calcio. Nei  colori delle maglie “blaugrana” del Barcellona c’è sempre stato quell’orgoglio repubblicano e  catalano che il franchismo cercò di soffocare in tutti i modi, dalle bombe alle discriminazioni. Il 6 agosto 1936, il presidente del Barcellona, Josep Sunyol, un industriale dello zucchero di fede repubblicana, catturato dai franchisti nella Sierra di Guadarrama, venne fucilato sul posto  senza processo; poco meno di due anni dopo, della storica sede sociale in Calle Consell de Cent , colpita da un bombardamento aereo notturno, non restarono che le macerie. E se oggi il business della palla tonda avvolge tutto e prevale su tutto, mostrando i volti di Lionel Messi e Neymar,  non si può dimenticare che, alla fine degli anni trenta e per molto tempo ancora, sventolare i colori blu e granata poteva significare  guai molto seri con la Guardia Civil. Durante il governo falangista era stata persino vietata la produzione di bandiere catalane (gli indipendentisti, da sempre su posizioni anarchiche o comuniste, e comunque gran parte dei catalani, avevano infatti lottato duramente contro i franchisti nella Guerra civile spagnola del 1936). Le bandiere perciò del Barcellona e in particolar modo la maglia rigorosamente (e a quei tempi provocatoriamente) “blau i grana” divenne una sorta di tentativo di riscatto del popolo catalano contro il regime del Generalissimo. Da qui discende la rivalità con i “blancos” madrileni, le meringhe del Real, emblema calcistico della capitale spagnola che contava, all’epoca, la dichiarata simpatia di Francisco Franco e del regime, fino al punto d’essere investita dal “Caudillo” del titolo di “squadra ideale“. Non c’è da stupirsi se ancora oggi “el Clásico”,  tra Real e Barça, rimane il match più seguito e atteso in tutto il paese. Dunque, il Barça è  “più di un club”, secondo l’espressione coniata da un suo presidente, Narcís De Carreras, già negli anni Venti. Una squadra che è stata “l’esercito disarmato della Catalogna”. L’autore di questa definizione fu lo scrittore e giornalista Mánuel Vázquez Montalban, che scriveva anche: “braccio epico di un paese senza stato e senza esercito, le vittorie del Barça somigliavano a vittorie di Atene contro Sparta”. E non è il caso d’aggiungere altro.

barca olimpiaL’altra olimpiade

Barcellona doveva ospitare anche un’altra Olimpiade, quella “popolare” , programmata dal nuovo governo del Fronte Popolare dal 22 al 26 luglio  del 1936 nella città catalana. Indetta come contromanifestazione rispetto agli XI Giochi Olimpici di Berlino, ospitati dall’ 1 al 16 agosto di quell’anno dalla Germania nazista. Conosciuti anche come “giochi antifascisti“, non furono mai disputati a causa della sollevazione militare franchista, iniziata il 17 luglio, che diede avvio alla guerra civile spagnola. L’invito per l’Olimpiade Popolare fu rivolto a parecchie nazioni in tutto il mondo e la manifestazione si sarebbe dovuta concludere sei giorni prima dell’inizio delle olimpiadi di Berlino. Barcellona visse con passione e frenesia la preparazione di quell’evento: il villaggio olimpico fu allestito in vari alberghi mentre il programma dei giochi comprendeva, oltre alle classiche discipline sportive, anche competizioni di scacchi, danze popolari, musica e teatro. Circa  sei mila atleti da ventidue diverse nazioni si iscrissero all’Olimpiade Popolare, ma la maggior parte era proveniente da Stati Uniti, Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio, Cecoslovacchia, Danimarca, Norvegia, Svezia e Algeria (allora sotto controllo francese); un caso particolare era poi quello delle squadre tedesca e italiana, formate da atleti in esilio. Di tutti i partecipanti, molti furono mandati da sindacati, unioni di lavoratori e partiti della sinistra. Sul manifesto che annunciava la cinque giorni, allo scopo di  sottolinearne il carattere antirazzista , erano stati raffigurati tre atleti distinti per il colore della pelle.


Da Santa Maria del Mar al Montjuïc

La storia, dunque, scorre come un filo elettrico sotto la pelle di Barcellona, scuotendola. Ma, al barca ramblasnetto di tutto questo, sono davvero tante le cose da vedere, dal museo con la collezione di opere di Ricasso al  Poble Espanyol , sulla collina del Montjuïc, costruito in occasione dell’Esposizione Universale del 1929, proponendo gli edifici rappresentativi di 15 delle Comunità autonome spagnole. All’interno del Barrio Gotico , nella Ciutat Vella, si fa notare la bellissima Cattedrale di Sant’Eulalia, dedicata alla patrona della città. La neogotica chiesa di  Santa Maria del Pi e la gotica Santa Maria del Mar, sono altrettanti gioielli. Da Plaça Catalunya, il centro della città moderna, scendendo verso il Porto Antico, c’è la Rambla, sempre colma di gente, in un viavai che non conosce sosta.

Le bombe italiane del 1938

Gli italiani ora sono, per lo più, turisti. E tanti. Ottant’anni fa, nel 1936, e nei tre anni a seguire della guerra civile spagnola che fu la prova generale della Seconda guerra mondiale, teatro del primo scontro armato tra fascismo e antifascismo, vide gli italiani – le camice nere di Mussolini da un lato, e gli oppositori del regime dall’altro – impegnati su entrambi i fronti. Anche a Barcellona. Una città dove, come scrisse Orwell “ bastava guardarsi attorno per essere sorpresi e soggiogati. Era la prima volta che mi trovavo in una città dove la classe operaia era saldamente in sella. Praticamente tutti gli edifici, piccoli o grandi che fossero, erano stati occupati dagli operai ed erano pavesati di bandiere rosse o di quelle rosso-nere degli anarchici. Lungo le Ramblas, l’ampia arteria centrale della città percorsa avanti e indietro da un costante flusso di folla, gli altoparlanti lanciavano a tutto volume canti rivoluzionari nel corso dell’intera giornata e fino a notte fonda”. Mio nonno era tra coloro che – da volontari – accorsero, con le brigate internazionali antifasciste, a difesa della Repubblica. Che città conobbe? Cosa trovò a Barcellona, dopo aver combattuto sul fonte del Jarama e a Guadalajara? Non credo fosse in città quando,  tra il 16 e il 18 marzo del 1938, gli aerei italiani del corpo di spedizione che appoggiava il generale Franco sganciarono le loro bombe su Barcellona. La “nostra” aviazione fece in tutto 17 missioni sulla città , sganciando circa 50 tonnellate di bombe: nessuna era mirata a obbiettivi militari. A causa della sorpresa e dell’impreparazione a difendersi da una guerra aerea, gli attacchi italiani causarono quasi mille morti e diverse migliaia di feriti. Una pagina scura, disonorevole.

 

Da Dolores Ibárruri ad Ada Colau

 barca ibarruri

Invece mio nonno, di questo sono certo, a Barcellona c’era quando – nell’autunno del ’38 –  su pressione delle democrazie occidentali impegnate nella politica di “non intervento”, il governo repubblicano decise il ritiro dal fronte delle Brigate Internazionali. I viali di Barcellona videro sfilare, sabato 29 ottobre 1938, i volontari nella “despedida”, la parata di addio, salutati da un veemente e indimenticabile intervento di Dolores Ibárruri, lapasionaria” :Di tutti i popoli, di tutte le razze, veniste a noi come fratelli, figli della Spagna immortale,e nei giorni più duri della nostra guerra…foste voi, valorosi compagni delle Brigate Internazionali,che contribuiste a salvarla con il vostro entusiasmo combattivo,il vostro eroismo e il vostro spirito di sacrificio. Immagino abbia risposto anche lui, con un grido strozzato dall’emozione e dal pianto, come tutti: “No pasarán”, non passeranno. Era stata una libera e volontaria scelta andare là, e me ne parlò prima di morire, trent’anni dopo. Un ricordo forte, orgoglioso, che veniva “da dentro”. Le cose, ovviamente, non andarono come s’auguravano lui e gli altri, a partire dai barcellonesi. Ma mi piace pensare che ora, ascoltando Ada Colau, sindaca di Barcellona dal 13 giugno 2015, annuirebbe compiaciuto, convinto che sì, comunque ne fosse valsa la pena.

Marco Travaglini

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