L’art. 18 di Donat-Cattin e lo Statuto che servirebbe oggi

LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo

Uno degli elementi portanti e costitutivi dello storico “Statuto dei lavoratori” varato nel maggio del
1970 non fu soltanto aver portato “La Costituzione nelle fabbriche”, come disse nel dibattito alla
Camera il “Ministro dei lavoratori” dell’epoca, Carlo Donat-Cattin. Ci fu un altro elemento che
qualificò quella legge che ha segnato in modo indelebile e profondo la legislazione democratica e
riformista sul lavoro nel nostro paese. E quel tassello fu l’introduzione, appunto, dell’art. 18 che
impediva, di fatto, il licenziamento dei lavoratori nelle aziende che avevano oltre 15 dipendenti.
Norma che fu ritoccata pesantemente prima dalla riforma Fornero e poi da quella varata da Renzi
con il jobs act riducendolo ad un semplice indennizzo.

Ora, è di tutta evidenza che nessuno vive di nostalgia o di solo rimpianto. Certo, l’azione e
l’iniziativa politica e di governo di Donat-Cattin, leader della sinistra sociale della Dc, non hanno
più avuto eguali nella storia democratica del nostro paese. Seppur nel rispetto di tutti i Ministri del
Lavoro che si sono succeduti quella riforma ha segnato la legislazione del mondo del lavoro, la
condizione concreta dei lavoratori e anche, e soprattutto, le relazioni tra le parti sociali. Una
riforma che, al di là del trascorrere inesorabile del tempo, continua ad essere una bussola di
riferimento per chi crede che i principi costituzionali debbano trovare una seria ed organica
cittadinanza nei luoghi di lavoro. In tutti i luoghi di lavoro. Al di là e al di fuori dell’art. 18 che il
capo della cosiddetta “rivolta sociale”, ovvero il segretario generale della Cgil Landini, vorrebbe
ripristinare. Posizioni, come quella di Landini, che sono comunque lontane anni luce rispetto
all’approccio riformista e democratico di uomini e statisti statisti come Donat-Cattin. Pur nella
radicale diversità dei rispettivi contesti politici, culturali e sociali.

Ma, al di là di queste considerazioni e del dibattito un po’ surreale sull’art.18 – al centro,
comunque sia, della prossima consultazione referendaria – quello su cui sarebbe necessario
avviare una riflessione seria ed argomentata è la necessità di riscrivere un nuovo “Statuto dei
lavoratori”. Partendo, come ovvio e scontato, proprio dallo Statuto varato nel 1970 che conserva
una straordinaria modernità anche nell’attuale contesto del mondo del lavoro seppur ad oltre 50
anni dall’approvazione di quello storico documento. Ma per potere centrare quell’obiettivo sono
necessarie due condizioni di fondo. Da un lato una precisa volontà politica del Ministro del Lavoro
e dell’intero Governo e, dall’altro, un’azione del sindacato che sia ispirata ad un vero ed autentico
riformismo. Cioè l’esatto opposto di quello che pratica oggi lo storico sindacato rosso, ovvero la
Cgil. Solo attraverso un riaggiornamento e una rivisitazione, partendo però dai pilastri essenziali
dello Statuto votato nel 1970, sarà possibile far decollare una nuova legislazione che deve fare i
conti con le condizioni dei lavoratori da un lato e la dinamica dei nuovi lavori dall’altro. Senza
accampare le ormai stucchevoli pregiudiziali ideologiche e politiche della Cgil o la solita strategia
dell’opposizione del “tanto peggio tanto meglio” cara, purtroppo, a molti settori della sinistra
contemporanea

Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Articolo Precedente

Interruzioni per lavori su alcune strade provinciali

Articolo Successivo

Torino in piazza per l’Europa

Recenti:

IL METEO E' OFFERTO DA

Auto Crocetta