Il pane a scuola

IL COMMENTO 

di Pier Franco Quaglieni

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La preside del liceo “Regina Margherita”  sta dimostrando una fermezza e un equilibrio nel governo della  sua scuola che mi ricorda i tempi del preside Roberto Berardi, futuro ispettore centrale del ministero della PI, un esempio unico e forse dimenticato.   Colgo l’occasione per aggiungere che Berardi andrebbe ricordato al “Regina”. Il Liceo  ha avuto  anche nella sua lunga  storia come preside il prof. Alonge che consentì  agli allievi di dar sfogo alla loro creatività, lo dico con ironia, che portò alla devastazione dei locali  con dei costi altissimi di ripristino, sicuramente non pagati dai genitori. Pagine belle e brutte di ogni scuola degli ultimi decenni del secolo scorso. Adesso la preside è oggetto di critica perché i genitori pretendono che i loro figli nel giorno del ritorno pomeridiano a scuola possano mangiare in istituto. Gli studenti e ovviamente le studentesse – guai a non citarli ambedue, magari con tanto di * come fanno al “Cavour” e persino il rettore non più molto magnifico dell’Università -hanno pranzato in aula senza porsi il problema  dello smaltimento dei rifiuti. La preside ha rimesso il problema del pasto al Consiglio di istituto che deciderà. Essa  vive concretamente la scuola e si rende conto del problema del personale e del fatto che la presenza di studenti fuori dall’orario di lezione  evidenzia responsabilità da parte della scuola.
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Questo episodio di cronaca mi  porta a raccontare una “soluzione” al problema quando ero giovanissimo professore incaricato  in un liceo il  cui preside, per ottenere il massimo consenso dagli allievi, non solo consentì i pasti agli studenti a scuola, ma obbligò  i docenti a turno a pasteggiare con gli studenti al fine di “socializzare”, portandosi da casa il “barachin”, come gli operai della Fiat quando non c’erano ancora le mense. Usò proprio la parola socializzare, il pover’uomo. Fior di professori si piegarono all’ordine  del capo di Istituto e arrivarono a scuola con il quartino di vino. Fui io solo  a rifiutarmi categoricamente per 4 anni di pranzare a scuola, sostenendo il diritto di pranzare dove ritenessi e soprattutto che tra i doveri del docente non c’era quello di assistere ai pasti degli allievi, socializzando. Per obbedire chiesi un ordine scritto (che  in realtà non arrivò mai), dichiarando che lo avrei impugnato nelle sedi competenti, come feci quando venne imposta la bollatrice contro la quale avviai in solitaria una battaglia che vinsi e che  portò alla sua rimozione, essendo l’unico strumento  legale di accertamento della presenza di un docente il registro di classe. La bollatrice serviva per bidelli e impiegati, forse per il dirigente scolastico, ma non i docenti.
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Piccole battaglie a tutela della dignità professionale dei professori che i sindacati confederali consentirono, se non favorirono, di  poter calpestare. La Cgil propose follemente le 36 ore impiegatizie per i docenti che svolgono un mestiere atipico e non comparabile con quello del personale non docente. Da quanto leggo la preside del Liceo “Regina Margherita” ha la schiena diritta e sa vedere nella scuola un luogo in cui si spezza soprattutto, se non esclusivamente, il pane della cultura.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com
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(foto di copertina: Facebook)
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