IL PUNTASPILLI di Luca Martina
L’Europa è sempre stata considerata dagli Stati Uniti un po’ come il proprio cortile di casa, dove scendere solo quando il troppo rumore che ne proveniva non consentiva di riposare.
Ad oggi i tragici eventi europei stanno provocando modesti problemi agli inquilini della “casa” che però non possono certamente ignorare la minaccia posta loro dalla “risovietizzazione” della Russia di Putin.
Il signore del gas (il 17% di quello mondiale) e del petrolio (l’11% del totale) sta scuotendo con le sue azioni (e le reazioni/sanzioni generate) i mercati finanziari ma quello statunitense rimane quello meno impattato (pur dopo un inizio d’anno che si ascrive per Wall Street come il peggiore da molti anni a questa parte).
Uno dei fattori di maggiore destabilizzazione, dal punto di vista economico, è stato finora l’aumento del prezzo del gas (e del petrolio) ed è qui che l’Europa è stata pesantemente impattata, a differenza del continente americano.
Il mercato del gas è estremamente regionalizzato: non esiste un vero e proprio mercato mondiale, a causa gli elevatissimi costi sostenuti per trasportare (tramite nave) la materia prima da un continente all’altro.
Questo non aveva comunque impedito ai prezzi del gas di muoversi all’interno di una banda relativamente stabile e di allinearsi su livelli simili sino all’inizio del 2010 quando lo si poteva acquistare tra i 5 dollari negli Stati Uniti, i 7 in Asia e in Europa e i 10 in Giappone.
Da allora in poi il mondo del gas non sarebbe più stato lo stesso.
Lo sviluppo delle tecnologie per l’estrazione e la salita del prezzo del greggio al di sopra dei 100 dollari, all’inizio del decennio scorso, hanno reso conveniente lo sfruttamento degli enormi giacimenti di petrolio e di gas di scisto (estratto a 2-4.000 metri di profondità da uno strato di rocce argillose) sul territorio americano.
Per effetto della nuova produzione, gli Stati Uniti hanno così acquisito nel giro di pochi anni una virtuale indipendenza energetica (producendo internamente quanto loro necessario) ed il prezzo del gas sul mercato domestico è sceso al di sotto dei 3 dollari.
Nello stesso periodo i prezzi del gas si muovevano in direzione opposta, al rialzo, sia in Europa, fino a 12-13 dollari, a causa della liberalizzazione del mercato e dell’inizio dello smantellamento delle centrali nucleari tedesche, ed in Asia, sfiorando i 20 dollari, dove alla chiusura degli impianti nucleari giapponesi (similmente alla Germania, dopo l’incidente di Fukushima) si aggiungevano i problemi alle stesse in Corea e la rapida (e molto energivora) crescita economica cinese.
Quello che è successo negli ultimi anni non ha fatto altro che ampliare a dismisura la forbice tra il costo del gas naturale negli Stati Uniti (tornato ai 5 dollari, gli stessi livelli dell’inizio del 2010) ed il resto del mondo.
A soffrire maggiormente è, come i tragici eventi di questo periodo ci stanno insegnando, principalmente il nostro continente.
Il prezzo del gas è passato da noi dai circa 50 dollari dell’anno scorso ai 255 dollari (per le consegne di aprile) di oggi (7 marzo).
E’ probabile ancorché auspicabile, che la salita parabolica degli ultimi giorni si riveli una fiammata violentissima ma temporanea.
Il prezzo è estremamente volatile e prontissimo ad adeguarsi alle mutate condizioni economiche e geopolitiche: già a dicembre dopo essere raddoppiato (a 130 dollari) si era dimezzato (a 63 dollari) nella, sfortunatamente vana, speranza che i venti di guerra si stessero allontanano.
Il rischio che, ancora una volta, ad accendere la miccia di una recessione economica sia una crisi energetica non è certamente da escludere.
La situazione evoca, infatti, preoccupanti dejà vu con quanto avvenuto nel 1973 (la guerra dello Yom Kippur tra i Paesi Arabi ed Israele), nel 1979-80 (la rivoluzione iraniana e la guerra Iran – Iraq), nel 1989 (la prima guerra del Golfo, iniziata con l’invasione irachena del Kuwait) e nel 2001-2003 (l’attacco delle torri gemelle dell’11 settembre 2001 e poi l’esplosione della seconda guerra del Golfo).
Come ricordava il celebre economista statunitense Jeremy Rifkin “Il regno dei cieli potrà anche essere fondato sulla giustizia ma quelli terrestri sono fondati sul petrolio”.
La durissima lezione che stiamo ancora una volta subendo noi europei è che l’eccessiva dipendenza dalla “benevolenza” dei nostri fornitori di energia costituisce un enorme costo economico, un insostenibile svantaggio competitivo (rispetto alle aziende statunitensi) ed una seria minaccia geopolitica.
Speriamo che la lezione che stiamo subendo possa insegnarci qualcosa e consentirci così di prepararci meglio ad un futuro sempre più incerto.
Perché, purtroppo, la guerra è vecchia quanto l’uomo e la pace è solo un’invenzione moderna…ancora tutta da perfezionare.
Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE