Ho commesso il terribile errore di chiedere ai miei studenti che cosa pensassero della storia dell’arte, mi hanno risposto in coro che non serve a niente e che non capiscono perché devono studiarla.
Mi hanno anche chiesto se gliela spiego per punirli di qualche comportamento tenuto in classe. Non sto a dirvi che ho riso per non piangere. Nel XXI secolo non siamo ancora in grado di capire quanto l’arte sia importante per l’uomo, tanto più che l’Italia è il paese che detiene il maggior numero di siti inclusi nella lista del patrimonio mondiale Unesco: sono 55 quelli riconosciuti “patrimonio dell’umanità” e 12 quelli iscritti nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale.
Il turismo legato all’arte in Italia produce (o produceva fino a poco tempo fa) ingenti entrate economiche al nostro Paese, le meraviglie che il nostro territorio ospita richiamano l’attenzione di moltissimi visitatori stranieri, i quali osservano, si stupiscono, fotografano e vivono l’importanza dell’arte italiana attraverso un’esperienza sentita e immersiva. Non so se si potrebbe dire lo stesso di noi “compaesani”. Ormai “abituati” alla grandezza del Colosseo, alla perfezione della Valle dei Templi, alla preziosità di Pompei ed Ercolano, passeggiamo indifferenti tra le bellezze che il resto del mondo ci invidia, incapaci di “vederle”, le ignoriamo, quasi volutamente, ci basta sapere che sono lì e proseguiamo oltre.
Tale indifferenza deve quantomeno turbarci, i reperti artistici sono testimonianza diretta e concreta della Storia, non renderci conto della loro importanza significa dimenticarci di ciò che stato, nel bene e nel male.
Certamente un concetto difficile da spiegare, così come è arduo convincere i ragazzi che l’arte non è quella materia inutile, prosieguo naturale dell’intervallo o al massimo tempo a disposizione per ripassare o copiare i compiti delle altre discipline. A loro discolpa si può dire che in effetti si è sempre dato poco peso a tale argomento, siamo stati abituati a vivere l’arte come qualcosa di non concreto, che si può approfondire in un secondo momento e, soprattutto, come qualcosa di lontano da noi e dal nostro quotidiano, che in poche parole non ci tocca. È un discorso complesso e che potrebbe arricchirsi di molte altre sotto-questioni e riflessioni puntigliose, e dato che non è questo il luogo adatto per continuare tale controversia, mi limiterò a dire che per fortuna, ogni tanto, c’è qualcuno che non solo non la pensa così, ma che decide di dedicare tutta la sua esistenza all’arte e al suo ruolo primario all’interno della memoria collettiva. Più di tutti, a portare avanti tale impresa fu Carlo Argan, studioso torinese, autore di una sconfinata produzione letteraria, tra articoli, saggi e volumi scolastici, il quale per tutta la vita inseguì le sue passioni per l’arte e per il disegno, tanto da diventare un punto di riferimento per tutti gli appassionati e gli esperti della materia. I testi di Argan sono delle “pietre miliari”, averli, leggerli e studiarli è un passaggio necessario e obbligato per chi vuole saper parlare di arte. Io stessa mi sono imbattuta nei suoi scritti, e ho trovato nelle sue lezioni una solida base per la mia formazione. Certo non è facile leggere Argan, egli non semplifica ciò che per natura è complesso, ma affronta ogni argomento con lucidità, chiarezza e puntualità, così da rendere il discorso fluido e preciso, senza tralasciare alcun dettaglio. Quando si prende in mano un suo volume non bisogna avere fretta, né eccessiva paura, solo tanta voglia di imparare da uno dei maestri più grandi.
Egli nasce a Torino, il 17 maggio 1909, da Valerio Argan, economo del Manicomio provinciale di via Giulio, (Torino), e Libera Paola Roncaroli, maestra elementare. L’infanzia di Carlo è tutt’altro che rosea: il primo conflitto mondiale imperversa e devasta la vita di tutti, e, inoltre, il lavoro del padre costringe la famiglia a vivere all’interno della struttura manicomiale; il costante contatto con i dottori e “la follia” spingono il piccolo Argan verso atteggiamenti seriosi e razionali.
Da bambino Carlo frequenta le scuole elementari De Amicis e Sclopise subito sviluppa un forte interesse per il disegno, passione che lo condurrà verso una breve carriera di pittore e illustratore.
Tra il 1919 e il 1924 è iscritto al Ginnasio del Liceo Cavour, a Torino, e ha come compagni Albino Galvano, con cui inizia a dipingere, Fernando De Rosa e Mario Sturani, amico di Cesare Pavese e valente pittore.
In seguito Carlo tenta di entrare da privatista all’Accademia di Belle Arti di Torino, la sua iscrizione non viene accettata, ma si avvicina ad artisti del calibro di Luigi Onetti e Venanzio Zolla. La “sconfitta Albertina” lo porta a continuare gli studi presso il Liceo Classico Cavour (1924-1927), dove ha come docente di Storia dell’Arte Giusta Nicco, allieva di Lionello Venturi, figura che sarà per sempre il suo principale punto di riferimento; uno zio intanto lo avvicina alla lettura dei testi di Benedetto Croce. Imperterrito nel perseguire i suoi interessi pittorici, Carlo riesce a partecipare alla LXXXIV Esposizione Nazionale della Società Promotrice di Belle Arti di Torino, anche grazie a Felice Casorati, del quale inizia a frequentare la scuola di pittura. Nel 1926 collabora come illustratore alla rivista per ragazzi “Cuor d’oro” e inizia ad avvicinarsi allo studio di Luigi Colombo, in arte “Fillia”, legato al secondo futurismo torinese e aperto all’architettura razionale e ai movimenti d’avanguardia.
Terminati gli studi cavourrini, Carlo si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, ma ancora una volta la sua antica passione lo spinge in un’altra direzione: dopo aver seguito una lezione di Lionello Venturi su Manet, egli lascia Giurisprudenza e si iscrive a Lettere. Determinante l’assidua frequentazione del gruppo di giovani riunito attorno ad Augusto Monti, tra cui Cesare Pavese, Leone Ginzburg e Norberto Bobbio, che si incontrano al caffè Rattazzi o nello studio di Sturani. Particolarmente importante è anche l’amicizia con i compagni storici dell’arte Anna Maria Brizio, Mario Soldati e Aldo Bertini, anche se –come abbiamo detto- la figura per lui più importante rimane Lionello Venturi, in particolar modo negli anni di apprendimento metodologico e militanza critica.
L’ultima tesi discussa da Venturi, prima del rifiuto del giuramento fascista e della conseguente emigrazione in Francia, è proprio quella di Argan, intitolata “La teoria di architettura di Sebastiano Serlio” (13 giugno 1931).
L’ esordio letterario di Argan risale a prima della discussione della tesi, poiché riesce a pubblicare due articoli, il primo concernente la lettura cromatica e anticlassica di Palladio, il secondo sul pensiero critico di Antonio Sant’Elia. Particolarmente significative sono le sue prime collaborazioni con riviste come “La Rassegna musicale” di Guido M. Gatti, “La Nuova Italia” di Luigi Russo e, soprattutto, “La Cultura” che, dopo la morte di Cesare De Lollis e la chiusura de “Il Baretti”, diventa il punto di riferimento degli intellettuali torinesi.
Dopo la laurea, Carlo ottiene una borsa di studio del Rotary Club di Torino; nel dicembre 1931 vince la borsa per la Scuola di perfezionamento in Storia dell’Arte a Roma, e diviene assistente volontario dell’accademico Pietro Toesca. A partire dal 1933 Argan inizia a frequentare la biblioteca di Palazzo Venezia e soprattutto quella Hertziana, luogo in cui stringe amicizia con studiosi tedeschi insieme ai quali si dedica alla stesura di diverse note critiche a libri editi da professori legati al nazismo e fascismo.
Nel 1932 ottiene l’abilitazione per l’insegnamento di Storia dell’Arte negli istituti medi di istruzione e nel 1934 consegue anche la libera docenza per tenere corsi all’Università.
Tra le collaborazioni più importanti ricordiamo quella con Giuseppe Pagano e Edoardo Persico riguardo al tema dell’architettura moderna, ormai intesa oltre i limiti dello standard di Le Corbusier e in sintonia con le conquiste dell’impressionismo.
Nel luglio 1933 Argan vince il concorso per Ispettore aggiunto, presso la Galleria Sabauda di Torino. L’incarico è interrotto per il servizio militare, durante il quale viene trasferito prima a Trento e poi a Modena. In questa città egli dirige per un anno la Galleria Estense, portando avanti sia progetti di riordino delle collezioni, sia piani di protezione in caso di attacco aereo; importante è anche la precoce sperimentazione di radiografie per la conoscenza e il restauro dei dipinti.
La carriera amministrativa prosegue con il trasferimento presso la Soprintendenza alle Gallerie di Roma, poi, nel 1935, con la promozione al grado di Ispettore. L’anno successivo, il ministro dell’Educazione Nazionale Cesare Maria De Vecchi lo promuove Provveditore agli Studi, invitando Argan a trasferirsi ad Alessandria, dove resta fino al 1936. Egli viene nominato Soprintendente di 2ªclasse e di nuovo trasferito a Roma, dove entra alle dipendenze del Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti Marino Lazzari sotto il nuovo ministro Giuseppe Bottai, del quale è uno fra i collaboratori piùimpegnati nella serie di riforme legislative e dell’assetto amministrativo della tutela dei Beni Culturali.
Successivamente Carlo assume il ruolo di segretario di redazione di “Le Arti”, rivista ufficiale della Direzione Generale delle Arti, nata a seguito della soppressione del “Bollettino d’Arte”. Nella rivista egli scrive a sostegno di artisti contemporanei come Carlo Carrà, Arturo Tosi, o Lucio Fontana, e intorno al dibattito sulla città e l’architettura razionale.
Al ruolo ufficiale nell’Amministrazione si accompagna un costante impegno politico, come dimostra il legame con l’ambiente artistico milanese della rivista “Corrente” e la protezione di amici ebrei dopo l’emanazione delle leggi razziali.
Nel frattempo prosegue il suo interesse sui temi della scuola e dell’educazione. A proposito di problemi didattici pubblica vari saggi come “Educazione artistica” (1938), “Le università e la cultura”, “L’insegnamento della Storia dell’Arte nel liceo classico” (1942).
Dall’immediato dopoguerra alla nomina a sindaco di Roma, avvenuta nel 1976, Argan continua a occuparsi di tutela e valorizzazione dei Beni Culturali, di ricerca storica e divulgazione e di militanza critica a sostegno delle correnti artistiche più avanzate. La vastità e la complessità della sua azione si basa su una visione programmatica che è insieme storica, critica, politica e sociale.
Anche dopo l’uscita dall’Amministrazione, Carlo continua il suo impegno in difesa del patrimonio artistico, con la lunga permanenza nel Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti. Convinto della funzione educativa dell’arte, egli prosegue anche la carriera nel settore dell’insegnamento. Dopo il ritorno di Lionello Venturi nel 1945, gli viene affidato il corso di Storia della Critica d’Arte al Perfezionamento dell’Università di Roma «La Sapienza»; nel 1947 tiene lezioni presso il “Warburg Institute” di Londra; per molti anni porta avanti diversi corsi presso l’Università per stranieri di Perugia e partecipa a varie conferenze sia in Italia che all’estero.
Nel 1955 vince il concorso per la cattedra universitaria di Palermo, trasferendosi però poi a Roma. Non va tuttavia dimenticata la sua importanza internazionale, come dimostra la sua costante presenza ai corsi della Fondazione Cini di Venezia e ai convegni del “ComitéInternational d’Histoire de l’Art” (del quale diviene membro per l’Italia dal 1958, nonché eletto presidente nel 1979). Essenziali, negli anni Cinquanta, i suoi numerosi saggi e libri di storia dell’arte rinascimentale e barocca, che rileggono l’arte e l’architettura attraverso la sociologia dell’immagine. Negli anni Sessanta egli approfondisce le teorie sociologiche sull’arte e la città, le cui riflessioni rientrano pienamente nel volume “L’Europa delle capitali”(1964). Grandissimo successo ha il manuale per i licei “Storia dell’arte italiana” (Sansoni, Firenze 1968), in tre volumi, seguito da “L’arte moderna 1770-1970”, con tre milioni e mezzo di copie vendute. Per Argan l’arte è una storia particolare all’interno di una storia più generale, civile e politica, essa è “determinata e determinante”, la storia dell’arte va inserita nella storia sociale, di cui non è un riflesso, ma un elemento di trasformazione. Importanti pubblicazioni evidenziano il contributo di Argan per l’arte e per l’architettura “moderne”.
Egli si oppone alle correnti della Pop Art, del New Dada, del NouveauRealisme, dell’Arte di reportage e poi dell’Arte povera. Le posizioni di Argan si fanno sempre più sfiduciate sul futuro dell’arte, tanto che, nel 1963, riprende la teoria hegeliana della morte dell’arte per portarla a conseguenze legate alla contestazione della società di massa.
Impossibile sintetizzare l’azione intellettuale, molteplice e variegata, di Argan nella cultura italiana del Novecento.
Nel 1975, dopo un grave infarto e una lunga convalescenza, Argan decide di accettare la candidatura come “indipendente” nelle elezioni al Comune di Roma dell’estate 1976; la ricerca di una soluzione tra DC e PCI per concordare il primo sindaco non democristiano del dopoguerra si concentra sull’autorevolezza del suo nome e così il 9 agosto è eletto sindaco di Roma. I tre anni del suo impegno per la Capitale, interrotto per ragioni di salute nel settembre 1979, si collocano in un momento particolarmente difficile e violento della scena politica, che ha il suo apice nel tragico rapimento di Aldo Moro.
Tra le principali azioni politiche da primo cittadino vi sono la lotta contro l’abusivismo edilizio, i problemi delle borgate, la vita delleperiferie e le attività culturali cittadine, in particolare l’avvio delle “estati romane” e il recupero del centro storico.
Nel giugno 1983 Berlinguer gli chiede di candidarsi alle elezioni politiche e Argan diviene senatore per la IX Legislatura, venendo poi rieletto nella X Legislatura e rimanendo in carica fino al marzo 1992.
Nei suoi interventi, si distinguono la determinazione nella difesa del patrimonio artistico e la necessità di riforma delle leggi di tutela e un maggiore collegamento col mondo della scuola e dell’Università.
L’attività di studioso viene costantemente portata avanti attraverso conferenze, saggi, e articoli: egli scrive sulle pagine dei più importanti quotidiani e riviste.
Nel 1959, riceve il conferimento da parte dell’Accademia Nazionale dei Lincei del “Premio Antonio Feltrinelli per la critica dell’arte”; nel 1967 vince il XIV “Premio europeo Cortina-Ulisse” (per il volume “Progetto e destino”, Milano 1965); nel 1976 è insignito della “Medaglia d’oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte”; nel 1983 gli è conferito il titolo di Professore Emerito alla “Sapienza”di Roma. Numerosi sono anche i riconoscimenti da parte di istituzioni italiane e straniere, come la nomina ad Accademico dei Lincei, di San Luca, delle Scienze di Torino, del Belgio.
Una vita dedicata all’arte, quella di Carlo Giulio Argan, un uomo che ha compreso l’essenzialità del patrimonio artistico e la necessità di preservarlo, che ha combattuto strenuamente per tutta la propria esistenza per diffondere la cultura in generale e soprattutto per insegnare l’importanza della Storia dell’Arte come strumento per comprendere la Storia, sia quella passata che quella contemporanea.
Chissà cosa penserebbe degli attuali programmi ministeriali, in cui le ore di arte sono solamente due e non sono presenti nemmeno in tutte le tipologie di scuole?
Alessia Cagnotto
Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE