Oltre la parità femminile

Premettendo che la condizione femminile attuale appare come frutto di una discrepanza tra l’evoluzione e lo sviluppo generale di specie e l’evoluzione specifica di genere.

Liberarci dalla condizione atavica che ci vede costrette alla sudditanza dalla forza maschile, non è cosa di pochi decenni, per millenni, infatti, il concetto stesso di differenza naturale tra i generi, che sarebbe invece da valorizzare e comprendere, è stato piegato dal solo principio animale più antico, che vede il più forte prevalere, ed il più debole soccombere, caratterizzando quindi la gerarchia delle famiglie in modo semi-permanente nell’immaginario della specie umana.

Rimane attualmente uno strascico, più o meno forte, di questo retaggio culturale attraverso una condizione psicologica che entrambi i generi devono impegnarsi a modificare, condizione che non potrà evolvere fino a quando non si individueranno le modalità per supplire ad una diversità oggettiva che non converrebbe a nessuno rinnegare.

Il presupposto per creare effettivamente un equilibrio volto al miglioramento stesso della condizione umana come specie, è sicuramente l’abolizione del concetto di “parità” con l’introduzione del concetto più appropriato di “equità”.

Per anni si è ricercata e fortissimamente voluta la parità tra i generi, ispirati da un sacrosanto miraggio che ha portato ad ottimi risultati, quali il diritto di voto e la parità dei diritti civili, ma superata la fase prodromica all’effettivo, si incontra la necessità di introdurre un fattore più specifico ed adatto che non può prescindere dal considerare, conoscere e valorizzare le diversità oggettive della natura del genere femminile.

La specificità del dramma del lock down dovuto all’epidemia COVID 19, ha reso manifesto il divario sociale ed ha accentuato la distanza che ad oggi persiste tra il genere maschile e quello femminile.

Oltretutto, nell’immaginario specifico, anche in situazioni di alto livello culturale, economico e sociale, all’interno delle quali si è raggiunto un ottimo livello di parità, spesso si tende a sottovalutare le situazioni di disagio che invece persistono, si tende a non riconoscere più come problematica diffusa la differenza salariale o la tutela della donna e della madre a livello lavorativo ed all’interno della famiglia; questa mancanza di obiettività, sta producendo due diversi livelli di percorsi evolutivi che però risultano controproducenti l’uno per l’altro (ci troviamo di fronte a lotte poste su livelli scandalosamente diversi, da una parte chi deve raggiungere dei veri e propri diritti sulla persona, soprattutto dopo l’arrivo dei figli, e dall’altra la ricerca della formula perfetta che vede addirittura plausibile la difesa dell’uomo dalle vessazioni femminili).

Il dialogo volto all’emancipazione definitiva da parte della donna, non può non prescindere dall’affrontare approfonditamente le diversità che ci appartengono cercando di valorizzarle in modo serio e oggettivo. Questo metodo potrà quindi portare non tanto alla parità, che metterebbe le donne nuovamente in posizione di svantaggio, bensì all’equità che solo l’essere umano in quanto tale, può arrivare a sviluppare come concetto assoluto, diversificandolo da ogni altra specie.

La diversità è già considerata in alcune sue forme, soprattutto giuridiche.
Consideriamo difatti valido il fatto che troviamo giustissimo, in un processo per omicidio da parte di un uomo, prendere atto delle aggravanti, in quanto tali, per azioni subite da vittime donne, quindi presumibilmente inermi di fronte alla forza maschile.

Le differenze oggettive non sono solamente fisiche, bensì naturali nel suo più ampio significato del termine, basti pensare alla gravidanza, all’istinto materno, alla condizione psicologica che si crea durante la gravidanza , il parto, l’allattamento, lo svezzamento, tutti fattori psicofisici esclusivamente femminili che è assurdo continuare a non prendere in considerazione nella misura corretta.

Per intenderci, nel gestire l’arrivo di un figlio, non si deve pensare alla tutela della lavoratrice e del datore di lavoro in quanto tale , ma introdurre finalmente qualcosa di molto più equo, in pratica la soluzione non è introdurre lo stesso congedo parentale, snaturando quindi completamente la condizione oggettiva della donna, ma la valorizzazione e la tutela proprio delle fasi ancora troppo poco considerate di questo processo, che vede come protagonista il corpo e la mente femminile, che essendo mezzo per l’evoluzione della specie e prodromiche alla crescita del bambino, abbiamo il dovere, in quanto donne e uomini, di innalzare alla posizione che gli spetta di diritto.

Questa è in assoluto la sfida di questo secolo, la sfida che le donne e gli uomini di questo tempo devono impegnarsi a portare avanti per poter dire davvero di aver fatto un passo nell’evoluzione della nostra specie.

Lucrezia Eleonora Bono

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