Binasco ha cambiato faccia ai “classici” di un tempo

“Rumori fuori scena” ha inaugurato la stagione del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

Un tempo Molière e Shakespeare, magari il vivere lento e appannato degli antieroi cecoviani, classici doverosi e irriducibili, oggi può essere benissimo Rumori fuori scena ad aprire le danze di una stagione teatrale, come succede allo Stabile torinese, credo soprattutto per le scelte ardite e irriverenti del suo direttore artistico, Valerio Binasco, senza che nessuno abbia nulla da ridire. O forse qualcuno, al di là dell’assicurato divertimento liberatorio della serata, ancora sì. Perché a quel qualcuno pare ancora strano che il testo di Michael Frayn – circa quarant’anni sul groppone se ricordiamo la data del debutto, 1982, al Lyric Theatre di Londra (dieci anni dopo Peter Bogdanovich ne avrebbe tratto un film con Carol Burnett, Michael Caine e Christopher Reeve) – possa avviarsi ad essere considerato un classico, come quegli illustri predecessori. Ma è così, con nostra buona pace: e quello che non troppe stagioni fa poteva far storcere il naso ad un pubblico in cerca di rassicurazioni, oggi può permettere sonni tranquilli. Mettendo il titolo, inoltre, nella corrente dei tanti ormai classicissimi Feydeau (privato tuttavia della patina di pretesa signorilità che in quell’autore faceva da ossatura) che andarono a rovistare tra i vizi e le virtù dei cugini francesi a cavallo del Novecento; ed elevandolo ad esempio metateatrale, dove uno sguardo al mondo dei palcoscenici, pirandelliano ad esempio, sfocia in riflessioni che vanno ben oltre quinte, praticabili e riflettori.

Noises off è la fotografia del pressoché abbrutito frantumarsi di una compagnia teatrale che nel primo atto è alle prese con l’ultima prova prima del debutto della commedia “Niente addosso”, un definitivo redde rationem con i vuoti di memoria e con quegli oggetti di scena che all’ultimo non stanno mai al loro posto, con l’attore che si porta appresso il suo problema d’alcolismo e che non perde occasione per trovarsi un angolo dove farsi un goccetto, con quell’altro che è appena stato lasciato dalla moglie, con gli amorazzi e le gelosie che nascono un giorno dopo l’altro, con la lente a contatto che trova un angolo nell’occhio della giovane quanto svampita attrice e viene data per inesorabilmente persa. Il tutto sotto lo sguardo del regista che tenta a fatica di ammorbidire questa o quella situazione, con i suoi innumerevoli quanto scontati “amore” e “tesoro”. Il secondo atto è un paio di mesi dopo e la platea s’atteggia a voyeur, posta com’è – in un piccolo capolavoro di comica finale – a curiosare nel dietro le quinte in un clima sempre più sgangherato, tra amori finiti e tradimenti temuti, tra dispetti e sguardi indiscreti, tra equivoci e disastri annunciati. Di materiale ce ne sarebbe già abbastanza per avere un quadro più che completo: ma Frayn preme sul pedale dell’assurdo con esiti davvero divertenti per cui l’ennesima replica non teme ostacoli. Lo spettacolo può ben essere rovinato se questo serve a mettere al tappeto il collega, le litigate a scena aperta possono ben servire a qualcosa, a chi può interessare se un attore quasi si rompe l’osso del collo o se per l’entrata di un personaggio si presentano in scena in tre.

Frayn ha ereditato con grande sfacciataggine il piacere dell’ingranaggio, il meccanismo ben oliato, il ribollire frenetico della situazione e della battuta, i tempismi perfetti delle tante porte che in vivacissima continuazione s’aprono e si chiudono (la scena è qui di Margherita Palli) e Binasco, divertito discolaccio pronto a ricoprire il dolciastro come il subdolo che c’è nel regista di questa farsaccia sempre in procinto di rovinare a terra, s’è appropriato del testo per ricercarne ogni occasione e ogni attimo che potessero scendere allo stomaco dello spettatore di oggi. Nessun pensiero a disturbarci, soltanto seduti in poltrona a dimenticare le noie della giornata. Ha dato ritmo, ha fatto tutto un fuoco d’artificio, ha spremuto gli effetti comici: e ha messo ogni cosa nelle mani di un gruppo d’attori, tutti (anche se poi a fine serata chi scrive si ritrova a segnalare le prove di Milvia Marigliano, di Andrea Di Casa e della spericolata Francesca Agostini), che sono senza se e senza ma quei “personaggi”. Senza i loro salti tripli il risultato non sarebbe quello che abbiamo visto. Repliche sino a domani sul palcoscenico del Carignano: da mercoledì prossimo lo spettacolo si trasferisce al Piccolo di Milano, tempio della grande prosa italiana ed europea, e poi una lunga tournée. Impensierirà qualcuno l’arrivo di Rumori fuori scena, 130’ di assoluto divertimento?

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini, copyright Photo Giampiero Assumma, nell’ordine: Valerio Binasco e Francesca Agostini; Andrea Di Casa e Milvia Marigliano; una scena d’insieme del 2° atto; Nicola Pannelli, Elena Gigliotti, Valerio Binasco e Milvia Marigliano

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