“Atomica”: al Teatro Astra il mostro nel paradosso della luce

Dopo il grande successo di “Dracula”, la stagione 2025-2026 del TPE Teatro Astra, “Mostri”, prosegue fino al 7 dicembre prossimo con la pièce “Atomica”, uno spettacolo di Muta Imago con la regia di Claudia Sorace e la drammaturgia e il suono di Riccardo Fazi. Sul palco, i bravissimi e intensi Alessandro Berti e Gabriele Portoghese hanno dato vita al carteggio tra Claude Eatherly, giovane pilota texano che dà l’approvazione definitiva allo sgancio della bomba atomica che colpì Hiroshima, l’unico della missione a sentire il peso della colpa, e il filosofo tedesco Gunther Anders, portando in scena uno spettacolo necessario, contemporaneo nella maestria di urlare disperatamente il presente richiamando il passato, evocando inoltre quella mostruosa caratteristica del potere, quando si trova a dover perpetuare sé stesso, nell’affrontare con tanta leggerezza criminale il possibile utilizzo, come oggi accade, dell’ arma nucleare.

Il tema dominante nella pièce sembra essere quello della ferita insanabile, uno strappo al di là di ogni aiuto che colpisce Eatherly e l’umanità intera, di cui diventa simbolo. Il giovane pilota rappresenta la trasfigurazione di un fantasma che vive nel cono d’ombra della luce proiettata dal mostro. Una luce, quella dell’esplosione atomica, che acceca, cancella e annichilisce, favorisce il buio della coscienza disinnescando l’impeto di ribellione, costruisce il proprio significato attraverso un’ immagine, tristemente nota, priva di linguaggi universali che possano comprenderla e accettarla: il fungo atomico, la cui forma disegnata rappresenta anche il recinto di “The Bomb”, leggendaria poesia di Gregory Corso in cui le parole, scontrandosi come atomi, danno vita a una reazione in versi che causa delirio, simbolo della follia umana. La sensazione, fin dall’inizio dello spettacolo, è quella di trovarsi di fronte alla caduta del miltoniano Lucifero di “Paradise Lost”, di condividere il folle paradosso della sua sofferenza, il tonfo bestiale di chi, caricatosi sulle spalle il peso dell’ombra, è precipitato generando la luce di Dio.

Forse il mostro è un’entità che supera i confini del bene e del male, del buonsenso e della scelleratezza. Forse è possibile trovarlo, attenendosi al tema della pièce, in quella lingua di terra che separa la radiazione sperimentata da Marie Curie per la lotta al cancro da quella finalizzata allo sterminio di massa. Il mostro è quella frattura che divide, è la scintilla, l’istante che cambia la storia. Sarebbe troppo facile, fin banale, riconoscerlo in quanto male. Il “monstrum” è anche lo spirito divino, il prodigio, quella geniale consapevolezza d’aver accettato la morte, il disfacimento nostro e quello dell’altro, la violenza, i soprusi, la tortura. Il mostro è la ferita che l’umanità si autoinfligge, una dimensione di domande che rappresentano esse stesse la risposta, sofferenze e colpe di cui siamo a conoscenza e che, per qualche motivo, accomunano sia la vittima che il carnefice. Uomini, nella ciclica ristrutturazione dell’ignoto, nel mito di domani.

Lo spettacolo, consigliatissimo, prende la forma di un viaggio onirico e visivo nella psiche del protagonista, che affronta i fantasmi di un complesso di colpa soggettivo che diviene collettivo. Una riflessione sulla perdita dell’innocenza di un mondo che, dal 6 agosto 1945, è costretto a confrontarsi con la minaccia della propria fine.

Gian Giacomo Della Porta

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