Al Festival Internazionale dell’Economia continuano i numerosi incontri con il contributo, tra gli altri, di economisti, sociologi, statistici, demografi, scrittori e psicologi a confronto sulle grandi sfide che il nostro tempo ci riserva e che le generazioni più giovani dovranno vivere e affrontare. Il titolo di questa edizione del Festival è infatti “Le nuove generazioni del mondo”
Ieri mattina al Teatro Carignano Viola Ardone, docente, scrittrice, editorialista de La Stampa in dialogo con la giornalista Letizia Tortello ha offerto il suo punto di vista sfaccettato nell’incontro dal titolo “Essere giovani in un mondo fragile”.
Letizia Tortello apre con un affondo netto: “Tra l’instabilità globale crescente di cui non si vede la fine, le guerre, siamo passati attraverso una pandemia, una diseguaglianza economica stabile, una crisi climatica, i legami sociali che si in deboliscono sempre di più. Ecco, vorrei partire dai numeri del sondaggio del Global Flourishing Study di Harvard che racconta la felicità delle nostre generazioni. È un sondaggio aggiornato all’anno scorso, ma insomma direi che le cose non sono tanto cambiate in meglio per alcuni fattori. Risulta che la visualizzazione plastica della felicità è sempre stata quella di una U. Quindi da giovani felici poi nell’età adulta con dei problemi, quindi la curva appunto discendente, per poi risalire nell’età più matura con una ritrovata nuova felicità, una stabilità maggiore. E invece da questo sondaggio molto recenteviene fuori che quasi la metà della generazione Z dice di sentirsi spesso o sempre ansioso. Cioè, i giovani dicono di essere più stressati rispetto agli anziani. E questo non lo dicono loro, ma sono i numeri che lo dimostrano e più soli rispetto alle generazioni precedenti e quindi questa U si trasforma in una J. E allora volevo proprio chiederti questo: che cosa ci raccontano, che cosa ti raccontano i giovani di questo mondo che gli abbiamo impacchettato e infiocchettato per venire al mondo?”
Viola Ardone ci offre con la sua risposta una contronarrazione:
“Intanto il titolo che ho voluto dare a questa chiacchierata è un po’provocatorio, per immaginare anche una contro narrazione rispetto a quello che è diventato uno stereotipo dei giovani fragili dei giovani bamboccioni, dei giovani violenti che sono tutti bulli, menefreghisti che sono tutti ossessionarti dal telefonino, non hanno prospettive. Questa fragilità dei giovani che è diventata anche un po’ un alibi, una foglia di fico. Ma è una narrazione che serve più a noi adulti che a loro. Come a dire: non siamo noi che gli abbiamo consegnato una scatola vuota, un pupazzo senza corda, nel futuro, ma sono loro che sono fragili e quindi la colpa è loro che sono tarati male e hanno una fragilità intrinseca e quindi di fronte alle difficoltà vanno in pezzi. Io siccome sono una grande sponsor dei ragazzi della nuova generazione, perché li io osservo, li vedo perché ne conosco anche un po’ tutte le criticità come tutte quelli che lavorano nella scuola come me. Chi ha figli adolescenti anche, conoscendoli vediamo un po’ che il paradigma è molto diverso. Ovvero, il mondo si è un po’ infragilito per le cose che dicevi tu, anche perché quella autostrada del futuro che era prospettata alle altre generazioni in cui c’era più o meno un iter definito, il conseguimento di alcuni titoli di studio, la laurea, l’ingresso nel mondo del lavoro, l’ingresso nel mondo della famiglia, tutto questo è diventato più fluido. Il nostro poi è un paese in decrescita ormai dal punto di vista demografico. Quindi in questo mondo che è diventato un po’ più instabile loro secondo me si stanno fortificando. Cioè non è fragilità la loro, è una capacità di assorbire colpi in maniera diversa. Anche la questione dei telefonini e dei social, io sono molto d’accordo con la proposta fatta anche ultimamente da Macron e altri leader europei di vietare il telefonino fino ai 13 anni. Però è anche vero che poi la proibizione per chi passa? Passa sempre per le famiglie. È vero e i ragazzi hanno un legame spesso patologico con i telefonini efaticano a distaccarsene. Loro vengono raggiunti dalle stesse notizie, sollecitazioni che raggiungono noi adulti, mentre per le generazioni precedenti non era così, cioè c’erano una bolla d’infanzia e una bolla di adolescenza per cui poi tramite l’acquisto del giornale, il quotidiano, il telegiornale si parlava in famiglia e si entrava nelle problematiche più adulte gradualmente e se ne parlava a scuola. Ora, quella bolla dì protezione non c’è più perché come arrivano a me le notizie anche inquietanti e tremende, così arrivano anche a loro. E questo in qualche modo li rende anche più tosti più forti.”
GIULIANA PRESTIPINO
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