Già dal titolo – Il lago d’Orta, storia di una rinascita – il libro scritto da alcuni ricercatori che hanno lavorato al Cnr e in altre istituzioni scientifiche (Marina Manca, Piero Guilizzoni, Rosario Mosello e Maurizio Gentilini) si presenta come un affascinante viaggio alla scoperta del secondo lago piemontese ( l’11° in Italia). Di origine glaciale e definito da viaggiatori e scrittori come il più romantico specchio lacustre del Bel Paese, ha visto le sue sponde testimoni e protagoniste delle varie stagioni dello sviluppo dell’Italia postunitaria, dalla prima rivoluzione industriale di fine Ottocento all’essere una delle mete turistiche più gettonate. Purtroppo le sue acque furono vittima a partire dagli anni venti del secolo scorso di un pesante inquinamento dal quale si sono affrancate nel tempo grazie a una nuova coscienza ambientale ed ecologica che impose, attraverso la ricerca scientifica e le sue applicazioni tecnologiche – una grande opera di risanamento sul finire degli anni ’80 con l’intervento di liming coordinato dall’Istituto per lo studio degli ecosistemi del Cnr. Il libro nasce dall’esigenza di fare memoria su questa originalissima vicenda e sulla storia del lago d’Orta che si è sviluppata nell’arco di due secoli. Circa un centinaio di anni sono trascorsi dall’inizio dell’inquinamento: lo 0,5% della durata complessiva della vita del lago, formatosi al termine dell’ultima glaciazione, nel Pleistocene. In questo geologicamente breve spazio temporale si è assistito ad uno dei più devastanti inquinamenti delle acque lacustri segnalati dalla bibliografia limnologica mondiale, per lunghi decenni, come scrivono gli autori, “ignorato o falsamente spacciato come anomalo fenomeno naturale”. Questo, è bene ricordarlo, in assenza di leggi adeguate a tutelare le acque naturali dagli inquinamenti e di organi di controllo in grado di denunciare quanto stava accadendo.
La Bemberg, azienda tessile di Gozzano, scaricava rame nel lago, immettendo ogni anno circa 2.000 tonnellate di azoto in forma ammoniacale. Queste sostanze davano luogo a reazioni chimiche che provocarono una grave acidificazione delle acque e la scomparsa della fauna ittica. Nonostante le denunce circostanziate e precise di due grandi scienziati limnologi come Rina Monti (1930) e Edgardo Baldi (1949) che segnalarono ripetutamente quanto stava accadendo, solo negli anni ’70 e ’80, con la legge Merli, con l’istituzione di organi di controllo e con la costruzione di due impianti di depurazione, si determinarono le condizioni per una sostanziale diminuzione degli scarichi. L’enorme massa di inquinanti accumulata, unita ai ridotti apporti idrici dal bacino imbrifero del lago, rendevano tuttavia molto lungo il tempo di recupero. Il trattamento di liming accelerò notevolmente questo processo, eliminando gran parte della tossicità delle acque. Più lungo e complesso fu il processo di recupero di un equilibrio ecologico nelle acque, con l’avvio del ristabilimento di una rete trofica che potesse dirsi in qualche modo equilibrata e alla ricostruzione di un popolamento ittico in grado di sostenere nuovamente una pesca sportiva e professionale. Su questi temi il Cnr di Pallanza, una delle grandi eccellenze della scienza e della ricerca italiane, è fortemente impegnato con studi sull’evoluzione dei popolamenti e sperimentazioni per tentare di accelerare i processi naturali. I processi di ripopolamento del lago, lenti per loro natura, sono ostacolati da organismi invasori, specie “aliene” o alloctone che, approfittando del vuoto creatosi nella rete trofica, si sono insediate nel lago in virtù di strategie riproduttive particolarmente efficaci. Le considerazioni che il libro propone riguardano i danni che inevitabilmente derivano in assenza di leggi e controlli ambientali, lasciando via libera ad attività produttive che permettono un lucro a spese dell’ambiente naturale e storico. Nel volume che esamina la rinascita del lago d’Orta gli autori hanno riassunto i progressi faticosamente fatti in questo senso, dapprima con leggi nazionali, quindi con provvedimenti dell’Unione Europea. L’inerzia e i ritardi hanno permesso nel tempo irrimediabili scempi in campo ambientale, dei quali gli eventi del Lago d’Orta costituiscono un caso esemplare.
“ Se è vero che tali avvenimenti saranno sempre ricostruibili a partire dalla memoria interna al lago stesso attraverso l’archivio sedimentario – sostengono i ricercatori – altrettanto non può dirsi per le vicende umane che li hanno accompagnati durante il lungo percorso che ha portato fino ai giorni nostri. Essi sono indissolubilmente legati alla vita e alle opere di coloro i quali di questo lago hanno fatto l’oggetto di studi e ricerche, lungo un percorso storico che ha le radici nell’esistenza stessa dell’Istituto di Pallanza”. Così, la ricostruzione delle vicende evolutive dell’Orta, della sua morte biologica e della sua rinascita, si intrecciano con la vita e le opere dei personaggi che nel tempo si sono avvicendati alla guida dell’Istituto Idrobiologico di Verbania. E di quelli che ne hanno portato avanti le ricerche: tecnici, ricercatori, studenti che con il loro lavoro hanno costruito quella gigantesca mole di dati e documenti che rappresentano un’eredità oggi da curare e valorizzare. Inizialmente poco compresi e considerati per il loro lavoro, nonostante i numerosi tentativi di rendere le loro risultanze accessibili al vasto pubblico, i protagonisti delle ricerche sul lago, si sono allargati a comprendere centri di ricerca in Italia e nel Mondo, molti dei quali collegati, quanto meno per le loro origini, all’Istituto stesso. Con il libro – Marina Manca, Piero Guilizzoni, Rosario Mosello e Maurizio Gentilini – hanno voluto dare visibilità alle istituzioni, alle persone e ai personaggi che del lago hanno documentato l’esistenza e la morte, pianificato il recupero, accompagnato la rinascita, in sostanza facendone la storia. Gli studiosi che hanno ereditato il testimone delle ricerche sull’Orta oggi godono di ampio credito, ancora una volta considerando questo lago come ambiente ideale per studi pionieri e l’applicazione di tecniche di avanguardia. Il recupero della qualità delle acque lacustri e di tutte le sue utenze, unita alle bellezze naturali ed artistiche presenti sul territorio, permetterà un ulteriore sviluppo di un turismo sostenibile e attendo all’ambiente. Infine, la lezione che deriva dalla storia del lago d’Orta deve fare riflettere sulle sfide future, riguardanti non solo quel lembo di territorio al nord del Piemonte ma ogni realtà. Gli autori rammentano come sia “enormemente aumentata la potenzialità dell’uomo e delle sue macchine di incidere sull’ambiente, attingendo a combustibili fossili con l’emissione in atmosfera di ingenti quantità di biossido di carbonio, ossidi di zolfo e azoto. Gli effetti sull’ambiente e sulla qualità della vita sono già ben evidenti, ma gli sforzi per fronteggiare la situazione non sono arrivati a risultati degni di nota. La grande differenza rispetto agli eventi del passato riguarda l’estensione delle aree interessate, prima limitate a porzioni di territorio, ora estesa all’intero pianeta”. Una bella sfida, impegnativa quanto necessaria, alla quale questo libro e la passione di chi l’ha scritto offrono un contributo qualitativamente notevole.
Marco Travaglini
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