IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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Il 1975 fu un anno orribile della storia italiana (solo il ‘77 e il ‘78 furono peggiori per gli assassini di Casalegno e di Moro) perché la violenza della contestazione gruppettara stava imperando in modo selvaggio. Fu l’anno in cui, chiamato dal prof. Emilio Papa a tenere il mio primo seminario alla Facoltà di Scienze politiche di Torino sui due manifesti degli intellettuali fascisti ed antifascisti di Gentile e Croce scritti nel 1925, mi trovai in seria difficoltà perché una parte degli studenti si era iscritto solo perché con il seminario veniva fiscalizzato l’esame. Malgrado i miei sforzi volti a condurre il seminario su una direttrice rigorosamente storica, come era stato il libro di Papa sui due manifesti del 1958, ci furono tentativi di introdurre in modo rozzo temi politici legati all’attualità che non avevano nessun legame con il Seminario. Ci fu persino chi obiettò in modo ridicolo che non si doveva parlare di Gentile che era stato con Mussolini anche a Salò. Fui fermissimo nell’impedire o almeno a contenere interventi inappropriati. Più che un seminario fu una serie di mie lezioni, il che mi rivelò nel giro di pochi anni il decadimento degli studi universitari. Pochissimi studenti a conclusione del seminario furono in grado di elaborare una ricerca che avesse anche un minimo di valore scientifico. Anche in ragione di ciò Papa volle intervenire ad un colloquio conclusivo del seminario in cui emerse la tendenza ad “attualizzare” il tema.
Ma il 1975 fu per me anche un periodo di insegnamento in un istituto superiore di Torino con sede nella precollina torinese nel quale un soviet di professori ex sessantottini tentò, riuscendovi, di creare un clima politico irrespirabile, complice un preside allora vicino al “Manifesto” destinato ad una lunga traversata del deserto che lo portò tanti anni dopo a finire a destra. Quando entrai la prima volta in quella scuola, vedendo tutti in giacca a vento (solo io avevo il cappotto),mi domandai se stessero tutti tornando dalla montagna. Capii poi che era una uniforme come l’eskimo. Il Soviet impose votazioni per alzata di mano su tutti i temi su cui i docenti dovevano esprimersi, l’abolizione dei libri di testo a vantaggio di striminzite e improvvisate biblioteche di classe, l’abolizione delle lezioni frontali sostituite con i gruppi di studio durante i quali i professori leggevano il giornale. Una docente disse che lei riteneva la lezione una imposizione dall’alto di tipo fascista che andava abolita in una scuola davvero “democratica”.
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Fu un disastro con la scuola occupata per un altissimo numero di giorni da una esigua minoranza di studenti esaltati. Fu davvero un fatto eccezionale che non capitarono incidenti gravi perché le premesse per la violenza c’erano tutte. Ovviamente l’anno scolastico fu totalmente improduttivo e si concluse con una promozione generalizzata. Fu un vero peccato che penalizzò gli studenti provenienti da famiglie non abbienti i quali avrebbero potuto avvantaggiarsi della scuola per la loro crescita culturale e civile. Fu un anno perso per centinaia di studenti che furono presi in giro dalla demagogia più greve. Il clima di intolleranza fece sì che per alcuni mesi anch’io chinai la testa silenziosamente ,anche attanagliato da problemi personali che angustiarono molto quel periodo Dopo qualche mese con alcuni colleghi ritirammo su la testa e, nei limiti del consentito, ci ribellammo al Soviet anche perché il preside si rese conto che così non si poteva andare avanti. A Torino non si arrivò mai alle chiavi inglesi che uccisero Sergio Ramelli, anche se il rogo a cui fu condannato lo studente Roberto Crescenzio, resta a testimoniare una pagina indegna di cronaca torinese in cui fu coinvolta “Lotta continua” . Il clima di certe scuole torinesi, rileggendo come si viveva nelle scuole milanesi, non era molto diverso. Anche all’Università vivemmo anni bui. Le mie in modi non confrontabili furono due esperienze indimenticabili anche a 50 anni di distanza.