“Discreto, riservato, gentile”, questo era Silvano Gherlone, punto di riferimento alla Davico

Negli spazi della Galleria Fogliato, fino al 29 marzo

 

“Quel passage fra piazza Castello e piazza Carlo Alberto, così parigino, così infallibilmente borghese, un mondo da sempre, dalle origini, di ieri, una flânerie che ha il respiro di un’educazione antica, canforata, sobria, eppure non avara di leggerezza di ‘médisances sublimes’, di passi non irregimentati…”.

Così quelli che sono quasi i “versi” di Bruno Quaranta, con Sabatino Cersosimo e Gianfranco Schialvino a rendere omaggio a un luogo concepito nelle architetture di Pietro Carrera e nelle decorazioni di Casanova e Rubino, nell’apertura di un cielo – lassù, il rifugio torinese di Nietzsche -, la galleria dovuta alla Banca dell’Industria Subalpina ma per tutti i torinesi “del Romano”, un tempo cafè chantant dove anche il filosofo scendeva a distrarsi il pomeriggio, dove Gozzano e le “signore e signorine” sceglievano le paste da Baratti, dove trovi oggi il ristorante e la scelta perfetta dei vini o les affiches d’antan, dove da poche settimane la Luxemburg s’è spostata a offrire libri e colazioni impiegate a sfogliare pagine, dove fino a ieri in piena fortuna entravi alla Davico, divenuta adesso unico occhio spento di rinnovate vetrine, pronta a cogliere anch’essa, dal buio, il dibattito tra verzure sì e verzure no; e a un uomo, Silvano Gherlone, che la Davico la aprì nel 1971 e avrebbe deposto le armi nel 2004, “una bomboniera gioiello foderata di velluto color tortora”, annota la memoria di Schialvino critico e amico, “l’ambiente ideale, il paradigma del successo e dell’affermazione”, delineando “la filosofia della galleria”, fatta di “qualità, perfezione ed eleganza” che s’allargano in prestigio e signorilità e stile, una filosofia che accoglieva i grandi maestri contemporanei come le leve più recenti, con un gusto che oltrepassava i compiti primi di un gallerista e sconfinava nel “supporto” e nell’”amicizia”. Così Cersosimo, che di quell’amicizia godette per lunghi cinque anni, e certo ancora oltre, dal 1999 al 2004, in qualità di assistente, scolaro riflessivo e onnivoro, prima che prendesse la via della capitale tedesca “per rinnovare la mia ricerca artistica”. Ancora Schialvino: “Una luce per ogni quadro, fu opera dell’architetto Danilo Nubioli e, assolutamente innovativo per l’epoca, ancora oggi resterebbe attualissimo (il progetto dell’ambiente, ndr) per quella che è stata per anni una delle più belle gallerie d’arte della città”.

“A Silvano. 35 anni alla Galleria Davico” s’intitola la mostra – negli spazi della Galleria Fogliato di via Mazzini sino al 29 marzo, fatta di una lunga gestazione, “un’idea condivisa con gli amici Anna Lequio e Fiorenzo Sarzano” – che i tanti artisti e collezionisti e critici contaminati dalla sua signorile amicizia gli hanno voluto dedicare a circa quattro anni dalla scomparsa. Palpabile, quella amicizia, ancora durante l’inaugurazione che s’è svolta nei giorni scorsi, aneddoti e pensieri e suggestioni, i “mi ricordo quando” che fioccavano, l’importanza dell’”io ci sono stato”, di un tempo che ancora nell’occasione hanno ritrovato la propria ragion d’essere. Una ‘recherche’ nella vita di ognuno. Una lunga sequenza, un interminabile nastro artistico, settanta nomi a testimoniare un’epoca, la convinzione che da quelle stanze “ovattate” sia passato un buon tratto della cultura torinese.

Difficile, impossibile citare tutti. Non soltanto per l’abbondanza dei numeri, ma perché – io credo veramente – sarebbe necessario, ad ogni opera, ricercare il motivo di una scelta, il tassello di un percorso ben delineato, l’innamoramento e la scoperta, sarebbe necessario chiarire a chi ha incontrato Gherlone soltanto negli ultimi istanti della sua attività che cosa lo portasse a individuare questo piuttosto che quell’artista, giovane e meno giovane, quattro passi dalla vicinissima Accademia, quanto coincidessero o si distanziassero la predilezione e l’intimo studio, il più approfondito giudizio. C’è l’antica corrente dei Surfanta, c’è il mostro verde e spiaggiato di Alessandri e “Il rinoceronte assunto”, imponente animalone sulla nuvola soffice di Abacuc (Silvano Gilardi), il nodoso e antico ulivo pugliese di Renato Balsamo, il bambino sperduto al di sopra di  quella macchia nera che lo allontana dal gioco collocato nell’autobiografia di Guido Bertello (1983), ci sono “Le due sorelle” di Carlo Cattaneo (del 1983) ed “Esperimento per uomo sdraiato e natura astratta” di Cersosimo, Mauro Chessa ed Enrico Colombotto Rosso, una “Meteora” di Riccardo Cordero e il nudo femminile nell’”Interno” di Italo Cremona, c’è l’India dai grandi corsi d’acqua e dagli alberi altissimi dovuti a Stefano Faravelli, c’è la bella scoperta di Philippe Garel con una “Nature morte au citron”, ci sono i tratti raffinati e altresì inquietanti delle “Oche principesse” e di una delle tante bambine di Titti Garelli e i pastelli di Vincenzo Gatti, il mondo egizio di Ezio Gribaudo a ricordo della mostra del 1973, il felicissimo Riccardo Tommasi Ferroni con “Natura morta con testina d’abbacchio” della collezione Sarzano-Rizzollo.

C’è il carboncino entusiasmante di John Keating, il corpo nascosto tra le pieghe del lenzuolo, e il teatrino di Luzzati, i “Piantatori” di Giovanni Macciotta (1960) e lo “Studio” di Anna Lequio (2023), acquerello dedicato all’amico Silvano, il viso di ragazzo di Pino Mantovani e la “Silvia” classicheggiante di Ottavio Mazzonis e il nervoso e impennato cavallo ad accompagnare il “Bellerofonte” di Raffaele Mondazzi, i tetti invernali e imbiancati di Aime e il mare di Vinicio Perugia, il “Raccolto” poetico – l’antica assoluta poesia di sempre – di Sergio Saccomandi e il ragazzo di Lorenzo Tornabuoni, la “Ginnasta con la palla” che testimonia ancora una volta l’arte di Sergio Unia. Nomi, un nastro di nomi, un punto di riferimento prezioso e oggi non dimenticato, un punto di confronto per quanti con lui hanno amato l’arte, Silvano Gherlone è stato il gallerista prezioso e attento, giudicante e accogliente, l’uomo che consolidava un percorso già avviato o poteva dare inizio a una carriera, con intelligenza e con simpatia, poteva affermare un futuro valore, correggeva e indirizzava. Silvano Gherlone era “discreto, riservato, gentile”, scriveva ne La Stampa Bruno Gambarotta all’indomani della sua scomparsa: e l’affetto che ancora circola, oggi, tra le pareti della Fogliato ne è l’esatta testimonianza.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Silvano Gherlone e Sabatino Cersosimo nel 2018 davanti ad alcune opere dell’artista; Guido Bertello, “L’uccellino di latta”, 1983, acrilico su tela (coll. Bertello)

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