Washington Abbiamo un Problema!

IL PUNTASPILLI  di Luca Martina

Il confronto organizzato dalla CNN tra i due candidati alla presidenza USA, fortemente voluto dal presidente in carica, sembra essersi tramutato per lui in un clamoroso boomerang e c’è già chi lo accosta, non senza ragione, al celebre confronto televisivo (il primo della storia) tra Kennedy e Nixon, finito in una clamorosa sconfitta di quest’ultimo, repubblicano e vicepresidente in carica.
Nel 1960 gli Stati Uniti erano impegnati in una guerra fredda con l’Unione Sovietica (che stava anche guadagnando la leadership nello spazio con il lancio del satellite Sputnik) e con l’espansione del comunismo vicino ai suoi confini, a Cuba dove Fidel Castro stava procedendo alla nazionalizzazione di tutti i possedimenti americani, comprese le raffinerie, le fabbriche e le case da gioco.
Oggi la leadership mondiale statunitense si trova nuovamente messa in dubbio da un nuovo ordine mondiale che ricorda da vicino i tempi della guerra fredda e che vede l’ascesa della Cina e, ancora una volta, la minaccia proveniente dalla Russia (che con Putin punta a restaurare la grandeur sovietica), per non parlare del peso economico e geopolitico sempre più importante dei Paesi “non allineati”; India in testa.
L’esordio del match Biden-Trump non ha riguardato però i grandi temi internazionali bensì un problema molto più sentito dall’americano medio.
La prima domanda, posta dal giornalista della CNN Jake Tapper, che conduceva il dibattito insieme alla collega Dana Rash, è stata infatti relativa “alla maggiore preoccupazione degli elettori americani: il fortissimo        aumento del costo della vita provocato dall’inflazione”.
Che si tratti di uno dei temi cruciali per la corsa presidenziale non ci sono dubbi e ne avevo parlato poche settimane fa in questo articolo https://iltorinese.it/2024/06/04/domande-complicate-e-semplici-risposte-elezioni-pessimismo-e-inflazione/ .
L’impoverimento percepito da una vasta fascia di popolazione è una delle maggiori “sconfitte” imputate, a torto o a ragione, al presidente Biden, con conseguente perdita di popolarità nei sondaggi degli ultimi mesi.
Senza volerci troppo inoltrare nei contenuti del dibattito, ampiamente commentati dalla stampa, sono emersi alcuni aspetti che ritengo valga la pena esaminare.
Va sottolineato, innanzitutto, che nessuno dei due candidati ha brillato e la vittoria di Trump va attribuita innanzitutto alla pessima vena manifestata da Biden (apparso stanco, la voce roca e monocorde, e poco lucido sin dalle prime battute).
Lo scontro è stato, poi, combattuto sui (presunti) successi e fallimenti dei due presidenti (quello attuale e quello precedente) e quasi per nulla sui progetti che intendono proporre per il futuro, l’argomento che più interessa gli elettori.
Mentre la trasmissione era ancora in corso, di fronte alle incertezze del presidente, sono subito iniziate a fioccare le critiche (anche democratiche) alla candidatura di Biden e il giorno dopo è stato il New York Times, storicamente molto vicino alle posizioni “liberal” dei democratici, a chiedere un passo indietro al presidente in carica.
La questione per i “Dem” non è certo di facile soluzione: con Biden si va probabilmente incontro ad una sconfitta (la performance dell’altra sera è stata definita “uno schianto automobilistico visto al rallentatore”) ma un cambiamento in corsa difficilmente cambierebbe il destino delle elezioni, come d’altronde già avvenuto in passato, nel 1968, quando Lyndon B. Johnson, in calo di popolarità per il perdurare della guerra in Vietnam e con seri problemi di salute, lasciò il posto al vice Hubert Humphrey (sconfitto, poi, dal redivivo Nixon).
Va anche ricordato come la corsa presidenziale sia anche una gigantesca idrovora di denaro: nel 2020 la campagna di Biden costò complessivamente 1,7 miliardi di dollari mentre quella di Trump la superò con ben 1,96 miliardi di dollari.
Un candidato completamente nuovo, possibile comunque solo di fronte ad una rinuncia di quello attuale, dovrebbe avere la capacità di raccogliere somme enormi ed in tempi brevi per potersi sobbarcare una campagna da affrontare velocemente e con un vento contrario.
L’unica ipotesi finanziariamente sostenibile sarebbe la candidatura della vicepresidente (come avvenne con Lyndon Johnson) Kamala Harris: trattandosi dello stesso “ticket” presidenziale (rispettivamente come presidente e suo vice) potrebbe attingere ai fondi raccolti e finanziare così la corsa elettorale.
Peccato che Kamala sia in patria estremamente impopolare e una sua candidatura sarebbe improponibile perché troppo divisiva per il partito democratico.
Biden, in fondo, è comunque riuscito ad ottenere un’investitura pressoché plebiscitaria, con il 99% dei voti, da parte dei delegati democratici durante la lunga serie di “primarie” tenutesi tra il 23 gennaio e l’8 giugno e di questo si fa ancora forte, respingendo le richieste, sempre più pressanti, di fare un passo indietro.
Osservatori interessati a quanto sta accadendo sono anche i mercati finanziari.
Il denaro, si sa, non ha colore politico e quello che conta sarà il programma economico del nuovo presidente.
Quasi mai una presidenza è stata automaticamente avversata, o favorita, dagli investitori e anche il giudizio espresso a freddo, il giorno dopo l’incontro, ha confermato lo scarso entusiasmo trasmesso dal confronto televisivo.
Per concludere, possiamo affermare che dagli studi della CNN in Georgia, è risuonato, forte e chiaro, all’indirizzo del partito democratico un messaggio: “Washington abbiamo un problema!” (*)… E sono davvero in molti, anche al di fuori degli Stati Uniti, che si augurano che Biden abbia la saggezza di ascoltarlo e di trarne le dovute conseguenze.
(*) La frase “Houston abbiamo un problema”, diventata presto sinonimo dell’insorgere di problemi imprevisti e di difficile soluzione, fu pronunciata da Jack Swigert, pilota del modulo di comando della celebre ma sfortunatissima missione lunare Apollo 13. Dopo gli allunaggi delle missioni Apollo 11 e 12 si doveva trattare di un viaggio di routine (molto criticata perché ritenuta da molti inutile) verso la Luna ma venne funestata da moltissimi problemi. Il film “Apollo 13” (con un cast stellare che comprendeva tra gli altri Tom Hanks e Kevin Bacon) ha raccontato le vicende dell’equipaggio e il lieto fine della vicenda, con l’ammaraggio nelle acque del Pacifico ed i tre componenti dell’equipaggio sani e salvi, il 17 aprile 1970.
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